NAVARCO (ναύαρχος, navarchus)
Ufficiale della marina in parecchi stati dell'antica Grecia, più o meno elevato di grado a seconda dei luoghi. Comandante in capo della flotta - ammiraglio, noi diremmo - fu a Sparta, ed è appunto la navarchia di Sparta quella che meglio conosciamo e che ha per noi maggiore significato.
Pare che nei tempi più antichi il comando della flotta spartana, così come quello dell'esercito, fosse riservato ai re; ma già all'inizio del secolo V, nel corso delle guerre persiane, la flotta confederata dei Greci all'Artemisio e a Salamina è comandata da Euribiade, figlio di Euricleide, semplice borghese e non di stirpe regia. È il primo navarco (anno 480 a. C.). Negli anni prossimi ritroviamo a capo della flotta il re Leotichide, il reggente Pausania, non tanto come navarchi nel senso proprio della parola, ma piuttosto in grazia del loro antico diritto. A Pausania succede, durante l'estate del 477, un Dorcide, che viene mandato all'Ellesponto, e che dovette essere appunto navarco. Poi, per un mezzo secolo, di navarchi nessuna menzione: la flotta spartana è inoperosa. Ma ecco che essi riappaiono nel corso della guerra del Peloponneso: Cnemo, Alcide, Trasimedide... (430/29, 428/7, 426/5); e di nuovo nel periodo deceleico di detta guerra: Melancride, Astioco, Mindaro, [Pasippide], Cratesippide, Lisandro, Callicratida (uno per anno dal 413/2 al 407/6); e ci sono testimoniati quasi ininterrottamente per il periodo che va dalla battaglia di Egospotami alla pace di Antalcida, dal 406/5 al 388/7, se si eccettui la breve parentesi del 395-94, durante la quale il comando supremo della flotta tornò nelle mani del re, Agesilao. Navarchi sono poi eletti regolarmente, ogni anno, nel corso della guerra beotica, dal 377/6 al 373/2: Mnasippo, che fu in carica appunto nel 373/2, è l'ultimo navarco spartano che sia menzionato dalle fonti.
Sul carattere della navarchia (carica ordinaria o straordinaria), sulla durata (annuale o condizionata al durare dell'impresa), sul numero dei navarchi (uno o più contemporaneamente) è stato vivace il dibattito della moderna critica erudita. Ma contro l'opinione di A. Weber, ripresa anche da W. Judeich e A. Solari, che la navarchia fosse una carica straordinaria, prevale oggi l'opinione di K. J. Beloch, sostenuta anche da Ed. Meyer, H. Lohse, L. Pareti, U. Kahrstedt, che fosse invece carica ordinaria e annuale.
I poteri del navarco furono molto estesi, tanto che hanno potuto assumere talora sembianza di potere regio, ed essere perciò causa di disordini e di sedizione, come osserva Aristotele. Non solo, infatti, il navarco aveva comando supremo sulla flotta per imprese determinate, comandate dagli efori (Xenoph., Hell., I, 6, 5); ma era inoltre in suo arbitrio, se le circostanze lo richiedessero, assumerne di nuove (ibid., V, 1, 6). Poteva inoltre, in taluni casi, regolare le relazioni tra gli alleati, concludere tregue, firmare trattati; la famosa pace di Antalcida è conclusa da Antalcida appunto come navarco. E massima era la libertà d'azione del navarco nel caso di spedizioni lontane in zone d'oltremare, quando al variare delle circostanze egli doveva rispondere di persona, secondo il personale arbitrio e talento.
Talvolta a fianco del navarco, a limitarne i poteri e a vigilarne le azioni, si poneva un collegio di consiglieri (σύμβουλοι), ma ciò dovette avvenire solo eccezionalmente. Limite certo alla loro potenza veniva invece dalla durata della carica; quel potere, ch'era potuto sembrare assoluto e quasi regio, veniva meno allo scadere dell'anno.
Solo nel caso che si dovesse condurre a termine qualche impresa, il comando veniva prolungato; ma, almeno nel sec. V, una legge vietava la rielezione d'un medesimo navarco. La quale legge, se da un lato costituiva una garanzia per lo stato, d'altro lato ne detemminava anche una debolezza, in quanto che i cambiamenti numerosi di capo non solo rendevano frequente l'elezione d'uomini per nulla sperimentati, ma producevano anche disordini e ribellioni nelle ciurme. A tali inconvenienti si cercò anche di rimediare nominando ἐπιστολεύς (cioè ufficiale in sottordine, che avrebbe dovuto assumere il comando solo in caso di assenza o di morte del navarco) l'ex-navarco dell'anno precedente, e affidandogli di fatto - se di diritto era vietato - i pieni poteri. Lisandro vinse a Egospotami mentre rivestiva ufficialmente la funzione di ἐπιστολεύς.
In quale epoca dell'anno i navarchi entravano in carica? Pare verso l'autunno, all'inizio dell'anno laconico, che cadeva di solito ai primi di settembre; naturalmente non sempre, e anzi abbastanza raramente, l'elezione coincideva con l'assunzione del comando. Più spesso il nuovo navarco riceveva il comando effettivo della flotta a primavera, all'aprirsi della nuova campagna, dopo avere trascorso l'inverno in patria, a vigilare nei cantieri la costruzione delle navi.
"I navarchi" (οἱ ναύαρχοι) pare fosse la denominazione popolare del monumento innalzato dagli Spartani in Delfi a celebrazione della vittoria di Egospotami: insieme monumentale che comprendeva appunto, oltre le statue degli dei, quella del vincitore Lisandro e del navarco spartano, e di tutti gli altri navarchi dei contingenti alleati, che avevano cooperato alla vittoria.
Quanto alle altre città della Grecia, siamo meno informati, e la navarchia dovette in genere avere meno importanza. In Atene il titolo ufficiale di navarco non esisteva nell'età classica, ed è da ritenersi che l'Eunomo ateniese chiamato una volta da Senofonte navarco non fosse se non uno stratego incaricato del comando d'una squadra. Navarco si diceva il comandante della flotta della Lega beotica, e di quella della Lega dei Magneti; navarco anche il comandante delle navi della Lega degli Achei, il quale però non era ufficiale ordinario, bensì veniva nominato solo nei momenti più serî della guerra.
Il medesimo carattere straordinario aveva anche la navarchia in Rodi, e non solo al navarco, eletto nell'ora del bisogno, spettava il comando della flotta, ma egli poteva anche essere mandato come ambasciatore, o comunque essere incaricato di trattative. La navarchia compare anche nelle monarchie ellenistiche. In particolare molto si è discusso intorno ai poteri dei navarchi del regno tolemaico d'Egitto, intorno alla loro serie e alla loro durata in carica (v. anche nesiarco).
Bibl.: W. Judeich, Kleinasiatische Studien, Marburgo 1892, p. 107 segg.; L. Pareti, Ricerche sulla potenza marittima degli Spartani, in Memorie dell'Accademia di Torino, 1908-09, p. 71 segg.; P. Poralla, Prosopographie der Lakedaimonier, Breslavia 1913, p. 166 (lista dei nav. spartani); K. J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., II, ii, Strasburgo 1916, p. 269 segg. (ivi anche un elenco dei navarchi spartani, p. 288 seg.); G. Busolt e H. Swoboda, Griechische Staatskunde, Monaco 1920-26, p. 714 segg. e passim (ivi ricca bibl.); V. Costanzi, Le costituzioni di Atene e Sparta, Bari 1927, p. 101; W. W. Torn, The duration of the Ptolemaic nauarchate, in Journal of Hellenic Studies, 1933, p. 61 segg.