nave della speranza
locuz. sost. f. – Locuzione diffusa negli ultimi anni, soprattutto in ambito giornalistico, per descrivere l’insieme di soluzioni adottate volta per volta dagli scafisti (ossia i criminali che speculano su questi trasporti, v. ) per soddisfare con la minore spesa possibile l’alta richiesta di passaggi di decine di migliaia di migranti clandestini, disposti a utilizzare qualsiasi mezzo, anche infrangendo le leggi in vigore. L’afflusso di immigrati (v. ) è infatti in costante aumento per la spinta demografica ed economica, soprattutto dall’Africa verso l’Europa, e tra le varie forme di trasporto, la navigazione è da sempre quella più intimamente legata all’immigrazione dei ceti meno abbienti: basta pensare all’emigrazione degli italiani verso le Americhe tra la fine del 19° sec. e l'inizio del 20° dai porti di Genova, Napoli e Palermo. Spesso queste iniziative si concludono tragicamente, sia per le difficili condizioni delle traversate, sia per la vetustà dei natanti, sia per la noncuranza degli scafisti, che abbandonano le imbarcazioni subito dopo essere stati avvistati dalle autorità di pattuglia lasciando a queste ultime l’incombenza di portare in qualche modo i superstiti fino al porto più vicino. Le rotte più frequentate sono, ovviamente, le più brevi: lo Stretto di Gibilterra (che tuttavia è molto controllato), il braccio di mare tra il Senegal e le isole Canarie, il Canale di Sicilia tra la Tunisia e le isole – tra cui Lampedusa, Pantelleria e Malta –, il Canale di Otranto (soprattutto dall’Albania), nonché le isole greche dell’Egeo. Non sono da sottovalutare anche i flussi provenienti da coste molto più lontane, soprattutto da Libia, Egitto e Siria.