NAVE (navis; ναῦς)
SOMMARIO: 1. Preistoria; 2. Egitto; 3. Mesopotamia, Siria, Fenicia; 4. Grecia; 5. Italia preromana; 6. Roma; 7. Elenco dei principali monumenti. - Bibliografia; 8. India e Asia sud-orientale; 9. Cina; 10. Giappone.
1. - Preistoria. L'intenzionale realizzazione di un galleggiante destinato a spostarsi nell'acqua fu una conquista dell'uomo primitivo, il cui inizio - al pari delle più antiche manifestazioni culturali dell'umanità - ci rimane nascosto. Solo si può ragionevolmente supporre che sulle coste e nei paesi del Mediterraneo la pratica della navigazione abbia preceduto la fase agricola dell'insediamento umano, come lascia indurre, ad esempio, il Paleolitico di Capri.
Certo gli insediamenti neolitici in isole ben più lontane dalla terraferma (Inghilterra, Sardegna, Creta) e il commercio mediterraneo dell'ossidiana presuppongono un adeguato sviluppo dell'arte e della tecnica nautica in questa fase. Tuttavia la documentazione archeologica a noi giunta non riguarda il mare aperto, bensi la navigazione interna, come testimonia nell'Egitto predinastico e nella Mesopotamia il fenomeno artistico, e in alcuni bacini fluviali e lacustri della Germania, della Francia, dell'Irlanda, dell'Inghilterra e dell'Italia non pochi esemplari della barca tipologicamente più antica, e cioè quella monoXile, ottenuta da un tronco (generalmente di quercia) opportunamente incavato.
Questa e le altre forme di imbarcazione primitiva (come i tronchi accoppiati o zattere, e le pelli di animali cucite insieme) sono estremamente tenaci nella nautica, sicché gli esemplari o anche le rappresentazioni artistiche delle epoche posteriori possono ripetere con lievissime evoluzioni la tipologia più arcaica. L'interessante fenomeno di attardamento si può seguire in un folto gruppo di piroghe (in parte inedite), ricuperate da un secolo in qua nelle antiche zone lacustri, lagunari e negli alvei fluviali della pianura padano-veneta.
La più antica di esse sembra essere la barca monoxile, ancora inedita, proveniente della palafitta di Casacce di Cavriana (Verona), attribuibile alla prima Età del Bronzo (cultura di Polada); forse di poco posteriore è la piroga di Mercurago (Piemonte). Tra l'Età del Ferro e l'epoca romana o addirittura tardo-romana si distribuiscono le altre.
Si tratta infatti di una persistenza tipologica, dovuta a ragioni geografiche ed economiche, come del resto conferma Servio (Verg., Georg., i, 262), tramandando che ancora ai suoi tempi nella navigazione interna da Ravenna ad Altino era diffuso l'uso di tale imbarcazione, denominata linter. Appunto all'epoca tardo-romana (o anche alto-medievale) sono da assegnarsi le maggiori barche di questo tipo, l'una lunga m 14,50 e l'altra m 12,70, ambedue provenienti dal Casone Gaiano in valle Isola, presso Comacchio.
Invece della zattera (ratis) non ci è giunto alcun esemplare. Solo le arti figurative conservano qualche tipo già molto evoluto, com'è in un rilievo assiro di Ninive o le zattere di Ulisse e di Ercole in vivaci rappresentazioni d'età classica.
Un tipo particolare e progredito di barca a fasciame (anche se probabilmente è da includersi sempre nel periodo remiero della navigazione) è testimoniato abbondantemente dalle manifestazioni artistico-religiose del Nord-Europa durante l'Età del Bronzo. Un centinaio di battelli votivi (lunghezza cm 11-12) con la scheletratura fatta di segmenti bronzei, rivestita di lamina d'oro, rappresentano i modelli fedeli di agili barche, dalla chiglia pronunciata (Kielboote), le ruote di prua e di poppa simmetricamente sporgenti ad angolo ottuso, scheletro ligneo ricoperto di pelli di animali, non diversamente dal kajak degli Esquimesi.
Una simile sagoma ovale molto allungata possiede un gruppo di tombe naviformi di Kurland e Gotland, attribuite alla fine dell'Età del Bronzo e all'inizio dell'Età del Ferro.
Più variata è la tipologia delle navi rappresentate sui contemporanei graffiti rupestri di Ostergootland, Bohusländ, Ostfold (Svezia). Sopra il bordo di alcune barche sorge una pertica sormontata da un disco (oppure, sui rasoi bronzei della medesima epoca, domina superiormente ai lati dell'albero una specie di doppia corona): queste curiose immagini vengono collegate al culto solare e interpretate come il disco del sole.
Il medesimo concetto mitologico si ritrova nella ornamentazione dei bronzi laminati dell'Europa centrale, dove il motivo a spirale desinente a testa di ochette starebbe a significare la barchetta del sole tirata dai cigni. Compare ancora in qualche situla veneto-alpina, ma come tardo retaggio che ha perduto il primitivo concetto religioso e si è ridotto a schema decorativo.
Qualche studioso ha voluto riconoscere il cigno anche nei graffiti rupestri sopra descritti, e precisamente nelle imbarcazioni con tipico prolungamento della chiglia che sporge davanti alla prua. Ma altri scorge in quella specie di sperone rialzato, un particolare tecnico-costruttivo, e cioè una doppia ruota di prua, destinata a proteggere lo scafo dagli urti, di cui si correva pericolo nella navigazione nordica.
Comunque è da tener presente che le caratteristiche e gli sviluppi della primordiale tecnica navale furono più varî di quello stesso che indichino i documenti a noi giunti, perché furono legati al particolare ambiente geografico, alle esigenze diverse di una navigazione fluviale o marittima, nonché alla varietà e ai prodotti del suolo, mentre sembra che meno abbiano influito i fenomeni della vita associativa.
2. - Egitto. Esempio tipico è l'antico Egitto dove alla scarsezza di legname sopperì inizialmente il papiro, dal quale si ricavarono leggerissime barche, fatte di stuoie della pianta acquatica, incurvate e opportunamente cucite e legate: questo tipo indigeno e primitivo persistette fino in piena epoca storica, poiché fu notato anche da Plinio (Nat. hist., xiii, 22, 72). Invece imbarcazioni più resistenti erano costruite con la durissima acacia nilotica (Plin., Nat. hist., xiii, 9, 63) o con il sycomorus, finché accanto ai materiali indigeni s'imposero i legnami pregiati (come i cedri del Libano) della vicina costa del Mediterraneo.
Se queste caratteristiche ecologiche vanno tenute presenti, tuttavia per intendere i varî aspetti della storia della n. in Egitto può servire solo la copiosità e l'imponenza del materiale archeologico a noi trasmesso a partire almeno dall'epoca neolitica. Graffiti rupestri, pitture parietali e vascolari, rilievi, modellini fittili o lignei, esemplari stessi, al vero, di battelli notevoli per dimensioni indicano abbondantemente evoluzione tecnica, tendenze estetiche e le fasi storiche con una cronologia quasi esatta.
I primi documenti nautici provengono dall'Egitto preistorico e precisamente da graffiti rupestri della valle del Nilo: vi compaiono alcuni battelli con scafo tendente alla forma di falce lunare, assegnati dal Winckler agli "abitatori primitivi della valle del Nilo", ed altri a chiglia piatta con alta poppa verticale, attribuiti agli "invasori dell'Est".
Più generiche sono le forme delle barche schematicamente dipinte sulla ceramica del Naqadiano I e II, e così pure i modelli di battelli in terracotta, provenienti da Naqādah e riferibili al primo dei due periodi.
Alla fine del Naqadiano II si attribuisce un oggetto notevole per pregio artistico, il coltello (Louvre E 11517) del Gebel el-Arak, sul cui manico eburneo figurano a rilievo battelli somiglianti ai due tipi sopra descritti. Sulle quasi coeve pitture parietali di una tomba di Kōm el-Aḥmar (Hierakonpolis) con scene di guerra e di navigazione, i battelli a falce lunare e quelli a chiglia piatta appaiono meglio caratterizzati.
I monumenti figurati dell'Antico Regno consentono di osservare un tipo ormai organico di n. egiziana: un rilievo della tomba di Mareb, figlio di Chefu (IV dinastia) ha due modelli di navi fluviali, l'una a remi, l'altra provvista anche di vela. Ambedue hanno basso scafo, tipicamente incurvato, alta cabina, rematori con sola pagaia, un pilota a prua per scandagliare l'acqua mediante una pertica, tre timonieri da un lato della poppa che impugnano ciascuno un remo-timone isolato, non ancora appoggiato allo scalmo. La barca a vela ha l'albero bipode.
Alla medesima dinastia appartengono pure due manufatti eccezionali nella nautica egiziana: le grandi "navi solari" di Kheops, recentemente scoperte presso la grande piramide di Gīzah, dalle quali si trae una diretta visione della ricerca estetica e della potenza costruttiva (uno dei battelli è lungo oltre 40 m e largo 5).
Negli innumerevoli modellini nautici inseriti nelle tombe si possono esaminare talune particolarità o variazioni tecniche delle imbarcazioni fluviali, ma la loro precisa destinazione rituale fa sì che tale produzione non oltrepassi i valori di una minuta evidenza descrittiva: battelli funebri per il trasporto della mummia e per il viaggio ad Abido, barche da pesca, da diporto, da viaggio o quelle votive del sole. Le pitture tombali con analogo soggetto raggiungono in genere soltanto intenti evocativi del paesaggio fluviale o semplicemente decorativi. Non molto diversamente nei rilievi dei templi la barca divina di Amon, invariabile nei canoni costruttivi, acquistava risalto più per il fulgore del rivestimento aureo dello scafo che per formare il tema preminente: anche la grande barca del dodicesimo pilone di Karnak, sulla quale pur s'incentra la processione fluviale in un'atmosfera di cosmogonia solare, non si svincola dalla gerarchia artistica imposta da precise regole rituali, di fronte alla figura colossale di Amon-Rē‛.
Per questo i documenti pittorici e scultorei più significativi, per la tecnica e l'arte, sono forse da ricercarsi in quelle impegnative saghe figurate, che celebrano imprese navali di faraoni o principi. Il primo esempio risale al faraone Saḥurē‛ (V dinastia), nella cui tomba ad Abu Sir è narrata una spedizione marittima, verso la costa dei Somali: le sue navi sono costruite per il mare aperto, e se hanno ancora i remi-timone evolutivi, lo scafo è però solido, le ruote di prua e di poppa alte e verticali, l'albero bipode è abbattibile, munito di ampia vela quadra; il remeggio avviene ormai con scalmi e stroppo.
Durante il Medio Regno non si hanno figurazioni del genere. Ma al Nuovo Regno appartiene un documento eccezionale: il bassorilievo di el-Assassif, dove nel tempio di Deir el-Baḥrī la regina Hashepsowe (XVIII dinastia) volle ricordata - al pari di Saḥurē‛ - la spedizione pacifica con intenti commerciali da lei fatta a Punt, il paese dell'incenso. La narrazione di questo singolare "libro di bordo" è tradotta in un ciclo figurato artisticamente imponente e ricco di dettagli tecnici.
La flotta della regina è formata da solide navi pontate (paiolo), hanno propulsione remiera (15 rematori per banda) e velica con complesso sartiame, due remi-timone (uno per banda) su scalmo, collegati tra di loro e manovrati da un solo timoniere per mezzo di barra verticale; probabile è pure la presenza dei bagli (traverse laterali), che comunque compaiono nei modelli di battelli funerarî di Tutanîkhamon.
Sotto questo faraone, nella tomba di Huy a Medīnet Habu è dipinta, tra le altre, una fastosa imbarcazione fluviale, donde si trae suggestiva visione dei colori tradizionali e delle decorazioni che ornavano le singole parti costruttive.
Ultimo documento d'eccezione può considerarsi il bassorilievo di Medīnet Habu, che celebra il trionfo ottenuto da Ramesses III (XX dinastia) alle foci del Nilo sulla flotta dei Popoli del Mare nel 1191 a. C. In questa prima figurazione di battaglia navale, vivacemente narrativa, i due tipi di n. in combattimento sono caratterizzati chiaramente: la n. da guerra egizia ha remi e vela (ammainata), coffa con vedetta, il solito scafo a falce lunare con parapetto, prua (con protome ferma) più bassa della poppa, castello di prua e di poppa per i comandanti. Quella dei nemici si distingue soprattutto per lo scafo leggermente incurvato, e le ruote di prua e poppa diritte, simmetriche e desinenti a testa di cigno (?).
Dalle dinastie della Bassa Epoca non provengono documenti singolari anche se un frammento saitico (circa 663 a. C.) del museo di Brooklyn è di particolare interesse perchè dà evidenza ad una delle rare descrizioni tecniche delle fonti letterarie (Herod., II, 96), riguardante la fabbricazione delle barche fluviali, senza chiglia e coste, mediante un ingegnoso sistema di sovrapposizione di grossi tavoloni. Solo assai più tardi, la megalomania navale dei Tolomei riconduce sulle rive del Nilo una tradizione insigne, ma ormai connessa con la tecnica ellenistica e attestata per noi solo da documenti letterarî. Comunque per la grande n. nilotica di Tolomeo IV, la Thalamegos, non è mancato un tentativo di ricostruzione archeologica da parte del Caspari.
3. - Mesopotamia, Siria, Fenicia. Per le civiltà fiorite sul Tigri e l'Eufrate il parallelismo con l'Egitto - quale farebbero indurre le analogie geografiche - tocca solo alcuni dati esteriori della storia della nave. I popoli mesopotamici non sentirono infatti la spinta al mare, né gli artisti manifestarono particolare interesse per la navigazione.
Tuttavia i documenti artistico-religiosi fanno registrare anche qui le date più antiche. Il modello fittile di barca mesopotamica a fondo piatto da Eridu (Abu Shahrain) risale alla metà del IV millennio; dalle tombe reali di Ur (Muqayyar) proviene un modello argenteo (lunghezza cm 65), simile alla gondola, con prua e poppa alte e appuntite, chiglia affilata, remi-timone a grande pala cuoriforme (metà del III millennio).
Oltre alla destinazione funeraria, la barca ebbe, al pari dell'Egitto, particolare funzione nelle cerimonie religiose: numerosi sono i sigilli cilindrici con barche sacre, recanti divinità o simboli del culto sui fiumi. Ma qui si hanno solo schematizzati battelli (probabilmente di canne) dalla lunga chiglia piatta, sprovvista di bordi, sì da farli somigliare a una zattera se non avessero alte prua e poppa ricurve, desinenti a corna ramificate.
L'interesse di tali esemplari del principio del III millennio, sta soprattutto nell'accostamento che la loro tipica forma consente di fare con le barche degli invasori dell'Est nei monumenti dell'Alto Egitto. Né da essi si discostano i successivi documenti sia in epoca pre-sargonica, sia nell'arte accadica e neo-sumerica, perché il motivo della barca rimase relegato nella glittica e schematizzato nell'astrazione lineare della simbologia religiosa.
Alla povertà artistica pone fine solo la civiltà militare degli Assiri, quando i rilievi servono a dare la versione ufficiale delle imprese belliche dei re, quantunque neppure gli Assiri abbiano avuto frequente necessità di navigare, sicché fra tanta fecondità scultorea la barca compare raramente.
Il tono celebrativo delle figurazioni non esclude il gusto del particolare e dell'episodico, onde anche nelle scene nautiche si riflettono condizioni della vita reale, che ne accrescono l'interesse storico. Sotto questo aspetto ci è dato di riscontrare un persistente attardamento di forme e strutture nautiche, evidentemente legate alle risorse locali e alla limitata pratica fluviale.
Uno dei più antichi galleggianti usati dall'umanità, l'uter, ottenuto con la pelle di un animale rigonfia d'aria, è documentato nel IX sec. a. C. sui rilievi di Nimrud (ora al British Museum). E se qui si tratta di guerrieri in fuga che cercano scampo nuotando con l'aiuto di otri, il loro uso comune nel bacino mesopotamico è confermato dalle lastre scultoree del sec. VII nel palazzo di Sennacherib a Ninive (anche queste al British Museum), dove pescatori di fiume stanno a cavallo di analogo galleggiante. Sulle medesime lastre è chiaro pure il diffuso impiego delle pelli nella battelleria: vi compaiono zatteroni e barche circolari, adatte al trasporto di materiali pesanti lungo i fiumi. Nei primi il galleggiamento dei grossi tavoloni viene favorito e stabilizzato da otri gonfiati, legati lateralmente: la propulsione è solamente remiera. Nella seconda (di evidente somiglianza con la quffah degli Arabi) l'impermeabilità è procurata dal rivestimento di pelli; e ai movimenti rotatorî ben si adatta l'alternanza o accordo dei rematori, posti in posizione antagonista.
La tipologia delle imbarcazioni di tipo arcaico si completa in un altro rilievo di Ninive del VII sec. (British Museum), nel quale un combattimento nelle paludi si svolge su barche ottenute con fasci di canne, non molto diversamente dalle barche di papiro dell'Egitto.
In nessuna figurazione compare la vela, la quale manca pure su due rilievi storiografici, in cui sono schematizzate imbarcazioni che navigano per mare: sulle lamine di bronzo (British Museum) che rivestono una porta del palazzo di Salmanassar III (858-824) a Imgur-Bel (Balawāt), il re di Tiro assiste alla partenza dei tributi per il re degli Assiri (v. vol. iv, p. 1078, fig. 1275): le barche a remi che li trasportano sono certo a fasciame ma non ancora pontate; dallo scafo lungo e poco curvato si dipartono le alte ruote di prua e di poppa, analoghe alle navi dei Popoli del Mare nel rilievo di Medīnet Habu. Con questo tipo trovano ancor più chiaro riscontro i rilievi assiri (ora al Louvre) che decoravano il cortile VIII del palazzo di Sargon II (721-705) a Khorsābād, poiché le navi cariche del legname della costa fenicia non solo posseggono analoga forma, ma qualcuna è munita di albero centrale, sormontato da coffa, com'è appunto nella citata battaglia contro Ramesses III. Questi richiami alla tipologià delle coste siriache e fenicie favoriscono l'opinione corrente, che attribuisce a maestranze fenicie la flotta costruita, in cantieri assiri, da Sennacherib per la spedizione navale del 694 contro gli Elamiti nel Goffo Persico. In effetti il famoso bassorilievo (British Museum) del palazzo di Ninive documenta tozze navi da guerra tecnicamente così evolute da non accordarsi con quello che sembra essere stato l'assenteismo degli Assiri per le costruzioni navali. Si tratta infatti di vere e proprie galee a doppio ordine di remi, duplice remo-timone accoppiato, ponte di combattimento posto al disopra dei rematori, e protetto dalla impavesata degli scudi (come faranno assai più tardi i Vichinghi). Le navi munite di sperone posseggono anche l'albero con pennone per la vela; le altre hanno solo i remi, e si differenziano altresì per la perfetta simmetria della poppa e della prua: sembrerebbero navi mercantili adattate al trasporto di armati.
Che a queste novità tecniche non si giungesse senza i progressi nautici del Mediterraneo orientale, ed in particolare della Fenicia, sembra ragionevole; tuttavia delle navi fenicie non possediamo alcun documento diretto, eccetto le piccole e tardive immagini sulle monete di Arados, Biblo e Sidone. Infatti il modello fittile di Biblo, n. tondeggiante con chiglia e bagli, è troppo arcaico (III millennio a. C.) per dirci qualche cosa dei Fenici e sembra comunque collegato con i tipi egiziani contemporanei. Così pure si sogliono collegare con la nautica fenicia due documenti assai lontani tra di loro nel tempo: le pitture egiziane di una tomba di Drah Abrii Neggah risalenti alla XVIII dinastia (1570-1345) e un rilievo di sarcofago (museo di Beirut) da Sidone, databile al I sec. d. C.
Ma questo reca una n. mercantile con evidenti forme e strutture dell'età imperiale romana, né si concepisce quale legame possa offrire con l'epoca fenicia. Nelle pitture tebane compare una flottiglia di navi onerarie di mercanti stranieri: l'artista, pur non dipartendosi da forme egittizzanti, ha però dato alle navi uno scafo più tondeggiante e solido, con parapetti finestrati lungo tutto il bordo e le due ruote simmetriche e verticali. Quest'ultimo particolare si ritrova in una delle stele puniche votive del II sec. a. C. (Museo Lavigerie), scavate a Salammbo presso Cartagine, sicché sembrerebbe probabile che nelle pur tenui particolarità sottolineate dall'artista egizio sia da cogliere l'immagine approssimata di una n. dei Fenici.
Da Cipro si ha un interessante gruppo di modelli nautici in terracotta e anche un'immagine di n. oneraria, egittizzante, del VII sec. a. C. (Metropolitan Museum, Collezione Cesnola 761).
4. - Grecia. Le culture egee dell'Età del Bronzo hanno restituito numerose immagini di n. (una settantina ne ha raccolte il Marinatos), dalle quali gli studiosi hanno cercato di stabilire classificazioni cronologiche e tipologiche, nonostante lo scarno stile impressionistico degli Egei e la piccolezza delle rappresentazioni: a parte infatti alcuni modelli nautici (in terracotta, pietra, avorio) della lunghezza massima di una ventina di cm, il resto appartiene per buona parte alla glittica.
Le testimonianze più antiche risalgono all'Antico Minoico II e spettano quasi tutte all'arte cicladica. Sulle "padelle" di Siro (vol. II, p. 582, fig. 794) sono graffiti profili di navi a remi, dallo scafo stretto e allungato a trave, la prua munita di sottile sporgenza simile a un rostro (ma è probabilmente la parte terminale della chiglia), la poppa rialzata ad angolo ottuso e sormontata dall'insegna del pesce. Evidenza plastica assume questo tipo nel modello fittile da Palekastro, pressoché contemporaneo.
Accanto ad esso sembra presente una imbarcazione simile per forma alle egizie, con lo scafo simmetricamente curvato a falce lunare, che però si sviluppa soprattutto - munito ormai di vela - sui sigilli cretesi del Minoico Medio e Recente. Ad essa potrebbe adattarsi l'epiteto omerico di ἀμϕιέλισσα. Infine si riconosce, specialmente nel Minoico Recente, anche un tipo intermedio tra i due.
Varie sono le ipotesi per derivare dalle esperienze navali del Mediterraneo orientale la marina cretese-micenea, e stabilire l'evoluzione o la coesistenza dei diversi tipi rappresentati.
Degno di nota è un tardo modello fittile di battello da Filakopi con le costolature dipinte a strisce verticali sui fianchi esterni e - per la prima volta - l'occhio sulla prua. Alla tarda Età del Bronzo appartiene pure la n. dipinta sulla pisside di Pilo (poppa tondeggiante e rialzata, dritto di prora con prolungamento anteriore, timone unico, albero e vela), che presenta indubbie somiglianze con le figurazioni dello stile protogeometrico e del geometrico.
Nell'austero linguaggio di questo periodo si hanno una quarantina di sagome di navi, disegnate in costante veduta laterale su vasi provenienti per la massima parte dal Dipylon. Lo studio sistematico del Kirk le colloca tra la seconda metà del IX sec. e la fine dell'VIII, distinguendovi sottilmente l'evoluzione sia nel contenuto delle rappresentazioni sia nella struttura della nave.
La n. compare dapprima senza la figura umana, ma subito dopo è al centro di battaglie (vol. iii, p. 824, fig. 1022) o di naufragi (ibid., p. 826, fig. 1024), quindi in comuni scene di remeggio, che continuano - con ben maggiore risalto della n. - anche nella fase finale del geometrico (ibid., p. 829, fig. 1030), mentre su altri vasi si hanno arcaizzanti ritorni a lotte violente oppure la novità iconografica della donna presso la nave.
Della struttura della n. è tipica la prua, sormontata da alto corno, munita di grande occhio, e raccordata con profilo concavo ad un'acuta prominenza a fior d'acqua (verosimilmente è ormai il rostrum). Anche dalla poppa si sviluppa superiormente un corno, che preannuncia l'ἄϕλαστον della Grecia classica; duplice è ora il remo-timone, come pure doppia (cioè remiera e velica) è da ritenersi la propulsione. Discusso è invece il significato della linea o delle linee orizzontali che sembrano poggiare su pali di sostegno al di sopra del parapetto: se cioè rappresentino o no un ponte, sia pure parziale.
Aperto è infine il problema del remeggio su quelle navi dove due banchi di rematori sembrano sovrapposti: sono queste le prime biremi oppure il banco superiore è dovuto all'enfasi narrativa o meglio ancora alla pseudoprospettiva? Infatti il disegnatore, combinando la veduta di profilo con quella di pianta, avrebbe così indicato i due banchi opposti di una monoreme. È questa l'opinione del Kirk, il quale respinge pure la teoria tradizionale che la bireme sia stata il naviglio da guerra di passaggio dalla monera alla triera: la diera infatti farebbe una fugace comparsa in Grecia solo nel sec. VI. Anche per il Williams la teoria evolutiva non è valida sul piano tecnico, ed inoltre alcune navi a doppio ordine di remi dello stile geometrico sono in effetti soltanto apparenti biremi; ma in altre devono vedersi biremi vere e proprie, sicché queste avrebbero avuto coesistenza in Grecia con le monoremi tra l'VIII sec. e la seconda metà del VI, allorché ebbero inizio le triremi.
Le fonti letterarie non recano chiarimenti alla discussione e, in genere, mal si conciliano con i documenti archeologici. La stessa n. omerica trova debole riscontro in quella di tipo geometrico, per la tendenza arcaicizzante della poesia epica.
Dopo tanta schematica uniformità, l'iconografia della n. nel VII sec. per quanto scarsa, tende ad una maggiore definizione strutturale: degni di nota però il rilievo d'avorio del tempio di Artemide Orthia a Sparta e il gruppo delle fibule beotiche (cfr. vol. iii, p. 827, fig. 1027).
Tale processo, insieme ad una varietà nuova di motivi, giunge a compimento nel secolo successivo. Già dal principio del sec. VI la n. fa il suo ingresso nella grande arte, con il rilievo della bireme di Teseo e degli Argonauti nel tesoro dei Sicioni a Delfi (vol. iii, p. 35, fig. 44). Al secondo venticinquennio dello stesso secolo appartiene la celebre tazza laconica del Pittore di Arkesilas, dove Arcesilao, re di Cirene, pesa sulla tolda di una n. il silfio, di cui vengono ammassati i sacchi nella stiva (vol. iv, p. 448, fig. 521): ma il vivace gusto realistico s'incentra più sui personaggi della esotica scena che non sulla figurazione (schematica, anche se del tutto eccezionale) dell'interno di un naviglio.
Una scena di genere ha un arỳballos corinzio quasi contemporaneo con il comandante della n. intento a ristabilire il ritmo del remeggio, mentre analoghi vasi illustrano già il popolare episodio di Ulisse e le Sirene.
Più copiosa e varia la produzione attica su vasi a figure nere. Se nella idria di Kleimachos (Louvre E 735) si riprende il vecchio tema del combattimento tra armati e una n. da guerra, sul vaso François una n. lunga (probabilmente una triacontera, e cioè con quindici remi per banda) entra come elemento narrativo delle vicende di Teseo (vol. iv, p. 368, fig. 434).
Una teoria di navi da guerra (alcune di esse pentecontere) si impone come partito decorativo autonomo, specialmente sul labbro interno di dèinoi a figure nere della fine del secolo. L'esempio proveniva da Exekias (dèinos di Villa Giulia, 50599), il quale pure nella kỳlix di Monaco 2044, isolando Dioniso semisdraiato su una n. dalla bianca vela al vento, aveva già portato il tema nautico al più suggestivo sviluppo pittorico di tutta la ceramica greca (vol. iii, p. 112, fig. 142). Alle vicende marittime del dio alludono pure le navi con Dioniso su un'anfora del museo di Tarquinia (n. 678), e il carro n. su alcuni tardi skỳphoi a figure nere.
Ma l'interesse pittorico di Exekias si rinnova solo su due ceramiche del terzo venticinquennio circa del sec. VI: una kỳlix del vasaio Nikosthenes (Louvre, F 123) con le regate ateniesi e la kỳlix B 436 del museo di Londra, dove una bireme (forse una ημιολία corsara) sta avvicinandosi ad una n. oneraria.
Queste rappresentazioni sono notevoli anche per i tipi navali che documentano. In particolare è rara nell'arte greca la n. da carico, la cui forma e struttura si coglie qui facilmente per l'accostamento con la n. da combattimento. Le somiglianze tra i due tipi riguardano quasi solo l'apparato poppiero: due remi-timone (πηδάλια), la scaletta per lo sbarco, e l'alto e sezionato aplustre (ἄϕλαστον), affiancato internamente dal χηνίσκος a forma di testa di uccello. Ma allo scafo, basso e allungato della n. di linea, ne corrisponde qui uno alto e tozzo, percorso longitudinalmente da robuste cinte di rinforzo (ζωστῆρες) sormontato da parapetto a transenna. La prua sporge decisamente verso l'alto secondo una linea concava, all'opposto perciò della n. da guerra, caratterizzata dal dritto di prua, rostro metallico a fior d'acqua e, superiormente, la piattaforma del proreta. L'apparato velico è naturalmente più sviluppato nella n. da carico, della quale costituiva l'unico organo motore: anche la lunga scala sul ponte era destinata alla manovra delle vele.
Se in questi vasi alla n. è ancora riservata l'autonomia decorativa, in tutta la successiva ceramica attica a figure rosse si cerca invano una situazione analoga: la n. compare nella pittura vascolare per necessità narrative di alcuni miti, come quello degli Argonauti, di Teseo e Anfitrite, di Faone (vol. ii, p. 120, fig. 175), di Caronte (vol. ii, p. 358, fig. 517) e specialmente delle vicende marittime di Ulisse, dove l'imbarcazione campeggia maggiormente. Anche nella scultura monumentale del V sec. la presenza della n. è occasionale e secondaria: sagome poppiere si riconoscono nella metopa II del lato N del Partenone e in due rilievi dell'Heroon di Gölbaşi-Trysa.
Invece, a partire dal secolo successivo, le stele attiche di marinai e naufraghi forniscono qualche rappresentazione più significativa; tra esse la stele dell'oplita Demokleides, seduto sulla prua di una n. da guerra, dove vediamo per la prima volta il rostrum tridens (II metà del IV sec.).
Alla scultura minore appartiene pure il documento più significativo per la nostra conoscenza delle triremi, una lastra frammentaria scoperta ad Atene dal Lenormant nel 1852 (Museo dell'Acropoli n. 1339). Il bassorilievo riproduce la parte centrale di una triera (integrabile con il cosiddetto rilievo Pozzo e il frammento del museo dell'Aquila, n. 57), dov'é bene in vista la fila dei rematori dell'ordine superiore (e cioè i traniti), in posizione di voga; più in basso si distinguono pure i remi di altri due ordini (e cioè degli zigiti e dei talamiti). Questa scultura si trova da un secolo al centro della vastissima letteratura sul sistema del remeggio nelle poliremi greche e romane, nella quale accanto agli archeologi sono intervenuti ammiragli e ingegneri navali senza che una soluzione sia stata ancora trovata.
Le fonti letterarie (a parte la priorità dell'invenzione della triera che per Tucidide [i, 13, 14] è da assegnarsi ai Corinzî nel 700 circa a. C.; invece per Clemente Alessandrino (Strom., i, 16, 76] a Sidone, e perciò ai Fenici) trasmettono concordi notizie sulla importanza decisiva della innovazione della polireme nella tattica navale greca e romana. Così la n. da battaglia tipica del VI e V sec. in Sicilia e in Grecia è la triera (la trireme dei Romani), le cui caratteristiche sono precisabili - a seconda dei varî studiosi, - tra i seguenti limiti: lunghezza m 34-42; larghezza m 4,50-6; altezza di costruzione m 2,20-3 (pescaggio m 1-1,80); dislocamento tonnellate 94-226; velocità massima 5 nodi l'ora e non più di 50 giornalieri. La propulsione velica era solo ausiliaria e l'albero maestro abbattibile al momento del combattimento; lo scafo veniva rilegato esternamente con grosse gomene (ὑποζῶμαψα). L'equipaggio constava di 10-20 ufficiali, pochi marinai e 170 rematori, sull'azione dei quali poggiava l'importanza tattica della triera.
Ma già alla fine del V sec. si costruirono navi maggiori e dotate di accresciuta forza motrice, per essere adatte ad ospitare le macchine balistiche; nella battaglia di Dionisio il Vecchio nel 399 contro i Cartaginesi compaiono le tetrere e le pentere. Alessandro e i successori ebbero navi più pesanti (eptere); anzi i Diadochi impegnarono i carpentieri ad escogitare nuovi sistemi, per cui si ha notizia di navi sempre maggiori fino alla tessaracontera (Athen., v, p. 203 e; Plut., Demetr., 43; ai quali fa riscontro un'epigrafe in onore del costruttore di una triacontera: Journ. Hell. St., ix, p. 225). Verosimilmente i più colossali monstra navali furono destinati a rimanere nel chiuso di un bacino portuale, con vicenda simile alle navi di Nemi. Ma quinquiremi, quadriremi e triremi furono le protagoniste della prima e seconda guerra punica. Solo dopo la battaglia di Azio l'esperienza delle grandi poliremi può dirsi superata, sia per la cattiva prova fatta dalle pesanti navi di Antonio contro le agili liburnae, sia perché la nuova bireme di Agrippa fu per i Romani la più adatta per i compiti sostanzialmente di polizia nel Mediterraneo durante tutto l'Impero.
Di fronte ad una vicenda storica così importante manca nelle medesime fonti letterarie una descrizione del sistema con cui erano disposti i rematori, evidentemente perché per gli antichi una spiegazione era superflua. Anche le indicazioni occasionali e indirette sul remeggio non sono di sicura interpretazione, probabilmente per la nostra ignoranza delle varietà regionali e dell'evoluzione nel tempo, che la polireme ebbe a ricevere.
D'altronde l'archeologia mentre non ha ancora avvistato o recuperato alcun relitto di n. da guerra, offre solo un limitato numero di rappresentazioni di triremi, tutte con veduta laterale o comunque esterna: oltre al bassorilievo Lenormant vanno ricordate le triremi degli affreschi del tempio di Iside e quelle della Casa dei Vettii a Pompei, le due di un fregio marmoreo del Museo Nazionale di Napoli, una almeno sulla Colonna Traiana (la n. ammiraglia nella scena della partenza da Ancona) e la probabile quadrireme dipinta nell'Aula Isiaca del Palatino. In tutte, le file di remi appaiono sovrapposte una all'altra, cosicché la corrispondente disposizione dei banchi dei rematori lungo le murate si doveva succedere nel senso verticale o a gradinate. Ci sfugge peraltro quale fosse la particolare collocazione reciproca degli uomini: di qui le varie teorie (Jal, Torr, Köster, Corazzini, Tursini, Casson), intese a conciliare le chiare e indubitabili attestazioni archeologiche con le esigenze della voga e l'efficienza della nave. C'è chi, pur accettando il principio degli ordini sovrapposti, riduce la pentera ad una triera maggiormente equipaggiata, con cinque uomini per ogni gruppo di tre remi: due traniti, due zigiti e un talamita. Ma i pratici del mare escludono in genere - dalla bireme in su - gli ordini sovrapposti di rematori non solo perché troppo macchinosi per il remeggio, ma perché inconciliabili con la stabilità della n.: per verità, se per la collocazione interna dei rematori non si possono fare precisazioni sicure, il fatto che la polireme fosse poco stabile è confermato dai frequenti e disastrosi naufragi di intere flotte. Comunque esistono varie teorie, la più notevole delle quali (promossa dal Fincati) parte dal presupposto che il sistema di remeggio greco-romano sia giunto in eredità alle galee veneziane e genovesi, nelle quali l'organizzazione della voga era tutta in senso orizzontale. In particolare la trireme corrionderebbe ad una galea monoreme con la voga detta "a terzarolo" o "a zenzile": in tal sistema uscivano dalla fiancata della n. tanti gruppi di tre remi, mossi da altrettanti uomini, che sedevano uno accanto all'altro su un medesimo banco perpendicolare o quasi alla fiancata. L'analogo sistema detto "a quartarolo" spiegherebbe la tetrera o quadrireme. Ma, secondo altri, la trireme corrisponderebbe alla galea detta "interzata" che aveva solo un remo per banco, ma tre uomini per remo; alla quadrireme la "inquartata", con quattro uomini per remo, e così di seguito fino alla decera. Combinando i due sistemi (dei gruppi di remi con un vogatore per remo e quello dei gruppi di uomini per ciascun remo) si spiegherebbero le poliere superiori alla decera, nelle quali il numero starebbe solo ad indicare l'entità della forza motrice. Anche la collocazione dei traniti, zigiti e talamiti non andrebbe ricercata in senso verticale, bensì in quello orizzontale, indicandosi con i primi i rematori della parte poppiera, con i secondi quelli della parte centrale e con i terzi di quella prodiera.
È sperabile che in avvenire l'archeologia sottomarina riesca a portare qualche contributo al problema, che non può progredire sulle basi letterarie e archeologiche finora disponibili.
Sul piano documentario della conoscenza dei tipi navali possono talora interessare gli emblemi delle serie monetali di città elleniche o della costa asiatica, da Phaselis della Licia (V sec.) a Corcyra d'Epiro e Histiaea d'Eubea (IV sec.), ma specialmente a Samo: un immagine della "samaina" (Plut., Pericl., 26), n. veloce e insieme adatta al mare aperto per le sue forme tondeggianti, è fornita solo dalla serie arcaica delle monete di Samo e da un tetradracma battuto a Zancle durante l'occupazione di elementi samî al principio del V secolo. Così pure, il fervore delle innovazioni tecniche dei diadochi e le loro vicende belliche sul mare nel IV e III sec. sono significati dai tetradracmi di Demetrio Poliorcete e Antigono Gonata, dove spiccano le possenti strutture prodiere della n. ellenistica di linea.
È noto pure che il tetradracma di Demetrio è la prima testimonianza di quel tema della Vittoria alata poggiante su una prora, che verrà immortalata nella Nike di Samotracia. Con essa la r., al principio del II sec., entra nel novero dei capolavori della scultura antica per merito della scuola rodia. In Rodi stessa, sulla parete rocciosa a cui sovrasta l'acropoli di Lindos, il contemporaneo grande rilievo (vol. iv, p. 642, fig. 756) con la poppa della n. di Hagesandros, offre una variazione di quel motivo navale, inserito ormai nella scenografia urbanistica.
Nulla di simile hanno le altre scuole ellenistiche: a Pergamo, gli emblemi navali sulla balaustra della Biblioteca di Atena Poliàs e la n. di Auge nel fregio di Telefo rientrano in un orizzonte tradizionale. Invece la novità del tema rodio è chiara anche dalla sua diffusione nella più tarda età ellenistica, come attestano il monumento navale di Cirene (vol. ii, p. 665, fig. 892) e l'Isola Tiberina a Roma.
5. - Italia preromana. Le prime schematiche immagini di imbarcazioni della regione italiana richiamano ad ambiente preellenico: a Malta i graffiti di Tarxien, in Sicilia la n. incisa su un vaso fittile da Tapso (e quella, più tarda, su un rasoio bronzeo della villanoviana Bologna, non lontana dalle analoghe figurazioni sulle fibule tebane).
Tale precocità iconografica rimane senza seguito anche in Sicilia, nonostante la talassocrazia di Siracusa e le celebrate meraviglie tecnico-navali, come la enorme "Siracusana" di Gerone II (Athen., v, 208 f). Solo alcune monete siceliote recano emblemi navali, come il ricordato tetradracma di Zancle con la "samaina".
Nella Magna Grecia alla fine dell'VIII sec. si ha un documento d'eccezione da Ischia con la scena di naufragio su un cratere di stile tardo-geometrico di probabile fabbricazione locale (vol. iv, p. 229, fig. 274). Alla zona di Cuma va pure riferito, secondo i più, il famoso cratere firmato da Aristonothos con scena di battaglia, che fissa la tipologia navale dei due popoli tendenti alla supremazia del Tirreno: una n. lunga greca e una ben diversa galea etrusca (vol. i, p. 653, fig. 835). Questo tema si ritrova forse sulla pisside etrusca D 150 del Louvre (fine del VII sec.), dove la fantasiosa trasformazione delle navi in mostri non esclude che quella di sinistra (con la prua a grossa testa di pesce) voglia designare un tipo etrusco e quella di destra un tipo greco: l'akrostòlion a testa di uccello compare infatti sulla n. di Ulisse, di una pisside attica a figure rosse del museo di Amiens e di un cratere pestano del museo di Berlino (inv. 4532).
Un unicum è il ciondolo d'ambra del VI sec. da Padula, in forma di n., di stile ionico ma di probabile lavorazione locale, come fa pensare la somiglianza dello scafo con quello del già citato cratere pestano. Poi occorre attendere la produzione vascolare italiota, che presenta la n. insieme con miti greci. Degne di nota le navi da guerra sulla ceramica calena (vol. ii, p. 503, fig. 695), che riproducono i tipi documentati sui tetradracmi dei Diadochi.
Isolata, ma caratteristica è la produzione picena, con le lotte navali incise su tre stele della zona di Novilara (v.), datate in genere al VII sec. a. C. La forma somigliante dei natanti attesta un tipo particolare adriatico dallo scafo lungo e quasi piatto, prua con piccolo èmbolon e alto akrostòlion e il singolare dritto di poppa, lungo il quale è applicato un timone unico verticale, come avviene modernamente.
Due altre varietà dell'Italia preromana si hanno nei gruppi sardi ed etruschi.
Al primo appartengono i più antichi modelli di n. dei mari italici: sono le inconfondibili barchette di bronzo fuso, con la prua sormontata dalla testa di un bovide o di un cervo dalle grandi corna. Per la loro destinazione sacrale e funeraria si ritrovano oltreché in Sardegna anche nelle necropoli dell'Etruria, dell'agro falisco, del Lazio (dove esiste pure una imitazione locale in terracotta). L'esemplare più insigne, proveniente dalla Tomba del Duce di Vetulonia, ha scafo a fondo piano con fiancate rigide e sporgenti. Esiste poi anche il tipo con scafo a calotta sferica: l'uno e l'altro presentano caratteri di razionalità, evidentemente acquisiti con l'esperienza della navigazione nel Mediterraneo.
La produzione etrusca ha inizio con il veliero graffito su un'oinochòe della necropoli di Veio (principio del VII sec. a. C.) e si estende fino alle più tarde urne volterrane. Se il graffito veiente tramanda una n. di tipo egittizzante, i lapicidi volterrani riproducendo con evidente uniformità un ristretto numero di miti greci (quali la partenza di Elena per Troia, Ulisse e le Sirene, Ulisse e Polifemo) non fecero che ripetere sostanzialmente la nave da guerra che figurava sui loro prototipi ellenici. La convenzionalità compositiva si esercita pure sullo scafo, che è in costante veduta laterale, talora allungato fino a servire da sfondo all'intera scena, talora tozzo perché contenuto in più ristretto settore. Solo su un sarcofago di Torre San Severo la n. di Ulisse compare in sezione trasversale.
Perciò questa produzione, all'opposto di quanto ritenne il Behn, è base malsicura per la conoscenza della n. etrusca, anche se la derivazione greca non è così palese come nella n. Argo sulla cista Ficoroni (v.).
Più giustamente la Stella e ora il Paglieri riconoscono le forme navali etrusche in quel tipo che già sul cratere di Aristonothos è messo in contrapposto con la n. greca. Sagoma e struttura di quella imbarcazione ritornano, tra il VII e il VI sec., nella pisside eburnea della Pania presso Chiusi, nonostante lo stile orientalizzante di quei rilievi, e meglio si definiscono nelle pitture vascolari etrusche di epoca pressocché contemporanea: le anfore H 230 del British Museum e E 50 del Louvre (fine VII-principio VI) e infine nel rilievo sulla stele felsinea di Vele Caicna (seconda metà del V sec.). L'omogeneità è chiara nello scafo corto e tondeggiante ad alte murate, quasi a un guscio di noce; poppa alta, prua munita di caratteristico grosso sperone poco al di sopra della linea di galleggiamento; l'akrostòlion è a corno rientrante, come nei vasi del Dipylon; la vela è unica.
Al gruppo etrusco sono da aggiungere le due biremi cariche di soldati, di un rilievo marmoreo del II sec. a. C. (Museo Naz. Napoli, inv. 110565).
Dalla pittura murale si avevano finora due contributi di limitato valore: le barchette piscatoriae nella Tomba tarquiniese della Caccia e della Pesca e le tracce di una n. nella Tomba della Nave di Cerveteri. Ma ora la Tomba della Nave di Tarqunia del V sec. si pone al centro delle nostre conoscenze della marina mercantile etrusca. Il grande veliero a due alberi, alle cui ampie vele quadre (l'acatus e il dolon) sono intenti i marinai, è il documento della n. oneraria etrusca, anche se qualche particolare delle soprastrutture (il parapetto a transenna) ricorre sulla n. greca della citata kỳlix londinese B 436. A questa si avvicina maggiormente la forma di un askòs di ceramica "campana" dalla tomba 17 A di Spina, del IV secolo.
6. - Roma. In età repubblicana, le vicende militari di Roma sui mari non trovano adeguato riscontro nel settore figurativo. La serie monetale librale, detta "della prora", interessa come affermazione storica di consapevole preminenza marittima, così come in età imperiale le nitide immagini di navi con il motto Felicitas simboleggiano la prosperità civile apportata dall'imperatore.
La n. si inserisce decisamente nell'arte nel I sec. a. C. tanto che in quest'epoca entra a far parte della monumentalità urbanistica di Roma stessa, mediante l'adattamento dell'Isola Tiberina a colossale n. di Esculapio. Da allora e per tutta l'età imperiale i documenti si moltiplicano in un vasto panorama che interessa con varietà iconografiche ogni manifestazione figurativa.
Allo stato attuale degli studî non esiste un tentativo di definizione sistematica del copioso materiale. Tuttavia alcuni raggruppamenti o studî finora condotti su base regionale (Pompei, regione gallo-renana, Tunisia e Algeria) sono utile base storica sia sotto l'aspetto tecnico che artistico. Infatti non solo sussistettero, nell'unità civile dell'Impero, i varî tipi nautici, dettati da particolari condizioni ambientali, ma la frequenza e il tipo delle rappresentazioni nei varî settori poggiano talora su un fattore di ordine culturale. Così nelle regioni del Mediterraneo orientale, dove l'arte s'ispira a tradizione colta e mitologica, scarseggiano le immagini di navi. Le più importanti sono connesse con destinazioni sacrali o funerarie: così è per il già ricordato veliero su un sarcofago di Sidone, per le navi graffite dalla mano consapevole di un marinaio nell'esedra della Casa di Diòniso a Delo e per la lampada bronzea naviforme da Aithenit. Particolare valore documentario ha quest'ultimo, appartenendo alla scarsa categoria di manufatti tridimensionali, dai quali meglio si possono stabilire forme e rapporti nelle navi antiche.
In Occidente il maggiore interesse per le scene di vita reale dà alla n. ben altra frequenza e tra essa si manifesta talora anche una nota regionale.
Nel bacino del Reno e nella Gallia l'attività commerciale che si esercitava mediante la navigazione interna, trova rispondenza nella battelleria fluviale, di cui le sculture funerarie della zona riproducono ampiamente forme ed impieghi: basterà ricordare il battello carico di botti da Noviomagus e la manovra dell'alzaia nei rilievi di Igel e di Cabrières d'Aigues. Dalle città della costa, come Marsiglia e soprattutto Narbona, provengono altri rilievi con navi da pesca, onerarie e da trasbordo. Anche ad Ostia, nella sede degli armatori narbonensi, un mosaico riproduce il carico di una nave.
Non diversamente, la statio ostiense dei naviculari Sullectini della tunisina Sullectum è adorna di un grande mosaico pavimentale con velieri, tra i quali un raro esemplare di tre alberi: l'albero del dolone (inclinato come di consueto), di maestra e quello di mezzana con piccola vela (190-2oo d. C.). È soprattutto nei mosaici che le città della Tunisia e dell'Algeria espressero il loro interesse per il mare. A parte i grandiosi tappeti musivi con vivaci scene di pesca, sono da ricordare: da Hadrumetum (Sousse) due velieri da corsa, probabili naves tesserariae della polizia della flotta africana, e una n. mercantile che sta scaricando in un porto delle Sirti caratterizzato dal bassofondo; da Tebessa (Costantina) la Fortuna redux carica di anfore, in un pannello che serviva da tavola da gioco; da Themetra le navi onerarie con analitica visione dell'attrezzatura velica e forse anche della bolina. Da Althiburus (Medeina) proviene il singolarissimo mosaico dove, tra due immagini dell'Oceano, galleggiano numerose imbarcazioni di tipo sempre differente, contrassegnate ciascuna dal nome greco e latino e accompagnate da citazioni di poeti latini. Un tale campionario sembra l'illustrazione di qualche catalogo letterario sulle navi, così come i mosaici con le varietà di pesci e di fiere discendono dai trattati di ittiologia e zoologia. Peraltro il catalogo di Althiburus è compreso in un orizzonte culturale del tutto occidentale e non alessandrino, anche perché i tipi navali sono prevalentemente italici o celtici, e nessuno egizio.
Invece l'influenza dell'Egitto tolemaico è chiara in altri mosaici dell'Africa settentrionale (tra cui uno da Leptis Magna), dove la n. fa parte di paesaggi nilotici. In Italia il capolavoro di questo genere è il celebre mosaico (v.) di Palestrina, copia di un originale pittorico alessandrino della fine del II sec. a. C.
In Sicilia le sagome di navi sui mosaici di Piazza Armerina hanno richiamo nella vicina costa africana, ma accentuano maggiormente i valori coloristici che quelli volumetrici. Nel resto dell'Italia, i ricordi nautici di Ravenna (in particolare la stele del faber navalis Longidienus) e di Aquileia non sono numerosi.
Imponente invece è la serie campano-laziale, specialmente a Pompei e a Roma con il porto di Ostia. La dovizia di essi offre rappresentazioni considerevoli, artistiche e documentarie, di tendenza dotta e popolare.
Nelle scene mitologiche il retaggio ellenistico si estende in genere anche al tipo delle imbarcazioni: la poppa di n. nel mito di Paride ed Enone del rilievo di Palazzo Spada e in quello Ludovisi richiamano il tecnicismo analitico della n. di Lindos. Nelle pitture (quali, ad esempio, le scene dell'Odissea nella Casa dell'Esquilino e, a Pompei, quella di Polifemo e Galatea o di Polifemo e Enea, ma specialmente le numerose con Arianna abbandonata) la n. è parzialmente rappresentata o sommariamente definita; ma talora ha il pregio di mostrarsi in posizioni e scorci assai variati che danno volumi e forme altrove inconsuete.
Preziosi, sotto questo aspetto, sono i quadretti di genere con le naumachie: gli otto riquadri del tempio di Iside e i due della sala d'Iside nella Casa dei Vettii a Pompei costituiscono un gruppo omogeneo e unico che, nonostante la conservazione mediocre o cattiva, offrono l'aspetto completo di triremi in azione bellica.
Nelle numerose marine con ville romane la n. è solo una nota d'ambiente. Non diversa funzione ha la varietà di natanti che popolano i paesaggi portuali nelle coeve pitture di Roma e Pompei.
Ma con l'inizio dell'Impero una nota realistica si diffonde sempre più in tutto ciò che è connesso con i porti e la navigazione: la n. riceve particolare risalto e tipologia romana ben definita, anche là dove (come nel sarcofago di Ny Carlsberg, forse da Ostia) il paesaggio è allegorico.
Nelle pitture di Pompei, sia la barca da carico fluviale (lungo il Sarno) sia la robusta n. mercantile (di Lesbianus) sono ben più caratterizzate che nel pedante catalogo di Althiburus; e una mano non esperta di disegno, ma adusata alle cose marittime, incise nel graffito di Via dell'Abbondanza la viva immagine del veliero "Europa" (m 1,50 × 1,05). Le grandi onerarie impegnate nel rifornimento annonario dell'Urbe sono il tema specifico di un gruppo di sculture ostiensi (di cui la più celebre è il rilievo Torlonia con il porto), della pittura con la Isis Geminiana e di numerosi mosaici del Foro delle Corporazioni; analogo riferimento nel mosaico dell'Antiquarium a Roma (vol. i, p. 463, fig. 628).
Dall'assieme delle figurazioni dell'Impero emerge come nota dominante la varietà dei tipi navali, anche se è difficile fissarne le differenze (non solo per le barche lusoriae e piscatoriae) e ancor più attribuire ad essi uno dei molti nomi che le fonti letterarie ci hanno reso noti.
Nelle due categorie fondamentali, navi da guerra e navi mercantili, le prime hanno una frequenza assai bassa, all'opposto perciò dell'arte greca ed ellenistica. Mancano inoltre le grosse navi da battaglia, perché la produzione artistica romana ebbe inizio con l'abbandono delle grandi poliremi. In sostanza la n. da guerra appare quasi solo in monumenti celebrativi della storia romana, com'è la Colonna Traiana (insieme alla multiforme battelleria per i servizi logistici, confrontabile con la Colonna Antonina, e quella di Arcadio a Costantinopoli). Il più importante rilievo proviene dal Tempio della Fortuna di Palestrina, che mette in evidenza il processo evolutivo di una bireme romana (della II metà del sec. a. C.) verso la complessità delle strutture, congiunta ad un vigoroso decorativismo: si notano in particolare il simbolismo del mostro marino plasticamente espresso nel coccodrillo, la solidità del ricurvo stolos metallico desinente in mascherone, il pyrgos o turris per le artiglierie.
Delle molte navi mercantili quella della Cattedrale di Salerno può riprodurre un barcone di non grande portata, con albero abbattibile per aumentare la stabilità del natante sotto scarico. Invece il bassorilievo Torlonia con la scena del porto di Ostia ci dà il tipo del grande veliero mediterraneo a due alberi, con la grande vela quadra di maestra (acatus) sormontata da una vela triangolare bipartita (artemon o vela di gabbia) e ancora da due velaccine scalene (suppara), tipiche delle navi di Alessandria (Seneca, Ep., 77, 1-3).
Notevole a poppa il cheniskos metallico dietro al quale si sviluppa una specie di piattaforma (sormontata dalla statua della divinità protettrice), che preannuncia il castello di poppa delle navi medievali. Tale somiglianza di strutture non è isolata, perché su un capitello naviforme del Museo delle Terme (forse anch'esso da Ostia) il Le Gall ha rilevato un rapporto di 1,75 tra lunghezza e larghezza del natante simile agli scafi rotondi e pieni delle navi costruite da S. Luigi per la crociata.
Le due più tarde espressioni artistiche che riguardano la n., le miniature e le figurazioni paleocristiane, non possiedono valori particolari. Nelle prime la n. è quasi sempre elemento narrativo secondario e perciò introdotta in forma schematica entro un convenzionale paesaggio marino; tuttavia nel Codice del Virgilio Vaticano 3225 non mancano figurazioni degne di nota. Nell'arte paleocristiana la nave compare talora in miti pagani (come il sarcofago con Ulisse e le Sirene) assunti a novella significazione, talora in scene bibliche (prevalentemente nella vicenda di Giona), talora infine come simbolo della Chiesa o della vita umana. Se spesso i valori stilistici non si differenziano dalla coeva arte profana, tuttavia il significato concettuale della rappresentazione non promuove la conservazione realistica delle strutture, che si schematizzano sempre più nella genericità di un simbolo.
Monumenti considerati. - 1. Preistoria: barche monoxii della Pianura Padana: L. A. Stella, Italia antica sul mare, Milano 1930, p. 18 ss., ivi bibl. prec.; P. Leonardi, in Boll. Soc. Veneziana di St. nat. e del Museo Civico di St. nat., II, 1941, p. 301 ss.; P. E. Arias, in Atti Congr. Navigaz. Valle Padana, Ferrara 1948, p. 353 ss. Rilievo assiro di Ninive: V. Place, Ninive et l'Assyrie, Parigi, ii, 1870, p. 135, tav. 43, 2. Battelli votivi: Ebert, Reall. d. Vorgesch., s. v. Hjortspring, Gotland, Schiff. Graffiti rupestri e bronzi laminati: E. Sprockoff, in Jahrb. Röm.-germ. Zentralmuseums, Magonza 1954, p. 28 ss.; cfr.: Arte delle situle dal Po al Danubio, Firenze 1961, p. 75 ss., tavv. I ed E.
2. Egitto: in generale, si vedano i monumenti sistematicamente illustrati da Ch. Boreux, Études de nautique égyptienne, Il Cairo 1925 (sino all'Antico Regno compreso); G. A. Reisner, Models Shzps and Boats, in Cat. Gén. Ant. du Caire, Il Cairo 1913 (in particolare nn. 4798-4976 e 5034-5200); Schäfer-Andrae, Die Kunst des alten Orients, Berlino 1925, passim; G. Farina, La pittura egiziana, Milano 1929, passim. Per la n. di Tolomeo IV: F. Caspari, in Jahrbuch, xxxi, 1915, p. 1 ss.
3. Mesopotamia: modello fittile da Eridu: S. Lloyd-Fuad Safar, in Sumer, iii, 1947, p. 84. Modello argenteo di Ur: L. Woolley, Ur Excavations II. The Royal Cemetery, 1934, tav. 169 a. Battelli sacri su cilindri: H. Frankfort, Cylinder Seals, Londra 1939, passim. Rilievi assiri con natanti varî: H. R. H. Hall, Babilonian and Assyrian Sculpture in the British Museum, passim; L. W. King, Bronze Reliefs from the Gates of Shalmaneser, Londra 1915; A. Parrot, Gli Assiri, Milano 1961. Siria, Fenicia e Cipro: modello di barca da Biblo: M. Dunand, Fouilles de Byblos, i, Parigi 1939, p. 140. Monete fenicie: L. Anson, Numismata Graeca, Londra 1910, v parte. Pitture egiziane della tomba di Drah Abui Neggah: Journ. Egypt. Arch., xxxiii, 1947, tav. vii. Stele cartaginesi: M. Hours-Miedan, in Cahiers de Byrsa, i, 1951, p. 67, tav. 39. Modellini nautici da Cipro: Revue Ét. Anc., 1928. Vaso cipriota con n.: S. Paglieri, in Studi Etr., xxvii, 1960, tav. 47.
4. Grecia: per l'arte minoico-micenea, documenti e bibl. in Sp. Marinatos, in Bull. Corr. Hell., lxvii, 1933, p. 170 ss. Per lo stile geometrico: G. S. Kirk, in Ann. Br. School Athens, xliv, 1949, p. 93 ss.; R. T. Williams, in Journ. Hell. St., lxviii, 1958, tav. 13 ss. Avorio di Sparta: R. M. Dawkins, Artemis Orthia, Londra 1929, p. 214, tav. cix s. Fibule beotiche: R. Hampe, Frühgr. Sagenb. in Böotien, Atene 1936, nn. 13, 28, 88, 140. Hydrìa Louvre E 735: E. Pottier, Vases du Louvre, ii, tav. 54. Per gli esempî di ceramica a figure nere e rosse: P. E. Arias, Mille anni di ceramica, Firenze 1960, passim. Rilievi di Trysa: F. Eichler, Die Reliefs des Heroon von G.-Trysa, Vienna 1950, tav. 2-3, B 5 e 11, B i. Stele attiche: S. Reinach, Rép. Rel., ii, 269, 4; 370, 1; 379, 3; 380, 2. Bassorilievo Lenormant, integrazioni e frammenti simili: A. Rumpf, in 95. Winckelmannspr., Berlino 1935, p. 14 ss. Fregio di Napoli: S. Reinach, op. cit., iii, 90, 3-4. Colonna Traiana: id., op. cit., i, 35, 6, 3. Aula Isiaca del Palatino: G. E. Rizzo, in Mon. Pittura Ant., ii, 1936, p. 20 ss., tav. vii. Per le serie monetali di colonie greche: B. V. Head, Hist. numorum, Oxford 1911, passim. Nike di Samotracia: G. Q. Giglioli, Arte greca, ii, p. 967 ss. con bibl. prec. Rilievo di Lindo: E. Dyggve: Lindos, Fouilles de l'Acropole, iii, 1960, p. 249 ss. Rilievi di Pergamo: F. Behn, in Jahrbuch, xxii, 1907, p. 240.
5. Italia preromana: graffiti di Malta: D. Woolmer, in Antiquity, xxxi, 1957, p. 60 ss. Vaso siculo da Tapso: P. Orsi, in Mon. Ant. Lincei, 1895, p. 22, tav. iv. Rasoio villanoviano: P. Ducati, Storia di Bologna, i, 1928, p. 112, fig. 53. Emblemi navali su monete: G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma 1946, p. 138 e tav. xxv, 6. Ciondolo da Padula: A. Maiuri, in Not. Scavi, 1941, p. 405. Ceramica italiota: A. D. Trendall, in Papers Brit. School at Rome, xx, 1952, n. 173; F. Brommer, Vasenlisten zur griechischen Heldensagen, Marburg 1960, p. 318 ss. Navicelle sarde: E. Pais, in Mem. Acc. Lincei, vi, 1881, p. 350; M. Pallottino, La Sardegna nuragica, Roma 1950, p. 37. Per tutte le raffigurazioni etrusche con n. si veda: F. Behn, in Röm. Mitt., xxxiv, 1919, p. 1 ss.; S. Paglieri, in Studi Etr., xxviii, 1960, p. 209 ss. Tomba della Nave, Tarquinia: M. Moretti, in Boll. d'Arte, 1960, p. 346 ss.
6. Roma: monetazione: I. B. Graser, Die ältesten Schiffdarstellungen auf Münzen, Berlino 1870. Graffiti di Delo: Delos, viii, 1, p. 203, fig. 86 s. Sarcofago di Sidone: G. Contenau, in Syria, i, 1920, p. 35, tav. vi. Lampada naviforme da Aithenit: H. Seyrig, in Syria, xxviii, 1951, p. 101 ss. Gallia e zona renana: E. Esperandieu, Rec. gén. bas-reliefs, statues et bustes de la Gaule romaine, Parigi 1911 ss., i, vi, vii, ix, passim; A. Grenier, Manuel arch. gallo-romaine, Parigi 1957, vi, p. 532 ss. Tunisia e Algeria: M. P. Gauckler-A. Merlin, Inv. mosaiques de la Tunisie, Parigi 1910-1915, tav. 18, 93 (el-Alia), 142, 166, 189 (Sousse), 359 (Udna), 576 (Inthiburus), 646, 903, (Utica), 936 (Sidi-Abdallah); F. G. de Pachtère, Inv. mosaïques de l'Algérie, Parigi 1911, 3 (Tebessa), 49, 226. Mosaico di Althiburus: P. Gauckler, in Mon. Piot, xii, 1906, p. 113 ss.; P. M. Duval, in Mélanges École fr. de Rome, 1949 p. 119 ss. Libia: base di monumento onorario di Leptis: S. Aurigemma, in Africa Italiana, vii, 1940, p. 82, fig. 17. Mosaico con paesaggio nilotico: G. Guidi, in Africa Italiana, v, 1935, p. 407. I graffiti nel teatro di Sabratha (L. Turba, in Quaderni arch. della Libia, iii, 1954, p. 102 ss.) non sono antichi. Sicilia: G. V. Gentili, La villa erculia di Piazza Armerina: i mosaici figurati, Milano 1959, tav. xxxv, xxxii e xxxviii. Litorale adriatico: Spalato: stele di C. Uzio: M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1953, tav. xliv. Ravenna: stele di Longidieno: S. Reinach, Rép. Rel., iii, 128, 2. Venezia e Aquileia: id., op. cit., iii, p. 432 e 433. Pompei, naumachie del tempio di Iside: O. Elia, Le pitture del tempio di Iside, Roma 1941, p. 8, tav. iii-iv. Casa dei Vettii: A. Sogliano, in Mon. Antichi Lincei, viii, 1898, p. 131, fig. 33. Pitture marine a Roma e Pompei: G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, passim. Navi di Pompei: A. Maiuri, in Rend. Acc. Napoli, xxiii, 1938, p. 7 ss. con bibl. Mosaici ostiensi del Piazzale delle Corporazioni: G. Becatti, in Scavi di Ostia, iv, Roma 1961, passim. Rilievo con bireme da Palestrina: F. Miltner, in Osterr. Jahreshefte, xxiv, 1929, p. 88. Rilievo della cattedrale di Salerno: F. Gilli, in Jahrbuch, v, 1890, p. 18o ss. Capitello naviforme del Museo Naz. Romano: J Le Gall, in Mélanges Ch. Picard, ii, Parigi 1949, p. 607. Arte paleocristiana: G. Stuhlfauth, in Riv. Arch. Cristiana, xix, 1942, p. iii ss. Codice Vaticano 3225: J. De Wit, Die Miniaturen des Vergilius Vaticanus, Amsterdam 1959.
Bibl.: Enciclopedie: J. Wilpert, in Realenc. d. christl. Alt., II, 1886, p. 729 ss., s. v. Schiff; C. Torr, in Dict. Ant., IV, i, p. 24 ss. s. v. Navis; J. Hoops, in Reallex. d. germ. Altertumskunde, IV, 1918-9, p. 94 ss. s. v. Schiff; J. P. Kirsch, in Cabrol-Leclercq, Dict. Arch. chr. et de Liturgie, I, i, 1925, c. 1999 ss., s. v. Ancre; F. Behn, in Ebert, Reallex. d. Vorgesch., III, 1925, p. 52 ss., s. v. Einbaum e XI, 1927, p. 325 ss., s. v. Schiff; F. Miltner, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, c. 906 ss., s. v. Seewesen; Enc. Ital., s. v. Bireme; Nave; Quinquereme; Trireme; E. Iosi, in Enc. Cattolica, VIII, 1952, c. 1696 ss., s. v. Opere generali: S. Bechi, Istoria dell'origine e progressi della nautica antica, Firenze 1785; A. Jal, Archéologie navale, Parigi 1840; id., Études sur la marine antique, Parigi 1861; B. Graser, De veterum re navali, Berlino 1864; id., Die Gemmen d. K. Museum zu Berlin mit Darstellungen antiker Schiffe, Berlino 1867; id., in Philologus, Suppl. 1878; G. de Mortillet, in Revue Arch., XIV, 1866, p. 269 ss.; J. De La Gravière, La marine des Anciennes, Parigi 1880; L. Fincati, Le triremi, Roma 1883; R. Lemaire, in Revue Arch., 1883, p. 89 ss.; A. Breusing, Die Nautik der Alten, Brema 1886; id., Die Lösung des Trierensätsels, Brema 1889; E. Assmann, in Jahrbuch, I, 1886, p. 315 ss.; IV, 1889, p. 91 ss.; VII, 1892, p. 42 ss.; XX, 1905, p. 32 ss.; XXI, 1906, p. 107 ss.; id., Das Floss der Odyssee, Berlino 1904; E. Pernice, in Ath. Mitt., XVII, 1892, p. 285; id., in Jahrbuch, XV, 1900, p. 92 ss.; W. Tarn, in Journ. Hell. St., XXV, 1905, p. 137; J. N. Svoronos, in Journ. int. arch. numismatique, XVI, 1914, p. 81; B. Busley, Schiffe des Altertums, Berlino 1918; A. Köster, Das antike Seewesen, Berlino 1923; id., Schiffahrt und Handelsverkehr d. östl. Mittelmeeres im 2. und 3. Jahrtausend v. Chr., Lipsia 1924; id., in Klio, XXXII, 1934, p. 19; F. Moll, Das Schiff in der bildenden Kunst, Bonn 1929; L. A. Stella, Italia antica sul mare, Milano 1930; W. Tarn, Hellenistic Military and Naval Development, Cambridge 1930; Chr. Blinkenberg, Triemolia, Copenaghen 1938; C. Starr, in Classical Philology, XXXV, 1940, p. 368 ss.; J. Hornell, in Antiquity, X, 1939, p. 341 ss.; XV, 1941, p. 233 ss.; XXI, 1947, p. 66 ss.; id., Water Transport, Cambridge 1946; A. Salone, in Studia Orientalia, XI, 1942, p. 50; P. Duval, in Mélanges Ch. Picard, I, Parigi 1949, p. 338 ss.; L. Tursini, Note di architettura navale romana, in G. Ucelli, Le navi di Nemi, Roma 1950; L. Foucher, Navires et barques sur des mosaïques de Sousse etc., Tunisi 1957; R. D. Barnett, in Antiquity, XXXII, 1958, p. 220 ss.; R. T. Williams, in Journ. Hell. Studies, LXXVIII, 1958, p. 121 ss.; LXXIX, 1959, p. 159 ss.; L. Casson, The Ancient Mariners, Londra 1959; S. Paglieri, in Studi Etruschi, XXVIII, 1960, p. 209 ss.; Atti II Congresso int. Arch. sottomarina, Bordighera 1961, passim.
(N. Alfieri)
8. - India e Asia sud-orientale. La rappresentazione della n. esula di solito dai temi del repertorio figurativo dell'arte antica dell'India. I pochi esempî che ci sono testimoniati consistono per lo più in minute figurazioni su frammenti di ceramica e su sigilli di steatite, che datano al III-II millennio a. C. e provengono dai centri urbani dell'Indo. La loro presenza sporadica nel repertorio artistico locale rimanderebbe ad un palese influsso mesopotamico.
Sia sui frammenti di ceramica che sui sigilli le navi sono prevalentemente raffigurate in maniera molto schematica e per lo più a sole linee di contorno. Taluni tipi presentano curiose analogie di forma con le imbarcazioni ancor oggi in uso nell'India per la navigazione fluviale. In alcune figurazioni incise le barche sono equipaggiate di remi e presentano persone a bordo.
Meno rare e infrequenti risultano a partire dall'Età del Bronzo e del Ferro le figurazioni di navi nel repertorio artistico dei paesi dell'Asia sud-orientale e particolarmente dell'Indocina e dell'Indonesia. Disegni di imbarcazioni si incontrano spesso fra i temi ornamentali sviluppati sulle superfici dei tamburi di bronzo della cultura di Dong-son. Le figurazioni sono eseguite a rilievo e realizzate con uno stile lineare molto decorativo. Un noto esemplare di tamburo di bronzo da Hanoi (Vietnam settentrionale) presenta sul timpano il disegno di una n. con timone e pagaie, a bordo della quale sono raffigurate alcune persone adorne di ricche acconciature piumate.
Il significato simbolico che presiede a queste figurazioni di barche dovrebbe essere legato alla credenza del viaggio del defunto nell'oltretomba. Pare accertato che in molte popolazioni dell'Asia sud-orientale fosse viva convinzione sin dall'antichità che il mondo ultraterreno stesse situato al di là dei mari e dei fiumi: perché le anime dei defunti potessero raggiungere le loro nuove sedi, era necessano che esse venissero trasportate dalle barche. Per mezzo di queste i defunti potevano inoltre tornare a stabilire dei contatti con il regno dei vivi, e questi ultimi comunicare a loro volta con i loro morti. Da questa credenza pare motivato il frequente ricorrere del tema delle imbarcazioni nel repertorio artistico dei paesi dell'Asia sud-orientale dall'antichità ai tempi recenti.
Bibl.: J. Poujade, La Route des Indes et ses Navires, Parigi 1946; S. Piggot, Prehistoric India, Harmondsworth 1952; H. G. Quaritch Wales, Prehistory and Religion in South-East Asia, Londra 1957; H. R. van Heekeren, The Bronze-Iron Age of Indonesia, L'Aja 1958; F. Wagner, Indonesia, Milano 1960.
(A. Tamburello)
9. Cina. - Sebbene i Cinesi non siano mai stati un popolo prevalentemente marinaro, fin dall'antichità essi conobbero l'uso di imbarcazioni e le usarono soprattutto per la pesca fluviale. Rare od almeno non frequenti sono, tuttavia, le raffigurazioni artistiche di navi o di semplici imbarcazioni per il periodo che va dalle origini storiche alla fine della dinastia Han (III sec. d. C.). Dato il particolare carattere pittografico della scrittura cinese va però ricordato come, sia sulle iscrizioni delle ossa oracolari (v. cinese, arte, n. 3), sia sulle iscrizioni dei bronzi sacrificali dei periodi Shang-Yin e Chou (XV-III sec. a. C.), appaia la stilizzazione di una imbarcazione per indicare il concetto di "barca" o di "nave"; tale pittogramma è formato da due linee curve quasi parallele raccordate da due o quattro tratti raffiguranti i banchi dei rematori; sono attestate parecchie varianti di tale primitivo pittogramma che, in epoca Han, assumerà definitivamente la forma dell'ideogramma attuale ch'ou usato appunto per "barca".
Sempre al periodo Han (III sec. a. C. - III sec. d. C.) appartengono i primi modelli lignei di barche, ritrovati in alcune tombe scavate dopo la seconda guerra mondiale nei pressi di Ch'angsha, nella zona dell'antico stato semi-barbaro di Ch'u. Sono modellini abbastanza realistici di barche a 16 remi. Altri modelli di imbarcazioni, risalenti al periodo degli Han occidentali (206 a. C. - 9 d. C.), sono pure di legno o di terracotta.
Si tratta di modelli che venivano deposti nelle tombe assieme all'altra suppellettile funeraria (modellini di case, fattorie, carri; figure di animali, di persone; vasi sacrificali, ecc.); tali barche in miniatura non avevano altro significato simbolico che quello di seguire il morto nella vita ultraterrena assieme agli altri oggetti o persone che potevano ricordargli la vita terrena. Questi modellini lignei o fittili di imbarcazioni provengono in generale dalle tombe vicino Canton, nel Kwangtung, reglone costiera che fu sinizzata tardi e che vide svilupparsi l'uso di piccole imbarcazioni prototipo dell'odierno sampan. Alcuni di questi modellini sono lunghi oltre 50 cm e rappresentano imbarcazioni fornite di ponte, dal fondo piuttosto piatto, con una o più cabine intercomunicanti e con il tetto ricoperto da stuoie. Gli scalmi ed i remi sono raffigurati realisticamente e, a volte, anche gli stessi rematori. Va osservato come i modellini lignei, ed in particolare le figure umane, siano rese in maniera più stilizzata di quelli di terracotta.
Sulle lastre funerarie del periodo Han (sia su quelle incise che su quelle a bassorilievo) appare, non frequente, la raffigurazione di qualche imbarcazione. In una lastra di una tomba scavata a Hsuchou, nel Kiangsu, nel 1955, in una scena composita si vede una piccola barca da pesca sotto un ponte, appena accennata nei suoi contorni mentre maggior rilievo è stato dato alla figura del pescatore che getta la rete. Altre volte, come nei rilievi delle lastre del Wu Liang Tzu, nello Shantung, le barche sono indicate dalla sovrapposizione di tre fasce ondulate e dai grossi remi impugnati dai pescatori. Soltanto in epoca molto successiva le imbarcazioni saranno rappresentate nella grande arte figurativa cinese.
Bibl.: B. Karlgren, Grammata Serica Recensa, in Bulletin of the Museum of Far Eastern Antiquities, 29, 1957, pp. 280-281; Wang Chung-shu, Han-tai wu-chih wên-hua lüeh-shuo, in K'ao-ku t'ung-hsin, 1956, n. i, pp. 57-76 (Kiangsu Hsu-chou Han Hua chen-shih), Pechino 1959.
(L. Lanciotti)
10. - Giappone. Sulla base di recenti scoperte archeologiche si è potuto appurare che le popolazioni delle regioni litoranee dell'arcipelago giapponese praticavano la navigazione di costa e d'alto mare sin dall'età neolitica. In alcune località dell'arcipelago sono stati rinvenuti numerosi resti di piroghe scavate nei tronchi d'albero, i cui esami al radio-carbonio hanno consentito una datazione all'età neolitica.
Nel repertorio figurativo indigeno le prime rappresentazioni di navi e di barche appaiono nell'Età del Bronzo e datano agli ultimi secoli anteriori all'èra cristiana. Alcune raffigurazioni sono eseguite ad incisione su vasi ed olle di terracotta e riproducono molto schematicamente semplici tipi di imbarcazioni equipaggiate di remi o di pagaie. Una giara di terracotta da Karako (prefettura di Nara) presenta sul corpo il disegno inciso di una canoa con i remi affondati e due persone a bordo. Altre figurazioni appaiono sulle superfici dei dôtaku, le simboliche campane di bronzo assai diffuse nell'arcipelago sin dal periodo Yayoi (v. giapponese, arte). Un noto esemplare da Imukai (prefettura di Fukui) presenta entro un riquadro la minuta rappresentazione in rilievo di una piroga dalla sagoma molto arcuata, a bordo della quale è ritratto un equipaggio ai remi. In concordanza con il repertorio di spunto realistico che è piuttosto consueto nell'arte ornamentale di questo periodo e che attinge spesso a soggetti di vita giornaliera, le suddette figurazioni di barche o di piroghe sono state prevalentemente spiegate come rappresentazioni di scene di pesca.
A partire dall'Età del Ferro, cioè intorno ai primi secoli successivi all'èra cristiana, le raffigurazioni di navi appaiono con una certa frequenza tra i soggetti delle pitture e delle incisioni parietali delle sepolture a tumulo e delle tombe a camera scavate nella roccia. Ad esempio, sulla parete interna della camera sepolcrale del tumulo di Onizuka (prefettura di Oita) è il disegno appena accennato nelle linee di contorno di un tipo di imbarcazione a vela. Analoga figurazione ricorre sulla parete di una tomba a camera scavata nella roccia sita a Midorikawa (prefettura di Kumamoto). Un'altra parete della stessa tomba mostra una schematica composizione a linee incise nella quale sono rappresentate numerose imbarcazioni con remi o pagaie rese in una intrecciata sovrapposizione grafica che riscuote effetti di gusto quasi futuristico. Talune imbarcazioni sul fondo sembrano addirittura a vele spiegate. La parete di un'altra tomba a camera scavata nella roccia, sita nei pressi di Kashiwara (prefettura di Osaka), ha restituito tra i numerosi disegni incisi la figurazione di una barca a remi sulla quale giganteggia la figura stante di un guerriero. Infine in un dipinto parietale di una tomba a tumulo di Mezurashi (prefettura di Fukuoka) è raffigurata una barca con un uomo ai remi ed un volatile ad un'estremità dell'imbarcazione.
In genere queste rappresentazioni di barche sulle pareti delle tombe, più che essere spiegate in chiave realistica come figurazioni di scene di natura e di vita, sono state poste in riferimento con la credenza del viaggio o del trasporto del defunto nell'oltretomba. La tesi poggerebbe sul riscontro di analoghe costumanze sepolcrali cinesi, ove talora modellini di imbarcazioni venivano deposti nelle tombe insieme ad una ricca suppellettile funeraria.
Riproduzioni di barche in miniatura erano eseguite frequentemente anche in Giappone e costituivano uno dei tanti tipi di haniwa (che comprendevano fra l'altro modellini di case e di oggetti vari, figure di uomini e di animali, ecc.). Plasmati nell'argilla, erano anch'essi legati ad una consuetudine funeraria ma, invece di essere deposti all'interno delle tombe, erano sistemati all'esterno intorno ai tumuli. Uno dei più noti modellini di imbarcazioni è l'esemplare proveniente da un tumulo di Saito (prefettura di Miyazaki), che riproduce un tipo di imbarcazione a sei ordini di remi.
Bibl.: F. Tada, T. Nagano, N. Naora, Kamo Iseki (The Relics of Kamo) Tokio 1952; J. Shimizu-Y. Kurata, Yayoi Bunka (La Cultura Yayoi), Tokio 1957; F. Miki, Haniwa, Tokio 1958; J. E. Kidder, Jr., Il Giappone prima del Buddhismo, Milano 1960; S. Noma, Haniwa, Tokio 1960; Y. Kobayashi, Kofun Jidai no Kenkyû, (Studi sul periodo Kofun), Tokio 1961.
(A. Tamburello)