NAVIGAZIONE
. Si naviga o in vista di oggetti terrestri o fuori della vista di essi. In questo secondo caso ci si serve degli astri (navigazione astronomica) o si tiene conto del cammino percorso (navigazione stimata) o servono rilevamenti radiogoniometrici (navigazione radiogoniometrica) o servono misure della profondità del mare (navigazione batimetrica). Nel primo caso ci si serve di rilevamenti o di misure angolari di oggetti terrestri (navigazione geodetica o costiera). I metodi della navigazione astronomica sono stati trattati alla voce astronomia: Astronomia nautica.
Storia.
Antichità. - I primordî della navigazione, così nella parte orientale come nella parte occidentale del mondo antico, sono per noi anteriori a qualsiasi memoria superstite. Già in età paleolitica è dimostrato dalla presenza dell'uomo in piccole isole, come p. es. Capri e Helgoland, che la navigazione, almeno a piccola distanza dalla costa, era già praticata. Perfezionamenti tecnici e audacia di navigatori dovettero via via allargare la sfera dei paesi raggiunti nel mare con le prime fragili imbarcazioni, che la maggiore sicurezza dei fiumi, o almeno di alcuni fiumi, aveva probabilmente in un periodo anteriore sperimentate nei tramiti della navigazione interna. Non è dubbio per altro che i fiumi e i mari siano stati ben presto per i popoli potenti mezzi di coesione, piuttosto che di disgregazione e di allontanamento; e tali sono stati i grandi fiumi come il Nilo, il Tigri e l'Eufrate, e fra i mari tale è stato il Mediterraneo, punto di attrazione, meta e crogiuolo di popoli preistorici senza numero.
Sulla preistoria della navigazione insiste quasi esclusivamente la leggenda degli Argonauti, leggenda assai antica che per alcuni rappresenta non soltanto l'espansione greca sulle coste del Mar Nero, a scopo soprattutto commerciale, ma anche il primo tentativo, con la celebre nave Argo, di navigazione marittima (v. argonauti).
Omero ci presenta un quadro abbastanza completo della pratica e degli usi della navigazione greca e pregreca; da lui appare che alcuni popoli come i Fenici e i Feaci erano veramente i soli in possesso dell'arte delle grandi traversate marine. Gli altri conoscevano soltanto il piccolo cabotaggio e la stessa impresa di Ulisse e i varî nostoi degli eroi troiani appaiono avvolti in un'atmosfera epica e leggendaria, in ragione appunto della difficoltà dell'impresa.
Nelle Opere e Giorni di Esiodo abbiamo le norme più antiche del navigare greco e il riflesso diretto del molto rischio e del molto vantaggio dati dalla navigazione al mercante greco, che si affidasse a tempo propizio all'inclemenza del mare.
Le notizie sul progresso della navigazione vanno facendosi più numerose dopo il sec. VII; sotto re Neco d'Egitto, circa il 600 a. C., si compie a quanto sembra la circumnavigazione dell'Africa, mentre da Focea nella Ionia i Greci affrontano le prime e più lunghe navigazioni, e Corinto, la città marittima più antica del continente, mette in mare, se si deve credere a Diodoro, la prima trireme.
Circa la metà del sec. V, Imilcone e Annone cartaginesi compiono il primo la ricognizione della costa occidentale d'Europa e il secondo quella delle coste occidentali dell'Africa, oltre le colonne d'Ercole. Poco dopo, circa il 300 a. C. è la volta di Pitea di Marsiglia, che percorre le coste del Mediterraneo e dell'Oceano e scrive le sue informazioni di viaggio, finché Scilace di Carianda esercita la sua osservazione sia nel Mediterraneo, sia nel Golfo Persico, intorno al quale scrive un libro d'informazioni anche Nearco, il famoso generale di Alessandro. In tempi più recenti basti citare Agatarchide di Cnido per il mare Eritreo nel sec. III o II a. C. e il periplo del Ponto Eussino, scritto per ordine di Adriano, da Arriano di Nicomedia a Trapezunte.
Opere queste non tutte superstiti che dimostrano il grande progresso compiuto dal mondo antico nella conoscenza dei mari e insieme servono per la diffusione di codesta conoscenza in una sfera più larga d'interessati fra i quali i commercianti hanno indubbiamente il primo posto, perché il commerciante nel mondo antico è solitamente mobile e viaggia per mare nella maggior parte dei paesi del Mediterraneo, combinando anche i tragitti marittimi con i terrestri. Durante l'impero, il mare continua a essere più che mai uno dei maggiori, per non dire forse il maggiore, fra i tramiti di comunicazione dei popoli; il che è dimostrato anche dal fatto che assidue e continue cure gl'imperatori nei secoli migliori diedero alla costruzione dei porti, dei fari e di quanto potesse in ogni modo favorire e migliorare la navigazione.
Tracciare le vie marittime più battute in età varia dai convogli dei natanti antichi è cosa più ardua che fissare le vie di terra, perché, ove non siano isole numerose e sparse qua e là, tali vie, a differenza di quelle di terra, non hanno lasciato traccia. Assai più facile è ricostruire le tracce della navigazione fluviale perché essa ha lasciato i ricordi dei suoi approdi, dei suoi emporî, dei suoi punti di sosta e di riferimento. I grandi fiumi e spesso anche i medî, erano mezzo potente di collegamento, sicché spesso anche le vie terrestri si affrettavano ai fiumi, per servirsi della navigazione interna come di un mezzo più facile per i trasporti anche a grandi distanze; la corrente rendeva facile la discesa; le vele e i remi o i traini dalla riva permettevano con relativo agio di risalire dalla foce verso la sorgente. Spesso poi una fitta rete di canali, costruita artificialmente, completava già dal III millennio a. C. l'azione dei fiumi e giovava oltre che all'irrigazione anche alle comunicazioni e ai commerci. L'Egitto è il paese caratteristico, anche più della Mesopotamia, di questo genere di navigazione e durante l'epoca delle inondazioni periodiche, la nave diventava il mezzo di locomozione più comune e indispensabile in tutto il paese; a dimostrazione di ciò basti citare il fatto che nella concezione stessa della natura celeste il mare e la navigazione dànno i paragoni più evidenti e più usati e che si parla delle barche per gli dei, del viaggio marittimo dei morti per il regno di oltretomba e del cielo stesso come di un grande oceano su cui la luna, il sole e le stelle navigano nelle loro imbarcazioni particolari.
Le vie marittime in età molto antica non possono essere state che fra costa e costa, porto e porto vicino; si deve anche tener presente che le navi erano generalmente tratte in secco ad ogni approdo, sicché ogni insenatura di spiaggia poteva essere il porto desiderato. Tuttavia alcune esigenze probabilmente crearono a poco a poco, come per terra così anche per mare, vie obbligate che si andarono sempre più definendo quanto più si perfezionò lo scambio delle materie da paese a paese, in una cerchia sempre più larga di relazioni internazionali. Può giovare a fissare tali linee un doppio ordine di considerazioni: l'importanza dei porti e lo studio della diffusione dei prodotti specifici di un paese: i primi ci dicono dove erano i punti di riferimento, i secondi giustificano la loro importanza e ci dicono la direzione del movimento: p. es. Alessandria emporio d'Egitto, Antiochia sulla via di Palmira e dell'Oriente Massalia porto dell'entroterra celtico, Trapezunte del mar Nero, Bisanzio dell'interno balcanico, Corinto della Grecia propriamente detta, e poi Puteoli, Ostia, Brindisi e cento e cento altri. Le colonie fenicie, Cartagine per la prima, e quelle micenee e greche, sono, come è noto, approdi del commercio mediterraneo. Ciascuna ha particolari obiettivi, p. es. Pelusio è importante per le relazioni con la Siria, Ostia per quelle con la Spagna e l'Africa nord-occidentale Brindisi per quelle con l'Oriente balcanico.
I prodotti specifici dei singoli paesi giustificano le linee di navigazione; così sentiamo parlare di viaggi marittimi di Egiziani a cercare prodotti preziosi nel paese del Punt (Somalia) e nella Siria; così le linee ateniesi verso l'Egitto e verso il Bosforo sono nel secolo VII giustificate dalla necessità dei trasporti di grano. Talvolta le linee di navigazione dipendono anche dal dominio o predominio di popoli sui paesi rivieraschi: p. es. degli Assiri sul Mediterraneo orientale nel sec. VII a. C., degli Ateniesi sul commercio dell'Adriatico al tempo di Lisia. Una delle linee meglio identificate è quella dal Golfo Persico all'India e dai porti del Mar Rosso pure all'India, approfittando dei monsoni.
La navigazione marittima di lungo corso, quasi esclusivamente commerciale, incontra gravi difficoltà, oltre che in taluni periodi a causa dei pirati, specialmente a causa dell'inclemenza del tempo. Perciò, generalmente, d'inverno la navigazione è interrotta, perché sia il pericolo delle burrasche sia, e forse anche di più, l'impossibilità col cielo coperto di regolare la rotta dietro il sole e di notte dietro il corso delle stelle, tolgono ogni possibilità di controllare la rotta e di dirigerla verso la meta desiderata. L'arte nautica antica infatti, per le navi che abbandonate le rive si avventuravano nel mare aperto, aveva d'uopo della conoscenza esatta dei porti e della natura dei mari e aveva pure la necessità di non perdere mai il controllo sulla rotta della nave.
Tale arte perciò è costituita in primo luogo da cognizioni geografiche: le carte di cui è memoria non risalgono più addietro dell'età di Dario, che avrebbe fatto costruire una carta marina, come dice Erodoto, in servizio della sua flotta. La conoscenza dei gradi risale ad Eratostene (275-195 a. C.), ma solo nel sec. II d. C. con Tolomeo di Alessandria abbiamo una vera e propria opera geografica con carte e tavole di navigazione.
I peripli e gli stadiasmi, di cui già si è fatto cenno, contengono oltre che elementi assai importanti per la larga conoscenza dei mari e dei paesi rivieraschi, anche utili informazioni per i naviganti: notizie sulle coste, sui venti, sui luoghi di rifornimento, p. es. dell'acqua potabile, ecc. Le conoscenze astronomiche sono anch'esse un elemento indispensabile per la nautica antica. Egiziani e Caldei sono ricordati a questo proposito; ma soprattutto ai Fenici è attribuito da Plinio e da Strabone il merito maggiore per le osservazioni degli astri in rapporto alla navigazione. In Omero, Ulisse apprende da Calipso l'arte di osservare le stelle e Telemaco se ne serve nel viaggio notturno da Itaca a Pilo. Nel 600 a. C., Talete di Mileto prepara un trattato astronomico di nautica.
Indispensabile al navigatore antico è la conoscenza dei venti e delle correnti. Soprattutto intorno ai venti, il cui favore o ira vengono sollecitati e deprecati come quelli di divinità potenti venerate spesso lungo i lidi marittimi, si sa che gli antichi avevano ampie conoscenze. Nel Mediterraneo il burrascoso Noto, il favorevole Zefiro e Borea ed Euro ed Aquilone ed Africo erano variamente utilizzati o sfuggiti dai navigatori. Anche gli Etesî e gli altri venti periodici sono tenuti in considerazione già dai tempi di Omero; i monsoni vengono utilizzati per il viaggio dell'India, a luglio per l'andata, a dicembre per il ritorno. La conoscenza delle maree non è estremamente utile per i navigatori del Mediterraneo, benché esse siano note a Erodoto e a quelli che vengono dopo di lui. La loro importanza è ben altra per i navigatori dell'Oceano e viene infatti valutata da Pitea di Marsiglia e da altri che alludono alla navigazione oceanica.
Per il calcolo della rotta, mancavano agli antichi quasi del tutto gli strumenti del caso; ignoto era il solcometro per il calcolo dello spazio percorso; ed era in gran parte supplito dalla pratica e dall'occhio del pilota e del capitano; anche la mancanza a bordo di misuratori del tempo esatti rappresentava una non piccola difficoltà, né le clessidre, segnalate a bordo da Cesare, potevano adempiere al loro compito se non in modo del tutto approssimativo. Il sestante per misurare l'altezza del sole e delle stelle non è ricordato dagli antichi, ma ad Anticitera, in uno scavo fatto sulla riva del mare, si trovarono fra i resti sepolti di un naufragio avvenuto al tempo dell'imperatore Costantino, i pezzi di uno strumento complicato di bronzo, che potrebbe essere di questa natura.
Alla navigazione giovavano i segnali luminosi sia dalla riva sia da bordo: sulla riva l'accensione di fuochi e i fari: quello del Pireo è circa del sec. V a. C. e quello famoso di Alessandria è del 299 a. C. ed è dovuto all'arte di Sostrato di Cnido.
Circa la velocità di rotta delle navi antiche a vela, essa risulta da qualche elemento indiretto fornito dagli autori: p. es., secondo Tucidide, una nave da commercio da Abdera alla foce del Danubio impiegava quattro giorni e quattro notti e la circumnavigazione della Sicilia richiedeva otto giorni, mentre, secondo Eforo, cinque fra giorni e notti. Più rapida pare la navigazione fra le colonne d'Ercole e l'Oriente; da Gades (Cadice) a Ostia, Plinio dichiara che le navi impiegavano sette giorni: se ne è concluso che le navi antiche a vela navigavano, con buon tempo, da quattro a sei nodi, cioè con una velocità in tutto simile a quella delle moderne navi a vela, sicché, sotto questo rispetto, i velieri antichi non avevano nulla a desiderare in confronto dei moderni.
Medioevo ed età moderna. - Finché non venne in uso l'ago calamitato, la navigazione restò quella che era in passato: anzi si può dire che essa subisse nei primi secoli una lunga stasi, e, sotto certi aspetti, un vero regresso, rispetto ai periodi più floridi della navigazione antica.
Non si può tuttavia affermare che il segreto delle navigazioni lontane dati unicamente ed esclusivamente dall'apparizione dell'ago calamitato. I quadranti, di cui parla G. B. Ramusio nel suo giornale di viaggio alle Indie nel 1497 ("navigammo per quei paraggi senza bussola, ma con certi quadranti di legno..."), possono essere messi in relazione con la pinace, o bussola pelasga, degli antichi; e, per tacere d'altri, con quei sistemi usati dai polinesiani nelle loro lunghe traversate, che fecero la meraviglia del gran navigatore inglese Cook. Ma l'adozione della bussola apre alla navigazione una nuova era (v. bussola).
Dell'altro elemento fondamentale della navigazione stimata, cioè del computo del cammino della nave, si può dire che nel Medioevo fosse andata perduta la memoria dei mezzi e degli strumenti che per la misura suddetta erano in uso nelle epoche di maggiore sviluppo della navigazione antica, ritornandosi, in questo campo, quasi ai tempi dell'infanzia della nautica; sia computando ad occhio la velocità della nave, secondo le condizioni del tempo e le qualità marine della nave stessa; sia misurando il tempo impiegato da un galleggiante, gettato in acqua, a percorrere una data lunghezza (p. es. quella dello scafo della nave), e determinando poi il cammino per mezzo di una semplice proporzione.
Il computo della deriva, cioè dello scarto laterale cui è soggetta una nave a vela, quando riceve il vento lateralmente, veniva fatto per mezzo di una fune rimorchiata. L'angolo che essa faceva con la direzione della chiglia dava la misura dell'angolo di deriva. È questa la "catena a poppa" usata dai piloti di Magellano.
Il solcometro a barchetta (common log degl'Inglesi) viene in uso nella prima metà del sec. XVI. La parola inglese log, d'incerta etimologia, significa grosso pezzo di legno, per lo più grezzo. Viene usata in varî significati, e tra gli altri in quello di apparecchio per misurare la velocità della nave: e ciò per il fatto che un pezzo di legno, attaccato a una funicella, o sagola, veniva gettato in mare, dove costituiva un punto di riferimento in posizione pressoché fissa, sul quale si computava la velocità della nave in base alla lunghezza della sagola, che in un determinato intervallo di tempo scendeva da boido in mare. Questa specie di solcometro, in cui il punto fisso galleggiante è stato poi sostituito da un settore circolare di legno di circa 60° e 15 centimetri di raggio, si è perpetuato sino ad oggi con lievi varianti, e continua ad essere adoperato per le velocità non molto alte, e quindi dalla maggior parte delle navi a vela.
Quanto ai solcometri a funzionamento continuo (solcometri ad elica), per quanto si voglia rintracciarne le origini nel sec. XVI in Inghilterra, è da osservare che nell'antichità si conoscevano già apparecchi meccanici per la misura del cammino. Si potrebbe, ad esempio, risalire a Plauto, che ricorda: rotam navis ad metiendum iter; e a Vitruvio, che ci ha lasciato la descrizione di un complicato apparecchio meccanico, basato sulla rotazione di ruote a palette, sistemate al galleggiamento della nave. E si potrebbe anche citare Bartolomeo Crescenzio, che nel 1601 descriveva un solcometro meccanico di sua invenzione (v. anche Solcometro).
Quanto allo scandaglio, elemento di grande importanza nella condotta della navigazione, nato nei primordî dell'arte nautica, si è conservato, nella sua forma più semplice di un peso fissato ad una funicella, fino ai nostri giorni: mentre altri tipi di scandagli venivano via via ideati e introdotti nell'uso (v. scandaglio). Al sec. XI vengono riportate le prime costruzioni parziali delle carte nautiche (v. nautiche, carte).
La rotta che una nave segue ordinariamente sulla superficie dei mari è una curva, chiamata lossodromia (dal greco λοξός e δρόμος "corso obliquo"), che taglia tutti i meridiani sotto uno stesso angolo. Nella pratica, la navigazione lossodromica è la più agevole a seguirsi, poiché in essa la direzione della prora non cambia,e non si richiedono calcoli speciali per la determinazione degli elementi della rotta (come avviene nella navigazione ortodromica, o per circolo massimo). La carta nautica è destinata appunto a facilitare la navigazione per lossodromia, realizzando le due condizioni seguenti: la conservazione degli angoli (cioè la similitudine tra le figure disegnate sulla carta e quelle corrispondenti della superficie terrestre) e la rettificazione delle lossodromie (cioè, sulla carta le lossodromie devono esser rappresentate da linee rette). La prima carta, che rispondeva a questi due requisiti, fu ideata dall'olandese G. Kramer (più conosciuto sotto il nome latinizzato di Mercator), ma resa idonea all'uso pratico dall'inglese E. Wright che nella sua opera Certain errors in navigation detected and corrected (1599) dedusse la formula delle latitudini crescenti.
L'invenzione della bussola e l'introduzione delle carte nautiche dovevano portare, come naturale conseguenza, l'applicazione della scienza matematica alla nautica; necessaria, insieme con le determinazioni grafiche, nei casi più ordinarî e frequenti della navigazione, quando, cioè, la nave non segue un'unica rotta per effetto di vento favorevolmente costante.
Il calcolo del punto stimato si basa sulla semplice risoluzione, grafica o analitica, di un triangolo piano rettangolare; e il navigante nel suo lavoro giornaliero si limita in genere a risolvere questi due problemi fondamentali: a) dato il punto di partenza, le rotte seguite e il cammino percorso su ognuna di esse, determinare le coordinate (latitudine e longitudine) del punto di arrivo: b) date le coordinate di due punti, determinare la rotta da seguire e il cammino da percorrere per andare dall'uno all'altro. Molte volte questi problemi si risolvono graficamente sulla carta nautica; ma qualche volta è necessario ricorrere alla soluzione analitica. Così, ad esempio, dovendo risolvere il primo problema nel caso d'una nave a vela, che segue rotte diverse secondo il vento, su ciascuna delle quali ha angoli di deriva diversi e compie percorsi di lunghezze differenti, riuscirebbe troppo laborioso il calcolo grafico della determinazione del punto di arrivo, e si fa perciò il calcolo che viene chiamato punto stimato; esso è così chiamato perché nel suo computo vengono stimate le deviazioni che la nave può aver subito nella sua rotta, e gli errori che possono essere stati commessi nella misura del cammino percorso.
Non si conosce come nacquero, e per opera di chi, le prime regole nautiche, né donde vennero, né quale fosse la loro forma primitiva. I più antichi documenti, che si hanno in proposito, sono le regole lulliane e la Toleta de Martologio. Nelle opere di Raimondo Lullo (1235-1315) si possono riconoscere i primi tentativi di applicare la matematica alla nautica, sia che queste regole derivino da lui o da altri (o che egli abbia attinto o meno a fonti bizantine), e che siano più o meno imperfette, o anche addirittura assurde. Quantunque non abbiano portato nessun frutto reale, principalmente per difetto nelle particolari cognizioni della matematica e della nautica del celebre maiorchino, queste regole formano tuttavia il più antico documento pervenuto fino a noi sui tentativi compiuti dai naviganti dell'epoca posteriore alla bussola per perfezionare la loro arte.
La Toleta de Martologio, o Mertologio (in veneziano Martelojo), o tavola dei calcoli nautici, costituisce già un metodo progredito di calcolo, posteriore alle regole lulliane; e si può, anzi, considerare come un vero e proprio passo innanzi nell'arte nautica. Se ne conoscono quattro edizioni. La più importante è la terza, contenuta nella prima pagina dell'Atlante di Andrea Bianco di Venezia (1436), e conservata nella Biblioteca Marciana. Contiene un'istruzione nautica e alcune tabelle. È questo il più antico documento nautico conosciuto, che contenga giuste e sicure regole per la determinazione del punto stimato, in base alla rotta e al cammino percorso. In effetto, il Martologio dà in tutte le sue varie forme la risoluzione di un triangolo rettangolo, di cui si conoscono due elementi. In questo documento si trova per la prima volta menzione del problema di determinare il punto nave mediante rilievi di uno stesso oggetto terrestre, e la relativa soluzione numerica. Sulla carta del Bianco e sul manoscritto in parola viene anche rappresentato il quadrante di riduzione, tuttora in uso. Il Martologio, nato probabilmente nel sec. XIII, è di origine mediterranea: e in nessun'altra parte d'Europa se ne conserva traccia. Gli unici monumenti che di esso si conservano sono scritti in dialetto veneziano. Il Martologio fu usato nel Mediterraneo per lunghissimo tempo.
La prima chiara nozione della lossodromia è data da Pedro Nuñez (Nonius), cosmografo del re di Portogallo, che nel 1537 pubblicò un'opera di astronomia, carte nautiche, e trattò alcuni argomenti di navigazione. Il primo e principale suo merito fu appunto quello d'indagare le proprietà geometriche della lossodromia, che egli chiama "linea dei rombi". Egli spiega chiaramente ai naviganti che questa linea non è un arco di circolo massimo, e nemmeno il più breve cammino fra due punti della superficie terrestre: e riconosce anche che la lossodromia non può raggiungere mai il polo, formando una spirale intorno ad esso.
In seguito, i primi matematici che si occuparono della linea dei rombi furono l'olandese Simon Stevin e l'inglese E. Wright, le cui opere apparvero quasi contemporaneamente (1599). Nonostante lo sviluppo che venne dato in seguito alla teoria della lossodromia, per molto tempo ancora i naviganti continuarono ad adoperare le carte piane e le tabelle dei rombi, quali sono descritte nei testi di Martin Cortés (che nel 1556 pubblicò a Siviglia l'Arte de navegar) e d'altri. Snellius è stato il primo autore a dare alla linea dei rombi di Nonio un nome suo proprio, definendola con precisione matematica.
Per la soluzione analitica dei problemi di rotta furono introdotte in Inghilterra, verso la metà del sec. XVIII, e poi accolte nell'uso generale, le "tavole per fare il punto", nelle quali è data la risoluzione numerica di triangoli rettangoli.
Quanto alle istruzioni nautiche redatte in forma di portolani scritti, sebbene il più antico documento del genere che si possegga (il portolano del Luxoro), non sia che della fine del sec. XIII o del principio del XIV, tuttavia si deve rimandarne la prima origine per lo meno a tre secoli innanzi. Del resto anche l'antichità possedeva documenti del genere, nei quali l'esperienza acquisita nei viaggi veniva riassunta in una specie d'istruzioni nautiche, o "peripli", dove erano contenute indicazioni utili, quali la distanza da punto a punto, e talvolta anche le direzioni, i principali punti di ancoraggio, le foci dei fiumi, le sorgenti d'acqua potabile, l'aspetto della costa, la qualità del fondo; ed eventualmente anche la topografia dei prossimi dintorni dell'uno o dell'altro punto della costa. Nell'antichità si ebbero non solo i fari, ma anche punti di riferimento artificiali (quali, ad es., torri) in quelle località in cui la costa per esser bassa e uniforme non presentava segni o caratteristiche naturali cospicue.
I primi portolani vennero stampati a Venezia. Anche quello famoso, conosciuto sotto il nome di Seekarte von Wisby, tenuto in grandissimo conto dagli anseatici, è, secondo l'opinione del Breusing, d'origine veneziana.
Oggi le istruzioni nautiche hanno assunto uno sviluppo, e una importanza di prim'ordine. Oltre ai portolani propriamente detti si hanno delle carte speciali, dovute soprattutto ai lavori del comandante Maury della Marina americana (che può considerarsi come il creatore della meteorologia nautica), e del comandante della marina inglese Fitz Roy, nelle quali vengono date indicazioni dei venti e delle correnti oceaniche nei varî periodi dell'anno: le probabili traiettorie ed epoche delle tempeste cicloniche; i venti costieri; lo spostamento dei ghiacci galleggianti; le rotte più vantaggiose e opportune, ecc.
Queste pubblicazioni costituiscono un prezioso elemento del corredo teorico e pratico del navigante; e, insieme con tutti gli altri mezzi di cui il marino oggi può disporre, integrato da quello efficacissimo delle comunicazioni radiotelegrafiche, rendono la condotta generale della navigazione odierna incomparabilmente più agevole e sicura che non fosse per il passato.
Bibl.: Per la storia: A. Breusing, Nautik der Alten, Parigi 1886; L. Bonnard, La navigation intérieure de la Gaule à l'époque gallo-romaine, Parigi 1913; R. Dussand, Les civilisations préhelleniques dans le bassin de la mer Égée, Parigi 1914; A. Köster, Die Nautik im Altertum, Berlino 1914; K. Lehmann-Hartleben, Die antiken Hafenanlagen des Mittelmeeres, Lipsia 1923 (Klio, suppl. XIV, n. s., I); A. Köster, Schiffahrt und Handelsverkehr des östlichen Mittelmeeres im 3. u. 2. Jahrtausend v. Ch., Lipsia 1924; H. Aubein, Der Rheinhandel in röm. Zeit, in Bonn. Jahrb., CXXX (1925), p. 1 segg.; H. Frisk, Le périple de la mer Érythrée, in Göteborgs Lögskolas Årsskrift, XXIII (1927), i, Göteborg 1927; P. Thomsen, E. Assmann, B. Meissner, Schiff, in Ebert, Reallex. d. Vorgesch., XI, Berlino 1927-28, p. 235 segg.; H. Schaal, Flussschiffahrt und Flusshandel im Altertum, in Festschr. zur Vierhundertjahrfeier des alt. Gymn. zu Bremen, Brema 1928, p. 370 segg.; M. Merzagora, La navigazione in Egitto nell'età greco-romana, in Aegyptus, X (1930), p. 105 segg.; H. Kortenbeutel, Der ägypt. Süd-und Osthandel in der Politik der Ptolemäer und römisch. Kaiserzeit, Berlino 1931; F. Milner, Seewesen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., suppl. V (1931), col. 906 segg.; H. Schaal, Vom Tauschhandel zum Welthandel, Lipsia-Berlino 1931; M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1933; F. Petrie, Egyptian shipping, in Ancient Egypt, 1933, pp. i seg., 65 segg.; S. Marinatos, La marine créto-mycénienne, in Bull. Corr. hellen., LVII (1933), pp. 170-235.
Per il Medioevo e oltre: P. da Medina, L'arte de navegar, Venezia 1554; B. Crescenzio, Nautica mediterranea, Roma 1602; Bonguer, Nouveau traité de navigation, n. ed., Parigi 1753; I.H. Noore, The new practical navigator,Londra 1798; Navarrete, Disertación sobre la historia de la náutica, Madrid 1846; Die nautischen Instrumente bis zur Erfindung des Spiegelsextanten, Brema 1890; E.A. D'Albertis, Le costruzioni navali e l'arte della navigazione al tempo di C. Colombo, Roma 1893; J. Müller, Die Entwicklung der Nautik und ihrer Hilfsmittel vom Altertum bis zur Neuzeit, 2ª ed., Amburgo 1928. V. anche astronomia: Astronomia nautica.
Metodi.
Per i metodi della navigazione astronomica vedi astronomia: Astronomia nautica.
Navigazione stimata. - Si deve tener conto delle rotte seguite e del cammino percorso. Si conosce la prora alla bussola, da questa si passa alla rotta vera applicando la correzione di deviazione, declinazione magnetica, dello scarroccio dovuto al mare e al vento (specialmente per navi alla vela) e della deriva dovuta alle correnti. Chiamando Pb la prora alla bussola, δ la deviazione, d la declinazione, lsc lo scarroccio, lder,. la deriva e Pr la rotta vera, si ha:
Pv = Pb + δ + d + lsc + lder. (algebrico)
Per il cammino si tiene conto della velocità della nave nel tempo trascorso. L'unità di misura della velocità in mare è il miglio marino (m. 1852) o nodo. Per apprezzare la velocità servono i contagiri delle eliche. Ogni nave conosce, con buona approssimazione, la velocità oraria corrispondente al numero di giri che le eliche fanno in un minuto, nonché le variazioni subite dalla velocità in dipendenza da variazioni d'immersione o dallo stato di pulizia della carena. Servono anche (in particolare per le navi a vela) i solcometri o lochs, strumenti costruiti appositamente per la misura della velocità. Note le rotte seguite e i cammini percorsi, si tracciano sulla carta nautica, dal punto di partenza, segmenti corrispondenti ai tratti di cammino, e si ottengono le coordinate geografiche del punto in cui si trova la nave.
I problemi della navigazione stimata possono risolversi anche analiticamente con le seguenti formule, ove Δϕ è la differenza di latitudine, Δϕc la differenza di longitudine, m le miglia percorse, r la rotta vera per quadranti, cioè contata da nord e da sud verso est e verso ovest, Δϕc la differenza delle latitudini crescenti (che si ricava dalla tavola delle latitudini crescenti in ogni raccolta di tavole nautiche):
Queste formule dànno le coordinate del punto (ϕ′, λ′) dopo aver percorse m miglia per rotta vera r, essendo note le coordinate del punto di partenza (ϕ, λ). Serve pure la formula del parallelo medio (meno precisa) per ricavare Δλ.
ove μ è l'appartamento (spostamento lungo il parallelo) e ϕm è la latitudine media della zona percorsa.
Percorrendo varie rotte è conveniente calcolare per ogni rotta i valori di Δϕ e di μ, sommare algebricamente i risultati parziali e ricavare il Δλ definitivo dai Δϕ e μ totali.
Problemi sulle correnti. - Note velocità e direzione della corrente, ricavare la rotta da seguire.
Una nave che ha una velocità di venti nodi e vuol seguire la rotta AB è soggetta a una corrente a NE. di quattro nodi. Essa vuole determinare quale rotta debba seguire per neutralizzare l'effetto della corrente. Da A un vettore a NE. di 4 nodi, centro in D e raggio 20 nodi tracciare un arco di cerchio che taglia la AB in E, congiungere D con E, la AC parallela alla DE è la rotta da seguire (fig. 1).
Eseguire questi grafici sulla stessa carta di navigazione.
Altro problema: determinare l'effetto di una corrente nota. Rappresenti il vettore AD la velocità di 20 miglia di una nave che dirige per Pv = AB e il vettore AC, la velocità di 4 nodi di una corrente a NE. (fig. 2).
La risultante del parallelogramma costruito sui due vettori AC, AD dà la direzione e la velocità effettiva della nave.
Sono questi i due problemi principali sulle correnti, che il navigatore è chiamato a risolvere.
Navigazione radiogoniometrica. - Nel caso di grandi distanze dalle stazioni emittenti segnali radio, la determinazione del punto nave non ha ancora raggiunto applicazioni pratiche a causa della precisione insufficiente dei radiogoniometri. Applicazioni pratiche e sufficientemente precise si realizzano, invece, a brevi distanze dalle stazioni emittenti; esse sono particolarmente preziose in caso di foschia.
I rilevamenti radiogoniometrici si prendono o da terra o da bordo. Nel primo caso una stazione terrestre di coordinate note stabilisce l'azimut (da terra) della nave; nel secondo si determina dalla nave stessa l'azimut (da bordo) di una stazione nota. Ad ognuno dei due casi corrispondono distinti luoghi geometrici di posizione della nave: curve d'azimut; sulla carta di Mercatore si tracciano dei segmenti di rette - rette d'azimut - che sostituiscono nella prossimità del punto stimato i rispettivi archi di curva.
Perciò i rilevamenti radiogoniometrici corrispondono nelle grandi distanze alle osservazioni astrali, e ai rilevamenti di punti terrestri nelle piccole distanze. Il tracciamento delle rette d'azimut per grandi distanze fra la stazione terrestre e la nave è - per le ragioni dette - nel tempo presente, puramente teorico; ma la scienza progredisce continuamente e in un futuro prossimo i radiogoniometri raggiungeranno la precisione necessaria. Il tracciamento, invece, nel caso di distanza limitata, si fa senza bisogno di calcoli, come nella navigazione geodetica per i rilevamenti di oggetti terrestri.
Curve di azimut (misurate da terra) sulla sfera. - Una stazione terrestre fissa radiogoniometricamente la nave nell'azimut z = 180° − A, essendo A l'angolo parallattico (impiegando per semplicità le stesse notazioni date in astronomia, V, p. 134 segg.).
Il luogo geometrico della posizione Z della nave sulla sfera (v. fig. 3) è il circolo massimo AZBC di polo D.
L'equazione della curva sulla sfera è (dal triangolo PZA):
Le notazioni impiegate in astronomia nautica stanno qui a significare: P la differenza di longitudine fra la stazione e la nave, Z l'azimut della stazione dalla nave, A l'angolo parallattico di A, essendo ZA l'azimut della nave dalla stazione, δ la latitudine della stazione terrestre, ϕ la latitudine della nave. Le equazioni della curva sulla carta di Mercatore sono:
donde
cioè: la tangente alla curva forma col meridiano l'angolo Z.
Curve di azimut (da bordo) sulla sfera. - Il luogo geometrico di posizione della nave sulla sfera è il segmento capace dell'angolo sferico Z, misurato dalla stazione fissa.
L'equazione della curva sulla sfera è:
Sulla carta di Mercatore:
e l'angolo della tangente alla curva con il meridiano è dato dalla seguente espressione ottenuta dal comandante E. Modena:
ove h sarebbe l'altezza dello zenit della nave rispetto all'orizzonte di A e Zs l'azimut della stazione A calcolato nello zenit stimato della nave.
Rette d'azimut (da terra). - Il problema del tracciamento della retta d'azimut si risolve come per la retta d'altezza: si calcola nel triangolo PAZ, (fig. 4) hs, Zs, e 1808 − As (s indica stimato) con gli elementi ϕs, Ps = Δλs, e δ (latitudine della stazione). Si ricava quindi il valore del vettore per ottenere il punto determinativo per il quale si traccia la retta, o sulla carta di Mercatore o su carta quadrettata (o simili).
Le formule da usarsi possono essere le seguenti:
Rette d'azimut (da bordo). - Per il tracciamento della retta di azimut da bordo valgono le stesse formule utili al cilcolo di Zs, hs, As; per ottenere la lunghezza d del vettore, per segnare il punto determinativo, s'impieghino le seguenti:
ove Zb, è l'angolo formato fra le retta e il meridiano, Z è l'angolo azimutale misurato e d′ è la lunghezza d in primi.
Molti autori dànno metodi semplificativi: i metodi esposti, per sommi capi, sono generali.
Tracciamento dei rilevamenti radiogoniometrici nel caso di distanze piccole. - Se la distanza fra la nave e la stazione è limitata (〈 50 mg.) i rilevamenti radiogoniometrici si possono tracciare direttamente sulla carta di Mercatore come i comuni rilevamenti alla bussola (v. più avanti Navigazione geodetica e costiera).
Se le distanze sono maggiori di 50 mg., ma sono però entro limiti offerti da tabelle, che si trovano in tutti i trattati o in alcune raccolte nautiche, si applica al rilevamento misurato al radiogoniometro una correzione, detta di Givry, data da:
detta anche della media convergenza, offerta in molte raccolte di tavole nautiche e nei trattati. Il rilevamento così corretto si traccia sulla carta di Mercatore.
Sono state costruite apposite carte in proiezione gnomonica per il diretto tracciamento, nell'ultimo caso ora detto, del rilevamento radiogoniometrico. Così è risparmiata la correzione di Givry.
Radiofari. - Emettono durante prestabilite ore del giorno, e sempre durante foschia, speciali segnali radiotelegrafici. Vi sono anche particolari radiofari che permettono alle navi sprovviste di radiogoniometri, e dotate di sola stazione ricevente, di determinare un luogo di posizione. Tali fari emettono, ad esempio, segnali diversi ad ogni mezza quarta, in una rivoluzione completa. Altri, come quello di Venezia, che segna la rotta di entrata a S. Nicolò del Lido, emette segnali solo in un piccolo settore.
Navigazione batimetrica. - In questi ultimi anni sono stati introdotti nell'uso corrente scandagli ad eco basati sulla misura dell'intervallo brevissimo di tempo che passa fra l'istante in cui viene emesso un suono dalla nave e quello in cui lo stesso suono viene percepito da un ricevitore posto nella nave stessa, dopo che fu riflesso dal fondo del mare. Essendo nota la velocità del suono nell'acqua marina (circa 1500 m. al secondo) è facile ricavare la profondità del mare. Si tratta di realizzare un cronografo di grande precisione, che apprezzi, cioè, il millesimo di secondo.
Di tali scandagli vi sono attualmente in uso molti tipi che permettono di avere quasi istantaneamente, e senza fermare la nave, la profondità del mare, mentre nel passato occorreva fermare la nave e perdere molto tempo per ottenere un'indicazione di fondo - specialmente alle grandi profondità - con scandagli meccanici. In tal modo è possibile determinare, in mancanza di meglio, la posizione approssimata della nave per mezzo di scandagliamenti. Si scandaglia il fondo a intervalli di tempo regolari, stabiliti: si ottiene una linea di profondità che si scrive sovra un pezzo di carta lucida nella scala della carta nautica. Sovrapponendo questo pezzo di carta lucida sulla carta di navigazione e nella zona ove presumibilmente si trova la nave, si troverà una corrispondenza fra la profondità misurata e quella segnata sulla carta e, quindi, la posizione approssimata della nave.
Questo sistema avrà tanto maggior successo quanto più le linee isobate abbiano forme caratteristiche, quanto più siano bene rilevate e quanto più variabile sia il fondo del mare.
Navigazione geodetica, detta anche navigazione costiera. - Si giova di punti terrestri per fissare la posizione della nave e seguirne il cammino. I problemi ad essa inerenti si risolvono graficamente sulla carta di navigazione, eccezionalmente col calcolo. Gli strumenti adoperati per la navigazione geodetica misurano angoli o direzioni o distanze. Si misurano in generale angoli orizzontali fra verticali di oggetti, talvolta angoli verticali nel verticale stesso degli oggetti. Lo strumento più comune misuratore di angoli e direzioni è la bussola col suo cerchio azimutale o traguardo. Essa fornisce un piano orizzontale perché è sospesa alla cardanica, e quindi misura angoli orizzontali.
Altro strumento misuratore d'angoli orizzontali è il grafometro (ted. Peilscheiber; ingl. pelorus). cerchio metallico fissato alle ali di plancia e graduato generalmente da 0° a 360° con la direzione 0°-180° parallela alla linea di chiglia o, meglio, al piano longitudinale della nave. Un traguardo, imperniato al centro, permette di prendere i rilevamenti degli oggetti.
Misuratori più precisi d'angoli sia orizzontali sia verticali sono gli strumenti a riflessione: sestante, circolo. Strumenti misuratori di distanze sono i telemetri, di cui sono ora provviste tutte le navi di una certa importanza, specialmente le navi da guerra. Queste ne hanno di tipi varî e a basi diverse, a coincidenza e stereoscopici. Si possono avere con i migliori telemetri indicazioni ottime per la navigazione costiera anche a distanze di 20.000 metri. La distanza di un oggetto si può ottenere anche misurando l'angolo verticale fra il culmine dell'oggetto e la linea d'acqua, essendo nota l'altezza dell'oggetto sul mare.
Luogo di posizione di eguale rilevamento. - Quando si prende il rilevamento alla bussola di un oggetto e si corregge della variazione, si ottiene il rilevamento vero (Rilv) dell'oggetto stesso. Se l'oggetto è alla distanza di poche miglia, come avviene nella pratica, il segmento, tracciato sulla carta nautica, passante per l'oggetto e formante col meridiano l'angolo Rilv, è un luogo di posizione di eguale rilevamento sul quale giace la nave.
Luogo di posizione di eguale differenza di rilevamento. - La differenza di due rilevamenti presi con direzione di prora costante, o l'angolo orizzontale fra due oggetti misurato al sestante dà un luogo di posizione ch'è il segmento capace dell'angolo misurato. Quando quest'angolo è 0° 180°, tale segmento capace è - per piccole distanze - il segmento di retta (tracciato sulla carta nautica) passante per i punti dati. Questo luogo prende il nome particolare di allineamento.
Luogo di posizione di eguale distanza. - Per piccole distanze, il luogo di posizione di una nave donde si è misurata la distanza d di un oggetto è la circonferenza con centro nel punto da cui si è misurata la distanza e con raggio eguale a d, preso in miglia sulla scala delle latitudini crescenti in corrispondenza del punto, se si tratta di carta di Mercatore, o sulla scala del piano (in metri o in miglia) se si tratta di un piano.
Impiego di un solo luogo di posizione nella condotta della navigazione. - Un rilevamento in direzione prossima alla normale alla rotta dà indicazioni sul percorso della nave. Infatti (fig. 5), se N era il punto dedotto dalla stima, sarà NN′ o un segmento parallelo o approssimativamente eguale ed esso, lo scarto del cammino: si potrà così dedurre la velocità effettiva della nave.
Un rilevamento nella direzione della rotta, o approssimativamente in quella direzione, dà un'indicazione dello scarto laterale. Infatti (fig. 6) se NRv è la traccia della rotta stimata, si ha dal rilevamento Rilv, in figura addirittura parallelo alla rotta, un'idea sicura dello scarto laterale della nave.
Se una nave deve passare in mezzo a pericoli disposti come in fig. 7, traccerà sulla carta i due rilevamenti cosiddetti di sicurezza Rilv′. e Rilv″ e sarà tranquilla finché essa rileverà O con rilevamenti compresi fra questi due valori.
La nave sarà ancor più sicura se in terra vi saranno due oggetti O, O′, allineati come nella stessa figura 7, così essa si renderà indipendente da eventuali errori della bussola. Parimenti il luogo di eguale differenza d'azimut o di rilevamento può dare la sicurezza d'evitare un pericolo. Se (fig. 8) vi sono due punti come O e O′ sulla costa e uno scoglio come S, si può tracciare la circonferenza capace dell'angolo a, e la nave sarà sicura finché misurerà angoli inferiori ad a.
Lo stesso si dica per un cerchio d'eguale distanza d (fig. 9) da un oggetto O. La nave dovrà manovrare in modo che il telemetro dia misure di distanza superiori a d. Se O è un edificio, un faro, p. es., di nota altezza sul mare, e d è la distanza limite per evitare gli scogli S, si potrà anche determinare, con la formula
ove e è l'altezza dell'oggetto, il valore massimo dell'angolo verticale h da non oltrepassarsi per la sicurezza della nave.
Determinazione della posizione della nave con due o più luoghi di posizione simultanei.
1. Due rilevamenti. - Presi i rilevamenti alla bussola, e corretti dalla variazione corrispondente alla prora della nave, si tracciano questi a passare per i punti O e O′ (fig. 10); il punto d'intersezione dei due rilevamenti è il punto nave, a meno degl'inevitabili errori, specialmente nella daviazione della bussola. Se i due rilevamenti non sono simultanei basta trasportare un punto qualunque del primo luogo di posizione per la rotta e il cammino percorsi nell'intervallo fra il primo e il secondo rilevamento. Per il punto trasportato si traccerà una parallela al primo rilevamento. Il punto d'intersezione di questa parallela col secondo rilevamento sarà il punto nave all'istante del secondo rilevamento.
Si può ottenere il punto nave con osservazioni successive dello stesso oggetto. Sia O (fig. 11) l'oggetto, unico in vista, e sia Rilv′ un primo rilevamento; dopo un certo tempo, sia Rilv″ un secondo rilevamento dello stesso oggetto. Trasportando il primo rilevamento all'istante del secondo, tenendo esatto conto della rotta e del cammino percorso, si ottiene il punto nave N all'istante del secondo rilevamento, a meno degl'inevitabili errori.
2. Due luoghi di eguale differenza di rilevamento. - I due luoghi potranno essere ottenuti dalla determinazione diretta dei due angoli orizzontali a e β fra tre oggetti A, B, C, oppure dalla differenza fra i tre rilevamenti degli oggetti stessi:
indicando con Rilb il rilevamento letto alla bussola. La posizione della nave sarà ottenuta - nell'ipotesi della simultaneità nella misurazione degli angoli α e β - dall'intersezione dei due cerchi capaci rispettivamente dell'angolo α e dell'angolo β (fig. 12). I circoli potranno tracciarsi con la nota costruzione geometrica dei segmenti capaci.
Uno strumento che risparmia codesta costruzione è il cosiddetto staziografo o station pointer degl'Inglesi. Esso è costituito (fig. schematica 13) da un cerchio graduato da 0° a 180° nei due sensi. Tre aste a b c, a taglio di coltello da un lato, girano intorno al centro O del cerchio graduato. L'asta centrale è fissa e il suo taglio di coltello coincide con lo zero del cerchio. Le altre due sono mobili e munite di vite di pressione sul cerchio, di vite di richiamo e di verniero, che dà, generalmente, l'approssimazione del 1′. Esse possono fissarsi agli angoli α e β rispetto allo zero. Nel centro O v'è un pulsante a molla portante una punta che incide un punto sulla carta quando i tagli di coltello delle tre aste siano portati a passare per i punti A, B, C. Questa soluzione del problema dei tre punti, detto anche di Pothenot o per intersezione diretta, ha una grave condizione d'indeterminazione quando la circonferenza che passa per i tre punti passa anche per il punto nave. In questo caso i due luoghi di posizione si riducono ad uno.
3. Tre (o più) rilevamenti. - Quando vi sono molti oggetti in vista, è buona norma non accontentarsi dell'osservazione di due oggetti soltanto, ma prendere tre (o più) rilevamenti, servendo il terzo (o gli altri) a mettere in evidenza errori eventuali commessi. In generale, i tre rilevamenti tracciati sulla carta non s'incontrano in un punto, ma formano un triangolo. Quando il triangolo è piccolo si assume come posizione della nave quella interna al circolo circoscritto al triangolo. Se il triangolo è grande, si sono commessi errori nell'identificare gli oggetti, nel correggere i rilevamenti o nel tracciarli sulla carta, o è imperfetta la conoscenza della variazione.
4. Rilevamento e distanza. - Se di un oggetto si è preso il rilevamento e contemporaneamente la distanza, si traccia sulla carta il rilevamento dell'oggetto. Il punto nave si troverà alla distanza indicata dal telemetro.
5. Allineamento e rilevamento. - Se sono in vista tre oggetti di cui due allineati e il terzo in buona posizione per rilevarlo, si traccia sulla carta l'allineamento dei due primi punti ed il rilevamento del terzo. L'intersezione del rilevamento con l'allineamento determina il punto nave.
6. Due allineamenti. - Se sono in vista quattro punti allineati due a due e a distanza conveniente fra essi, l'intersezione dei due allineamenti fornisce una determinazione ottima del punto nave.
7. Rilevamento e scandaglio. - Se un solo oggetto è in vista e le linee di scandaglio degradano regolarmente e pressoché parallelamente alla costa, uno scandaglio combinato con un rilevamento può dare un'indicazione sufficiente della posizione della nave. Questa si troverà nel punto d'incontro del rilevamento e della linea isobata corrispondente allo scandaglio.
Navigazione con nebbia. - È particolarmente pericolosa per il navigante. I regolamenti per evitare gli abbordi in mare dànno speciali norme per la navigazione in caso di nebbia (v. collisione). Queste si possono riassumere nelle seguenti: diminuzione di velocità, emissione di suoni a determinati intervalli di tempo. Navigando in prossimità di bassifondi è buona regola guarnire l'avvisatore di fondo, detto anche sentinella sottomarina: apparecchio costituito da un aquilone che può essere rimorchiato a una profondità stabilita, e da uno strumento sonoro che si mette in azione allorché l'aquilone tocca fondo. Per la descrizione e per l'uso dell'apparecchiò, v. L'avvisatore dei bassi fondi o sentinella sottomarina pubblicato dall'Istituto idrografico della R. Marina.
Il Manuale dell'ufficiale di rotta consiglia: "Seguire la navigazione stimata con grandissima cura. Diminuire di velocità e, se è pericoloso continuare la navigazione, ancorare in attesa che la nebbia si dilegui. Se non è possibile ancorare, dirigere al largo, o verso una zona meno pericolosa".
Navigazione in zone di ghiacci. - Altro grave pericolo per i naviganti sono i ghiacci galleggianti (icefields e icebergs). Nel Nord Atlantico, ove, nei mesi pericolosi (da aprile a giugno compreso) i ghiacci raggiungono talvolta i limiti della rotta dei piroscafi che navigano fra il Nord Europa e l'America Settentrionale, due navi di pattuglia, della marina degli Stati Uniti, si mantengono a contatto con tali ghiacci e avvisano radiotelegraficamente e continuamente la posizione di essi. Un'indicazione (peraltro non sicura) della vicinanza di ghiacci è fornita dalla temperatura dell'acqua marina, che diminuisce rapidamente.
È bene passare sempre sopravvento ai ghiacci e a distanza, perché essi hanno talvolta punte che si prolungano notevolmente sott'acqua.
Navigazione ortodromica o per circolo massimo. - In lunghe navigazioni è conveniente seguire il circolo massimo anziché la lossodromia (v. sopra). Non è, però, sempre possibile seguirlo perché il circolo massimo raggiunge talvolta latitudine molto elevata: in tali casi può convenire di seguire un percorso misto, composto di due archi di circolo massimo e di un arco del parallelo che non si vuole oltrepassare.
Il circolo massimo taglia i meridiani con angoli differenti, salvo i casi particolari in cui si confonde con uno di essi o con l'equatore. In mare lo strumento di direzione è la bussola e, come si è già accennato, la nave segue perciò un percorso che taglia i meridiani sotto un angolo costante (lossodromia). Ne verrebbe che se si volesse seguire esattamente il circolo massimo occorrerebbe cambiare rotta continuamente. In pratica, fare un cammino per circolo massimo significa percorrere varî tratti di lossodromia: si cambia, cioè, rotta ad intervalli prestabiliti: p. es. ogni 12h o ogni 24h, secondo la velocità della nave. Talvolta, specie per navi alla vela, anche indipendentemente dal minore percorso, il circolo massimo può convenire per approfittare di favorevoli condizioni meteorologiche.
Per la navigazione ortodromica sono molto comode le carte gnomoniche, cui si è innanzi accennato, le quali presentano il vantaggio sulla carta mercatoriana che i circoli massimi sono rappresentati da rette. Ogni carta contiene le norme dettagliate per il suo uso.
Si traccerà la rotta che unisce il punto di partenza con quello di destinazione sulla carta gnomonica; da questa si ricaveranno le coordinate di un sufficiente numero di punti, che si riporteranno sulla carta di Mercatore; da quest'ultima si avranno gli elementi per la navigazione. Questo è il metodo più spiccio e più comodo; però tutti gli elementi occorrenti per la navigazione ortodromica possono ricavarsi dal calcolo.
Determinazione per mezzo del calcolo degli elementi dell'arco di circolo massimo. - Si usano le stesse notazioni del Manuale dell'ufficiale di rotta, già citato (fig. 14).
A punto di partenza, B punto di destinazione, V il vertice (punto - dell'arco di circolo massimo - che ha la massima latitudine);
Nel triangolo sferico formato fra il Polo elevato e i due punti A e B, si indichi con a l'angolo PAB.
D la distanza ortodromica fra A e B in miglia marine, M un angolo ausiliario tale che
Si avrà:
Sostituendo alle coordinate di A quelle di B, si ottiene la rotta iniziale per andare da B ad A; gli altri elementi sono gli stessi che per andare da A a B. Si deve fare attenzione ai segni. Se i punti sono in emisferi diversi si assumerà la latitudine di uno dei punti come positiva e quella dell'altro come negativa.
Qualora dal calcolo risulti Δλv o Δλv negativa, significa che il vertice giace dalla parte opposta alla direzione AB o BA. Ottenute le coordinate del vertice (ϕv, λv) si ricavano agevolmente le coordinate di un punto qualsiasi e quindi di una serie di punti del circolo massimo. Se si vogliano, p. es., determinare le latitudini di una serie di punti K, K′, K″... di nota longitudine, si avrà:
E si possederanno così le coordinate dei punti occorrenti per tracciare il circolo massimo sulla carta mercatoriana.
Queste ultime formule servono pure nel caso del percorso misto quando non si voglia oltrepassare un dato parallelo di latitudine. Allora si determinano con il calcolo due archi di circolo massimo, l'uno passante per A e con il vertice su tale parallelo limite, l'altro passante per B e avente pure il vertice su tale parallelo. Le due formule
offrono la longitudine dei due punti limiti della navigazione per ortodromia.
Bibl.: V. astronomia, V, p. 146.
Navigazione aerea.
La navigazione aerea studia gli strumenti di osservazione necessarî per mantenere e controllare le rotte prefissate, i dispositivi atti a impedire che l'aeromobile assuma assetti pericolosi in volo, e infine le condizioni perché esso possa sempre partire o atterrare qualunque sia la visibilità. Gli strumenti e i sistemi di navigazione aerea derivano da quelli usati nella navigazione marittima, però con sostanziali modifiche e perfezionamenti. Fra tali sistemi è di particolare interesse quello del volo strumentale per la navigazione notturna senza stelle e nella nebbia, mentre in condizioni di visibilità di punti del terreno sorvolato o di astri (navigazione osservata) le difficoltà sono minori e i metodi simili a quelli della navigazione marittima (v. sopra).
Navigazione nella nebbia. - Presenta tre gravi difficoltà: 1. il controllo del velivolo per mantenerlo continuamente in assetto non pericoloso; 2. l'orientamento; 3. l'atterramento. Le prime due sono oggi completamente superate; non così per la terza, che offre un problema di eccezionale interesse per la sicurezza e quindi lo sviluppo della navigazione aerea. [1. Nella nebbia è molto difficile al pilota giudicare e correggere opportunamente l'assetto del velivolo affidandosi soltanto ai suoi sensi, . perché, mancando la visione dell'orizzonte, manca la percezione della verticale vera. Mediante le indicazioni di appositi strumenti di bordo gli è invece possibile: a) mantenere il velivolo in volo su una traiettoria rettilinea orizzontale o inclinata di un certo angolo, senza sbandamenti trasversali; b) eseguire la virata con inclinazione trasversale appropriata, perché il velivolo non scivoli verso l'interno della curva, né derapi verso l'esterno; c) mantenere in ogni caso l'apparecchio oltre la velocità minima per evitare pericoli di avvitamento e, nella picchiata, al disotto della velocità massima consentita dalla robustezza costruttiva. La velocità propria è contata rispetto all'aria in cui l'apparecchio naviga (anche se in moto rispetto alla terra); la velocità effettiva o assoluta è contata rispetto alla terra, ed è la risultante della velocità propria e di quella dell'aria. L'indicazione della velocità propria riguarda la correttezza dell'assetto, quella della velocità effettiva interessa la navigazione propriamente detta.
Il complesso degli strumenti usabili è costituito da: a) un indicatore di virata; b) un indicatore di sbandamento; c) un indicatore di salita e discesa; d) un indicatore di velocità propria.
L'indicatore di virata consta essenzialmente di un giroscopio sospeso in modo che il suo asse possa muoversi soltanto nel piano perpendicolare all'asse longitudinale del velivolo: esso denunzia soltanto la rotazione di virata del velivolo perché il suo asse, mantenendosi sempre parallelo alla direzione iniziale, non dà indicazione di sorta se il volo è rettilineo o se il velivolo beccheggia; se vira, l'asse del giroscopio apparentemente ruota di un certo angolo rispetto alla posizione iniziale (è il velivolo invece che ruota) in un senso o nell'altro a seconda del senso della virata. Quando il velivolo torna in volo rettilineo, anche il giroscopio ritorna alla posizione di prima richiamatovi da apposita molla.
Un indice rivela sul quadrante dello strumento i movimenti dell'asse; se il volo è rettilineo l'indice è sullo zero della graduazione; se si sposta a destra o a sinistra dello zero vuol dire che il velivolo vira a destra oppure a sinistra.
L'indicatore di sbandamento consiste comunemente in un tubetto di vetro sagomato ad arco di cerchio, con la concavità verso l'alto, disposto trasversalmente alla direzione di marcia del velivolo; una sferetta nel suo interno agisce come un pendolo trasversale, il suo movimento nelle oscillazioni è ammortizzato da apposito liquido posto dentro il tubetto; gli eventuali spostamenti della sferetta corrispondono a inclinazioni trasversali dell'aeroplano. Se il velivolo vira correttamente, la sferetta non si muove perché la verticale apparente, secondo la risultante della gravità e della forza centrifuga, giace ancora nel piano di simmetria del velivolo sul quale trovasi anche la sferetta. Se invece la virata non è corretta, ossia se c'è sbandamento, la sferetta si sposta.
L'indicatore di salita e discesa o variometro (ingl. climb) può dirsi la derivata dell'altinletro. Mentre infatti questo indica la quota alla quale l'aeroplano vola in un certo istante, l'indicatore di salita e discesa indica la variazione di quota nell'unità di tempo, e cioè la velocità di salita o di discesa del velivolo. È costituito da una capsula manometrica, di forma simile a quella dell'altimetro, che si deforma quando varia la pressione esterna, cioè quando l'aeroplano sale o discende di quota, perché la pressione dell'aria contenuta internamente alla capsula stessa non può equilibrarsi subito, attraverso un foro capillare in essa praticato, con la pressione esterna. Le deformazioni della capsula proporzionate alla variazione di quota nell'unità di tempo sono riportate, a mezzo di un indice, sul quadrante dello strumento che porta segnato lo zero in corrispondenza della posizione di equilibrio della capsula corrispondente al volo orizzontale.
Infine l'indicatore di velocità propria o anemometro, dà la velocità del velivolo riferita all'aria in cui si muove (v. aerodinamica). Il quadrante dello strumento può essere graduato in velocità, ma per un determinato valore della densità dell'aria, ad esempio quello corrispondente alla quota zero (pressione 760 mm. di mercurio, temperatura 150), una tale graduazione non corrisponde più se varia la quota, perché varia la densità dell'aria; nota questa, peraltro, è possibile apportare ai numeri della graduazione la necessaria correzione per dedurne le velocità corrispondenti alla quota effettiva di navigazione.
Ma per quello che riguarda il controllo dei limiti di velocità entro i quali dev'essere mantenuto l'aeroplano, la correzione anzidetta non si deve fare, perché la sua indicazione definisce il regime di volo dell'aeroplano, indipendentemente dalla quota e dal motore: basta che sul quadrante siano indicate: la velocità minima, al disotto della quale c'è pericolo di avvitamento, e la velocità massima, oltre la quale c'è pericolo di rotture.
Ecco ora come, per mezzo di questi strumenti, si può controllare l'assetto del velivolo.
a) Per mantenere il velivolo in volo rettilineo orizzontale senza inclinazione trasversale, il pilota, agendo sui comandi, mantiene a zero l'indice dell'indicatore di virata, nel centro la sferetta dello sbandometro, a zero il variometro; se invece vuole salire o scendere farà segnare a questo l'inclinazione che vuol dare alla traiettoria; b) per eseguire la virata corretta il pilota, agendo sui comandi, manterrà costante la segnalazione dell'indicatore di virata (a destra o a sinistra dello zero a seconda che si tratti di virata a destra o di virata a sinistra), procurando che resti sempre al centro la sferetta dello sbandometro; c) sia nel volo rettilineo, orizzontale, ascendente o discendente, sia nel volo in curva, l'indice dell'anemometro dev'essere sempre contenuto, agendo opportunamente sui comandi del velivolo e del motore, entro le due posizioni limiti corrispondenti alla velocità minima e massima del velivolo.
I quattro strumenti del "volo alla cieca" debbono essere razionalmente sistemati a bordo, in modo che il pilota ne abbia presenti le indicazioni e possa quasi istintivamente effettuare le manovre necessarie. Un esempio di razionale raggruppamento del complesso descritto, adoperato dai velivoli italiani della "Crociera del Decennale", è rappresentato nella fig. 15.
La razionalità del raggruppamento consiste nell'aver sistemato la graduazione dell'indicatore di virata subito sotto la bussola, perché i due strumenti s'integrano a vicenda; nell'avere accostato, per la stessa ragione, il più possibile, lo sbandometro all'indicatore di virata; nell'avere disposto orizzontalmente la graduazione dell'indicatore di virata che regola la manovra del timone di direzione, il cui comando, azionato dai piedi del pilota, è disposto orizzontalmente a bordo; nell'avere infine disposto verticalmente le graduazioni del variometro e dell'anemometro che regolano la manovra dei timoni di quota, oltre quelli del motore, i cui comandi si muovono in piano verticale.
2. Fino a non molti anni fa la bussola magnetica era l'unico strumento a disposizione per l'orientamento; essa è però soggetta a molte cause di errori, riducibili mediante la "compensazione" (v. bussola: Bussole per aviazione), ma non completamente eliminabili. Inoltre la bussola non può segnalare se un aeroplano "deriva", e di quanto, per effetto del vento. Nel volo nella nebbia sono poi da temere alcuni comportamenti anormali della bussola magnetica (bussola "pigra" o bussola "brutale") nel segnalare le "accostate". Sono perciò necessarî altri strumenti capaci di denunziare sempre l'entità delle minime accostate dell'aeroplano.
Risponde allo scopo uno strumento di recente realizzazione, che fu usato nella Crociera del Decennale, cioè l'indicatore giroscopico di direzione, che offre, sull'indicatore di virata, il pregio di essere più sensibile ai piccoli cambiamenti di direzione e di far conoscere l'angolo di accostata, che l'indicatore di virata non è capace di dare. L'indicatore di direzione, o indicatore di azimut, è un giroscopio, libero di muoversi in tutti i sensi nello spazio, portante una corona circolare graduata da 0° a 360°, come la rosa della bussola. Esso richiede una continua regolazione, perché, a causa principalmente degli attriti e in parte per effetto della rotazione terrestre, l'asse del giroscopio devia, dopo un certo tempo, dall'orientamento a esso dato. L'indicatore di azimut non è dunque di un grande aiuto per la navigazione nella nebbia, perché non risolve completamente il problema dell'orientamento, essendo incapace di denunziare se l'aeroplano deriva a causa del vento e di quanto: mentre la conoscenza della deriva è assolutamente necessaria nelle lunghe navigazioni perché, p. es., solo 10° di deriva, dipendenti da un "vento di traverso" di soli 10 metri al secondo, possono portare, alle velocità odierne, dopo un paio d'ore di navigazione, a uno scartamento di un centinaio di chilometri dalla rotta prefissata. Disgraziatamente nessuno strumento di bordo è capace finora di dare l'indicazione della deriva senza riferimenti esterni; e nella navigazione nella nebbia, solo la radio può risolvere le accennate difficoltà nell'orientamento; e ciò mediante il radiogoniometro, che è una stazione radio ricevente, capace di individuare la provenienza delle onde elettromagnetiche emesse da una stazione radio trasmittente.
L'installazione di un radiogoniometro a bordo di un velivolo presenta diverse difficoltà, dovute all'influenza che i corpi conduttori (fili e masse metalliche) vicini al radiogoniometro possono avere sulle onde elettromagnetiche in arrivo. Ma gli errori che in tal modo si producono possono essere corretti e compensati. Altri errori invece, dovuti a cause esterne, come ad es. la diversa velocità di propagazione delle onde sul suolo e sul mare ("rifrazione della costa"), che produce deviazioni dei raggi d'onda in arrivo, sono più difficilmente valutabili.
A parte queste cause di errori, il radiogoniometro è il mezzo più sicuro per mantenere costantemente il velivolo con l'orientamento esatto sulla località di arrivo. Questo sistema di navigazione viene denominato volo guidato in direzione di una stazione trasmittente". Molti altri problemi della navigazione nella nebbia possono essere risolti dal radiogoniometro di bordo, tra i quali quello della "determinazione del punto" in cui si trova il velivolo in un determinato istante, per mezzo dei rilevamenti radiogoniometrici di due stazioni trasmittenti di ubicazione nota. Il volo guidato, la determinazione del punto e gli altri problemi della navigazione possono essere risolti da stazioni radiogoniometriche terrestri, quando non sia possibile l'installazione del radiogoniometro a bordo, ma il velivolo possa essere munito di stazione radiotrasmittente e ricevente: le operazioni di rilievo, sui segnali lanciati dal velivolo, vengono fatte a terra dalle stazioni e i risultati trasmessi per radio all'aeroplano.
Un'interessante applicazione di volo guidato da terra è offerta dai radiofari, che sostituiscono i fari in caso di nebbia; essi, inveee di raggi luminosi, emettono raggi hertziani. Esistono varî tipi di radiofari: radiofari non direttivi, adoperati per facilitare al velivolo la localizzazione del terreno di atterramento in caso di nebbia; radiofari direttivi, di più grande portata, che servono invece all'orientamento. Esistono già ricevitori luminosi che indicano al pilota, senza necessità di altre operazioni, se egli naviga sull'orientamento esatto del radiofaro o da quale parte è scostato.
3. L'atterramento è un'altra difficoltà del volo nella nebbia ma il problema si presenta meno preoccupante perché, in grazia del complesso di strumenti già descritto, è possibile assicurare sempre, anche nella manovra di atterramento, l'assetto corretto e voluto di un velivolo. Si cerca pertanto di realizzare quei dispositivi che permettano: a) di localizzare e delimitare esattamente il terreno di atterraggio; b) di individuare la quota del velivolo rispetto al suolo.
Si è accennato ai "localizzatori" di campo parlando dei radiofari; i "delimitatori" sono ancora allo stato sperimentale; è invece correntemente usato a bordo uno strumento altimetrico basato sulle deformazioni di una capsula barometrica al diminuire della pressione esterna quando aumenta la quota di volo: deformazioni che vengono ampliate e registrate. Tale strumento non ha però grande precisione.
Presso quasi ogni nazione sono in studio gl'indicatori di quota sul terreno sottostante; quello che sembra più adatto allo scopo è basato sul principio della riflessione sul suolo di onde sonore emesse dal velivolo. Lo strumento, chiamato "altimetro acustico", è basato sullo stesso principio dell'"ecometro Marconi", usato come scandaglio a bordo delle navi.
Navigazione osservata. - Gli strumenti adoperati dai velivoli nella navigazione osservata sono simili, in generale, a quelli usati a bordo delle navi; così per quel che riguarda la navigazione astronomica propriamente detta. Non si può però non tener conto di varie esigenze diverse.
Per la navigazione aerea la facilità e la rapidità delle misure predominano sulla loro precisione: trovano perciò favore i mezzi di calcolo (tabelle, abachi, regoli calcolatori, ecc.) comodi e di pratico impiego, anche se conducono a risultati soltanto approssimati.
La caratteristica differenziale di un sestante per aviazione da un sestante marino è nella determinazione dell'orizzonte, passante per l'occhio dell'osservatore, rispetto al quale va riferita la "collimazione" dell'astro. Questa determinazione si presenta di grande difficoltà a bordo di un velivolo per la difficoltà di avere la nozione della verticale vera; infatti tutti i sistemi basati sulla gravità, come i pendoli, le livelle, ecc., sono soggetti alla verticale apparente (risultante dell'accelerazione di gravità e dell'accelerazione dovuta al moto vario). Si è tentato di risolvere il problema con sestanti muniti di dispositivi giroscopici; ma ne sono derivati strumenti complessi e ingombranti, di uso non pratico. La livella a bolla d'aria, comunemente usata, obbliga a utilizzare il sestante solo in condizioni di aria calma e in volo rettilineo senza sbandamenti.
Dispositivi automatici capaci di sostituirsi, entro certi limiti, al pilota nelle manovre sui comandi per correggere le deviazioni e gli errori di navigazione. - Nei lunghi voli, in condizioni non favorevoli per perturbazioni atmosferiche o per mancanza di visibilità, la manovra continua dei comandi, per mantenere l'assetto e per conservare la rotta ad una certa quota e ad un certo regime di motore, può diventare faticosa per il pilota. In questi casi l'autopilota è capace di sostituirsi vantaggiosamente all'uomo, intervenendo automaticamente nelle manovre per riportare sempre l'aeroplano nella posizione corretta e voluta antecedente alla perturbazione. L'autopilota può essere completo e realizzare col governo automatico dei timoni di direzione e di quota anche quello della stabilità laterale: di questo tipo sono, ad es., il correttore automatico Boykow, l'autopilota Siemens, l'autopilota Sperry, ecc.; o può invece limitarsi al comando automatico del solo timone di direzione, come la bussola giroscopica Anschütz; o dei soli timoni di direzione e di quota, come il correttore di rotta Smith, ecc.
Schematicamente, il principio che informa questi dispositivi automatici è lo stesso: alcuni organi dello strumento, in generale giroscopî, sono sensibili alle variazioni di direzione, di quota, di assetto laterale del velivolo e sono capaci di materializzarne la entità; altri soccorritori (relais) raccolgono, per così dire, queste variazioni e le riportano ai servomotori, che azionano materialmente i timoni nel senso e nell'entità voluta dai soccorritori: organi secondarî completano e perfezionano il funzionamento e l'accoppiamento di quelli principali, permettendo di escludere o innestare i comandi automatici e dando modo di far eseguire al velivolo perfino evoluzioni, mediante semplici spostamenti d'interruttori. Si prevedono ampie possibilità future di questi dispositivi, nelle loro applicazioni sia nel campo civile sia in quello militare.
Bibl.: L. Biondi e G. Santoro, Trattato elementare di navigazione aerea, Milano 1925; G. A. Crocco,Considerazioni sul volo nella nebbia, in Atti della Società per il progresso delle scienze, 1930, riunione 18ª; G. Simeon, Navigazione piana, Roma 1931; id., Navigazione astronomica, ivi 1931; id., Complementi di navigazine, ivi 1933.
Navigazione interna.
La navigazione interna si occupa del trasporto delle merci lungo i corsi d'acqua naturali e artificiali e studia i conseguenti problemi tecnici ed economici. Fra i primi vanno soprattutto ricordati la sistemazione dei fiumi, per render possibile il transito dei battelli, la creazione di canali con opere d'arte particolarmente adatte a far superare dai natanti i dislivelli naturali esistenti, l'impianto di apparecchi meccanici per il carico e lo scarico delle merci in apposite zone portuali o lungo l'asta dell'idrovia, i mezzi per la trazione delle barche; tra i secondi devono ricordarsi la determinazione del probabile traffico di nuove idrovie, del più conveniente tipo e dimensione di barca, in relazione alla natura del traffico, e quindi la convenienza del trasporto per idrovia rispetto ad altri mezzi di trasporto, in relazione alla natura delle merci.
A questo riguardo va fatto presente che, quantunque considerata nella sua essenza di mezzo di trasporto con barca, la navigazione interna possa vantare un primato di tempo come il più antico mezzo di trasporto adoperato, tuttavia, modernamente intesa, essa non ha nulla di comune con la spontanea utilizzazione della cadente naturale dei fiumi, secondo le concezioni antiche, ma possiede una sua propria fisionomia, che la rende particolarmente indicata in alcune regioni e per determinate merci e che ne fa soprattutto un valido ausilio come mezzo di penetrazione, d'irradiazione e di raccolta nell'entroterra dei porti marittimi.
Natanti e idrovie. - Come mezzi di trasporto vengono usate barche delle più varie forme e dimensioni. La necessità dell'unificazione e della correlazione esistente fra via e veicolo ha tuttavia condotto a stabilire delle forme tipiche, nell'infinita varietà dei natanti, resa questa ancor maggiore in Italia che altrove da ragioni storico-geografiche, che facevano della sua rete di navigazione interna fino a pochi decennî or sono tante piccole reti staccate, diverse di caratteristiche e di modalità costruttive. In seguito a tale unificazione, tenuta come massima la barca da 600 tonnellate, vennero assunte come dimensioni delle barche tipo le seguenti:
In Francia, in Germania, nel Belgio, in Olanda, vengono usate barche di dimensioni maggiori, fino a lunghezze anche superiori a un centinaio di metri e per portate anche di 1200 ÷ 1500 tonn. In Francia, ad es., le dimensioni delle barche tipo sono le seguenti:
Le accennate dimensioni vanno naturalmente interpretate non come norma assoluta, ma con carattere indicativo. Anche le dimensioni, come la forma, possono lievemente variare a seconda del tipo d'idrovia che la barca è destinata a percorrere e quindi delle difficoltà della navigazione: si potrà, cioè, scegliere una barca di buon carico (con elevato coefficiente di finezza, fino a 0,97 ÷ 0,98, di forma pressoché parallelepipeda) o di buon cammino (a prora e poppa molto rastremate e di forma snella); per i fiumi le barche hanno di solito immersione minore che le barche da canale di corrispondente tonnellaggio e offrono una grande resistenza, manovrabilità e robustezza, in relazione alla maggior violenza dei corsi d'acqua frequentati.
In linea di massima, dette rispettivamente L, l, i, la lunghezza, la larghezza e l'immersione a pieno carico, i rapporti medî fra i valori di queste grandezze sono:
In conseguenza delle dimensioni indicate per i veicoli, in Italia, dal Ministero dei lavori pubblici, con circolare della Direzione generale delle opere idrauliche n. 5509, div. 7, in data 13 ottobre 1922, su conforme voto n. 676 del Consiglio superiore dei lavori pubblici in data 15 maggio 1922, sono state fissate le seguenti dimensioni minime delle idrovie artificiali accessibili a natanti da 600 e da 300 tonnellate e delle loro principali opere d'arte (per le dimensioni delle conche, v. conca):
In relazione a quanto sopra, le dimensioni principali della sezione delle idrovie artificiali italiane di recente o di prossima costruzione sono le seguenti:
Particolare importanza, anche nei riflessi economici, ha fra le dimensioni dianzi accennate, il rapporto fra la sezione bagnata dell'idrovia e la sezione maestra immersa del natante. A esso è strettamente legata la resistenza che incontra il natante nel suo movimento e quindi il costo di trasporto. Quanto maggiore è l'accennato rapporto, tanto maggiore è la facilità del deflusso, ai lati e sotto la chiglia del natante, della controcorrente che si forma in senso opposto, e minore quindi la velocità della controcorrente medesima e perciò la resistenza che incontra il natante nel suo movimento.
La resistenza che incontra un battello, muovendosi in uno spazio acqueo idealmente illimitato (cioè, secondo Engels, con larghezza superficiale non minore di 15 volte la larghezza del battello e profondità non minore di 20 volte l'immersione del battello medesimo) può esprimersi (De Mas) mediante la ρ = (a + bi)v2,23 essendo i l'immersione, v la velocità di marcia, a e b due costanti caratteristiche per ogni nave o per ogni tipo di nave. A sua volta la resistenza R che incontra il battello nel suo movimento su un canale può esprimersi mediante la R = n•ρ dove n (coefficiente di resistenza proprio dell'idrovia considerata) ha valori sempre maggiori dell'unità, ma tanto più prossimi a questa, quanto maggiore è l'anzidetto rapporto fra le due sezioni dell'idrovia e della barca. Prevalente importanza nel valore di n ha l'altezza del cuscino d'acqua sotto la chiglia della barca; si è anzi sperimentalmente dimostrato (Taylor) che la resistenza al movimento in un canale non è maggiore di quella in acque profonde, purché il fondale p abbia valori non minori dell'espressione p = 2,98 vi/VL, dove v è la velocità in km. all'ora, L la lunghezza in metri del battello al galleggiamento, i l'immersione in metri. (Per L = 65 metri, e i = 1,75 metri, si otterrebbe p = 3,23 e p = 3,88, rispettivamente a seconda che la velocità di marcia sia v = 5 km./ora = 1,39 m./sec. o v = 6 km./ora = 1.67 m./sec.). In linea pratica, a seconda che il fondale p abbia valori maggiori o minori del valore limite sopra indicato, la resistenza di un battello al movimento può essere data (Gebers) da:
dove i simboli hanno i seguenti significati: K = coefficiente per la resistenza di forma (variabile fra 1,7 per barche vuote e di forma sottile e 3,5 per barche a pieno carico e poco affilate); a = area della sezione maestra immersa della barca in mq.; λ = coefficiente per la resistenza di attrito e per la formazione dei vortici (variabile fra 0, 14 per barche in ferro ben verniciato e 0,28 per barche in legno non lisciato); f = area della carena immersa in mq.; fa = area bagnata delle murate in mq.; fb = area bagnata del fondo in mq.; λb = coefficiente per la resistensa d'attrito e per la formazione dei vortici relativo al fondo (variabile fra 0,35 e 0, 14 a seconda che l'altezza del cuscino d'acqua sotto la chiglia varia fra m. 0,25 e m. 1);
nella quale a sua volta v è la velocità della barca in m./sec., A l'area della sezione bagnata del canale, ωs l'area media della depressione che si manifesta ai lati all'atto del passaggio del natante; quest'ultima infine può valutarsi (Thiele) mediante la
in cui è
la velocità dell'acqua rifluente ai bordi del natante e g l'accelerazione della gravità.
Il movimento dei natanti sulle idrovie può effettuarsi: utilizzando la corrente naturale del fiume (deriva) o il vento (vela) nelle zone piatte e di pianura, oppure con la trazione a mezzo di uomini (collo d'uomo) o di animali (alaggio animale) o di mezzi meccanici (alaggio meccanico), che si muovono su apposita strada (via alzaia o di alaggio) costruita su uno degli argini del canale a un'altezza di circa 60 centimetri al di sopra del livello liquido, o infine con l'azione di motori installati a bordo della stessa barca o, più di frequente, su altro natante, cui è commessa puramente la funzione di rimorchio. In relazione al tipo dell'idrovia e all'intensità del traffico va scelto il tipo di motore per la trazione.
Il rimorchiatore, ad es., è adatto meglio per fiumi che per canali e può raggiungere velocità anche considerevoli (circa 10 ÷ 15 km./ord); la sua potenzialità è commisurata alla resistenza R, espressa secondo la formula di Gebers, mediante la P = Rv/75e dove P è la potenza in HP dell'apparato motore, v è la velocità di marcia in m./sec. ed e un coefficiente variabile secondo il tipo e il numero dei giri dell'elica del rimorchiatore (e = ~0,21 per rimorchiatore a due eliche in tunnel, a 260 ÷ 330 giri al minuto, all'ordinaria velocità dei convogli di navigazione interna). Quando si impieghino rimorchiatori, di solito non ci si limita al traino di un solo battello, ma di un intero convoglio. In tal caso la composizione più conveniente del convoglio è quella con natanti a contatto o a minima distanza (in pratica di 5 ÷ 10 metri, sufficienti a evitare urti e collisioni). Il numero più conveniente di battelli per un convoglio è quello di due natanti (a meno di non diminuire la velocità di marcia), per non accrescere troppo la resistenza che incontrano gli ultimi battelli e che aumenta rapidamente, aumentando il numero di battelli, per la sempre maggior depressione e conseguentemente la maggiore intensità della controcorrente.
Nell'alaggio animale la potenza richiesta al motore varia in ragione del tonnellaggio del natante e della velocità di marcia. Due uomini trainano un battello da 100 tonn. a una velocità di m. /sec. 0,40 ÷ o,50, un cavallo traina un natante da 200 tonn. a una velocità di m./sec. 0,60 ÷ 0,70; il percorso giornaliero varia nei due casi fra 10 ÷ 15 km. e 15 ÷ 25 km.
L'alaggio meccanico con speciali impianti ferroviarî sulla via alzaia è conveniente economicamente solo quando il traffico sia notevole (in linea pratica non inferiore a. 3.000.000 di tonnellate di merci per anno).
Idrovie naturali e artificiali. - Lo studio della tecnica costruttiva delle idrovie naturali costituisce un capitolo delle costruzioni idrauliche (v. canale; conca).
Nelle idrovie naturali (fiumi) il fondale minimo necessario per il transito delle barche si può ottenere o con la canalizzazione (costruzione di sbarramenti da tenersi chiusi nelle magre) o con la regolarizzazione. Le idrovie artificiali (canali) si calcolano con le comuni norme idrauliche; se i due capilinea presentano un notevole dislivello, il collegamento viene fatto con due tratti di canale orizzontali, raccordati da una conca di navigazione. L'esercizio del canale dà luogo a un consumo d'acqua per le manovre della concata e per le perdite per evaporazione e filtrazione; l'alimentazione va commisurata a tali perdite, tenuto conto del tronco ove il traffico è più intenso e del periodo in cui le perdite sono maggiori.
Le opere d'arte delle idrovie sono analoghe a quelle delle altre costruzioni idrauliche, fatta eccezione delle conche di navigazione che costituiscono un manufatto specificamente proprio di tale genere di canali e fiumi e che solo in rari casi è sostituito da ascensori o elevatori, variamente azionati.
Agli effetti giuridici e amministrativi in Italia la legge 2 gennaio 1910, n. 9, sulla navigazione ha diviso tutte le idrovie in quattro classi, assegnando alla prima quelle la cui navigazione presenta un prevalente interesse di difesa militare (le spese di queste sono a totale carico dello stato), alla seconda quelle che da sole, o collegate tra loro, formano linee di navigazione che mettano capo ai porti marittimi o parificati ai marittimi e giovino al traffico di un esteso territorio (in queste le opere di ristabilimento sono a carico dello stato, le opere nuove sono eseguite dallo stato, ma per 2/5 della spesa sono a carico delle provincie e dei comuni interessati in proporzione del relativo interesse); alla terza classe le linee navigabili che, pur non avendo i requisiti di quelle della seconda, giovano al movimento commerciale di centri abitati considerevoli per industrie e prodotti agricoli (le spese di queste sia per il ristabilimento che per la manutenzione come per le opere nuove sono a carico del Consorzio delle provincie e dei comuni interessati, col concorso dello stato per 2/5 della spesa); alla quarta classe infine tutte le restanti linee (in queste il concorso dello stato nelle spese può variare fra un minimo di 2/5 e un massimo di 2/5).
Esclusa ogni linea della prima classe, con decr. luog. 31 maggio 1917, n. 1536, e con successivo r. decr. 4 ottobre 1929, n. 2469, furono classificate le seguenti linee navigabili di 2ª classe:1. Torino-Sesto Calende-Lago Maggiore-Domodossola (Lago Maggiore); 2. Torino-Casalmonferrato-Pavia (Po e Ticino); 3. Torino-Savona; 4. Sesto Calende-Abbiategrasso-Pavia (Ticino, Naviglio Grande e Naviglio di Bereguardo); 5. MilanoAbbiategrasso (Naviglio Grande); 6. Lago di Mezzola-Lago di Como-Lecco-Trezzo-Milano-Pavia (Lago di Mezzola, Canale di Mezzola, Lago di Como, Adda, Naviglio della Martesana, Naviglio di Pavia); 7. Milano-Lodi-Fiume Adda-Fiume Po-Conca di Brondolo (Adda, Po, Naviglio di Cavanella Po, Po di Levante, Canale di Loreo, Adige, Canale di Valle, Sostegno di Brondolo); 8. Pavia-Piacenza-Cremona (Ticino e Po); 9. Lago d'Iseo-Brescia-Canneto-Fiume Po (Oglio); 10. Confine austriaco-Verona-Badia Polesine; 11. Vicenza-Padova-Fusina (Bacchiglione e Canale da Padova a Fusina), 12. Mirano-Mira-Laguna (Canale di Mirano e Canale Nuovissimo); 13. Treviso-Litoranea Veneta (Sile, Canale Sioncello, Canale Fossetta), 14. Pordenone-Litoranea Veneta (Noncello e Meduna); 15. Udine-Litoranea Veneta (Stella); 16. Po-Bondeno-Ferrara-Primaro (Primaro e Canale di Primaro); 17. Bologna-Traghetto (Canale Naviglio fino al Reno); 18. Pontelagoscuro-Ferrara-Codigoro-Rada di Goro (Canale di Volano), 19. Po-Ariano-Codigoro-Primaro-Porto Corsini (Po di Goro); 20. Livorno-Pisa-Firenze (Canale dei Navicelli e Arno); 21. Livorno-Pontedera; 22. Firenze-Trasimeno-Orte; 23. Viareggio-Pisa (Canali Burlamacca, Venti e Malfante); 24. Lucca-Isola-Arno-Fornacette; 25. Terni-Orte-Roma-Tirreno (Tevere e Canale di Fiumicino); 26. Ostia-Grosseto-Castiglione della Pescaia; 27. OrbetelloRada di Santa Liberata; 28. Piano di Orte-Porto di Pescara; 29. Amorosi-Capua-Cancello-Acerra-Napoli; 30. Catanzaro-Marina-Sant'Eufemia Marina; 31. Cagliari-Campidano di Cagliari; 32. Caltanisetta-Licata; 33. Pavia-Genova; 34. Verona-Lago di Garda; 35. Tartaro-Canale Bianco-Po di Levante e diramazioni per Ostiglia, Legnago, Villanova del Ghebbo, Badia Polesine e Polesella (Tartaro, Canal Bianco, Po di levante, Fossa e Fossetta di Ostiglia, Naviglio Busse, Canale Scortico, Naviglio Adigetto e Fossa Polesella); 36. Latisana-Litoranea Veneta (Tagliamento); 37. Portogruaro-Litoranea Veneta (Lemene); 38. Zenson-Treviso-Litoranea Veneta (Piave, Canale Intestadura); 39. S. Donà di Piave-Litoranea Veneta (Piave); 40. Mestre-Marghera (Canale di Mestre); 41. Brenta-sbocco nella Vicenza-Padova-Fusina (Brenta e Canale Brentella); 42. Albettone-Este-Monselice-Padova (Canali Bisatto, Este-Monselice e di Battaglia); 43. Padova-Bovolenta (Bacchiglione); 44. Battaglia-Bovolenta-Brondolo (Canali Sottobattaglia, Cagnola e Pontelongo, Nuovo Bacchiglione); 45. Tre Canne-Brondolo (Gorzone); 46. Modena-Bondeno (Naviglio di Modena e Panaro); 47. Firenze-Prato-Pistoia-Buggiano-Altopascio-Lucca-Pisa; 48. Buggiano-sbocco nella Firenze-Pontedera (Canale del Terzo, Canale Maestro del Padule di Fucecchio, Canale di Usciana); 49. Decimomannu-Cagliari, 50. Acerra-Nola-Striano-Torre Annunziata; 51. Fiume Adige dal confine con la Provincia Veronese al Ponte di Vadana; 52. Prolungamento della Litoranea Veneta da Porto Buso all'Isonzo (Sdobba); 53. Diramazioni dalla linea precedente da Cervignano (Aussa), per Aquileia (Canale delle Mee e Natissa) e Belvedere di Grado; 54. Allacciamento Aquileia-Porto Buso (Terzo e Canale Anfora).
Di tutte queste numerose linee solo la Livorno-Pisa, la Roma-Tirreno e, più specialmente, quelle della Valle Padana e della regione veneta vedono svolgersi un traffico abbastanza considerevole: a queste e in particolare alla linea Milano-Venezia, e a quelle della rete ferrarese e alle altre dell'immediato centroterra del porto di Venezia sono state indirizzate le attività del regime per la creazione di un moderno sistema d'idrovie, pronte ad assolvere la funzione economica loro commessa.
Esercizio e traffico. - Elementi necessarî per un comodo esercizio e per lo sviluppo di un traffico intenso sono la regolarità del transito delle barche sulle idrovie e la comodità degli approdi per le operazioni di carico e scarico.
Il primo elemento ha soprattutto importanza nei fiumi, dove la variazione delle portate porta con sé una notevole variazione anche delle altezze idrometriche e quindi dei fondali. Accurate osservazioni giornaliere devono garantire in ogni punto alle barche il comodo passaggio.
Nel Po, ad es., la navigazione è favorita dalle indicazioni di tabelle e da segnali che sono opportunamente spostati in seguito ai rilievi di squadre di meatori che giornalmente percorrono un tratto di fiume di circa 20 km di lunghezza. La segnalazione della linea di rotta è fatta con segnali su sponda e in alveo: i segnali su sponda (in legno di forma quadrata con diagonale verticale, con strisce bianche e rosse) indicano che nella località arriva il filone proveniente dalla sponda opposta a monte e si allontana per avvicinarsi alla sponda opposta a valle, se i lati rossi sono di fianco; nel caso che il filone prosegua per lungo tratto lungo la stessa piarda si pongono segnali simili con i due lati rossi in basso. Fra una battuta e l'altra sulle sponde opposte, la linea di massimo fondale è indicata in alveo da paline provviste di bandierine rosse, disposte sulla destra del filone per chi scenda da monte a valle, a una distanza di 20 metri circa dal filone stesso. La segnalazione con segnali luminosi e acustici per la notte e nei periodi di nebbia è fatta in modo e con mezzi analoghi a quelli dei porti marittimi.
Per il carico e lo scarico delle merci, che si può del resto effettuare lungo tutta l'asta di un'idrovia, si creano porti e approdi, con annesse zone portuali, che, fatta eccezione del fondale assai minore, circa l'arredamento, hanno esigenze e caratteristiche analoghe a quelle dei porti marittimi. In relazione al minor fondale, i muri di sponda per l'accosto delle barche sono assai spesso di cemento armato a pali palancola o a struttura differente, quando addirittura non si ricorra a pontili che aggettino dalla riva per superare la scarpata della sottostante sponda del canale. I mezzi meccanici di carico e scarico sono quasi ovunque costituiti da gru e ponti scorrevoli, azionati da energia elettrica.
Il traffico delle vie acquee interne è costituito per la grande maggioranza da merci pesanti, ingombranti e povere. La navigazione interna si presenta quindi assai fiorente quando si svolga attraverso zone pianeggianti che collegano ai porti marittimi regioni industriali o minerarie. Ciò è provato anche dai rilevamenti del traffico non molto notevole che vengono effettuati sulle idrovie italiane della regione veneta e della Valle Padana raggruppando le merci secondo la nomenclatura (adottata a Bruxelles nel 1913 per la statistica commerciale internazionale) in 12 categorie:1. cereali; 2. altri prodotti agricoli, animali; derrate; bevande; 3. concimi; 4. legname; 5. minerali; 6. ghisa, ferro, acciai grezzi; 7. altri materiali grezzi da costruzione, terre diverse; 8. petrolî; 9. carboni; 10. altri materiali grezzi o semilavorati; 11. ferro e acciaio lavorati; 12. altri prodotti confezionati.
Bibl.: F.B. de Mas, Rivières canalisées, Parigi 1903; id., Canaux, ivi 1914; A. Pallucchini, Tecnica della navigazione interna, Milano 1915; F. Engelhard, Kanal- und Schleusenbau, Berlino 1921; O. Jacquinot e F. Galliot, Navigation intérieure, Parigi 1922; G. U. Papi, Le vie acquee continentali, Milano 1922; G. Ferro, Navigazione interna, Padova 1927; Vitale, La navigazione interna in Italia, Roma 1933.
L'industria della navigazione.
Nello studio dell'economia marittima occorre distinguere tre epoche caratteristiche, in ciascuna delle quali la navigazione ha funzione diversa. Nella prima, che corre dalle origini della vita economica fino a tutto il sec. XVIII, i trasporti marittimi non esistono ancora come industria autonoma. La nave è solo un mezzo di trasporto, che rappresenta un elemento di costo nel conto complessivo del mercante, il quale naviga non per guadagnare il nolo, ma per sfruttare il divario dei costi comparati fra il suo paese e quello di esportazione e d' importazione. Nella persona del mercante si fondono così le varie qualità di commerciante, di navigatore, di guerriero e di diplomatico; manca però, quasi del tutto, quella di armatore nel senso odierno della parola. Ci sono, perciò, dei mezzi di trasporto, ma non c'è un'industria dei trasporti (Corbino); la navigazione è insomma un mezzo e non un fine (eccezione fatta per eventuali ragioni militari). Bisogna arrivare al periodo di rigoglio della marina olandese (v. olanda) per trovare, sia pure in proporzioni limitate, una vera industria autonoma dei trasporti marittimi.
Nella seconda fase, che arriva sino alla metà circa del sec. XIX gl'interessi del commercio e quelli dell'armamento andarono progressivamente separandosi. L'uso del noleggio da parte di associazioni di mercanti, proprietarie di navi, andò lentamente diffondendosi, in relazione anche al timido sviluppo dei traffici marittimi nel senso della qualità delle merci trasportate; solo quelle più ricche, infatti, potevano sopportare l'onere dell'elevato prezzo del trasporto via mare e le immobilizzazioni di capitali, dovute alla lunghezza dei viaggi. Andò gradatamente scomparendo, da parte dei mercanti, l'abito di accompagnare le proprie merci allo scopo di cercare un mercato o dirigerne la vendita; nacque allora la figura del "sopraccarico", al quale, a bordo, incombeva l'onere dei provvedimenti relativi alla compravendita del carico. Egli peraltro fu spesso sostituito dal capitano.
Nella terza fase, infine (era moderna), la navigazione diventa la base nota di una divisione mondiale del lavoro (Corbino). I traffici delle derrate alimentari, dei prodotti animali e minerali, delle persone, si sono enormemente sviluppati; ad accelerare l'aumento della domanda di trasporti contribuisce la grande riduzione del costo di esercizio in conseguenza dei progressi tecnici nelle costruzioni navali e dell'arte della navigazione: ciò che si traduce in un ribasso dei noli in tutto il periodo. Lo sviluppo predetto è anche dovuto all'introduzione del cavo telegrafico sottomarino; evento importantissimo, del quale si avvantaggia anche la tecnica dell'armamento, poiché l'armatore non deve contare più ciecamente sul capitano, sul sopraccarico o sull'agente, ma può tenersi quotidianamente in contatto sia con la nave, sia con la domanda di volume di stiva.
Soltanto nel periodo attuale, dunque, si ha la separazione netta e assoluta degl'interessi dell'armamento da quelli del commercio; benché oggi in parte rifioriscano vecchie forme di attività mercantile. Di questa rifioritura fanno fede i piccoli velieri tuttora addetti al traffico di cabotaggio, i cui capitani, non infrequentemente, sono anche commercianti; e, all'altro estremo, le grandi società per il trasporto di frutta o produttrici di petrolio, che hanno flotte proprie.
Nell'odierna fase dell'industria dei trasporti marittimi gli elementi concreti, gli organi, cioè, che costituiscono la struttura degli affari marittimi, sono personali e tecnici; da un lato abbiamo gli armatori, i sensali di noleggi, gli agenti di navigazione, i raccomandatarî di navi; dall'altro il naviglio, il mercato dei noli, e anche la valuta pecuniaria e fiduciaria.
L'armatore arma la nave per adibirla sia al servizio proprio, sia a quello di terzi, potendo assumere la veste di proprietario, o comproprietario, o semplicemente mandatario del proprietario. Egli, pertanto, oltre che adattare la nave per il viaggio da intraprendere, provvede a tutte le operazioni da farsi a terra nei porti di partenza, di scalo e di destinazione e alla migliore utilizzazione della nave stessa, attirando con tutti i mezzi passeggeri e carico, stabilendo i noli, dibattendoli con i caricatori. L'armatore, dunque, che assume interamente per suo conto i rischi inerenti ai trasporti marittimi, è lo strumento per mezzo del quale si attua la legge del minimo mezzo (Bisignani).
L'organizzazione dei trasporti esige grandi capitali, sia per la natura e lo sviluppo dei traffici, sia per il continuo aumento del costo delle navi. La necessità di maggiori finanziamenti per l'esercizio navale si è gradatamente ripercossa sull'importanza e sul numero degli armatori singoli, che sono spesso costretti a ricercare la compartecipazione del capitale altrui cedendo parte delle proprie carature; il piccolo armatore è stato quindi in parte soppiantato dalle società in nome collettivo, in accomandita e anonime. Queste ultime costituiscono la forma più adatta per la grandi società di navigazione.
Marina libera e marina di linea costituiscono i due grandi settori nei quali è ripartito l'armamento mondiale: il fondamento è comune ma ogni settore ha i suoi problemi specifici.
1. Marina libera. - Il naviglio da carico ad essa addetto è costituito dai cosiddetti tramps ("carrette", nel gergo marittimo italiano), da navi cioè senza itinerario fisso, che, in aspra e continua concorrenza, vanno in cerca di nolo in tutti i mari del mondo secondo le variabili condizioni del traffico. Si tratta di scafi in genere poco celeri (10 nodi), a basso costo di esercizio, di dimensioni non eccessive (8-9.200 tonn., 25 piedi d'immersione sono le misure medie preferibili odierne), tali da consentire l'accesso di un grande numero di scali. La caratteristica di queste navi è dunque la completa indipendenza dalle abitudini e il massimo sfruttamento dei viaggi a seconda delle possibilità che via via si presentano. Il problema essenziale è costituito dall'incontro fra domanda e offerta di volume di stiva; è da rilevare che, a facilitarlo, ogni porto nel quale abitualmente si contratta tonnellaggio navale costituisce un mercato dei noli, locale o internazionale, a seconda dell'importanza degli affari che vi si trattano. Tutti i porti col totale della loro domanda e della loro offerta formano peraltro il mercato mondiale dei noli, che si concentra a Londra, dove da ogni parte del globo affluiscono al "Baltic Exchange" e al "Lloyd" per tramite di appositi agenti, notizie, domande, offerte e prezzi che vengono comunicati prontamente, dappertutto, a tutti gl'interessati. Londra è dunque il supremo mercato regolatore, i suoi noli si può dire rappresentino quasi gl'indici che servono di norma a tutti i paesi.
L'incontro fra nave e carico, nei diversi mercati, è agevolato da un grandissimo numero di "sensali di noleggio" (shipbrokers). Dotati di moltissime conoscenze specifiche nei riguardi dell'andamento dei raccolti, della situazione commerciale ed economica dei vari paesi, del numero delle navi esistenti nei diversi oceani, in cerca di noleggio, ecc.; provvisti di corrispondenti dai quali ricevono telegrafiche informazioni relative al traffico marittimo, essi compiono una vera funzione d' intermediazione fra la richiesta e l'offerta di volume di stiva; per opera loro ogni variazione della domanda si riflette sui noli, che ribassano quando l'offerta di tonnellaggio supera la richiesta, rialzando nel caso inverso. I brokers esplicano il proprio mandato dietro incarico, corredato dalle necessarie istruzioni, ricevuto dai noleggianti o dai noleggiatori; il compenso è costituito da una percentuale (5% di solito; ma anche meno) nelle transazioni compiute per loro tramite. È da aggiungere che l'attività dei sensali non si limita normalmente alle operazioni di avvicinamento fra armatori e noleggiatori; essi compiono anche affari di mediazione nella compravendita di navi, ecc.
Ma se il broker procura il nolo, la cura degl'interessi dell'armatore in genere è affidata agli agenti di navigazione e ai raccomandatarî, stabiliti nei porti di destinazione o di scalo delle navi che al primo appartengono. Il campo dell'attività di questi due "organi personali", che hanno funzioni analoghe, è assai vasto. In sostanza essi provvedono all'amministrazione della nave e rappresentano l'armatore rispetto ai terzi, assistendolo anche davanti alle autorità per tutto quanto riguarda il contratto di trasporto. Ma il compito dell'armatore addetto al tramping non si esaurisce col ricorso al sensale e all'agente. È vero che non è richiesta una elaborata organizzazione e amministrazione per gestire le "carrette"; ma le qualità richieste nell'armatore di tramps, per il successo, non sono poche: conoscenza pratica dell'armamento, iniziativa, prontezza ad assumere il rischio, cura di contenere nei limiti più ristretti possibili il costo di esercizio. Dal connubio di queste facoltà è sorto un singolare tipo di piccolo, o relativamente piccolo armatore: si tratta di modeste aziende sparse nei varî centri marittimi, a tipo prevalentemente familiare. Chi dirige l'azienda è quasi sempre uno dei principali interessati; l'impianto amministrativo è della massima semplicità ed economia (Becchi).
Un problema importantissimo per tutti i settori dell'armamento, ma centrale per la marina libera, destinata a vivere in una lotta profonda e accanita di concorrenza internazionale, è quello del costo di esercizio.
Gli elementi di questo sono, in genere, i seguenti (Corbino):
a) Interesse del capitale investito nella nave e quota adeguata di ammortamento. - L'onere dell'interesse è andato riducendosi con l'andare del tempo, in conseguenza del graduale ribasso del saggio. Esso è naturalmente variabile e diminuisce a mano a mano che il capitale investito si ammortizza.
Quanto all'ammortamento, la nave è un bene economico che si deprezza rapidamente. È di grande importanza determinare a tempo l'epoca entro la quale il valore di essa dovrà essere portato a quello di demolizione. Ma la determinazione non è facile, variando i criterî secondo il tipo di nave, ed essendo altresì discussi i principî stessi della valutazione.
b) Spese vive di esercizio costituite da equipaggi, combustibili, spese portuali e varie imposte dalla navigazione; assicurazione. - Il costo dell'equipaggio (paghe, panatiche, alloggio, oneri sociali) varia secondo la grandezza e il tipo della nave, e proporzionalmente al costo di essa e al complesso delle spese per armamento; cresce con il diminuire della grandezza (Albini). Si può comunque ritenere che, su una nave da carico nuova di oltre 5000 tonn. di stazza, il solo complesso di paghe e panatiche oscilli sul 5% del costo della nave.
Il costo del combustibile è in funzione della natura del combustibile stesso, della potenza dell'apparato motore, del consumo per cavallo ora e della velocità (variando col cubo di questa); ogni nave ha la sua "velocità economica" e ogni traffico ha la propria. La sola spesa del combustibile oscilla generalmente. in un piroscafo da carico di 8000 tonn., su 1/4 o 1/5 del costo di esercizio; essa tende attualmente a ridursi, in seguito al continuo perfezionamento dell'apparato motore, all'uso del vapore surriscaldato, ecc.
Le spese varie sono rappresentate dai "consumi" (sborsi che non rientrano nella categoria delle spese di manutenzione e che sono in diretto contatto con l'armamento, illuminazione, acqua e lubrificanti per gli ausiliarî, ecc.), dallo stivaggio e disistivaggio della merce, dal pilotaggio, dai diritti di agenzia, dalle tasse marittime, dai diritti di transito per i canali, ecc. Si aggiunga poi l'assicurazione, il cui premio varia secondo le condizioni della nave (età e classifica), il genere dei trasporti, ecc.
c) Quota per piccole riparazioni e spese di manutenzione. - Queste ultime variano sia in dipendenza dei criterî degli armatori, sia in relazione all'età della nave, sia secondo gli anni.
d) Spese generali o irriducibili. - Sono quelle del locale per la sede dell'impresa, quelle per l'amministrazione, quelle di rappresentanza, imposte, sborsi varî. Tali elementi del costo di produzione sono ridotti al minimo per gli armatori di tramps.
Uno sguardo sintetico sul costo di esercizio di un piroscafo da carico da 8000 tonn. ci rivela che gli sborsi relativi al combustibile e alle operazioni e diritti portuali sono fra i più variabili e rappresentano circa i 3/5 della spesa complessiva. La spesa per gli equipaggi è invece relativamente modesta: da 1/7 ad 1/6.
I tramps vanno oggi gradualmente cedendo il passo ai liners, o navi addette a linee regolari, mentre ancora nel 1913 costituivano il 60% del naviglio mondiale (Kirkaldy). Si può ritenere, peraltro, che essi non scompariranno mai del tutto.
2. Marina di linea. - La caratteristica fondamentale della marina di linea consiste nella regolarità e periodicità del servizio; le navi a essa addette seguono itinerarî prestabiliti, con partenze e arrivi a data fissa. Occorre distinguere: a) linee per trasporto merci; b) linee miste e per trasporto passeggeri.
a) Alle prime è adibito il cargo-liner; tipo di nave che non si discosta molto, in genere, dal tramp moderno, salvo la tendenza verso più alte velocità di esercizio (14-16 nodi). La differenza essenziale fra "carrette" e cargo-liners è però piuttosto da rintracciare "negli armatori anziché negli scafi" (Kirkaldy).
b) Trattando delle linee miste e passeggeri si entra in un settore di più netta specializzazione; nelle navi a esse addette il basso costo di costruzione e di esercizio hanno minore importanza; si bada, più che altro, alla sicurezza, alla comodità, alla velocità, che può anche arrivare ai 28 nodi di esercizio del Rex e del Conte di Savoia. L'armamento, nei riguardi di questo settore, ha caratteristiche molto differenti da quello delle "carrette"; una linea regolare esige, in primo luogo, una flotta di qualche importanza, per assicurare i servizî, nonché parecchio personale a terra. per sveltire le operazioni delle navi, le quali imbarcano anche carico generale. Al liner non affluiscono grandi carichi unitarî di massa o di volume, ma - oltre ai passeggeri - piccole partite, in genere, provenienti da centinaia di caricatori differenti e, spesso, di diverse nazionalità; per raccogliere e convogliare verso le unità sociali tale flusso, in aspra concorrenza spesso con altre compagnie, occorre organizzare e sviluppare al massimo il servizio di agenzia, sia nei porti di scalo, nazionali ed esteri, sia nelle città interne produttrici di noli merci e passeggeri.
Le spese di esercizio delle navi adibite a servizî regolari non presentano differenze notevoli, rispetto a qualsiasi altra nave; sono in genere più elevate nei riguardi di alcune voci: a) costo dell'equipaggio: per il numero e la migliore selezione del personale; b) combustibile: date le più alte velocità di esercizio; c) servizî sussidiarî: impianti e personale sanitario, illuminazione dei locali interni, nei riguardi delle navi da passeggeri, ecc.; d) spese portuali: data anche la frequenza di approdi in porti esteri e le maggiori spese per pilotaggio, rimorchi, ormeggi e disormeggi. Sono anche elevate, in genere, le spese di amministrazione.
Le linee predette possono essere, come quelle da carico, locali, interne, ecc.; speciale importanza presentano, fra esse, i servizî sovvenzionati, che si distinguono in: linee postali; commerciali; coloniali; miste postali commerciali; miste postali coloniali.
Allo scopo di diminuire il costo di esercizio, le società di linea hanno spesso attuato concentrazioni, a datare, più specialmente, dal principio del sec. XX. Sono così sorti grandi gruppi di compagnie nei paesi più importanti; e il movimento di concentrazione si è anzi intensificato in questi ultimi tempi, dato il maggior bisogno di economia. Possono servire d'esempio la costituzione del gruppo Italia (marina italiana), del gruppo Hapag-Lloyd (marina tedesca); dei grandi gruppi inglesi Cunard, White Star ecc. (marina britannica).
Oggi viene attuata, nel Regno Unito, la fusione dei servizî transatlantici della Cunard e della Oceanic sotto la ragione sociale Cunard-White Star Ltd.: più di 600 mila tonn. lorde sotto un controllo unico.
Ma un altro tipo di concentrazione tende, oltre che alla riduzione delle spese di esercizio, anche a un aumento degli utili mediante accordi diretti a limitare la concorrenza. I tipi di accordi più importanti all'uopo adottati sono le conferences ed i pools. La conference è "una combinazione, più o meno chiusa, di compagnie di navigazione stabilita per regolare e restringere la competizione in una data corrente di traffico" (Corbino). La prima fu istituita nel 1875 per regolare il traffico di Calcutta; se ne fanno ormai per tutti i settori del traffico. Nelle conferences si fissano le tariffe minime dei noli o dei prezzi di passaggio; si ripartiscono le navi in diverse categorie secondo l'età, la velocità, gli adattamenti interni ecc., si fissano compensi per gli agenti produttori (nei riguardi del trasporto passeggeri), ecc.
Le conferences, che pure rendono grandi servizî, sono difettose in quanto si può agevolmente eluderne l'osservanza. Perciò venne introdotto il pool, il quale consiste "nel fare una massa comune dei noli percepiti dalle diverse compagnie associate e ripartire poi fra esse, alla fine dell'anno, la somma totale in base alle quote prestabilite. Se tre compagnie sono impegnate in un pool, la prima riceve, per esempio, il 45%, la seconda il 30%, la terza il 25% a seconda del traffico di ciascuna" (Bettanini). Neanche i pools sono peraltro scevri da inconvenienti: durano poco (tre o quattro anni al più); sono alquanto artificiali; richiedono, in precedenza, lunghe discussioni, che fanno perdere una parte dei benefici dell'intesa prima ch'essi abbiano cominciato a funzionare, e non possono impedire la concorrenza dei tramps. Contro questi inconvenienti le società hanno adottato un'arma efficiente per tenersi legati i caricatori: l'uso, cioè, del deferred rebate o "ristorno"; vale a dire la restituzione di una quota del nolo (dal 5 al 10%) fatta dai vettori a quei caricatori che abbiano imbarcato le loro merci sulle navi confederate per un certo periodo (sei mesi o dodici); il versamento del ristorno al caricatore fedele non è fatto subito, ma differito dopo un altro periodo (sei mesi, ordinariamente); onde il nome.
Il principio cardinale del sistema è che un caricatore il quale durante un certo periodo "non si vale esclusivamente delle navi Confederate, perde il diritto allo sconto non solo per le merci caricate in quel periodo ma anche per quelle trasportate nel precedente" (Bettanini).
Bibl.: C. Supino, La navigazione sotto il punto di vista economico, Milano 1913; A. W. Kirkaldy, British Shipping, Londra 1914; E. W. Zimmermann, Ocean Shipping, Londra 1923; N. Albini, Contributo alla economia marittima, Genova 1925; G. Bisignani, Gli affari marittimi, San Casciano Val di Pesa 1925; E. Corbino, Economia dei trasporti marittimi, Città di Castello 1926; A. Bettanini, Le imprese di navigazione, Torino 1927; G. B. Becchi, Relazioni annuali del presidente della Federazione fascista armatori navi a carico del Tirreno alla assemblea generale, 1927-31; Lega delle Nazioni, R. R. C. T. T., hors-série n. 69, Ginevra 1933 (16 marzo); C. E. Fayle, A short history of the world's shipping industry, Londra 1933; W. Runciman, Tramp ships design, in Journal of Commerce, novembre 1933; Campbell e Ramsay, The design of cargo ships, in Shipping World, 21 febbraio 1934.
Diritto.
Diritto privato. - Le norme di diritto privato della navigazione, costituite essenzialmente dalle disposizioni del libro II del codice di commercio e dalle leggi modificatrici di esso (tra le quali meritano particolare menzione quella del 14 giugno 1925, n. 938 sulla riforma della legislazione marittima in materia di assistenza, salvataggio e urto e quella del 5 luglio 1928 n. 1816, recante modificazioni al codice di commercio in materia di privilegi marittimi e ipoteca navale), regolano non solo la navigazione marittima, ma altresì la navigazione interna (fluviale e lacuale). Ciò risulta dall'art. 3, n. 13 e 18 cod. comm., e risulta in modo indubbio dalla intitolazione del II libro del codice di commercio così formulata "Del commercio marittimo e della navigazione", e nella quale si trovano aggiunte le parole "della navigazione" alla rubrica del corrispondente libro secondo del codice del 1865.
Che l'aggiunzione sia stata adottata per eliminare ogni dubbio circa l'applicabilità delle norme del libro II del codice di commercio alla navigazione interna, risulta in guisa sicura dagli stessi lavori preparatorî del codice. Già infatti nei verbali della commissione per il progetto preliminare si legge che la nuova formulazione della rubrica fu suggerita proprio dall'intento di comprendere in essa la navigazione per laghi, fiumi e canali, e di porre in luce che le norme, le quali debbono regolare il commercio di navigazione non marittima, vanno desunte dalle regole stabilite nel libro II (verbale n. 130). E nella relazione della commissione della camera dei deputati (n. 59) si posero in rilievo i dubbî che, per il codice allora vigente, si erano sollevati, circa l'applicabilità del libro II alla navigazione non marittima e si dichiarò che "per rimuovere ogni incertezza, e seguendo anche l'esempio di altri codici che reputarono opportuno di rendere più estesa la rubrica del libro II del codice francese, affinché chiaro apparisse che le norme le quali debbono regolare il commercio di navigazione non marittima debbono anch'esse desumersi dalle disposizioni di questo libro II, si cangiò nel progetto la rubrica del codice vigente, sostituendovi quella "del commercio marittimo e della navigazione".
Il sistema italiano si venne così a differenziare sia da quelle legislazioni (come la francese) nelle quali i rapporti della navigazione non marittima sono disciplinati dalle norme del diritto terrestre, sia da quelle legislazioni (come la germanica) nelle quali a un diritto marittimo propriamente detto le cui norme sono contenute nel 4° libro del codice di commercio si contrappone un diritto della navigazione interna contenuto in una legge speciale.
Ancora il diritto della navigazione abbraccia tanto la navigazione avente fine commerciale, come quella non destinata al commercio (navigazione per diporto e per scopi scientifici): ogni rapporto giuridico che attenga alla navigazione è, nel nostro sistema giuridico, considerato commerciale (cod. comm., art. 3, n. 14, 15, 16, 17 e 18) indipendentemente da quella che possa essere la sua intrinseca natura.
Diritto amministrativo. - La disciplina giuridica della navigazione risulta, oltre che da istituti e principî di diritto commerciale marittimo, anche da una serie molto complessa di principî di diritto pubblico amministrativo. Alcuni di questi si riferiscono al regime dei porti e delle spiagge: per essi v. demanio; porto; altri concernono l'ordinamento pubblicistico delle navi e dei galleggianti: e per ciò v. nave. Resta da considerare la condizione della gente di mare e la polizia della navigazione.
La denominazione di "gente di mare" comprende tutte le persone le quali, a causa della professione marittima, sono soggette alla disciplina a loro specialmente imposta dal cod. per la mar. merc. Base di questa disciplina è l'iscrizione obbligatoria di ogni appartenente alla gente di mare in apposita matricola: per tale iscrizione sono richiesti la cittadinanza italiana e particolari requisiti di capacità, variabili secondo i gradi e le attribuzioni (art. 19-22). Tutti gl'iscritti nella matricola devono obbedienza ai capi degli uffici di porto, agli ufficiali consolari e ai comandanti delle navi da guerra e sono obbligati a eseguire quanto venga loro comandato per il bene del servizio marittimo (art. 154, 386). Internamente, la gente di mare è ordinata in una gerarchia con poteri rigorosi che si assommano nei comandanti delle navi mercantili. Questa organizzazione pubblicistica, di origine remota e comune a ogni ordinamento, si ritiene che nel diritto italiano possa essere sostituita dall'organizzazione corporativa di questa categoria professionale.
La polizia della navigazione consta di varie funzioni dirette ad assicurare l'osservanza delle norme amministrative di sicurezza, di regolarità e di sanità marittima. Le relative disposizioni del cod. per la mar. merc. sono state recentemente integrate da un vasto decreto legislativo del 10 agosto 1928, n. 2752. La materia deve esser considerata nei tre principali momenti: della partenza della nave, del viaggio e dell'arrivo in porto. La partenza di ogni nave dai porti del regno deve essere preceduta da una serie di accertamenti, che s'iniziano col rilascio del biglietto di uscita e si chiudono col visto sul ruolo dell'equipaggio. Tali accertamenti riguardano specialmente la sicurezza della nave e delle macchine e la corrispondenza del ruolo all'equipaggio effettivamente imbarcato. Le condizioni igieniche, invece, così del luogo di partenza come della nave e delle persone imbarcate, vengono fatte constare mediante rilascio della patente di sanità. Disposizioni particolarmente rigorose governano la partenza delle navi destinate al trasporto dei passeggeri e specialmente a quello degli emigranti. Le norme di polizia da osservarsi durante il viaggio riguardano la polizia di bordo e la polizia della navigazione in senso stretto. La prima comprende: la conservazione delle carte di bordo, la tenuta dei registri di navigazione e la conservazione dell'ordine interno sulla nave. Le carte di bordo sono: l'atto di nazionalità del bastimento, che contiene lo stato civile del medesimo e ogni dato relativo alle sue condizioni materiali e giuridiche; il ruolo dell'equipaggio; il certificato di visita; il certificato d'ispezione alle macchine; il certificato di stazzatura e la licenza di navigazione. I libri e i registri da tenere al corrente durante il viaggio sono: il giornale di navigazione; il giornale di contabilità, il giornale di boccaporto e l'inventario di bordo. Riguardo alla conservazione dell'ordine sono notevoli i poteri che il codice marittimo attribuisce al capitano sopra qualunque persona imbarcata, compresi i passeggeri (art. 92, 451). Trattasi di veri poteri pubblici di polizia e di disciplina che, nel caso di navi mercantili, sono attribuiti a un privato e rappresentano una delle figure più caratteristiche dell'istituto dell'esercizio privato di pubbliche funzioni. L'intensità di questi poteri risulta dal provvedimento estremo, che il capitano può prendere nei riguardi di coloro che, essendo condannati a una pena disciplinare, ricusino di sottomettervisi: la messa ai ferri fino a dieci giorni (art. 459). Altre manifestazioni dei poteri pubblici del capitano si hanno nelle funzioni di polizia giudiziaria (accertamento dei reati e dei loro autori, assicurazione di questi alla giustizia) e nelle funzioni di ufficiale dello stato civile per la registrazione delle nascite e delle morti che avvengano a bordo (codice per la mar. merc., art. 93, 436 segg.; cod. civ., art. 380, 381). Dell'esercizio di tutti questi poteri il capitano risponde verso le autorità marittime dello stato, alle quali ogni persona può allo sbarco portare denunzie; in alto mare e nei paesi esteri, la vigilanza è esercitata dalle navi da guerra, i cui comandanti possono procedere alle visita delle navi mercantili, all'ispezione delle carte di bordo, alla recezione delle denunzie e alla cattura dei delinquenti. Molto complesse sono le norme direttamente rivolte alla sicurezza della navigazione. Esse concernono la velocità della nave durante la notte e nella nebbia, le caratteristiche dei segnali luminosi e acustici, le manovre obbligatorie per evitare collisioni, i segnali in caso di pericolo e particolarmente i segnali radiotelegrafici. Le regole concernenti tale materia sono conformi in ogni paese e determinate da un complesso di convenzioni internazionali, fra le quali hanno la maggiore importanza: il codice internazionale dei segnali del 28 luglio 1901, la convenzione di Londra del 20 gennaio 1914 e la convenzione radiotelegrafica di Washington del 25 novembre 1927. L'argomento fondamentale, tuttavia, quello dell'assistenza e del soccorso obbligatorio fra le navi in caso di naufragio, trova la sua disciplina nella convenzione di Bruxelles del 23 settembre 1910, per l'unificazione del diritto internazionale marittimo. Le disposizioni che in proposito già conteneva il codice italiano per la marina mercantile, in seguito a tale convenzione, sono state modificate da alcune leggi interne, fra cui principalmente quella del 14 giugno 1925. È principio generale che il capitano di una nave, che incontri un bastimento, anche straniero, in pericolo di perdersi, deve accorrere in soccorso e prestargli ogni possibile assistenza: le disposizioni più recenti hanno, però, subordinato questo dovere alla condizione che il soccorso possa essere prestato senza grave pericolo per la nave, per l'equipaggio e per i passeggeri. D'altra parte, qualunque fatto di assistenza o salvataggio, che abbia avuto un utile risultato, dà diritto a un'equa remunerazione; se il fatto sia riuscito senza effetto, il diritto è limitato alla riparazione del deterioramento eventualmente subito dalla nave.
Nel caso di naufragio sulle coste dello stato, al salvataggio devono provvedere gli uffici di porto, con il concorso obbligatorio di ogni altra autorità e di tutti gli appartenenti alla gente di mare (cod. mar. merc., art. 122).
Le norme relative all'arrivo delle navi sono rivolte soprattutto a fini sanitarî e doganali: nei riguardi di questi ultimi, v. dazio e dogana. In ordine ai primi è prescritto che la nave deve mantenersi in completo isolamento finché non abbia ottenuto dalla capitaneria del porto la licenza di libera pratica: a tal uopo, il capitano e il medico di bordo devono recarsi negli uffici della capitaneria, mostrare la patente di sanità e dare ogni possibile notizia sullo stato sanitario a bordo; le autorità possono ordinare visite sanitarie e, ove occorra, ritardare lo sbarco mediante ordinanza di quarantena. Il capitano deve inoltre mostrare le altre carte di bordo, facendo vidimare il giornale nautico e denunziando qualunque avaria verificatasi durante il viaggio (cod. mar. merc., art. 117 e cod. di comm., art. 516).
Tutto ciò riguarda la navigazione marittima. Quella fluviale, lacuale e lagunare, detta navigazione interna, è retta da disposizioni proprie, riunite specialmente nel testo unico di legge 11 luglio 1913, n. 959. Tali disposizioni sono in relazione col carattere demaniale delle acque sulle quali questa navigazione si svolge, e hanno per fine la conservazione di questo demanio e la ripartizione, fra i varî enti pubblici e i privati interessati, delle spese necessarie alla costruzione e manutenzione delle opere che servono a favorire la navigazione nei fiumi e nei laghi. Per questo vedi acque pubbliche.
Diritto internazionale. - La navigazione nelle molteplici sue manifestazioni è oggetto di norme e di accordi internazionali. Interessano particolarmente il diritto internazionale la navigazione fluviale, la marittima e l'aerea.
Nessuna differenza giuridica è esistita durante un lungo periodo storico tra fiumi interni, cioè attraversanti il territorio di un unico stato e fiumi internazionali, cioè scorrenti attraverso il territorio di più stati o segnanti il confine tra il territorio rispettivo, in modo che ognuno di essi comprenda nel suo dominio la sezione o il tronco di fiume che gli appartiene. La sovranità di ognuno degli stati ripuarî si esplicava in modo geloso ed esclusivista sul fiume o sezione di fiume che le era soggetta, senza alcuna preoccupazione degl'interessi degli altri stati neppure ripuarî dello stesso fiume, né delle esigenze del commercio internazionale. Durante il sec. XIX la navigazione sui fiumi interni o nazionali è rimasta ed è tuttora, salve le clausole di speciali trattati, abbandonata al libero apprezzamento dello stato, nel cui territorio scorre interamente il fiume, arbitro pertanto di regolarvi a suo piacere l'ammissione delle bandiere di altri stati e le condizioni di essa, senza che alcuna norma di diritto internazionale comune limiti i suoi poteri. Invece nei riguardi dei fiumi internazionali una serie di trattati e di convenzioni internazionali, a cominciare dal trattato di Vienna del 1815, hanno regolato la questione secondo i termini indicati alla voce fiume: I fiumi internazionali (XV, p. 514).
La navigazione nei porti di un dato stato dipende dalle disposizioni interne dello stato stesso. Di regola, l'accesso deve essere aperto alle navi straniere, ma eccezionalmente, e per un periodo di tempo il più limitato possibile, uno stato può sospenderlo per gravi ragioni interessanti la sicurezza e la salute pubblica. Speciali limitazioni sono consentite allo stato per quanto riguarda le condizioni di accesso e di soggiorno delle navi da guerra straniere. Sussiste in forza di un principio di diritto internazionale universalmente riconosciuto, il cosiddetto "diritto di passaggio inoffensivo", cioè la facoltà delle navi straniere di navigare nelle acque territoriali di un dato stato, sia per attraversarle semplicemente, sia per entrare o uscire dai porti o dalle acque interne. Il passaggio non è più inoffensivo quando la nave si serve delle acque territoriali di quel dato stato per compiervi un atto lesivo della sicurezza, dell'ordine pubblico o degl'interessi fiscali dello stato stesso. Perciò, mentre tale diritto sussiste in modo incontestabile per le navi mercantili, si riconosce allo stato la facoltà di limitare e regolare il passaggio delle navi da guerra. Anche se è concesso alle navi straniere il più largo diritto di accesso e di passaggio, uno stato può riservare ai suoi proprî cittadini l'esclusività della pesca nelle sue acque territoriali, come pure quella della navigazione di cabotaggio tra l'uno e gli altri suoi porti.
Nell'alto mare, la navigazione è pienamente libera in tutte le sue manifestazioni, come si è detto alla voce Mare (XXII, pp. 264-65; alla quale voce si rimanda anche per ciò che riguarda la navigazione nei golfi, seni e baie). Il principio di libertà di navigazione nell'alto mare si estende anche agli stretti, in quanto mettano in comunicazione due mari aperti. Col trattato di Copenaghen del 15 marzo 1857, le potenze interessate ottennero l'abolizione dei gravosi pedaggi che la Danimarca faceva pagare alle navi che si recavano dal Mare del Nord al Baltico o viceversa. La navigazione di certi stretti è oggetto di un regime convenzionale speciale (norme del trattato di Losanna del 24 luglio 1923 per i Dardanelli e il Bosforo). Se si tratta invece di uno stretto, che mette in comunicazione un mare aperto con un mare interno o chiuso (come lo stretto di Kerč tra il Mar Nero e il Mare di Azov) lo stato o gli stati, a cui appartengono le rive dello stretto e quelle del mare interno, rimangono arbitri delle condizioni a cui subordinare la navigazione degli altri stati. La libertà di navigazione vale, in linea di principio, anche per i canali interoceanici, ma non già in forza di principî generali di diritto internazionale, bensì in virtù e nei limiti stabiliti da espressi trattati (convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 per la navigazione del canale di Suez; convenzioni degli Stati Uniti con l'Inghilterra e col Panama per la navigazione del canale di Panama).
Navigazione aerea. - La navigazione aerea si svolge con lo stesso regime giuridico, a cui è sottoposta la zona territoriale sottostante. Quindi libertà assoluta e dipendenza di ogni rapporto dalla legge della bandiera finché l'aeronave sovrasta all'alto mare, ai golfi di grande estensione e agli stretti.
Invece la sovranità dello stato sottostante sullo spazio atmosferico al disopra del suo territorio e delle sue acque territoriali è stata espressamente sancita nell'art. 1 della convenzione internazionale di Parigi del 19 ottobre 1919 e risponde indubbiamente ormai al comune convincimento giuridico degli stati.
Ogni stato ha pertanto il diritto di vietare, per ragioni di ordine militare o di sicurezza pubblica, il volo su certe zone del suo territorio, nonché d'imporre a tutte le aeronavi l'osservanza delle sue norme interne sulla polizia della navigazione aerea, punendone le infrazioni. Tuttavia esso è internazionalmente obbligato ad accordare, in tempo di pace, alle aeronavi degli altri stati la libertà di passaggio inoffensivo al disopra del suo territorio e acque territoriali senza distinzione di nazionalità. Esse hanno il diritto di attraversarne l'atmosfera senza obbligo di atterraggio. Le aeronavi militari tuttavia hanno bisogno di speciale autorizzazione.
Quanto al regime giuridico delle aeronavi, che attraversano l'atmosfera di uno stato senza scalo, per le aeronavi militari, di cui il sorvolo sia stato debitamente autorizzato, sono ammessi gli stessi privilegi di extraterritorialità accordati alle navi da guerra straniere. Per le altre aeronavi, che debbono portare legittimamente una data bandiera, è incontestabile il diritto dello stato sottostante di assoggettare alla competenza delle sue leggi e dei suoi tribunali gli atti e i fatti avvenuti a bordo. Poiché però, salva la tutela delle sue esigenze militari, fiscali, doganali, sanitarie, lo stato sottostante ha di regola ben poco interesse a occuparsi di ciò che avviene a bordo di un'aeronave, che non fa che attraversare la sua atmosfera territoriale, si comprende come sovente nelle loro leggi interne, nella pratica dei loro organi e anche nelle convenzioni internazionali, gli stati riconoscano che gli atti e fatti giuridici, compiutisi a bordo di private aeronavi straniere, rimangano soggetti alla giurisdizione dello stato di cui l'aeronave porta la bandiera.
Sulla navigazione aerea in generale si veda la voce aeronautica: Diritto aeronautico.
Bibl.: P. Orban, Études de droit fluvial international, Parigi 1896; F. Perels, Das allgemeine öffentliche Seerecht im deutschen Reich, Berlino 1901; D. Maiorana, Navigazione, in V.E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo, VII, Milano 1912; Kaekenbeck, International rivers, Oxford 1918; Van Eysinga, Évolution du droit fluvial international, L'Aia 1920; Lederle, Das Recht der internationalen Gewässer, Berlino 1920; A. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, Torino 1929; A. Giannini, Le convenzioni internazionali di diritto marittimo, Milano 1930; G. Gidel, Le droit international public de la mer, voll. 2, Parigi 1932; A. Scialoja, Sistema del diritto della navigazione, Roma 1933. - Sopra la navigazione aerea nel diritto internazionale: E. Catellani, Il diritto aereo, Torino 1911; Spaight, Aircraft in peace, Cambridge 1912; G. Hooghe, Droit aérien, Parigi 1912; J. Spiropoulos, Der Luftraum, Lipsia 1922.