NAZARENI (anche Puristi)
È il nome che prese un gruppo di pittori tedeschi capitanato da Giovanni Federico Overbeck (v.) e di cui, fra gli altri, fecero parte F. Pforr di Francoforte, L. Vogel di Zurigo, P. von Cornelius di Düsseldorf, J. Schnorr v. Carolsfeld di Lipsia, i quali, venuti a Roma fra il 1810 e il 1815, fondarono nel convento di S. Isidoro una confraternita artistica che si proponeva di restituire al cristianesimo l'ispirazione della pittura e d'imitare i predecessori di Raffaello per arrivare all'eccellenza di lui.
Dapprima combattuti e derisi (il Goethe definì il loro movimento "una mascherata", Hegel li diceva preoccupati più della loro salvezza che della loro arte, e il barone V. Camuccini li chiamava "i puristelli") a poco a poco conquistarono terreno e trovarono seguaci fin dentro la roccaforte del neoclassicismo romano, l'Accademia di S. Luca.
Qui consentirono infatti alla confraternita nazarena Pietro Tenerani (v.), Tommaso Minardi (v.), Antonio Bianchini (1803-1884) e il modenese Giovanni Sanguinetti (1789-1867), a Siena Luigi Mussini (v.), a Napoli Giuseppe Mancinelli (v.) e il giovane Morelli (v.), a Torino Enrico Gamba (v.), per tacere di altri.
In fondo l'indirizzo dei nazareni, che rispecchiava il movimento d'idee promosso in Germania dal Wackenroder e formidabilmente riecheggiato da Federico Tieck, dai fratelli Schlegel, dai fratelli Boisserée, dal Novalis e da altri i quali portarono la loro attenzione sui primitivi, e che in Italia faceva riscontro a quello dei puristi promosso in letteratura dal Cesari per cercare negli scrittori del Trecento gli unici modelli perfetti della lingua italiana, rispondeva a quei nuovi programmi d'arte che sorgevano qua e là come reazione al neoclassicismo. Ma il principio nuovo che, mettendo in discussione il fondamento pagano del classicismo, vi sostituiva un contenuto cristiano, ricorreva pur sempre agli emblemi della tradizione. Poteva bene l'Overbeck ripetere che la pittura è idea e non forma, e, nel suo breve scritto sopra i Sette Sacramenti da lui dipinti, poteva anche affermare che l'arte era per lui "un'arpa di Davide" sulla quale avrebbe voluto "ognor far risuonare inni di lode del Signore"; poteva il Bianchini nel manifesto da lui redatto nel 1840 - che lo stesso Overbeck, il Tenerani e il Minardi sottoscrissero - proclamare che i puristi si preoccupano solo dell'essenza dell'espressione degli affetti, che ciascun purista segue soltanto la sua indole, bandisce ogni imitazione, ama l'arte e non l'ostentazione di sé stesso. Ma quando tutti codesti propositi ideali dovevano trovare espressione artistica, cioè sensibile, e i loro banditori pretendevano di domandarne il linguaggio a Giotto, a Filippo Lippi, al Beato Angelico, illudendosi di ridurre ad astrazione religiosa il primitivismo, non si salvavano da un anacronismo certo meno antistorico di quello neoclassico, ma altrettanto estraneo alla vera essenza dell'arte.
Lo stile dei nazareni - rivelato dagli affreschi rappresentanti le Storie di Giuseppe ebreo, eseguiti per il conte Bertholdy nel palazzo Zuccari in Roma dall'Overbeck, da Filippo Weit, da Guglielmo Schadow e da Pietro Cornelius, staccati nel 1887 e ora conservati nella Galleria nazionale di Berlino, dalla vòlta di una sala del palazzo del Quirinale sulla quale l'Overbeck raffigurò Gesù cacciato dagli Ebrei, dalle pitture dello stesso Overbeck sulla facciata della Porziuncola in S. Maria degli Angeli in Assisi, dalle decorazioni con soggetti tratti dalla Divina Commedia, dall'Orlando Furioso e dalla Gerusalemme Liberata affrescate nel 1827 nella villa Lancellotti in Roma dall'Overbeck, dallo Schnorr, dal Koch, dal Weit e da Filippo Fürich - mostra tutta la debolezza di un movimento che, mentre voleva reagire contro l'inerzia di forme convenzionali ed esaurite, attuava procedimenti imitativi della stessa natura astrattamente cerebrale, i quali, muovendo da forme diverse, sboccavano in un identico convenzionalismo.
Incapaci di sostituire al precetto neoclassico una propria intuizione sensitiva, una definizione stilistica personale, i nazareni confusero il riconoscimento di valori tradizionali, ingenui e perenni, con l'adorazione di stanchi paradigmi innalzata a canone formale, fraintesero i loro modelli e, dopo aver proclamato con tanto ardore la riforma purista, attuarono un eclettismo incoerente e finirono col sostituire all'accademia pagana un'altra accademia cristianeggiante.
Nello stesso caposcuola la rigidità incisiva del contorno, che nelle intenzioni del pittore si opponeva allo sfumato come la preferenza per i colori locali si opponeva agli effetti di luce, è accentuata dal difetto di solidità del rilievo, e la linea che non riesce, come in molti primitivi, a subordinarsi interamente al colore, ma conserva invece una sua attività formale, acuisce la crudità di quelle tinte senza tono.
E mentre il Mussini snaturava fino ai limiti estremi il carattere del primitivismo adattandolo alla rappresentazione del quadro storico, il Minardi - per citare i meglio dotati fra i nazareni nostrani - passava dalla manierata indifferenza delle sue Madonne agli effetti teatralmente declamatorî del Conte Ugolino.
Con la loro ostinata rivolta al neoclassicismo imperante, l'Overbeck e i suoi seguaci aprirono la via al romanticismo e, nonostante rinunziassero alla legge classica senza riuscire a darne una nuova, ebbero il merito di polarizzare le discussioni sull'arte intorno al motivo importante di una realtà necessariamente cristiana e di ricondurre il gusto verso il Medioevo e il primo Rinascimento.
Un ultimo riflesso del primitivismo messo in voga dai nazareni, può scorgersi nell'opera del Puvis de Chavannes. i cui rapporti spirituali con l'Overbeck sono stati già bene messi in luce dal suo biografo René Jean, e in quella di Maurice Denis.
Bibl.: A. Racyznski, Histoire de l'art moderne en Allemagne, I, Parigi 1836-1839, p. 93 seg.; A. Bianchini, Del Purismo nelle arti, Roma s. a.; V. Marchese, Dei Puristi e degli Accademici, in Scritti vari, Firenze 1855; P. Selvatico Estense, Del purismo nella pittura, in Scritti d'arte, Firenze 1859; T. Roberti, Dei Puristi e degli Accademici e sulle ragioni della cristiana e castigata espressione dell'arte nel suo risorgimento, Bassano 1862; A. Kuhn, Peter Cornelius und die geistigen Strömungen seiner Zeit, Berlino 1921; A. Neumeyer, Beiträge zur Kunst der Nazarener in Rom, in Rep. f. Kunstw., IV (1929), pagine 64-80.