TADDEI, Nazareno
– Nacque a Bardi (in provincia di Parma) il 5 giugno 1920 da Clemente (trentino, medico condotto a Bardi) e da Dora Passerini (parmense, casalinga), ultimo di quattro figli.
Rimasto orfano di madre nel 1924, si trasferì a sei anni presso le zie paterne a Malè (in provincia di Trento). Frequentò il liceo del seminario vescovile di Trento, dove scoprì, all’età di sedici anni, un’autentica vocazione al sacerdozio. Nel 1940 sopravvenne la decisione di divenire gesuita. Compì la prima parte degli studi teologici presso la pontificia facoltà di Gallarate ottenendo nel 1945 la licenza maggiore di filosofia. Nel 1946 cominciò una prolifica attività pubblicistica con un articolo di argomento musicale (Nei corridoi del IX Festival internazionale di musica contemporanea, in La Civiltà cattolica, XCVII (1946), 4, quaderno 2316, pp. 460-471). Proseguì gli studi di teologia all’Antonianum di Padova, frequentando parallelamente la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Padova e il conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, dove si diplomò nel 1949 in composizione e direzione d’orchestra. Verso la fine degli anni Quaranta iniziò a interessarsi di comunicazione di massa: già da Musica in fotogrammi, pubblicato su La Civiltà cattolica nel 1948 (XCIX, 2, quaderno 2349, pp. 257-270), apparve chiaro lo spostamento dell’interesse dalla musicologia agli studi sul cinema. Terminò gli studi teologici ottenendo la licenza di baccalaureato presso la pontificia Università Gregoriana di Roma nel 1952. Il 15 giugno 1952 fu ordinato sacerdote a Trento e nel 1953 venne assegnato alla comunità di San Fedele a Milano, con l’incarico di occuparsi della comunicazione sociale.
A San Fedele Taddei trovò un contesto stimolante. Il centro culturale già si imponeva come uno dei luoghi avanzati della cultura cattolica italiana: fondato nel dopoguerra da padre Arcangelo Favaro e subito pensato come «un libero ritrovo intellettuale che si propone[va] di esaminare e di favorire con varie manifestazioni di carattere culturale e artistico le correnti vive del pensiero contemporaneo ricercando particolarmente di porre in luce il loro contenuto spirituale», era cresciuto con l’obiettivo di «riallacciare, dopo lungo periodo di frattura, l’arte e la cultura alla Chiesa» (Centro Culturale San Fedele, Brochure informativa sulle attività dal 1954 al 1959, Milano 1959). Taddei guidò le attività del centro nell’ambito dello spettacolo e delle comunicazioni sociali per oltre un decennio, non limitandosi all’animazione culturale ma fondando una vera e propria scuola che, attraverso rapporti ora più informali ora più istituzionali, alimentò alcune tra le attività produttive (televisive e cinematografiche) e di ricerca accademica più significative del contesto milanese, e i cui frutti maturi risultarono evidenti a partire dai primi anni Sessanta (transitarono dalla scuola di Taddei, tra gli altri, Gianfranco Bettetini, Aldo Bernardini, Sergio e Pier Luigi Raffaelli e, per certi versi, Ermanno Olmi).
Negli studi sul cinema Taddei mise a punto un metodo di lavoro caratterizzato da un rigore e una sistematicità nuova per quegli anni, che trovò concreta espressione da un lato nell’analisi dei linguaggi – che lo portò a distinguere tra linguaggi concettuali, impostati sulla parola, e linguaggi contornuali, impostati sull’immagine – e dall’altro nella costruzione di uno schedario in grado di farsi carico di un immane lavoro di raccolta dati. Per fare ciò mise a punto un moderno (per concezione, se non per supporto tecnologico) database, fondato su una scheda standard di catalogazione pensata per essere applicabile in tutte le aree degli studi di cinema. Implementato manualmente per quasi due decenni con dati di produzione, giudizi morali, riferimenti bibliografici e ritagli stampa, lo Schedario-Base arrivò a contare (all’inizio degli anni Settanta, quando l’archiviazione fu interrotta per mancanza di finanziamenti) oltre 90.000 schede (ora acquisite dalla Cineteca di Bologna), per un totale di circa 40.000 voci riconducibili a tre macroambiti: film, persone e argomenti. Lo schedario mise in campo logiche e sensibilità in forte anticipo sulle odierne pratiche dell’open data in merito alla necessità (imprescindibile nel contesto di progetti di ricerca collaborativi) di rendere i dati della ricerca, come si direbbe oggi, accessibles, discoverables e useables. Dal 1962 al 1971 dalla banca dati dello Schedario-Base fu tratta la pubblicazione di una fortunata enciclopedia cinematografica diretta da Taddei e composta da 1667 schede in otto contenitori a libro con numero progressivo sul dorso: intitolata Schedario cinematografico, fu premiata con la targa Leone di San Marco 1966 alla XI Mostra internazionale del libro e del periodico cinematografico e televisivo di Venezia. A partire da questa esperienza nel 1968 Taddei fondò e diresse Note Schedario, mensile di storia e critica del cinema uscito fino al 1972, seguito da quell’anno dal mensile Edav (Educazione audiovisiva), nel quale assunse maggiore rilievo l’attività pedagogica (la rivista è ancora oggi attiva).
Nel 1953 ricevette dal cardinale Ildefonso Schuster l’incarico di curare le trasmissioni religiose televisive della RAI di Milano. Oltre al Pontificale ambrosiano di Ognissanti trasmesso il 1° novembre 1953 dal Duomo di Milano fino al 1960, Taddei curò circa 200 trasmissioni fornendo un contributo fondamentale per lo sviluppo del genere religioso nella televisione delle origini (Ruozzi, 2017; Valentini, 2017): lo fece anzitutto scrivendo i testi di commento ed elaborando tecniche di regia coerenti con gli spazi sacri e i tempi del rito della messa; ma lo fece anche ideando e realizzando una serie di rubriche religiose, alcune delle quali centrate su suoi lavori documentaristici, come Tra gli zingari e Disse: alzati e cammina, che fruttarono alla RAI due tra i suoi primi riconoscimenti internazionali (rispettivamente primo premio UNDA, l’Associazione cattolica internazionale per la radio e la televisione, 1958 e 1959).
Negli anni Cinquanta affiancò all’attività di regista per la RAI quella di critico cinematografico e di animatore culturale alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, che seguì con assiduità e che recensì regolarmente; intensificò inoltre l’attività di pubblicista sulle riviste Bianco e Nero e Letture, sulla quale in particolare nel 1956 istituì una rubrica dedicata allo spettacolo, di cui fu responsabile fino al 1960. In quegli anni Taddei mise a punto un’originale metodologia di lettura del film tesa a integrare l’analisi strutturale del testo, l’attenzione per il linguaggio e il giudizio di valore estetico nel prevalente discorso morale della critica cattolica coeva.
È proprio per aver sopravvalutato il ruolo del giudizio estetico, a discapito di quello morale, nella sua recensione più nota, quella del 1960 al film La dolce vita di Federico Fellini, che Taddei andò incontro a un processo del S. Uffizio e a una severa condanna che lo tenne lontano per qualche anno (almeno ufficialmente) da ogni attività nel campo del cinema e della televisione (Subini, 2010). Il processo all’articolo su La dolce vita, consumatosi prima nelle stanze segrete del S. Uffizio e poi pubblicamente sulle stesse pagine della Civiltà cattolica, rappresentò un trauma dal quale probabilmente mai si riprese pienamente. Gli fu rimproverato di aver fatto l’apologia di un film ritenuto immorale: «Concubinaggio, amore libero a piene mani, omosessualità maschile e femminile, scene di morbosità, una mostruosa montatura di un presunto miracolo della Madonna, un tentativo di suicidio di una ragazza troppo possessiva, un suicidio preceduto da un doppio parricidio [...], i baccanali di una diva in cerca di emozioni [...], la supina compiacenza di un padre per la vita dissipata del figlio e del figlio per l’avventura galante del padre, una lunga orgia notturna descritta minutamente», così descrisse il film un prete milanese in una lettera, firmata «don B.B.», all’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini (Archivio storico della Diocesi di Milano, Fondo Montini, s. 1, cart.257, f. 17, c. 47). La recensione di Taddei, a opinione di Montini, «ne aggrava[va] l’influsso [...], e soprattutto disarma[va] il giudizio morale, [...] rompe[va] l’argine della difesa pastorale del nostro popolo alla dilagante immoralità delle scene» (lettera di G.B. Montini a Nazareno Taddei, 15 febbraio 1960, citata in Scurani, 1995, p. 67).
Gradualmente reintegrato in tutte le sue attività nell’ambito della comunicazione sociale, tra il 1962 e il 1964 pubblicò i suoi due libri più importanti, il Trattato di teoria cinematografica (Milano 1962, premiato con la targa Leone di San Marco 1965 alla X Mostra internazionale del libro e del periodico cinematografico e televisivo di Venezia) e la Lettura strutturale del film (Milano 1964, tradotto in spagnolo, portoghese e inglese), opere con le quali si ritagliò un ruolo di rilievo nell’ambito degli studi cattolici sul cinema, per lo sforzo sistematico e l’ambizione teorica con cui accostò il problema del linguaggio cinematografico prima che esplodesse anche in Italia la semiologia del cinema.
Contemporanea alla stesura dei due libri è la stagione di più intensa attività accademica presso l’Alta Scuola delle comunicazioni sociali dell’Università cattolica del S. Cuore di Milano, dove diresse il comparto cinematografico incaricatovi da Mario Apollonio. Dissensi interni all’Ateneo sull’indirizzo di fondo da imprimere alla Scuola (che con Taddei appariva troppo legato alla Compagnia di Gesù) e sfortunate vicende concorsuali, che schiacciarono Taddei tra fronti politici opposti a lui ugualmente estranei, gli impedirono di inserirsi stabilmente nel processo di diffusione delle cattedre universitarie di cinema (Subini, 2017). La sua attività di professore universitario si sviluppò in modo saltuario in diversi atenei italiani e stranieri fino al 1971, quando assunse e tenne per i successivi vent’anni l’incarico di insegnamento presso l’Università di Sassari.
Nel 1967, assecondando un desiderio del generale della Compagnia di Gesù (che nel 1963 lo aveva nominato segretario nazionale per le Comunicazioni sociali), si trasferì insieme a tutto il suo gruppo di lavoro a Roma, dove spostò la sede del CISCS (Centro Internazionale dello Spettacolo e della Comunicazione Sociale) da lui fondato negli anni Cinquanta e diretto sino alla morte.
Negli anni Sessanta e Settanta partecipò attivamente ai gruppi di direzione dell’attività dei cattolici nell’apostolato delle comunicazioni sociali (come la Consulta dell’ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI e il gruppo organizzativo della Settimana cinematografica dei cattolici italiani di Assisi), impegnandosi poi, tra gli anni Settanta e Ottanta, in originali attività di formazione degli insegnanti, contribuendo a diffondere nella scuola primaria e secondaria italiana l’uso e lo studio dell’audiovisivo. Nel 1995 fondò una rubrica di predicazione on-line, Dio dopo internet.
Morì a Sarzana il 18 giugno 2006, dopo aver trascorso gli ultimi vent’anni presso la comunità della Compagnia di Gesù a La Spezia. In suo ricordo, dal 2007 al 2016 la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ha assegnato il premio Padre Nazareno Taddei al film in concorso che meglio esprimesse «autentici valori umani con il miglior linguaggio cinematografico».
Fonti e Bibl.: A. Scurani, “Magna procella” in San Fedele, in Terra ambrosiana, XXXVI (1995), 2, pp. 64-69; A. Fagioli, N. T. un gesuita avanti, Roma 2000; T. Subini, L’arcivescovo di Milano e “La dolce vita”, in Bianco e Nero, LXXI (2010), 567, pp. 33-43; F. Ruozzi, Teletrasmissione della messa. Nascita di un genere televisivo tra speranze, attese e preoccupazioni del Centro cattolico televisivo e della diocesi di Milano, in Schermi, I (2017), 2, pp. 161-191; T. Subini, I primi tre concorsi universitari di cinema, in Bianco e Nero, LXXVIII (2017), 588-589, pp. 92-108; P. Valentini, L’immagine della fede sul piccolo schermo. Le rubriche religiose televisive, in Schermi, I (2017), 2, pp. 192-216.