Nazionalizzazione
di William A. Robson
Nazionalizzazione
sommario: 1. Introduzione. 2. L'ambito delle nazionalizzazioni. 3. I motivi delle nazionalizzazioni. 4. Il ruolo del settore nazionalizzato. 5. Monopolio e concorrenza. 6. L'amministrazione delle imprese nazionalizzate. 7. La società pubblica. 8. Il controllo del governo. 9. I problemi finanziari delle imprese nazionalizzate. 10. Il ruolo del legislativo. 11. La contabilità. 12. L'impresa mista. 13. Le nazionalizzazioni e il Mercato Comune. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Col termine ‛nazionalizzazione' s'intende la creazione o l'acquisizione da parte dello Stato di industrie o servizi che soddisfino determinate condizioni. Queste industrie o servizi possono essere definiti aziende nazionalizzate. La loro natura può essere meglio compresa confrontandoli da un lato con le tradizionali funzioni di governo, e dall'altro con i più moderni servizi sociali. Le funzioni tradizionali di governo comprendono attività come il mantenimento della legge e dell'ordine, la politica estera, la difesa, l'emissione di moneta, la costruzione di autostrade e così via. Si tratta di funzioni che i governi svolgono da secoli, senza le quali è dubbio che si possa parlare di Stati nazionali. I servizi sociali sono di origine più recente. L'istruzione pubblica, i servizi sanitari, l'assistenza sociale sotto varie forme, le assicurazioni sociali, costituiscono gli esempi più importanti. Nella loro forma attuale sono relativamente recenti, e vengono finanziati parzialmente o totalmente con le tasse; mirano ad assicurare un livello di vita minimo su scala nazionale e hanno una funzione ridistributiva; forniscono un efficace contributo alla salute, all'educazione e alla sicurezza della popolazione. Essi sono pertanto essenziali al benessere e alla prosperità di un paese. Le industrie e i servizi nazionalizzati hanno caratteristiche molto diverse da quelle delle tradizionali funzioni di governo o dei servizi sociali: richiedono normalmente un tipo di conduzione simile a quello delle imprese private di grandi dimensioni, si autofinanziano parzialmente o totalmente, e devono funzionare sulla base di un'autonomia assai più ampia di quella concessa ad altri organismi dipendenti dai ministeri. Tuttavia essi sono soggetti a molte forme di controllo da parte del governo e del legislatore, che li differenziano dalle imprese private. Essi operano in un contesto politico, e i loro obiettivi sono diversi da quelli delle imprese private.
È possibile far rientrare le ‛imprese miste' nel settore nazionalizzato dell'economia? Si tratta di imprese nelle quali enti pubblici e privati partecipano in modo sostanziale sia al capitale che alla conduzione aziendale. Questa definizione è probabilmente troppo semplice, in quanto ‛impresa mista' può significare un'impresa pubblica nella quale è stato permesso al capitale privato di partecipare, o un'impresa privata nella quale sia entrato capitale pubblico. Nonostante la difficoltà logica, la risposta deve essere affermativa, perché in numerosi paesi le imprese nazionalizzate operano insieme a imprese a partecipazione statale affiliate o associate, e non è possibile escludere queste ultime senza dare un quadro fortemente distorto della situazione. Questo vale particolarmente per l'Italia, la Gran Bretagna e la Francia, dove le imprese nazionalizzate hanno vitali interessi in un gran numero di sussidiarie che sono solo in parte di loro proprietà (v. Robson, 1972, p. 22; v. Holland, 1972). In seguito approfondiremo l'argomento delle imprese miste.
Benché la parola nazionalizzazione denoti una proprietà e una conduzione a carattere nazionale, in numerosi paesi esistono imprese in cui sono presenti sia il governo centrale sia enti provinciali o locali. La Damodar Valley Authority, ad esempio, è proprietà del governo centrale dell'India e dei governi degli Stati del Bihar e del Bengala occidentale. Nella Germania Federale molte imprese per la produzione di energia elettrica sono di proprietà del governo federale, del governo dei singoli Stati (Länder) e dei comuni. Queste imprese possono essere considerate a pieno titolo come facenti parte del settore nazionalizzato. In altre parole, non è necessario che un'impresa nazionalizzata sia completamente di proprietà dello Stato, a condizione che il governo centrale abbia una partecipazione sostanziale nella proprietà e nel controllo.
2. L'ambito delle nazionalizzazioni
L'ambito delle nazionalizzazioni è così ampio che non può esserne data una descrizione succinta. Comunque è possibile indicare alcune tra le maggiori industrie o servizi che sono nazionalizzati nella maggior parte dei paesi. Un primo gruppo è costituito dai trasporti pubblici. Esso comprende le ferrovie, i canali navigabili, le autolinee, le metropolitane, le linee aeree, nonché le relative attrezzature come gli aeroporti e i terminals, i traghetti, ecc. Un secondo gruppo è costituito dalle industrie produttrici di combustibili e di energia, come il gas, l'elettricità, il petrolio, il carbone e l'energia nucleare. Un terzo gruppo riguarda le comunicazioni, e comprende i servizi postali, i telefoni e i telegrafi.
Questi tre gruppi costituiscono una parte considerevole delle infrastrutture. Essi richiedono un grandissimo impiego di capitali, sia nella fase iniziale della costruzione, sia in seguito, per la manutenzione e gli eventuali amplia- menti. Essi sono essenziali per quel moderno sistema di vita al quale aspirano tutti i paesi; inoltre sono indispensabili per l'urbanizzazione e l'industrializzazione. Alcuni di questi servizi sono nati su scala locale come servizi pubblici comunali, e sono stati assorbiti in un secondo tempo da organismi a carattere nazionale. In particolare ciò si è verificato per le forniture di gas e di energia elettrica, che in alcuni paesi sono ancora gestite da imprese a livello comunale. L'industria siderurgica è stata nazionalizzata del tutto o in parte in numerosi paesi: tra questi la Gran Bretagna, l'Italia, l'India, la Turchia e, naturalmente, i paesi comunisti dell'Europa orientale.
Le banche, le compagnie d'assicurazione, i servizi di credito sono un altro settore nel quale la nazionalizzazione è stata praticata su larga scala. Le banche centrali sono ovunque istituti di proprietà pubblica. In Francia le quattro maggiori banche sono state nazionalizzate dopo la seconda guerra mondiale, mentre in Italia la nazionalizzazione fatta durante il regime fascista delle tre maggiori banques d'affaires ha costituito il preludio al successivo sviluppo delle nazionalizzazioni nel paese.
Le banche per lo sviluppo e le istituzioni create per assistere l'industria, il commercio e l'agricoltura con crediti, prestiti, mutui, sono presenti in quasi tutti i paesi, Stati Uniti compresi.
L'ente per la sistemazione e lo sfruttamento della valle di un fiume costituisce un caso importante di nazionalizzazione, in quanto soltanto lo Stato ha il potere e le risorse per varare un'iniziativa così ambiziosa. La Tennessee Valley Authority è il prototipo di questo tipo di imprese, e grandi iniziative quali la Damodar Valley Authority in India e il Volta River Project in Ghana si ispirano alla T.V.A.
Un altro settore delle nazionalizzazioni è quello delle arti e del tempo libero. Gallerie d'arte, musei e biblioteche pubbliche esistono da secoli, e le più famose collezioni sono generalmente di proprietà pubblica e amministrate nell'interesse della nazione. Quasi tutti gli Stati moderni sostengono con i necessari mezzi finanziari la costruzione di sedi e di edifici per attività quali i concerti, il teatro, l'opera, i balletti, il cinema, la radio e la televisione. La tendenza a incoraggiare gli svaghi popolari ha portato alla costituzione dei parchi nazionali e delle riserve di caccia grossa, e alla realizzazione di impianti per gli sport e l'atletica.
Ma oltre a questi settori ben delineati, c'è un'immensa varietà di iniziative nel campo delle nazionalizzazioni: cantieri navali, impianti petrolchimici, aziende produttrici di autoveicoli, di aerei, di armi, società alberghiere, ecc.
È possibile indicare alcuni principi di carattere generale che determinano l'ambito delle nazionalizzazioni nei paesi a economia mista? Le considerazioni che seguono possono rispondere in parte a questo quesito.
Le industrie di pubblica utilità sono generalmente considerate adatte alla proprietà pubblica, e quando è opportuno estendere l'area della loro operatività a tutto il paese, la nazionalizzazione diviene inevitabile. L'espressione ‛di pubblica utilità' è abbastanza vaga, ma in genere è applicabile a servizi necessari a una gran parte della popolazione e per loro natura monopolistici: il gas, l'elettricità, l'acqua, i telefoni e i telegrafi, le ferrovie. Se si rifiuta la proprietà pubblica in questi settori, resta come unica alternativa una rigorosa regolamentazione delle aziende in rapporto ai prezzi e alle tariffe, alla qualità del servizio e ai profitti.
Le industrie che richiedono investimenti molto elevati di capitale tendono a ricadere nel settore nazionalizzato, soprattutto per la difficoltà di reperire capitali privati sufficienti. Le moderne acciaierie a ciclo integrale ne sono un esempio. La silvicoltura è una di quelle attività nelle quali il profitto sul capitale è differito per un periodo molto lungo, e quindi scoraggia gli investimenti privati; perciò essa è nazionalizzata in molti paesi. Nel passato le ferrovie sono state costruite e gestite da imprese private e in seguito rilevate dallo Stato a causa della difficoltà di reperire capitali sufficienti.
3. I motivi delle nazionalizzazioni
La questione dell'‛ambito' può risultare più chiara esaminando i motivi che hanno portato alle nazionalizzazioni. Nei paesi comunisti i fattori ideologici sono stati determinanti nel processo di collettivizzazione dell'intera economia (v. Katzarov, 1964, pp. 21-81). In altri paesi il fattore ideologico ha avuto un peso diverso. In India quello che Nehru definì ‟un modello socialista di società" portò alla nazionalizzazione della grande fabbrica di fertilizzanti di Sindri, di quella di locomotive di Chittaranjan, di una di aerei, e di numerose altre aziende, fra le quali alcune banche e compagnie di assicurazione. Le dottrine socialiste hanno avuto un ruolo importante nei grandi programmi di nazionalizzazione realizzati in Gran Bretagna e in Francia negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale.
In Italia l'espansione del settore pubblico ebbe origine non da motivazioni ideologiche ma dalla decisione del regime fascista di acquisire il controllo di tre banche importanti per salvarle dal fallimento. Ciò diede allo Stato la proprietà delle ampie partecipazioni di quegli istituti bancari in numerose industrie manifatturiere, e da quella base di partenza il settore nazionalizzato si è poi ampliato in molte nuove direzioni.
In Svezia, benché sia al potere da più di trent'anni un governo socialdemocratico che ha realizzato un vero primato nel campo delle riforme sociali, le nazionalizzazioni hanno fatto pochi progressi. In Canada, invece, vi sono numerose importantissime imprese nazionalizzate, dalla Canadian National Railways alla St. Lawrence Seaway Authority, dalla Atomic Energy of Canada alla Trans Canada Air Lines, ma la loro esistenza non è dovuta all'ideologia socialista bensì a un pragmatico riconoscimento delle esigenze nazionali.
I motivi che hanno indotto parecchi paesi a nazionalizzare determinate attività e imprese sono molti. Tra questi ricordiamo: 1) il desiderio di riorganizzare un'impresa su scala regionale o nazionale; 2) la volontà di migliorare le attrezzature e di aumentare le dimensioni di un'impresa finanziando con denaro pubblico un forte incremento di capitale; 3) l'esigenza di fornire al governo uno strumento efficace per svolgere una politica di pieno impiego, oppure di evitare le distorsioni connesse all'esistenza di monopoli privati; 4) la volontà di assicurare il controllo politico di un'impresa considerata di vitale importanza per l'economia; 5) la necessità di ottenere un coordinamento tra forme di trasporto o di produzione di energia tra loro in concorrenza o complementari; 6) il desiderio di salvare società o imprese in pericolo di collasso o di aumentare il rendimento; 7) l'esigenza di cooperare alla pianificazione economica e sociale, assicurando servizi non vantaggiosi sul piano del profitto; 8) la convinzione che un forte settore pubblico è uno strumento importante per promuovere lo sviluppo economico e mettere in grado lo Stato di operare come imprenditore in un'ampia zona dell'economia.
Non esistono motivazioni ‛giuste' o ‛sbagliate' in senso assoluto. Ciascuno dei motivi precedentemente esposti può essere, date certe circostanze, giustificato su basi razionali. Raramente ci troviamo di fronte a un unico motivo; ragioni diverse hanno prevalso non solo in differenti paesi, ma nello stesso paese in diversi periodi. Talvolta più motivi si sono sommati insieme, nello stesso paese e contemporaneamente.
Questione del tutto diversa, che tratteremo più avanti, è quella relativa all'effettiva realizzazione degli scopi che legislatori e governi intendevano perseguire con la nazionalizzazione di un'azienda o di un'impresa. In ogni caso l'analisi dei motivi che hanno portato alla nazionalizzazione non deve impedirci di considerare il ruolo che il settore nazionalizzato ha in un'economia mista. Infatti i motivi che hanno portato alla nazionalizzazione non sempre determinano il ruolo effettivo dell'azienda nazionalizzata. Analogamente, i miglioramenti nell'organizzazione o nelle attrezzature di un'impresa nazionalizzata non dicono nulla circa il ruolo svolto da questa impresa o dal settore nazionalizzato nel suo complesso.
4. Il ruolo del settore nazionalizzato
Compito tradizionale delle imprese a proprietà statale è quello di ottenere entrate per il governo. I monopoli statali di sale, tabacco, fiammiferi, alcool e altri beni, che esistono da molto tempo in diversi paesi, hanno proprio questo scopo. Ma queste stesse attività, specialmente quelle del tabacco e degli alcoolici, possono dare ingenti profitti anche se gestite da imprese private, ed è quindi arduo sostenere la necessità della loro nazionalizzazione sotto questo profilo.
Un altro compito dell'impresa pubblica è quello di aprire la strada alle imprese private. In Giappone l'industria siderurgica fu promossa dal governo verso la fine del XIX secolo e in seguito trasferita a società private. In Gran Bretagna le turbine a gas, la progettazione e la costruzione di centrali nucleari, e gli Hovercraft, sono settori nei quali il primo impulso è venuto dallo Stato e che in seguito sono stati trasferiti a società private. In questi casi lo Stato si fa carico dell'applicazione in campo industriale di una nuova invenzione: si assume tutti i rischi, fornisce il capitale necessario per la fase di avviamento, svolgendo il ruolo dell'imprenditore, e poi lascia il campo ai privati. Si tratta di una politica generosa verso l'imprenditore privato, che contraddice non solo la dottrina socialista ma anche la teoria classica del capitalismo.
Il settore nazionalizzato può operare sul piano imprenditoriale anche in un senso più lato. In Italia, ad esempio, il settore nazionalizzato, e in particolare quello sotto controllo IRI, è stato gestito in base alla teoria che ‟lo Stato può esso stesso divenire imprenditore; ciò non solo allo scopo di aiutare l'impresa privata a diventare autosufficiente, ma anche al fine di mettere in grado l'economia e la società nel loro complesso di giovarsi dei benefici che, in una struttura politica democratica, possono venire da una più completa utilizzazione del potenziale di crescita dell'economia" (v. Holland, 1972, p. 7). Ciò può essere ottenuto non solo seguendo i moduli tradizionali, cioè la nazionalizzazione delle industrie e dei servizi di base - combustibili, energia, trasporti, mezzi di comunicazione, siderurgia, banche e assicurazioni - che sono essenzialmente passivi, ma anche intervenendo in industrie manifatturiere di trasformazione, di ingegneria meccanica ed elettrotecnica, di elettronica, plastica, ecc., che sono i centri attivi della crescita economica. Per assicurare adeguati investimenti in queste industrie lo Stato deve diventare imprenditore e dirigere le imprese, invece di limitarsi a prestare denaro alle aziende interessate (ibid., pp. 18-19). Questa nuova politica non ha però significato l'abbandono del modello storico precedente, in quanto la più notevole realizzazione dell'IRI nell'Italia postbellica è stata la creazione di un'industria siderurgica nazionalizzata di dimensioni ragguardevoli.
Nei paesi in via di sviluppo spesso non esiste una valida alternativa all'impresa pubblica come strumento principale di sviluppo economico e sociale. Non vi è un mercato dei capitali, non vi sono dirigenti o amministratori capaci al di fuori della pubblica amministrazione, e non vi sono le risorse né umane né materiali necessarie a promuovere un rapido sviluppo attraverso le imprese private. Perciò lo Stato crea nuove aziende nella forma di società nazionalizzate.
Un altro compito che spesso lo Stato si assume è quello di evitare il crollo di singole imprese private o di interi rami industriali. L'intervento dello Stato può manifestarsi nella forma di prestiti o sussidi a società per azioni che si trovano in difficoltà finanziarie, e questo è il sistema più corrente, che determina talvolta la nascita di un'impresa mista. Ma la nazionalizzazione di un'industria o di un'azienda può essere realizzata anche in una prospettiva di più ampie dimensioni. Nel 1945, in Gran Bretagna, l'industria del carbone e le ferrovie si trovavano in gravi difficoltà e non erano in grado di raccogliere i capitali necessari per modernizzare le loro attrezzature e la loro tecnologia. Il rimedio adottato dal governo fu la loro definitiva nazionalizzazione. Anche il fallimento della Rolls-Royce fu evitato nel 1971 con la nazionalizzazione della società. Questa politica è esattamente l'opposto della concezione capitalistica, perché assicura la sopravvivenza, spesso a spese di coloro che pagano le tasse, di un'impresa non più vitale. Ciò può portare al risultato di un settore nazionalizzato appesantito da industrie e aziende arretrate, in declino o inefficienti, che determina di conseguenza condizioni più difficili per operazioni alternative vantaggiose. Un altro caso che dev'essere menzionato è quello relativo a un impresa nazionalizzata concepita come concorrente oppure come battistrada di un'impresa privata. L'esperienza canadese offre molti esempi in tal senso, in settori quali le autostrade, le linee aeree, la radio e la televisione.
È possibile dopo questa breve rassegna formulare alcuni principi di ordine generale sull'ambito delle nazionalizzazioni, sui motivi che inducono a nazionalizzare, e sul ruolo che un'impresa nazionalizzata deve svolgere? L'ambito è ovviamente influenzato in certa misura dai motivi. Così, se il governo è deciso ad assicurarsi il controllo politico di alcune imprese di vitale importanza per l'economia, ciò avrà delle ripercussioni sull'ampiezza del settore nazionalizzato. Lo stesso vale per la decisione di nazionalizzare un'industria che richieda forti investimenti di capitale.
Le argomentazioni a favore della nazionalizzazione dei settori basilari delle infrastrutture (trasporti pubblici, energia e carburanti, comunicazioni) sono molto forti. Queste attività sono monopolistiche per le loro stesse caratteristiche tecniche, sono le più pianificate e sono organizzate su scala nazionale, ma richiedono un grande impiego di capitale e nella loro amministrazione sono spesso necessarie valutazioni di politica sociale.
La nazionalizzazione parziale o totale delle banche centrali, delle assicurazioni e degli istituti di credito può anche essere giustificata in base al fatto che il potere che esse esercitano è troppo forte perché si possa lasciarlo a società che hanno per scopo il profitto e non l'interesse della nazione.
Grandi costruzioni adatte a finalità molteplici, come bacini di fiumi, nuove città, ecc., dovrebbero essere iniziative nazionalizzate, in quanto implicano l'acquisizione coercitiva su larga scala di terreni e l'esercizio di poteri che solo i governi possono esercitare, e in quanto il profitto non dovrebbe essere lo scopo principale di iniziative del genere.
Senza pretendere di dare un'esposizione esaustiva dell'ambito e del ruolo delle nazionalizzazioni, si può affermare che tra i più utili obiettivi dell'impresa pubblica in un'economia mista vi sono: a) lo sviluppo delle infrastrutture; b) la conduzione d'industrie a carattere monopolistico o di servizi che potrebbero essere gestiti contro l'interesse pubblico se lasciati in mano a privati; c) la messa in opera di iniziative produttive in settori industriali trascurati; d) la promozione della crescita economica e dello sviluppo sociale, con particolare riguardo alle aree arretrate.
Non si possono escludere altri obiettivi e la situazione attuale non deve essere considerata statica. Ma gli obiettivi sopra elencati dovrebbero dare un'idea abbastanza precisa circa l'ambito e le finalità auspicabili per il settore nazionalizzato in un'economia mista. Alcuni servizi, come quelli radiotelevisivi, sono troppo potenti - data l'influenza culturale che possono esercitare - perché possano essere affidati a imprese commerciali.
5. Monopolio e concorrenza
Abbiamo parlato prima dell'opportunità di nazionalizzare le industrie e i servizi di carattere ‛monopolistico', per evitare lo sfruttamento del consumatore. Le forniture di acqua, di gas, di elettricità, i telefoni, le poste e i telegrafi, gli oleodotti e le ferrovie sono esempi di servizi che nella maggior parte dei paesi sono stati completamente nazionalizzati. Quando sono lasciati in proprietà e gestione ai privati, è necessaria una severa regolamentazione pubblica affidata a una commissione o a un ministero. Tali regolamentazioni sono spesso controproducenti, perché, anche quando impediscono lo sfruttamento del consumatore, permettono raramente che venga raggiunto un livello soddisfacente di servizio.
Generalmente si ritiene che sia auspicabile un certo grado di concorrenza per assicurare un agile ed efficiente management capace di soddisfare il consumatore, dato che questi può rivolgersi a una fonte di approvvigionamento alternativa se la quantità, la qualità o il costo del servizio gli sembrano insoddisfacenti. Il problema di conservare una forma di concorrenza fra le imprese nazionalizzate può essere superato, almeno in parte, in numerosi modi. In primo luogo limitando la nazionalizzazione a un settore del ramo industriale in questione. Un esempio di applicazione di questo principio si può vedere in Canada, dove la National Railway, di proprietà statale, è in concorrenza con la Canadian Pacific Railway, di proprietà privata. In secondo luogo facendo sì che le imprese nazionalizzate siano in concorrenza fra loro e/o con imprese private. Così in Gran Bretagna le società nazionalizzate del gas, del carbone e dell'energia elettrica operano in forte concorrenza tra loro e con le società private del petrolio. Un terzo tipo di concorrenza è quella che le compagnie aeree nazionalizzate debbono affrontare sulle rotte internazionali con le compagnie straniere, che comprendono sia aziende private che a carattere pubblico. I servizi previsti negli orari ufficiali sono regolati da trattati bilaterali, e ciascuna compagnia aerea è in concorrenza con la compagnia estera che opera sulla stessa rotta. Le tariffe vengono stabilite dalla International Transport Association e sono spesso soggette ad approvazione da parte dei governi. La concorrenza è forte per quanto concerne il servizio, la velocità, la sicurezza, il comfort, la cortesia e la regolarità.
A volte un'azienda nazionalizzata deve affrontare sia la concorrenza interna che quella estera. Così la fabbrica di automobili Renault, che è un'impresa nazionalizzata, è in concorrenza con le società automobilistiche francesi ed estere.
La concorrenza può produrre vantaggi solo se è leale. In questo contesto ‛leale' significa, inter alia, che un'impresa nazionalizzata non deve essere messa in una posizione privilegiata da discriminazioni attuate dal governo in suo favore: per esempio affidandole commesse per merci o servizi senza indire pubbliche aste, o garantendole sussidi o prestiti a condizioni più vantaggiose di quelle ottenibili da società private. Questo significa anche che le aziende commerciali non debbono fare delle discriminazioni a favore delle imprese private.
Le tendenze monopolistiche nei settori privati sono molto aumentate nel corso degli ultimi vent'anni in tutti i paesi industrializzati. La spinta costante a fusioni, assorbimenti e ad altre forme di unione è in parte motivata dal desiderio di ridurre o eliminare una concorrenza efficace. In risposta a queste tendenze in molti paesi sono stati costituiti o potenziati organismi statali per indagare sui monopoli e tenerli sotto controllo, assoggettandoli, ove necessario, a severe regolamentazioni. Sono state costituite anche imprese nazionalizzate per ridurre il potere delle società private, abbassando i profitti eccessivi derivanti da una posizione monopolistica.
Vi è stata una lunga polemica in Inghilterra tra coloro che auspicavano un alto grado di concorrenza tra le imprese di proprietà pubblica e coloro che consigliavano un ‛coordinamento', che talvolta vuol dire la riduzione o la soppressione della concorrenza. Il Ridley Committee of National Policy ha sostenuto vigorosamente il principio della concorrenza tra le imprese nazionalizzate per l'utilizzazione delle risorse petrolifere ed energetiche. Il Comitato è partito dal principio che, per promuovere il miglior uso del combustibile e dell'energia, la politica nazionale deve mirare a tre obiettivi: a) far fronte completamente alla domanda della comunità per i vari tipi di combustibile e di energia quando essi sono venduti a prezzi che corrispondono ai rilevanti costi di produzione e di distribuzione; b) promuovere la massima efficienza nell'uso di ciascun tipo di combustibile; c) incoraggiare l'uso, per scopi particolari, del combustibile adatto, per ottenere la migliore utilizzazione delle risorse in questione. ‟La politica giusta - essi hanno dichiarato -, e anche l'unica possibile, è di lasciare che i tipi di combustibile da usare siano liberamente scelti dai consumatori tra servizi in concorrenza tra loro" (v. Report of..., 1952, È 225). Questa politica richiede che le società produttrici di combustibili non impongano all'offerta rivolta ai consumatori alcuna condizione che possa restringere la loro libertà di scelta e che non sia giustificata dai costi di approvvigionamento, e che sia disponibile per il pubblico una completa ed esauriente informazione sui diversi combustibili e sulle loro applicazioni (v. Robson, 19622, pp. 119-133).
La fiducia nella concorrenza non è affatto limitata a coloro che la considerano uno dei vantaggi del capitalismo, vantaggio che viene sacrificato quando la nazionalizzazione mette fine all'impresa privata. In Gran Bretagna proprio i leaders socialisti hanno sostenuto la necessità di conservare la concorrenza tra le imprese nazionalizzate. ‟Oggi noi comprendiamo meglio - ha scritto uno di loro in un libro molto autorevole - che il monopolio, anche quando è pubblico, ha dei chiari svantaggi [...], mentre si può constatare che i vantaggi della concorrenza sono maggiori di quanto ritenessero i socialisti prima della guerra, poiché essa scoraggia l'indolenza e incoraggia l'iniziativa, aumentando il benessere del consumatore [...] e concedendogli una libera scelta di beni e servizi. Naturalmente questo non significa che il monopolio non abbia dei vantaggi e la concorrenza dei difetti, ma soltanto che il bilancio fra vantaggi e svantaggi ci si presenta oggi in un'ottica differente" (v. Crosland, 1956, pp. 469-470).
6. L'amministrazione delle imprese nazionalizzate
All'inizio le imprese e i servizi nazionalizzati sono stati amministrati per lo più dai ministeri del governo centrale. Questo si è verificato per i servizi postali e per le telecomunicazioni, per i sali e tabacchi, gli alcoolici ecc., per i cantieri navali, le fabbriche di armi, le zecche. Molte importanti attività commerciali e industriali sono ancora dirette in questo modo. In Svizzera, ad esempio, il servizio di autobus, dal quale dipende in gran parte l'esistenza dei villaggi montani, è gestito dalle Poste Federali, che sono sotto il controllo del Ministero dei trasporti, delle comunicazioni e dell'energia. Il sistema radiofonico indiano è posto alle dipendenze dirette del Ministero delle informazioni.
Nella maggior parte dei paesi, comunque, i ministeri governativi non vengono considerati come gli enti più adatti per amministrare le aziende di proprietà statale. Tra le ragioni di questo mutato atteggiamento si può annoverare: il desiderio di accrescere la libertà di movimento delle imprese nazionalizzate rispetto a quella di cui gode un ministero; la necessità di svincolarle dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano il servizio civile, mettendole in grado di assumere più facilmente personale e di evitare gli impacci burocratici; il desiderio dei ministri di evitare la responsabilità di una gestione diretta delle industrie nazionalizzate. Il fatto che queste imprese siano completamente autosufficienti dal punto di vista finanziario rende inadatti e macchinosi i sistemi per autorizzare le spese sulla base di bilanci preventivi che richiedono l'approvazione da parte del potere legislativo.
In molti paesi per amministrare le imprese nazionalizzate viene usata la formula della società per azioni. L'In- dia, in particolare, ha seguito questa strada in quasi tutti i casi. È un metodo che ha sia vantaggi che svantaggi. Si può utilizzare la legislazione che regola l'attività delle società per azioni, evitando quindi nuovi statuti e nuovi strumenti legislativi. Nella relazione annuale di bilancio è sufficiente dare scarni dati informativi. È estremamente semplice creare o liquidare una società per azioni, e i fini sociali possono essere facilmente ampliati o cambiati modificando lo statuto della società. I dirigenti possono essere sostituiti o licenziati a piacimento. Le società per azioni che operano con imprese nazionalizzate sono per loro natura autonome e il governo può averne un completo controllo senza essere responsabile verso il parlamento.
In Francia alcune importanti società finanziarie sono state nazionalizzate dallo Stato con l'acquisto di tutti i pacchetti azionari, senza che sia avvenuto alcun mutamento nella condizione legale della società. Così lo Stato è divenuto il solo azionista della Banque de France, del Crédit Commercial de France, del Crédit Industriel et Commercial e della Societè Centrale des Banques, come pure di 34 compagnie di assicurazione che sono state nazionalizzate nel 1946. Tutti questi istituti sono soggetti alle leggi vigenti sulle società. Il gruppo automobilistico Renault, che è stato nazionalizzato nel 1945, ha avuto un trattamento particolare. Sono state espropriate tutte le sue attività attive e passive. Ma la nuova Régie Nationale che ha preso il posto della vecchia società è stata definita dal punto di vista giuridico ‟un'impresa a carattere industriale e commerciale dotata di personalità giuridica e di autonomia finanziaria". L'omissione della parola ‛pubblica' dopo ‛impresa' è significativa, in quanto si è voluto dare alle Officine Renault uno statuto il più possibile simile a quello di un'impresa privata (v. Centre Européen de l'Entreprise Publique, 1967, pp. 40-47).
7. La società pubblica
Lo sviluppo più significativo del nostro secolo in fatto di amministrazione dell'impresa pubblica è la società a capitale pubblico. Il primo esempio di questo fenomeno per quanto riguarda un'impresa industriale fu dato in Australia dallo Stato di Vittoria, che approvò una legge che distingueva tra la costruzione di nuove linee ferroviarie e la gestione di quelle esistenti, affidando le prime, in ragione del loro carattere politico, a un organismo ministeriale, e le seconde, in ragione del loro carattere tecnico e commerciale, ad amministrazioni private libere da qualunque vincolo politico. Fu creata, con un'apposita legge, una società diretta da un presidente e da due commissari, nominati dal governatore per un periodo di sette anni, che avevano piena autorità nella gestione delle ferrovie, compresi la nomina e il controllo dei dirigenti. L'esperimento ebbe successo e il nuovo sistema fu adottato nello Stato del Nuovo Galles, seguito poi dagli altri Stati. Tale sistema fu esteso anche alle linee aeree, alla radio e alle telecomunicazioni, alle fabbriche di alluminio e a molti altri settori. Questa politica non è stata sempre coerente, e vi sono state molte variazioni nella struttura, nei poteri e nelle responsabilità di questo tipo di società (v. Spann, s. d., pp. 102-125).
In Inghilterra il primo esempio di società pubblica creata per gestire un'iniziativa industriale è stata la Port of London Authority, istituita nel 1908, esempio seguito negli Stati Uniti dalla Port of New York Authority, istituita nel 1921.
Nel periodo compreso fra le due guerre mondiali sorsero in Inghilterra numerose altre società pubbliche: la Forestry Commission nel 1919, la British Broadcasting Corporation e il Central Electricity Board nel 1926, il Racecource Betting Control Board nel 1928, la London Passenger Transport Board nel 1933 e la BOAC nel 1939. Queste società caratterizzarono la prima fase delle nazionalizzazioni e la loro gestione operò con caratteri largamente sperimentali. La seconda fase iniziò nel 1945, quando il Partito laburista giunse al potere con un ampio programma di nazionalizzazioni. L'ente pubblico fu lo strumento adottato per tutte le imprese rilevate o avviate direttamente dallo Stato, e tutti i partiti politici concordarono nel ritenere che esso fosse il più idoneo. Gli enti pubblici creati durante e dopo questa seconda fase hanno seguito un modello comune per quanto riguarda le caratteristiche fondamentali.
L'equivalente francese di un ente pubblico è l'établis- sement public à caractère industriel et commercial. Il primo esempio di esso fu l'Office National de la Navigation, creato nel 1912. Nel 1914 fu costituito l'Office National Industriel de l'Azote. Enti simili furono costituiti successivamente per lo sviluppo industriale in Alsazia, per la ricerca e lo sfruttamento dei prodotti petroliferi, per gli aeroporti, ecc. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale fu varato in Francia un immenso programma di nazionalizzazioni, e tutte le industrie comprese in questo programma furono trasferite a società pubbliche, fatta eccezione per le Officine Renault, le banche e le compagnie di assicurazione.
In Italia, al vertice delle industrie di proprietà statale vi sono tre grandi enti pubblici: IRI, ENI ed ENEL. Dall'IRI dipendono cinque società finanziarie, ciascuna delle quali è responsabile di un certo numero di società che operano in un certo ramo dell'industria (lavorazione dell'acciaio, costruzione di navi, ingegneria meccanica, comunicazioni). L'IRI possiede la maggioranza delle azioni di ciascuna delle società finanziarie, e le aziende operative, direttamente o tramite una società finanziaria, sono per intiero o a maggioranza di proprietà dell'IRI. Anche l'ENI e l'ENEL hanno strutture complesse, ma non seguono il sistema a tre livelli proprio dell'IRI. In Gran Bretagna, in Francia e in altri paesi le aziende pubbliche hanno creato, direttamente o in partecipazione, numerose società anonime operanti nei medesimi settori industriali o in settori affini, ma in nessun altro paese questo tipo di organizzazione ha assunto le dimensioni raggiunte in Italia.
In Canada ci sono tre categorie di società pubbliche, note come Departmental Corporations, Agency Corporations e Proprietary Corporations. Le Agency Corporations gestiscono la maggior parte delle iniziative industriali e commerciali di proprietà dello Stato, e godono da parte del governo di una libertà molto maggiore rispetto alle Departmental Corporations (v. Friedman e Garner, 1970, pp. 204-206).
In Turchia il settore pubblico comprende numerose aziende poste sotto il controllo di banche a proprietà statale, che da questo punto di vista possono essere considerate analoghe a società pubbliche. Negli Stati Uniti d'America, la Tennessee Valley Authority è una società pubblica, così come lo è in India la Damodar Valley Authority. In Giappone ci sono più di cento società pubbliche istituite dal governo centrale. Società pubbliche esistono anche in Israele, Nigeria, Nuova Zelanda, Sudafrica e in molti altri paesi. Nell'URSS, in Polonia e nei paesi comunisti dell'Europa orientale pressoché tutte le aziende sono amministrate da enti che corrispondono strettamente al concetto occidentale di società pubblica e sono ben distinti dai servizi statali (v. Friedman, 1954, pp. 374-409).
Quanto detto è sufficiente per dimostrare l'ampiezza del fenomeno che vede l'adozione della società pubblica quale strumento idoneo per amministrare le imprese nazionalizzate. Questa soluzione, inoltre, non è utilizzata solo per le imprese passate, mediante espropriazione, dal controllo privato al controllo statale. In alcuni paesi imprese a conduzione governativa sono state trasferite a società pubbliche. Ciò è accaduto in Nigeria, ove le ferrovie, l'approvvigionamento di elettricità, le miniere di carbone e altre imprese, che erano amministrate da uffici governativi, sono state affidate a società pubbliche. Nel 1969 il British Post Office, che per secoli era stato un normale servizio statale, è stato trasferito a una società pubblica.
Qual è il retroterra di questo grande fenomeno del nostro secolo ? Cosa spinge a preferire la soluzione della società pubblica? Di fronte a un'ampia gamma di circostanze non è facile fare generalizzazioni, tuttavia le cause principali possono essere indicate come segue: 1) è riconosciuto che, per raggiungere un livello amministrativo soddisfacente, le attività industriali e commerciali richiedono un grado di autonomia dal controllo politico e burocratico maggiore di quello che normalmente possiede un ministero; 2) la tendenza del governo o del potere legislativo a una minuziosa supervisione, al controllo delle decisioni amministrative e delle quotidiane operazioni industriali, può scoraggiare l'iniziativa e suscitare nell'amministrazione dell'impresa nazionalizzata un eccessivo senso di dipendenza; 3) le leggi che nella maggior parte dei paesi regolano i servizi pubblici sono troppo poco flessibili e concepite in modo troppo rigido per assicurare alle imprese nazionalizzate una forza lavoro agile, intraprendente, ben qualificata; 4) le procedure e i metodi che regolano la stesura dei bilanci, la collocazione delle risorse e le spese dei ministeri non sono adatti alle imprese nazionalizzate, la cui maggiore fonte di reddito deriva dalla vendita dei loro stessi prodotti; 5) dando una maggiore libertà in questi campi alle imprese nazionalizzate, si è pensato di combinare nel migliore dei modi i vantaggi del servizio pubblico con quelli dell'iniziativa privata. Così nella maggior parte dei paesi è stato accordato alle imprese pubbliche un effettivo livello di indipendenza per ciò che riguarda: a) la nomina, il licenziamento, la remunerazione e le condizioni di impiego del personale; b) le finanze; c) il controllo da parte del governo; d) la revisione contabile.
L'ente operativo, sia esso una società pubblica o una società anonima, conserva sempre la veste di persona giuridica, che può citare o essere citata in giudizio, sia in sede civile che penale.
8. Il controllo del governo
Nonostante l'ampio margine di libertà lasciato alle società pubbliche o a enti simili, ciò non ha mai comportato che essi fossero autonomi. Nè è realistico supporre che un governo, quale che sia il suo colore politico, accetti di restare in disparte permettendo che le aziende di proprietà pubblica vengano amministrate senza alcun intervento da parte delle pubbliche autorità. Una tale situazione ci appare ancor meno plausibile se consideriamo le motivazioni e gli scopi delle nazionalizzazioni in qualsiasi paese esse abbiano un'ampiezza significativa.
È ben noto che i rapporti tra governo e aziende di proprietà pubblica sono d'importanza centrale. Dappertutto si pongono, in forme leggermente diverse, i medesimi problemi. Uno di questi è come conferire alle iniziative pubbliche a carattere industriale o commerciale un'ampia indipendenza nell'attività quotidiana, lasciando però al governo la decisione definitiva per quanto riguarda le scelte politiche di fondo. Un altro problema consiste nell'incoraggiare o permettere al management di seguire principi commerciali assicurando nel contempo che vengano perseguiti gli scopi sociali o politici richiesti dall'interesse nazionale.
Non c'è un metodo uniforme per affrontare questi problemi, per la semplice ragione che vi è un'immensa difformità nelle condizioni storiche, politiche, economiche e sociali che in ogni paese condizionano le strutture del settore nazionalizzato.
Non descriveremo nei dettagli l'organizzazione esistente nei vari paesi per assicurare la contabilità e il controllo; tenteremo piuttosto di analizzare in generale gli elementi essenziali per una soluzione soddisfacente di questo problema.
Un consiglio d'amministrazione cui sia affidata la direzione dell'azienda è essenziale se la gestione di quest'ultima deve essere portata avanti in piena autonomia dal governo centrale (la sola alternativa a ciò sarebbe un direttore generale o un presidente, unico responsabile dell'azienda una pratica pericolosa che non è stata adottata in alcun luogo, se si eccettuano alcuni tentativi rapidamente rientrati). La nomina e il licenziamento dei membri del consiglio, la loro remunerazione, i loro diritti e le loro condizioni di servizio devono però dipendere dai ministri, se si vuole che questi mantengano il controllo generale sulla politica dell'azienda. Ciò vale in egual misura per gli enti pubblici e per le società anonime.
In alcuni paesi - uno dei quali è il Canada - i ministri sono stati nominati membri del consiglio d'amministrazione della società. Questa pratica identifica la società pubblica con il governo, e ne rende praticamente impossibile il controllo da parte di un organo pubblico, giacché questo non potrebbe opporsi a decisioni di un consiglio al quale un ministro abbia già dato il proprio consenso.
Se il consiglio d'amministrazione è composto almeno in parte da persone che rappresentano interessi esterni, come ad esempio in Francia, sorgono altre difficoltà. Il principio di ‛tripartizione', in base al quale sono costituiti i consigli d'amministrazione delle aziende francesi nazionalizzate, richiede che circa un terzo dei membri sia nominato dai sindacati dei lavoratori, un terzo dalle associazioni dei consumatori e un terzo dai ministri competenti. Questa formula è talvolta leggermente modificata, al fine di permettere l'assunzione di persone altamente qualificate. Naturalmente il governo non può controllare un consiglio d'amministrazione siffatto avvalendosi del potere di assumere e di licenziare, giacché controlla solo una minoranza dei membri. Perciò sono stati previsti altri mezzi. Un sistema è che il ministro al quale è affidata la supervisione nomini, per ciascuna delle aziende nazionalizzate, un commissario governativo che rappresenti il governo nel suo complesso. Egli ha il diritto di assistere alle riunioni del consiglio d'amministrazione e di sospendere ogni decisione sottoponendola al parere del governo (v. Friedman e Garner, 1970, pp. 123-132; v. Ridley e Blondel, 1964, pp. 142-144). Il ministro delle finanze può anche assumere uno o più supervisori per qualsiasi azienda in cui lo Stato abbia un interesse finanziario. Un contrôleur d'État agisce come longa manus del ministro e lo tiene aggiornato su qualsiasi decisione riguardante le finanze e l'economia dell'impresa. Egli deve essere consultato dal capo dell'esecutivo dell'impresa ogni volta che sia adottata una iniziativa in materia finanziaria. Inoltre il capo dell'esecutivo - che per di più viene nominato dal governo - ha poteri distinti da quelli del consiglio d'amministrazione.
L'approvazione del governo è necessaria per tutti i progetti d'investimento di capitali di ogni azienda di proprietà statale, giacché essi implicano l'uso di risorse nazionali. I programmi di espansione o di contrazione, i programmi generali di riorganizzazione, l'acquisizione o l'eliminazione di importanti attività, la diversificazione, l'eliminazione di profitti o di eccedenze in conto commerciale, la locazione di nuovi impianti, gli abbinamenti o gli accordi di collaborazione con altre imprese - tutte queste materie richiedono l'approvazione dei ministri.
Se la pianificazione economica nazionale è perseguita seriamente, il settore nazionalizzato deve conformarsi al piano che si è deciso di adottare, sia esso a corto, medio o lungo termine. Se il governo aspira ad accrescere il tasso di attività, a ridurre la disoccupazione, a migliorare il livello di vita nelle regioni arretrate, a diminuire la congestione nelle aree metropolitane, il settore nazionalizzato dovrà svolgere una parte importante in tali politiche. Se per il governo è fonte di preoccupazione la bilancia dei pagamenti, le industrie nazionalizzate dovranno ridurre le loro importazioni o espandere le loro esportazioni. Se le preoccupazioni fondamentali del governo sono l'industrializzazione, lo sviluppo urbano, le nuove città o lo sviluppo economico, anche questi fattori potranno condizionare la politica del settore pubblico.
In campo sociale ci sono molte finalità che un'azienda nazionalizzata può essere chiamata a perseguire : la forni- tura di elettricità a fattorie isolate o ad aree rurali a scarsa densità di popolazione; la realizzazione di servizi di trasporto pubblico su percorsi non remunerativi; l'offerta di beni e servizi a prezzi ridotti ai pensionati anziani, agli invalidi, agli studenti, ecc.; lo sfruttamento di miniere a bassa produttività, allo scopo di evitare una forte disoccupazione. E molti altri esempi potremmo fare di politiche da perseguire non in base a criteri economici e commerciali, ma in base a ragioni sociali.
È generalmente ammesso che sia legittimo richiedere alle aziende nazionalizzate di perseguire specifici fini so- ciali; ovvero - per esprimere ciò in altra forma - si riconosce che non esiste una legge o un principio che prescriva che le aziende di proprietà pubblica debbano necessariamente essere amministrate in base a parametri puramente commerciali. Tuttavia è stato anche sostenuto con decisione che un'azienda nazionalizzata dovrebbe agire come un ente commerciale efficiente, preoccupandosi solo di considerazioni economiche, anche se non si può negare al governo il diritto di chiedere che vengano adottate, nel pubblico interesse, politiche socialmente ma non economicamente vantaggiose. In tal caso il governo dovrebbe fornire l'aiuto necessario. In Inghilterra, per es., l'industria elettrica nazionalizzata ha già ricevuto ampi sussidi dal governo per il consumo di carbone in centrali elettriche nelle quali sarebbe stato preferibile usare un altro combustibile.
9. I problemi finanziari delle imprese nazionalizzate
Le operazioni finanziarie delle imprese nazionalizzate sono sempre seguite con rigorosa attenzione dal governo e sono sempre soggette, quale che sia la loro posizione legale, a influenze e a controlli. Le politiche dei prezzi, dei profitti e delle perdite, la dimensione e l'ampiezza degli investimenti, il ricorso ai prestiti, sono tutte cose di grandissima importanza per ogni governo, sia in regime comunista che in un economia mista di tipo occidentale.
Gli aumenti dei prezzi praticati sulle fonti di energia e sui combustibili, sulle tariffe per i trasporti di passeggeri e di merci, sulle tariffe telefoniche e postali possono avere conseguenze politiche ed economiche di grande portata; quindi, quale che sia il quadro giuridico, è probabile che il governo intervenga su tutta questa materia. Economisti ed esperti hanno compiuto sforzi per elaborare modelli di politiche dei prezzi per le imprese nazionalizzate. Secondo la formula prevalente, i prezzi dovrebbero riflettere i costi marginali a lungo termine. La debolezza di tale formula deriva dal fatto che essa può comportare il rischio di grandi deficit nella bilancia commerciale annuale: può, cioè, spingere all'inflazione, facendo aumentare la domanda a un livello che per anni potrebbe non essere soddisfatta. Inoltre tale formula non determina necessariamente una distribuzione economica ottimale delle risorse, a meno che tutti i prezzi siano basati sullo stesso principio della formula, il che non avviene mai. Per di più, spesso è assai difficile scoprire quali siano i costi marginali a lungo termine di un certo prodotto (v. Foster, 1971, pp. 41-47).
Un metodo alternativo è quello adottato in Gran Bretagna e consiste nel fissare per ogni impresa nazionalizzata un obiettivo finanziario, nella forma di un profitto netto annuale proporzionale alle risorse impiegate nell'impresa, per un periodo di cinque anni. Esso viene determinato dopo che sono state studiate le condizioni presenti e future di ciascuna impresa e il quadro finanziario che è ragionevole aspettarsi. Questo metodo impone una certa disciplina di gestione che viene meno se le perdite annuali sono considerate accettabili in quanto risultato di una politica dei prezzi basata sul costo marginale. Esso evita anche le critiche del pubblico, incline a considerare le aziende nazionalizzate come fallimentari e inefficienti quando esse registrano perdite continue. Un altro elemento da considerare è che nelle aziende del settore pubblico che sono in frequente o continuo deficit il morale è spesso notevolmente basso (v. Robson, 1969).
Una posizione del tutto diversa prevale nei paesi in cui ci si attende o si esige che le imprese nazionalizzate producano ampi profitti. In India, per esempio, i profitti di un'impresa possono essere utilizzati per finanziare una nuova impresa di proprietà pubblica (v. Bhalla, 1968, pp. 205-210), mentre nell'Unione Sovietica forniscono la maggior parte degli introiti governativi e i prezzi costituiscono uno strumento di politica fiscale.
Dalle considerazioni sopra discusse risultano chiare le ragioni dell'intervento del governo nella politica dei prezzi delle aziende nazionalizzate. Non c'è alcuna regola assoluta che debba essere seguita, ma nella maggior parte delle circostanze il problema della determinazione dei prezzi può essere risolto nel modo più vantaggioso: 1) se si evitano perdite annuali; 2) se per ogni impresa viene posto un obiettivo finanziario basato su una percentuale delle sue risorse nette; 3) se i prezzi vengono fissati in proporzione ai costi; 4) se vengono evitati sussidi reciproci tra aziende nazionalizzate; 5) se le perdite dovute al perseguimento di obiettivi sociali vengono compensate; 6) se per ogni impresa vengono costituiti fondi di riserva, in parte per eventuali annate cattive, in parte per investimenti di capitale.
È difficile contestare, se non in base a principi astrattamente teorici e non realistici, che una parte sostanziale dell'aumento del capitale di ogni azienda debba essere finanziato mediante queste risorse interne. Le somme investite provenienti da risorse esterne deriveranno normalmente da prestiti o donazioni governativi, o dal mercato dei capitali, o, per determinati progetti, da enti quali la International Bank for Reconstruction and Development o la International Development Association.
I prestiti ottenuti sul mercato dei capitali da parte delle imprese nazionalizzate consistono normalmente in obbligazioni al portatore con un tasso fisso d'interesse. Una caratteristica della situazione italiana, per esempio, è che tra il 1958 e il 1969 gli investimenti di capitali del vasto gruppo di imprese industriali che fanno capo all'IRI sono stati finanziati come segue: il 32,5% con risorse interne, il 7,3% con contributi statali, il 60,2% attraverso il mercato dei capitali (all'interno di quest'ultima quota solo il 4% è costituito da azioni) (v. Holland, 1972, pp. 189-190,197, 298). La percentuale molto bassa di capitale ricavato dall'emissione di azioni è in parte dovuta alla riluttanza delle aziende dell'IRI a pagare dividendi, non perché le loro attività non diano profitti, ma perché l'IRI e le società affiliate preferiscono destinare i profitti a obbligazioni e prestiti alle banche, per finanziare nuove imprese e per stimolare lo sviluppo economico. Il direttore di una grande impresa dell'IRI ha osservato una volta ironicamente: ‟L'anno scorso abbiamo dovuto pagare per la prima volta un dividendo; è stato come strapparsi un dente" (ibid., p. 54).
Alcuni dei principali leaders delle aziende nazionalizzate preferiscono esplicitamente l'impresa mista, in particolare perché si è dimostrata in grado di resistere al controllo governativo più delle imprese che sono interamente di proprietà dello Stato. P. Saraceno ritiene anche che per un'impresa nazionalizzata sia preferibile non mirare esclusivamente al perseguimento del profitto; qualora però essa non abbia dei profitti, la sua indipendenza diventerà molto scarsa e non sarà in grado di resistere a pressioni politiche esercitate dal governo. Un'impresa mista deve essere in grado di distribuire a coloro che investono gli interessi cui essi hanno diritto. Ciò conferisce all'impresa una forza sufficiente per resistere alle pressioni politiche del governo, anche perché la maggior parte del capitale addizionale necessario per ulteriori investimenti è ricavato dal mercato dei capitali (v. Shonfield, 1965, pp. 190-191).
È pratica molto diffusa che il governo o il potere legislativo fornisca il denaro necessario per l'aumento del capitale delle imprese nazionalizzate. Ma sia questa pratica seguita o no, il governo sarà quasi certamente soddisfatto che i progetti di investimento di ciascuna impresa risultino giustificati in rapporto al reddito che essa si attende di ricavare.
10. Il ruolo del legislativo
Il ruolo costituzionale del legislativo varia in modo rilevante nei diversi sistemi politici e ciò influisce sui suoi poteri in rapporto alle aziende nazionalizzate. Negli Stati Uniti il Congresso difende con forza le proprie prerogative nei confronti del potere esecutivo del presidente, e ciò ha avuto conseguenze significative per la Tennessee Valley Authority e per tutte le imprese pubbliche (v. Seidman, 1970, pp. 55, 230, 234). Nell'Unione Sovietica, al contrario, nel Soviet Supremo non esiste opposizione contro il governo o contro il Partito comunista, e nel corso della legislatura le questioni di materia economica sono oggetto di dibattiti limitati, una volta decise le opzioni di fondo.
Il sistema parlamentare britannico è caratterizzato invece dalla presenza di una forte opposizione al governo in carica, e le scelte compiute dalle imprese nazionalizzate vengono dibattute a ogni sessione parlamentare per molti giorni. L'intervento del potere legislativo è necessario quando un'impresa è nazionalizzata e il denaro pubblico non può essere allocato senza il consenso della Camera dei Comuni. Ma giacché il governo deve avere l'appoggio della maggioranza del corpo legislativo, in tale sede prevale quasi sempre la politica dell'esecutivo.
È però un errore considerare il ruolo del legislativo solo in termini di poteri legali o costituzionali. La sua influenza sulla politica e sull'attività delle imprese nazionalizzate può essere molto rilevante, se esiste la possibilità reale di discutere, analizzare, criticare, da parte dei rappresentanti eletti, la conduzione di un'impresa nazionalizzata. Ciò dipende anche dalle regole di procedura o dalla prassi tradizionale degli organi legislativi; è comunque in questa sede che ci si può attendere che i rilievi critici dei consumatori vengano espressi con maggior forza.
Si può ritenere che il legislativo abbia un ruolo di maggior rilievo nella creazione e nel controllo delle imprese nazionalizzate là dove esse sono affidate a società pubbliche piuttosto che a società per azioni. Le prime sono costituite normalmente con provvedimenti legislativi particolari, mentre le seconde sono costituite di solito in base alla legge generale sulle società per azioni. L'atto di costituzione di una società pubblica prevede per lo più delle clausole riguardanti la sua responsabilità nei confronti del legislativo, sia direttamente che attraverso il governo.
In un sistema parlamentare, al diritto del potere legislativo di considerare i ministri responsabili delle imprese nazionalizzate dovrebbero corrispondere strettamente i poteri di controllo e di direzione da parte dei ministri stessi. A questo proposito è possibile che qualche volta si verifichino dei conflitti, giacché i deputati sono propensi a ritenere che i ministri siano responsabili quando un'impresa nazionalizzata funziona male, mentre i ministri cercano di limitare la propria responsabilità accentuando la condizione di indipendenza conferita alla società in questione. Questo problema di combinare un grado ragionevole di indipendenza di gestione con un grado sufficiente di controllo si è posto in forme diverse in molti paesi, ma non è stata trovata una soluzione completamente soddisfacente.
Possiamo concludere che i controlli del legislativo sono raramente efficaci in un campo così complesso e tecnico, a meno che non venga nominato un comitato che presti un'attenzione specifica a singole imprese o a gruppi d'imprese.
11. La contabilità
Ogni Stato moderno ha un sistema di revisione pubblica dei conti, al fine di accertare se il governo e le altre autorità pubbliche hanno osservato determinate regole in tutte le operazioni finanziarie. Gli organi della revisione statale dei conti, la loro giurisdizione e procedura, i loro poteri e il loro personale mostrano nei diversi paesi grandi differenze storiche, istituzionali e anche funzionali. In origine l'obiettivo era di assicurare quella che è stata chiamata ‛regolarità' nella conduzione della pubblica amministrazione, cioè la conformità alle leggi, ai regolamenti, alle pratiche tradizionali e alle procedure correnti nella spesa o nella riscossione del denaro pubblico, nella stipula dei contratti, ecc. La scoperta di illegalità e di frodi era il fine principale di tali controlli (v. Normanton, 1966, pp. 58-59). Questi compiti sono stati molto ampliati nel nostro secolo, e ora comprendono anche la prevenzione degli sperperi e l'individuazione di progetti sbagliati.
L'estensione dell'ambito delle nazionalizzazioni ha posto anche questo problema: se le industrie di proprietà statale debbano essere soggette al sistema esistente di contabilità pubblica oppure a forme di controllo diverse.
A questo problema sono state date risposte diverse nei vari paesi. L'innovazione più significativa è stata introdotta in Francia. Nel 1948 fu creata per legge la Commission de Vérification des Comptes des Entreprises Publiques, quale organo indipendente incaricato di verificare la contabilità delle imprese nazionalizzate. La maggioranza dei suoi membri sono magistrati al culmine della carriera, appartenenti alla Corte dei Conti (un fondamentale e prestigioso ente di revisione pubblica dei conti creato da Napoleone). Gli altri membri rappresentano il Ministero delle finanze e il Consiglio generale del piano. La Commissione è divisa in sezioni particolari; il suo compito non è solo di riferire sui risultati contabili e finanziari, ma anche sulla ‟qualità dell'amministrazione commerciale e finanziaria dell'impresa". Ciò ha permesso alla Commissione di svolgere un'attività assai efficace. Le indagini sono condotte da personale specializzato, composto di alti dirigenti dei ministeri, di ingegneri e di tecnici, di esperti di economia, ecc. (ibid., pp. 335-338).
All'estremo opposto si colloca la pratica in uso in Inghilterra, dove il controllo contabile delle imprese nazionalizzate viene eseguito da istituti specializzati ingaggiati a questo fine; il loro compito si limita a verificare che i conti diano una ‟visione reale e imparziale" degli affari dell'impresa. Ciò si avvicina al sistema praticato nel settore privato, se si eccettua il fatto che i revisori contabili sono pagati da un'impresa pubblica. Una revisione contabile più efficiente è stata spesso invocata, ma sempre rifiutata (v. Robson, 19622, p. 203).
Negli Stati Uniti, il Government corporations control act del 1945 impone che tutte le aziende pubbliche facciano pervenire al presidente del Congresso un bilancio annua- le degli affari insieme a un piano operativo. Le aziende debbono inoltre sottoporsi al controllo del General Accounting Office ‟in accordo con i principi e le procedure applicabili alle operazioni commerciali delle società". Al dirigente del General Accounting Office non è consentito di rifiutare l'approvazione di singoli pagamenti. Tuttavia, nel corso della sua attività di revisione contabile egli si occupa di numerose questioni che generalmente non vengono trattate dagli organismi federali, comprese alcune scelte di fondo di ordine politico e manageriale ; nel complesso si tratta di un'attività che corrisponde largamente a un'efficace revisione contabile (v. Normanton, 1966, pp. 314-316).
La revisione contabile è particolarmente importante nel caso delle aziende nazionalizzate, nelle quali i profitti o le perdite ci dicono poco o nulla circa la loro efficienza. Per giudicare i risultati di un'impresa a proprietà statale dobbiamo valutare molti elementi quali la produttività, la capitalizzazione, il rendimento delle risorse impiegate, il tasso di sviluppo, i prezzi, le esportazioni, il livello tecnologico, i rapporti coi consumatori, la politica seguita negli investimenti, verso il personale, ecc. Un'informazione adeguata permette di scoprire, in rapporto a ciascuno di questi aspetti, la misura in cui un'impresa nazionalizzata abbia successo rispetto ad altre imprese simili. La conclusione sarà inevitabilmente un bilancio assai complesso, non basato su un criterio singolo, ma questa è la sola base razionale per giungere a conclusioni convincenti.
12. L'impresa mista
L'impresa mista è stata definita come un'azienda nella quale autorità pubbliche e interessi privati partecipano effettivamente entrambi come possessori del capitale e come dirigenti o amministratori. Questa definizione vale per una grande varietà di imprese operanti in un gran numero di settori industriali, commerciali e di servizi. Generalmente esse sono società per azioni, spesso regolate in modo da garantire allo Stato certi diritti e certe prerogative. Questi possono consistere nel fatto che il governo abbia il diritto di nominare un certo numero di dirigenti, di nominare o approvare la nomina del direttore generale, di permettere o di impedire la vendita dell'azienda o la sua fusione con un'altra azienda, e infine di esercitare il diritto di veto su risoluzioni o scelte politiche del consiglio d'amministrazione. Precauzioni di questo tipo sono state previste al fine di proteggere l'interesse pubblico.
In linea generale la maggior parte delle imprese miste conduce i propri affari in modo analogo a quello dell'impresa privata. Non si può dire, ad esempio, che la British Petroleum, di cui il governo inglese controlla il 48,9% delle azioni, si comporti in modo diverso da qualsiasi grande impresa petrolifera internazionale. Un problema reale può sorgere, comunque, se gli interessi commerciali di un'impresa mista entrano in conflitto con quello che il governo considera l'interesse pubblico. Quale punto di vista deve allora prevalere? È facile rispondere che dovrebbe prevalere l'interesse pubblico; in realtà il problema è più complesso. Un ministro laburista britannico ha dichiarato che il governo deve tener conto delle esigenze delle aziende: ‟Non è possibile nominare un dirigente solo perché badi all'interesse pubblico" (v. Robson, 1972, p. 33).
Viene così in primo piano uno dei più aggrovigliati problemi riguardanti l'impresa mista. La sua principale preoccupazione deve essere il profitto oppure quell'obiettivo, assai meno definito, che viene chiamato il pubblico interesse? Se si sceglie la seconda soluzione, in che misura è giustificabile il sacrificio degli interessi degli azionisti a vantaggio di quelli pubblici? Ciò ci riporta al problema dell'individuazione del fine dell'impresa mista. In realtà non è possibile indicare un unico fine, ma piuttosto una molteplicità di fini. Tra questi, la necessità di far entrare denaro pubblico in un'impresa privata per prevenirne il collasso; il desiderio di conseguire il controllo potenziale di un'azienda, oppure di permetterne la riorganizzazione; la decisione di sviluppare nuove risorse o nuove tecnologie che comportino rischi eccessivi per un'impresa privata; la convinzione che da fonti private o dal mercato finanziario non si possa ricavare denaro sufficiente per finanziare un progetto di grandi dimensioni che il governo intende promuovere, ecc. Il perseguimento di questi fini da parte di un'impresa mista non ha necessariamente come risultato un conflitto tra interesse pubblico e interessi privati, anche se questa possibilità non può essere esclusa. Quello che non possiamo sapere, in mancanza di indagini puntuali, è se l'impresa mista sostenga il confronto in modo favorevole o sfavorevole rispetto ai risultati dell'impresa pubblica da un lato e dell'impresa privata dall'altro.
L'impresa mista è stata definita come ‟un'istituzione a metà strada tra i settori pubblico e privato" (v. Musolf, 1971). Il problema più difficile è quello di precisare le responsabilità in un'impresa di questo tipo quando le cose vanno male.
Il sistema dell'impresa mista è stato adottato in modo estensivo dalle aziende nazionalizzate come strumento per ampliare le loro attività in varie direzioni. Così un'azienda nazionalizzata partecipa, insieme ad azionisti privati, alla proprietà di una società la cui attività sia ritenuta utile alle attività principali dell'azienda nazionalizzata stessa. Una compagnia aerea nazionalizzata avrà, ad esempio, una partecipazione in una società alberghiera, o un'impresa nazionalizzata per l'estrazione del carbone avrà partecipazioni in società impegnate nella fabbricazione o nella vendita di prodotti petroliferi o di laterizi, ecc. Il problema fondamentale che si pone in questo caso è se le aziende nazionalizzate debbano essere libere, come quelle private, di diversificare la loro attività. Se questo viene loro impedito, esse possono esserne molto danneggiate. Se invece viene data loro completa libertà, il raggio d'azione dell'impresa pubblica potrebbe estendersi in misura illimitata, senza alcuna forma di controllo da parte del potere legislativo o del governo. Un compromesso ragionevole potrebbe essere quello di consentire libertà di espansione nell'ambito di attività connesse con la sfera d'azione del settore nazionalizzato, ma di rendere necessaria l'approvazione del governo o del potere legislativo per ramificazioni più estese.
13. Le nazionalizzazioni e il Mercato Comune
Il Trattato di Roma ha come obiettivo la libera competizione entro il Mercato Comune. Alcuni dei suoi provvedimenti, che proibiscono azioni tali da contravvenire ai suoi principi, si applicano sia al settore pubblico che al settore privato dell'economia. Così l'art. 85, che proibisce tra le imprese ogni accordo, decisione o azione concertata tale da impedire, restringere o distorcere la concorrenza all'interno dell'area comunitaria, vale tanto per le imprese private che per quelle pubbliche. Ma questo articolo, come tutti gli altri che stabiliscono regole generali, contiene delle scappatoie che rendono inoperante questa proibizione se, ad esempio, una qualsiasi attività concertata in precedenza contribuisce all'aumento della produzione o della distribuzione di beni, o alla promozione del progresso tecnico ed economico.
L'art. 90 è specificamente rivolto alle imprese pubbliche a cui gli Stati membri abbiano garantito diritti speciali o esclusivi. Agli Stati membri si richiede di non porre in atto o imporre nessuna misura contraria alle regole che assicurano la non discriminazione e la libera concorrenza. Ma anche in questo caso c'è una scappatoia concessa a quelle imprese alle quali sia attribuita l'amministrazione di servizi d'interesse economico generale o che abbiano il carattere di monopolio fiscale. In tal modo le regole del Trattato che regolano la concorrenza valgono solo nella misura in cui non sono di impedimento, de jure o de facto, all'attuazione dei compiti specifici affidati all'impresa.
Le sovvenzioni statali date a un'impresa al fine di pro- muovere progetti di comune interesse europeo o di porre rimedio a gravi difficoltà economiche di uno Stato membro, e i sussidi o le altre forme di assistenza dati per facilitare lo sviluppo di certe regioni, costituiscono delle eccezioni rispetto ai principi fondamentali della CEE. Altri tipi di aiuto possono essere specificati dal Consiglio su proposta della commissione competente. L'azione da compiere in caso di inadempienza dei principi del Trattato è lasciata per lo più allo Stato membro interessato, una volta che la violazione sia stata denunciata dalla commissione.
L'esperienza acquisita da quando il Trattato è entrato in vigore ha mostrato che le clausole che permettono eccezioni sono praticamente di pari o maggior forza degli articoli contenenti i principi della liberalizzazione e della concorrenza. L'eccezione prevista per gli aiuti regionali può comprendere moltissime forme di intervento statale. In Italia vi rientra la clausola che impone al governo che il 60% degli investimenti industriali pubblici siano realizzati nelle zone sottosviluppate del Sud. Al governo francese non è stato impedito di conservare uno stretto controllo degli investimenti, dei prezzi e delle politiche di locazione delle imprese nazionalizzate, mentre il governo belga impone investimenti obbligati e politiche dei prezzi alle imprese pubbliche, ma lascia che le aziende del settore privato si facciano concorrenza secondo criteri libera- mente scelti, mitigati da un sistema di contratti programmati che offrono imparzialmente incentivi sostanziali.
In fin dei conti si può dire che i principî del Trattato di Roma non sembrano avere influenzato seriamente le relazioni fra i governi e le imprese nazionalizzate, nè sembra probabile che lo facciano in futuro, con la sola eccezione della politica dei prezzi. Gli elementi essenziali del sistema dei prezzi furono introdotti dal Trattato di Parigi che istituì la Comunità del Carbone e dell'Acciaio. I principi fissati da tale Trattato erano per diversi aspetti molto più severi di quelli del Trattato di Roma: essi prevedevano una completa autonomia delle imprese. Ciò non è mai stato attuato dagli Stati membri e il Trattato di Parigi è ora ritenuto superato dal Trattato di Roma, con le sue norme più flessibili.
L'idea che la CEE sia in qualche modo in contrasto con l'impresa pubblica non ha alcun fondamento, giacché gli Stati membri si servono in misura crescente dell'impresa pubblica come strumento di pianificazione nazionale per sviluppare le infrastrutture, promuovere lo sviluppo economico e aumentare il livello medio di vita delle regioni sottosviluppate.
Un probabile effetto del Mercato Comune sarà quello di incoraggiare l'impresa pubblica su scala internazionale. Esistono già diverse organizzazioni scientifiche che sono state create e finanziate dalla cooperazione tra numerosi Stati: l'Ente Europeo per l'Energia Nucleare, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Spaziale, l'Ente Internazionale per l'Energia Atomica. Nel campo dei trasporti vi è l'Eurocontrol, che è responsabile del controllo del traffico degli aerei ad alta quota, l'Eurofima e l'Interfrigo, cui aderiscono quasi tutte le ferrovie nazionalizzate europee. Il loro compito è di finanziare e amministrare un fondo comune di materiale rotabile. Su scala più limitata operano le aziende nazionalizzate che coinvolgono due o tre Stati, come le ferrovie del Lussemburgo o la Sociétè Internationale de la Moselle. Tutte queste istituzioni possono essere considerate come la punta avanzata di un nuovo impulso nella direzione dell'internazionalizzazione o della multinazionalizzazione. Questa tendenza nella sfera dell'impresa pubblica è paragonabile allo sviluppo delle società multinazionali nel campo dell'impresa privata.
La tendenza versa l'internazionalizzazione delle industrie e dei servizi accentuerà piuttosto che ridurre i problemi che le nazionalizzazioni sollevano. I più difficili e complessi di questi problemi riguardano il raggiungimento di un equilibrio ottimale tra libertà e controllo, l'adozione di un sistema razionale di chiarezza contabile che non scoraggi la creatività dell'amministrazione, la salvaguardia degli interessi del consumatore e il raggiungimento di un rapporto col pubblico più soddisfacente di quello attualmente esistente. Questi problemi possono essere risolti, ma per trovare le soluzioni giuste occorrono sperimentazioni e verifiche, e sopratutto una comprensione adeguata della natura dei problemi stessi.
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