Ne bis in idem
Il tema del ne bis in idem in ambito tributario, correlato al divieto di nuovo giudizio penale a carico del contribuente destinatario di sanzione definitivamente irrogata dall’amministrazione, tocca problematiche di teoria generale collegate alla incidenza delle fonti sovranazionali sul sistema dei diritti fondamentali e ai ruoli che la legislazione statuale, i giudici nazionali e l’amministrazione sono tenuti a svolgere per realizzare un sistema fiscale improntato a criteri di equo bilanciamento fra gli interessi contrapposti. Gli illeciti fiscali sono astrattamente puniti in Italia sia sul piano amministrativo, attraverso sanzioni pecuniarie di spiccata afflittività, sia sul piano penale, attraverso misure detentive e patrimoniali. Le recenti prese di posizioni della Corte europea di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno acceso i riflettori sulle distonie fra gli orientamenti delle due Corti sovranazionali e il sistema interno.
Quello del divieto di nuovo processo per un fatto di rilevanza penale già accertato irrefutabilmente da precedente giudicato è principio tanto antico, quanto radicato nella legislazione interna, come nei paesi occidentali e nelle più recenti Carte internazionali dei diritti. Esso, anche sul piano interno, costituisce un principio generale dell’ordinamento che, tratto dalla tradizione romanistica – ove si esprimeva con l’espressione bis de eadem re ne sit actio – il giudice non può tralasciare di considerare e applicare, ancorché esso non trovi esplicito richiamo nella Costituzione (Cass., pen., S.U., 28.9.2005, n. 34655). Si tratta, in definitiva, di un diritto fondamentale del cittadino che appare collegato non soltanto alla primaria esigenza del giusto processo ma, anche, alle prerogative stesse dell’ordinamento e alla sua struttura, conferendo alla decisione resa – assolutoria o di condanna – per prima il valore di res iudicata, dotata di stabilità e definitività1.
In ambito tributario – nel quale la tradizione giuridica interna era stata improntata al canone della duplicità di sanzioni, penali e tributarie2 a carico del contribuente scorretto (art.10 d.l. 10.7.1982, n. 429, conv. con mod. dalla l. 7.8.1982 n. 516) – il varo del d.lgs. 10.3.2000, n. 74, determinò un sostanzialmente mutamento di rotta, esplicitato all’interno di tre distinte disposizioni – gli articoli 19, 20 e 21 – espressive le prime due dei principi di specialità e del cd. doppio binario e l’ultima di una regolamentazione procedurale volta ad impedire la duplicazione sanzionatoria in fase di esecuzione.
Ecco che a fronte di un sistema nel quale il principio del cumulo delle pene pecuniarie e delle sanzioni penali era giustificato in relazione alla peculiarità delle violazioni finanziarie, per le quali legittimamente il legislatore – nell’esercizio della sua discrezionalità – poteva modulare la reazione dell’ordinamento giuridico al comportamento illecito del contribuente con una duplice sanzione, pecuniaria e penale (C. cost., 12.11.1991, n. 409) la disciplina sopravvenuta, in sintonia con i criteri delega fissati dall’art. 9 l. 25.6.1999, n. 205, con l’art. 9 l. 24.11.1981, n. 689, e, addirittura, con quanto a suo tempo previsto dall’art. 3 l. 7.1.1929, n. 4, rappresenta un primo tentativo di applicare nel settore del diritto tributario il principio del divieto di un doppio giudizio.
In estrema sintesi, l’art. 19, co. 1, introduce il principio di specialità che impone di applicare la norma sanzionatoria speciale rispetto a quella generale, alla cui stregua il concorso apparente fra disposizioni che regolano lamedesima fattispecie viene risolto dal legislatore prevedendo l’applicazione della norma dotata di elementi peculiari e, per l’appunto, speciali3.
L’art. 20 d.lgs. n. 74/2000, invece, in linea di continuità con quanto già previsto dall’art. 12, co. 1, prima parte, l. n. 516/1982, stabilisce l’autonomia del procedimento amministrativo di accertamento e del processo amministrativo tributario dal processo penale pur se relativo ai medesimi fatti4.
Non resta che da dire dell’art. 21, improntato a una logica efficientista5, alla cui stregua l’amministrazione fiscale, pur potendo irrogare le sanzioni a carico del contribuente in dipendenza delle accertate violazioni fatte oggetto di notizia di reato, non può metterle in esecuzione fin quando il processo penale a carico del medesimo soggetto non si sia definito in modo allo stesso favorevole con il suo proscioglimento che esclude la rilevanza penale del fatto6. Ciò consente all’Ufficio di determinare l’an della sanzione fiscale in pendenza del procedimento penale e al contribuente d’impugnare l’atto d’irrogazione, fermo restando che l’esito infausto dei ricorsi giurisdizionali non consente all’amministrazione di riscuotere le sanzioni accertate, abbisognando che il procedimento penale sia definito in modo favorevole al contribuente. Tale meccanismo, all’evidenza, impedisce il raddoppio delle sanzioni, ma rende fisiologica la duplicità di procedimenti ai quali il medesimo contribuente viene sottoposto.
Passando dal piano normativo astratto a quello delle applicazioni pratiche, ci si avvede che la giurisprudenza di legittimità ha solo marginalmente esaminato la tematica della portata concreta del principio di specialità fra sanzione penale e tributaria. Ciò si deve, prioritariamente, alla circostanza, di ordine generale, che l’art. 649 c.p.p. – espressivo del principio del ne bis in idem in campo processuale penale – fa esplicito riferimento alle ipotesi formali di pregresso accertamento del reato da parte del giudice penale, in definitiva escludendo in radice la prospettiva che prende in considerazione la natura sostanzialmente penale di una sanzione tributaria per farne derivare l’impossibilità di un nuovo processo.
In particolare, Cass., pen., 14.5.2014, n. 19915, ha ritenuto che la pregressa irrogazione di una sanzione amministrativa a carico dell’imputato non determina l’improseguibilità dell’azione penale, sottolineando che la preclusione al secondo giudizio può riconoscersi soltanto in caso di pregressa sentenza penale – di condanna o di proscioglimento – o dal decreto penale divenuto irrevocabile. Ciò, in relazione all’incontestabile tenore dell’art. 649, co. 1, c.p.p. che impediva una ricostruzione ermeneutica diversa.
Per altro verso, si coglie in parte della giurisprudenza di legittimità una monocorde attenzione verso la dimensione astratta del principio di specialità fra sanzioni amministrative e sanzioni penali7, rispetto alla quale rimane decisamente sullo sfondo la questione che prende in considerazione l’identità della condotta posta in essere dal contribuente, piuttosto affidandosi al confronto in astratto fra le diverse fattispecie che descrivono le condotte aventi rilevanza ai fini delle diverse sanzioni introdotte dal legislatore8.
1.1 Corte europea dei diritti dell’uomo, sanzioni e ne bis in idem
È dunque venuto il momento di esaminare la portata dell’art. 4 del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, aperto alla firma il 22.11.1984, in vigore dal 1.11.1988 ancorché non ratificato da tutti gli Stati contraenti.
Tale disposizione, diretta a dare espressione al principio che nessuno deve essere giudicato, all’interno di uno Stato9, in un procedimento penale per un delitto per il quale sia stato già condannato o assolto in precedenza con sentenza passata in giudicato deve essere intesa, stando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel senso che essa vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo «illecito» nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi.
Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, espressa in modo chiaro a partire dalla sentenza 8.6.1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, resa dalla Grande Camera, a proposito dell’art. 6 CEDU, al fine di stabilire la sussistenza di una «accusa in materia penale», occorre tener presente la ricorrenza, in via alternativa e non cumulativa, di uno dei seguenti tre criteri:
a) la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale;
b) la natura stessa di quest’ultima;
c) la natura e il grado di severità della «sanzione».
È dunque sufficiente, affinché si possa parlare di accusa in materia penale, che il reato in causa sia di natura penale rispetto alla CEDU, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della materia penale. Tale concezione autonomistica della materia penale inaugurata dalla Corte europea di Strasburgo intende apertamente sganciare la nozione dalle tradizioni giuridiche dei Paesi contraenti10, non ponendo comunque in discussione il potere discrezionale delle legislazioni nazionali di modulare le risposte sanzionatorie volta a volta richiamando il modulo penale, quello amministrativo o disciplinare.
Quel che però rileva ai fini della CEDU – e dell’art. 4 del Protocollo n. 7 – è una nozione “materiale” di materia penale, sostanzialistica, teleologica, agganciata ai criteri sopra ricordati.
Un aspetto di rilievo rimane poi quello relativo alla verifica della medesimezza della condotta o del fatto ai fini dell’operatività del divieto, risolto dalla Grande Camera della Corte nel senso che ai fini della qualificazione di una sanzione come penale non può rilevare in via esclusiva la classificazione giuridica fornita dall’ordinamento interno, dovendosi piuttosto ricorrere concentricamente ai già ricordati tre Engel’s criteria11.
I principi appena ricordati sono stati di recente ribaditi in un caso relativo a condotta di abuso di mercato punita con sanzioni amministrative e successivamente perseguita in ambito penale – C. eur. dir. uomo, 4.3.2014,Grande Stevens c. Italia12 – in tale occasione il giudice di Strasburgo ha ritenuto nulla la riserva apposta dall’Italia in sede di ratifica del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU con la quale si era inteso limitare l’efficacia del Protocollo alle sole condotte criminose considerate dalla legge penale interna.
Gli approdi interpretativi anzidetti sono stati poi ribaditi da C. eur. dir. uomo, 20.5.2014, Nykänen c. Finlandia. La Corte ha accertato la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 ad opera dell’autorità finlandese che, dopo avere irrogato in via definitiva ad un contribuente una sanzione tributaria pecuniaria di euro 1.700,00 per la percezione in nero di dividendi, aveva sottoposto il medesimo soggetto a procedimento penale per frode fiscale, condannandolo ad una pena detentiva di dieci mesi di reclusione.
Una volta verificato che il contribuente era stato sottoposto a due procedimenti iniziati in via autonoma dall’autorità fiscale e da quella penale, entrambi conclusi con l’applicazione a carico del predetto di due distinte sanzioni la Corte europea, qualificando come “penale” il procedimento amministrativo – malgrado la tenuità della sanzione inflitta – oltre a riconoscere la violazione dell’art. 4 cit., ha pure chiarito, come puntualmente sottolineato in dottrina13, che la celebrazione di due procedimenti paralleli è compatibile con la Convenzione, a condizione che il secondo venga interrotto nel momento in cui il primo sia divenuto definitivo (cfr. p. 42 sent.).
1.2 Corte di giustizia, ne bis in idem e diritto tributario
Benché l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea contempli espressamente il principio del ne bis in idem, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea si è formata avendo presente, in via prioritaria, il più risalente art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen («CAAS») del 1990.
Ciò si avverte, in particolare, sul tema, assai controverso, dell’identità del fatto, se appunto si consideri che l’art. 50 della Carta, mutuando il contenuto letterale dell’art. 4 del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, contempla un esplicito – ed esclusivo – riferimento alla nozione di reato.
D’altra parte, proprio la Corte di giustizia non ha mancato di sottolineare la natura di principio generale del diritto comunitario – divenuto “eurounitario” dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona14 – del ne bis in idem in tema di concorrenza15 e nell’ambito della giurisprudenza sulla funzione pubblica dell’Unione16.
Particolare rilievo ai fini della presente analisi ha la vicenda definita dalla Grande Sezione della Corte di giustizia con la già ricordata sentenza resa il 23.2.2013 nella causa ANkerberg Fransson.
La Corte di giustizia, chiamata da un tribunale penale di primo grado svedese a chiarire se e in che misura rispetto al diritto interno la duplice sottoposizione del contribuente a sanzioni amministrative e penali – in campo IVA – fosse compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza-Strasburgo, ha chiarito che tale principio non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale.
Su tale decisione si è parecchio speculato in dottrina, evidenziandosi che la decisione finale del giudice europeo avrebbe creato uno iato fra la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, sostanzialmente fornendo una lettura distonica della giurisprudenza di Strasburgo, a tenore della quale sarebbe tout court negata la duplicità di sanzioni che, per contro, il giudice eurounitario non impedisce in astratto, in ogni caso richiedendo una valutazione in termini di efficacia della sanzione precedentemente applicata.
Si tratta di una prospettiva ermeneutica poco perspicua, se si considera che la Corte di giustizia, nel ricordare il proprio avviso – correlato alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione in ordine alla possibile astratta combinazione di sovrattasse e sanzioni penali17 – non sembra avere messo in discussione l’applicazione del divieto del secondo procedimento nel caso in cui la sanzione sia irrogata per prima18.
In questa prospettiva, non pare doversi enfatizzare il significato espresso dal punto 36 della sentenza ANkerberg Fransson, decisamente rivolto al giudice nazionale svedese proprio in relazione alla peculiare regolamentazione normativa prevista in Svezia ed all’eventuale possibilità – in quell’ordinamento – che il giudice penale tenga in considerazione, ai fini della commisurazione della pena, l’importo della sanzione amministrativa precedentemente inflitta19.
Tanto sembra confermato, in modo autentico, da due successive pronunzie rese sempre a proposito della garanzia del ne bis in idem dalle due Corti europee.
Ed infatti, C. giust., 5.6.2014, C-398/12, chiamata a risolvere la questione dell’interpretazione dell’inciso «giudicato con sentenza definitiva» contenuto nell’art. 54 della CAAS, non si è limitata a considerare il rilievo assunto dalle “Spiegazioni” relative all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali, ma nel richiamare espressamente la sentenza Åkerberg Fransson, cit., punto 20, ha precisato che «... per quanto riguarda le situazioni contemplate dall’articolo 4 del Protocollo 7, vale a dire l’applicazione del principio all’interno di uno Stato membro, il diritto garantito ha lo stesso significato e la stessa portata del corrispondente diritto sancito dalla CEDU».
Nessuno iato interpretativo sembra così emergere fra Corte di giustizia e Corte europea dei diritti dell’uomo in ordine alla portata dell’art. 4 Prot. n. 7. Né sembra essere priva di significato la circostanza che nella già evocata sentenza Grande Stevens la Corte europea dei diritti dell’uomo, abbia inteso sottolineare che «nella sentenza Åkerberg Fransson, … in materia di imposta sul valore aggiunto, la CGUE ha precisato che, in virtù del principio ne bis in idem, uno Stato può imporre una doppia sanzione (fiscale e penale) per gli stessi fatti solo a condizione che la prima sanzione non sia di natura penale». Precisazione che sembra volere ancora una volta sottolineare l’unità di intenti, almeno di fondo, fra le due Corti sul tema qui esaminato.
Al quesito se l’attuale sistema tributario sia conforme al principio del ne bis in idem per come esso è declinato dalle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo è necessario accostarsi muovendo dall’idea che la prospettiva emergente a livello sovranazionale sul tema del ne bis in idem risulta sostanzialmente e formalmente diversa da quella posta a base del sistema interno che, come si è visto, in tanto si pone un problema di duplicità di procedimenti a carico di uno stesso soggetto, in quanto essi siano considerati in modo formale dal sistema come «penali».
Lo stacco fra una concezione sostanzialistica della materia penale che aleggia nelle Corti europee e la concezione formale dell’illecito penale, in effetti consustanziale all’ordinamento nazionale (art. 25, co. 2, Cost.) sembrerebbe talmente marcato da scoraggiare ogni tentativo di componimento fra le due impostazioni20.
La considerazione che la garanzia della riserva di legge in materia penale costituisce, del resto, una delle radici talmente fondanti dell’ordinamento interno da non potere subire operazioni di riduzione o conformazione chiuderebbe, per un verso, il discorso lasciando aperta la questione di come quello stesso sistema possa coniugarsi con le istituzioni sovranazionali delle quali è a pieno titolo parte.
E tuttavia, la verifica in ordine ai caratteri dai quali la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo desume l’inserimento di una sanzione nella materia penale – tanto ai fini dell’art. 6 CEDU che dell’art. 4 del Protocollo n. 7 – non sembra collidere con la garanzia di cui all’art. 25 Cost., la stessa operando in una prospettiva che non intende affatto contrastare le esigenze sottese al principio di legalità penale, piuttosto offrendo un’ulteriore – recte aggiuntiva – garanzia al soggetto attinto da una sanzione che, ricorrendo anche soltanto uno dei – ricordati – criteri Engel, gode del diritto, incomprimibile, a non subire un nuovo processo per il medesimo fatto.
Ad evocare, in tema, la lesione della garanzia della riserva di legge penale si finisce con lo svalutare la perfetta sintonia fra le due garanzie – entrambe destinate ad operare in favore dell’imputato – e parimenti correlate alla protezione del cittadino di fronte alla reazione dello Stato originata da una condotta antigiuridica. L’una all’evidenza forgiata sulla necessità che la risposta sanzionatoria penale sia originata solo e soltanto dalla legge; l’altra correlata all’esigenza che un fatto già punito con una sanzione qualificabile come penale, secondo criteri che muovono dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e dalla necessità di dare riconoscimento al ne bis in idem, non possa essere nuovamente esaminato in altro procedimento a carico del medesimo soggetto.
Anche l’idea che la Corte di Strasburgo non consentirebbe la valutazione circa la natura penale della sanzione al giudice nazionale, in ciò discostandosi dalla – e dunque contrapponendosi alla –Corte di giustizia che su tale valutazione ricostruirebbe la verifica della violazione del ne bis in idem, non persuade.
Infatti, il riconoscimento del potere in capo all’organo giudiziario nazionale non determina l’insorgenza di alcun vincolo per la Corte europea che, ordinariamente, è chiamata a verificare proprio la conformità dell’operato del giudice domestico alla giurisprudenza sovranazionale.
Resta, ora, da affrontare la questione, non meno spinosa, della compatibilità del sistema sanzionatorio fiscale interno con i canoni del divieto di bis in idem espressi dalle due Corti europee.
Non sembrano ravvisarsi particolari aporie, almeno a livello normativo, rispetto all’impianto rappresentato dal principio di specialità declinato dal legislatore nell’art. 19 d.lgs. n.74/2000.
Non pare, semmai, completamente persuasivo il già ricordato tentativo delle Sezioni Unite penali di fare ricorso al concetto di progressione criminosa per ammettere la sovrapposizione fra illecito amministrativo fiscale e illecito penale.
Ed infatti, la circostanza che il fatto commesso abbia già trovato una risposta sanzionatoria, non impedisce di considerarlo come già definito ed accertato nell’ambito dell’ulteriore procedimento che abbia riguardo ad un segmento aggiuntivo di condotta, inidoneo a determinare l’esistenza di un nuovo fatto passibile di sanzione, semmai per l’appunto ponendosi un problema di congruità e dissuasività della prima sanzione.
Benché più convincente risulti, allora, il precedente orientamento espresso sul punto dal giudice di legittimità21, occorre constatare che la più recente giurisprudenza di legittimità sembra muoversi sulle coordinate fissate dalle Sezioni Unite del 2013 attingendo, peraltro, alla giurisprudenza della Corte di giustizia resa nel caso ANkerberg Fransson; tale decisione costituirebbe essa stessa giustificazione della duplicità del meccanismo sanzionatorio in materia di violazioni tributarie. Approccio che, forse, non considera adeguatamente il senso della giurisprudenza di Lussemburgo, la quale ha sì giustificato la duplicità di sanzioni, ma solo ove le stesse non abbiano entrambe natura penale, semmai sottolineando un ulteriore elemento, quello della efficacia e proporzionalità della sanzione applicata per prima.
A mostrarsi vulnerabili rispetto al vaglio di compatibilità con la garanzia di cui qui si discute risultano, poi, sia il meccanismo previsto dall’art. 21 d.lgs. 18.12.1997, n. 471 che quello destinato a imporre, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante o dell’accesso al procedimento di cui all’art. 444 c.p.p. – art. 13, co. 1, 2 e 2-bis, d.lgs. n. 74/2000 – la dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle sanzioni tributarie.
Ed infatti, il congegno che congela la riscossione della sanzione amministrativa fino alla definizione del procedimento penale in senso favorevole al contribuente non pare compatibile con il divieto di nuovo processo, tutte le volte in cui dovesse accertarsi che la prima ha un contenuto assimilabile ad una sanzione penale, secondo le “rime” fissate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nè il discorso sembra mutare con riferimento alla disciplina risultante dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, tutte le volte in cui dovesse riconoscersi la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa precedentemente inflitta, la stessa finendo col giustificare quella duplicità di procedimenti che, per converso, la garanzia in esame di matrice convenzionale non sembra ammettere.
Nemmeno marginale parrebbe il contrasto fra il ricordato orientamento espresso dalla Corte di cassazione in ordine al reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. n. 74/200022, se solo si consideri che il carattere progressivo della fattispecie non sembra conciliarsi, come detto, con la natura sostanzialmente unitaria delle condotte di omesso versamento annuale e periodico di ritenute e dell’IVA23.
2.1 La prospettiva dei rimedi
In attesa che il legislatore si attivi per riallineare il sistema sanzionatorio fiscale alle coordinate sovranazionali24, ricade comunque sull’operatore – e prioritariamente sul giudice – il compito di impedire che le attuali coordinate del sistema sanzionatorio interno fiscale possano determinare un pregiudizio alla garanzia del ne bis in idem.
Non è questa la sede per esaminare le dialettiche posizioni espresse dalla dottrina, essendo semmai sufficiente evidenziare che la possibilità di considerare il piano ermeneutico capace di risolvere le antinomie fra i sistemi normativi qui esaminati, pare praticabile solo nelle ipotesi in cui l’opera di conformazione interpretativa non si ponga in palese contrasto con il dato letterale delle disposizioni normative interne.
Ciò che sembra problematico ritenere con riferimento alla disciplina in tema di sanzioni tributarie (artt. 13 e 21 d.lgs. n. 74/2000) in combinato disposto con l’art. 649 c.p.p.
V’è semmai da considerare che il rango primario del divieto di bis in idem, disciplinato come si è detto non soltanto dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali UE – sulla cui immediata efficacia non è dato dubitare proprio alla stregua di quanto chiarito dalla sentenza ANkerberg Fransson25 – ma altresì riconosciuto come principio generale sia nel sistema interno che dall’art. 4 del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, impone l’ulteriore verifica in ordine alla possibilità che l’accertato contrasto fra norma interna e diritto sovranazionale possa risolversi «non applicando» la prima, dando così spazio a quella sovranazionale.
Ad ammettere tale possibilità, che la Corte costituzionale in atto riconosce solo nel caso di contrasto fra norma interna e diritto UE immediatamente efficace all’interno dei rapporti cd. verticali, la stessa potrebbe operare (unicamente) nei casi di tributi armonizzati e sempre che la disapplicazione non si risolva in un vulnus nei confronti dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione, operanti come contro-limiti, dovendosi in tal caso sollevare questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte costituzionale, alla quale spetterà il compito di verificare tale contrasto26.
D’altra parte, non sembra che il giudice interno – comune o costituzionale – possa richiamare, al fine di limitare la portata dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali (v. art. 52, par. 4, Carta dir. fond. UE), il principio del rispetto delle identità nazionali sancito dall’art. 4 TUE, non ravvisandosi all’interno del sistema domestico un principio imperioso che si colloca agli antipodi della garanzia del bis in idem per come declinata dalle Corti europee. Del resto, negli ordinamenti europei i meccanismi sanzionatori in materia fiscale appaiono tutt’altro che omogenei; nè è ravvisabile un “consenso” circa le modalità di repressione degli illeciti di matrice fiscale27.
Non può però sottacersi l’esigenza, espressa in maniera netta dalla Corte di giustizia, circa la necessità che il giudice chiamato a verificare l’eventuale violazione del detto divieto valuti, in via prioritaria, che la sanzione già inflitta a carico del contribuente sia dotata dei caratteri di effettività, proporzionalità e dissuasività28.
Tale prerogativa riservata al giudice comune nazionale non sembra, d’altra parte, in contrasto con la “sostanza”29 della giurisprudenza della Corte di Strasburgo essa, dunque, ponendosi in linea con gli insegnamenti della Corte costituzionale, più volte indirizzati a sottolineare che la giurisprudenza della Corte europea dei diritto dell’uomo richiede di essere rispettata unicamente nella sua “sostanza” (C. cost., 26.11.2009, n. 311; C. cost., 22.7.2011, n. 236; C. cost., 28.11.2012, n. 264).
Rimane, in ogni caso, da considerare che il rimedio della disapplicazione non potrebbe declinarsi allo stesso modo per i tributi non armonizzati, tanto che in dottrina non si è mancato di sottolineare l’irrazionalità del sistema che, per le imposte dirette, ne impedirebbe in ogni caso l’utilizzo30.
Il problema, d’altra parte, si pone in termini generali, posto che il rinvio alla Corte costituzionale sarebbe comunque dovuto, fuori dall’alveo del diritto UE, per i casi di contrasto fra la disciplina interna e le norme della CEDU. In questa direzione la giurisprudenza costituzionale, pur criticata in modo stringente dalla dottrina più autorevole, sembra in atto indirizzarsi, seguendo le coordinate tracciate nelle sentenze gemelle del 2007 (C. cost., 24.10.2007, n. 348 e n. 349)31.
Con l’ulteriore precisazione che, in simili casi, la disposizione convenzionale – qui l’art. 4 Prot. n. 7 – potrebbe non integrare il parametro di cui all’art. 117, co. 1, Cost. quando la stessa, in ragione del suo rango sub costituzionale, dovesse porsi in contrasto con qualunque principio costituzionale e non soltanto con i suoi principi supremi.
Qualunque sia la scelta dell’interprete, ivi compreso la possibilità di utilizzare lo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE così regolato da diritto UE, ci si accorge che il ruolo del giudiziario risulta estremamente caricato di responsabilità, sullo stesso ricadendo il compito di riabilitare il sistema normativo interno –dimostratosi non particolarmente avveduto rispetto alla prospettiva multilivello del diritto – per ricondurlo a minimali standards di protezione dei diritti fondamentali.
L’apertura a una tutela multilivello dei diritti fondamentali improntata al dispiegamento del massimo di tutela dei diritti stessi, in campo tributario e non, purché questa si muova all’interno delle coordinate che le giurisdizioni sovranazionali e quelle nazionali contribuiscono progressivamente a determinare costituisce, dunque, la migliore garanzia per una democrazia fondata sul rispetto di quei diritti – e sulla dignità umana che tutti li racchiude e sovrasta – e improntata più che ad enfatizzare conflitti tra le Carte e le Corti o a stabilire insani primati fra tali soggetti, a perseguire la più adeguata, “intensa” tutela ai diritti (e, più in genere, ai beni della vita) in gioco32.
Ciò, d’altra parte, non sembra porre a repentaglio l’identità nazionale ma, tutto al contrario, contribuisce anzi a forgiarla in modo armonico con l’imperiosa esigenza, fatta propria dalla stessa Costituzione prima che dalle altre fonti sovranazionali, di garantire le più elevate nicchie di tutela dei diritti fondamentali (C. cost., 4.12.2009, n. 317).
Soccorrono, in proposito, le parole di Antonio Ruggeri, per il quale l’identità nazionale «si esprime e preserva proprio laddove si riesca ad offrire l’ottimale servizio, alle condizioni complessive di contesto, al “sistema” di cui agli artt. 2, 3, 10 e 11 Cost. e, per ciò pure, a dar modo ai diritti di vedere fissato sempre più in alto (ancora più in alto di come potrebbe con le sue sole forze fare la stessa Costituzione) il punto della loro tutela, grazie alla accorta composizione,
varia in ragione dei casi, dei materiali normativi in campo ed al loro fermo orientamento verso l’intera tavola dei valori che stanno a base dell’ordinamento, nonché a base delle relazioni interordinamentali»33.
D’altra parte, i contributi per la concreta ed effettiva realizzazione di un tale ordine non possono nè devono giungere soltanto dal giudiziario, a torto individuato spesso come terminale al quale affidare soluzioni scomode dal punto di vista legislativo, ma anche dagli altri poteri statali e da tutti gli interpreti, chiamati ad operare congiuntamente, ciò anche sul versante tributario.
1 Cfr. C. cost., 10.1.1997, n. 5.
2 Le fonti delle sanzioni tributarie amministrative si rinvengono nei d.lgs. 18.12.1997, n. 471, n. 472, n. 473. V. anche art. 7 d.l. 30.9.2003, n. 269, in tema di riferibilità diretta alle persone giuridiche delle sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di società o enti.
3 Uricchio, A.F., Il principio di specialità nella nuova disciplina dei reati tributari, in Boll. trib., 2001, 565. V. diffusamente, anche per un’analisi storico-evolutiva dell’impianto sanzionatorio fiscale interno, Miceli, R., Sanzioni amministrative tributarie, in www.treccani.it.
4 V. Marello, E., Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni di una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., 2013, XXIII, 12, 281-282.
5 Flick, G.M.-Napoleoni, V., Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? Materia penale, giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; Flick,G.M., Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in www.penalecontemporaneo.it.
6 Il sistema è spiegato in modo chiaro da Giovannini, A.-Murciano, L. P., Il principio del ne bis in idem sostanziale impedisce la doppia sanzione per la medesima condotta, in Corr. trib., 2014, 20, 1548.
7 Sul punto, diffusamente, v. Relazione dell’Ufficio del ruolo e del massimario presso la Cass., 8.5.2014, n. 35, 8.5.2014, in cortedicassazione.it.
8 v. Cass., pen., S.U, 21.1.2011, n. 1963, e, soprattutto, Cass., pen., S.U., 28.3.2013, n. 37424 e n. 37425, che, esaminando i rapporti tra l’art. 10 bis d.lgs. n. 74/2000 e l’illecito amministrativo di omesso versamento di imposte, escludono tra le due fattispecie l’esistenza di un rapporto di specialità, ritenendo al contrario che possa parlarsi di progressione illecita. Per una più marcata apertura ai principi di matrice europea v., invece, Cass., pen., 18.2.2011, n. 7192; Cass., pen., 31.1.2014, n. 5092; Cass., pen., S.U., 28.6.2005, n. 34655.
9 Ma v., di recente, C. eur. dir. uomo, 27.5.2014, Arguš c. Croazia, p. 136, che impone una lettura della disposizione conforme ad altri strumenti internazionali favorevoli al carattere transnazionale del principio.
10 Paliero, C.E.,Materia penale e illecito amministrativo secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: una questione classica a una svolta radicale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 894 ss.
11 In alcuni precedenti la Corte europea si era basata sul concetto di identità fattuale, prescindendo dalla qualificazione giuridica – C. eur. dir. uomo, 23.10.1995, Gradinger c. Austria –, mentre in altre occasioni – C. eur. dir. uomo, 30.7.1998, Oliveira c. Svizzera, ric. n. 84/1997 –, il giudice europeo aveva condiviso la tesi opposta – C. eur. dir. uomo, 2.7.2002, Göktan c. Francia (ric. n.33402/96) –, altre volte ancora individuando il criterio di valutazione dei due procedimenti sulla base della verifica degli elementi essenziali delle fattispecie astratte poste a base dei distinti procedimenti. Proprio in ambito fiscale, tale valutazione – in dottrina, Allegrezza, S., Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Bartole, S.-De Sena, P.-Zagrebelsky, V., a cura di, Padova, 2012, sub art. 4 Prot. n. 7, 900 ss. – ha condotto il giudice europeo a ritenere quale elemento di differenziazione l’intenzione criminosa o lo scopo perseguito. Analogamente, nel caso Ponsetti e Chesnel – sent.14.9.1999 (ric. n. 36855/97 e 41738/98) – l’irrogazione di una multa da parte dell’amministrazione fiscale non aveva determinato il riconoscimento della violazione dell’art. 4 ult. cit. malgrado la contemporanea condanna ad una sanzione penale. Quanto all’applicazione dei criteri Engel alle sanzioni di natura fiscale, la giurisprudenza europea risulta averne fatto applicazione nel caso Janosevic c. Svezia (ric. n. 34619/97, 23.6.2002) e nel caso Västberga Taxi Aktiebolag e Vulic c. Svezia (ric. n. 36985/97, 23.7.2002).
12 V. De Amicis, G., Ne bis in idem e “doppio binario” sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, in www.penalecontemporaneo.it.
13 V.De Amicis,G.,Ne bis in ideme “doppio binario” sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, cit., 11; Dova, M., Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali, in www.penalecontemporaneo.it
14 Ruggeri, A., Dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali e tecniche interpretative, in Dir. un. eur., 2010, 1, 125 ss..
15 C. giust., 14.12.1972, C-7/72, Boehring Mannheim c. Commissione; C. giust.,15.10.2002, C-238/99, Limburgse Vinyl Maatschappij NV c. Commissione.
16 C. giust., 5.5.1966, cause riunite C-18/65 e C-35/65, Gutmann c. Commissione.
17 V., in tal senso C. giust., 21.9.1989, C-68/88, Commissione. c. Grecia, p. 24; C. giust., 7.12.2000, C-213/99, de Andrade c. Director da Alfândega de Leixões, p. 19, e C. giust., 16.10.2003, C 91/02, Hannl-Hofstetter c. Finanzlandesdirektion für Wien, p. 17.
18 cfr. anche C. giust., 5.6.2012, C-489/10, Bonda.
19 In definitiva, se si legge il p. 36 della sentenza ANkerberg Fransson insieme al p. 101 delle conclusioni dell’Avvocato generale Pedro Cruz Villalón del 12.6.2012, ci si avvede che la Corte di giustizia, senza per nulla discostarsi dai principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, si sia limitata a demandare al giudice nazionale la verifica in ordine alle caratteristiche specifiche del sistema di compensazione previsto dall’ordinamento svedese ad opera del giudice penale, individuando i “paletti” entro i quali quel sistema poteva dirsi compatibile con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali. In questa prospettiva, il sindacato in ordine all’esigenza di salvaguardare comunque l’effettività e proporzionalità delle sanzioni, che la Corte di giustizia evoca attribuendolo al giudice nazionale, costituisce la valvola di sicurezza dell’intero sistema, destinata ad operare nel caso in cui il giudice svedese reputi che la precedente applicazione della sanzione amministrativa impedisca l’irrogazione della sanzione penale. In altri termini, la Corte europea di giustizia ha a cuore che il sistema sanzionatorio previsto dalla Svezia, al di là delle regole interne a proposito del cumulo fra sanzione amministrativa e penale, non perda mai quei caratteri di effettività e proporzionalità che l’inerenza della materia al sistema UE impone.
20 È questa la posizione espressa da Gaeta, P., Gerarchia ed antinomie di interpretazioni conformi nella materia penale: il caso del bis in idem, Relazione provvisoria presentata al convegno svoltosi a Rovigo sul tema L’interpretazione conforme al diritto UE: profili e limiti di un vincolo problematico, in corso di pubblicazione su Cass. pen., 2014.
21 V. Cass., pen., 16.5.2012, n. 18757, in www.penalecontemporaneo.it, con nota di Valsecchi, A., Sull’inapplicabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute d’acconto (art. 10 bis d.lgs. 74/00) all’omesso versamento delle ritenute relative al 2004 e sulle possibili ripercussioni di tale principio sul delitto di cui all’art. 10 ter, ricordato nel testo.
22 V., di recente Cass., pen., 10.7.2014, n. 42462, secondo cui nel caso di una condotta di omesso versamento a cagione di indebita compensazione tributaria deve escludersi l’applicabilità del principio di specialità previsto dall’art. 19, co. 1, d.lgs. n. 74/2000; ragion per cui appaiono applicabili tanto la sanzione penale dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74/2000 che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 27, co. 18, d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. dalla l. 28.1.2009, n. 2.
23 Resta soltanto da sottolineare che la distonia sopra rappresentata sembra destinata a venire meno per effetto dell’abrogazione delle norme incriminatrici dell’omesso versamento di ritenute e dell’IVA in relazione alla riforma del sistema penale tributario predefinita dall’art. 5 l. 11.3.2014, n. 23.
24 D’altra parte, la delega al Governo sul riordino del sistema sanzionatorio fiscale (art. 8 l. n. 23/2014) potrà essere il luogo più adatto per considerare ed eliminare le aporie esistenti rispetto al divieto di bis in idem.
25 V., infatti, il p. 44 della sentenza appena ricordata, ove si dà esplicitamente conto della capacità delle disposizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali a costituire parametro capace di determinare la non applicazione della norma interna con esso contrastante. V., conf., Cass., pen., 20.12.2010, n. 45524, ove si è riconosciuto che la necessità di impedire la violazione del divieto del ne bis in idem è collegata ad un «principio posto a garanzia dell’individuo, che significativamente è stato elevato dall’art. 50 della Carta di Nizza tra i principi fondamentali dell’Unione europea e che ora, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, èda ritenere direttamente applicabile in tutti i sistemi giuridici nazionali, accanto alle Costituzioni nazionali». In dottrina, a proposito dell’immediata
precettività dell’art. 50 della Carta UE e con specifico riguardo all’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000, Viganò, F.,Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem:verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta, in www.penalecontemporaneo.it, 21 e 28.
26 Cfr. C. cost., 15.3.2008, n. 103; C. cost., 13.7.2007, n. 284; C. cost., 26.12.2006, n. 454; C. cost., 30.4.2009, n. 125; C. cost., 28.1.2010, n. 28. Resta solo da chiarire che l’assenza di consenso, all’interno dei singoli ordinamenti nazionali che aderiscono all’UE, sulla regolamentazione degli apparati sanzionatori fiscali, non soltanto esclude che il sistema del doppio binario possa inquadrarsi all’interno delle tradizioni costituzionali comuni ai medesimi Paesi,ma rende problematico riscontrare nella Carta costituzionale un parametro al cui interno collocarlo.
27 Cfr. le conclusioni espresse dall’Avvocato generale nella causa C. giust., 26.2.2013, C-617/10, Åklagaren Fransson, 70 e 83.
28 Tale esigenza è tradizionalmente presente nella giurisprudenza eurounitaria - v. C. giust., 10.7.1990, C-326/88, Anklagemyndigheden c. Hansen & Soen, p. 17; C. giust., 30.9.2003, C-167/01, Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c. Inspire Art Ltd., p. 62; C. giust., 15.1.2004, C-230/01, Intervention Board for Agricultural Produce c. Penycoed Farming Partnership, p. 36; C. giust., 3.5.2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., p. 65.
29 Ruggeri, A., Una opportuna precisazione, da parte di Corte cost. n. 223 del 2014, in merito ai conflitti (apparenti…) tra norme di diritto interno e norme della CEDU, in www.giurcost.org, 6.
30 Giovannini, A.-Murciano, L.P., Il principio del ne bis in idem sostanziale impedisce la doppia sanzione per la medesima condotta, cit.
31 Su tutti v. Ruggeri, A., Conferme e novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009), in forumcostituzionale.it; Id., La Corte costituzionale equilibrista, tra continuità e innovazione, sul filo dei rapporti con la Corte EDU, in www.giurcost.org.
32 Ruggeri, A., Corti e diritti, in tempi di crisi, in www.dirittifondamentali.it, 7.
33 Ruggeri, A., Prospettiva prescrittiva e prospettiva descrittiva nello studio dei rapporti tra Corte costituzionale e Corte EDU (oscillazioni e aporie di una costruzione giurisprudenziale e modi del suo possibile rifacimento, al servizio dei diritti fondamentali), in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XVI Studi dell’anno 2012, Torino, 347.