NEFŪSAH (o meglio Nafūsah; in berbero Infūsen)
Nome di una popolazione berbera che, secondo il quadro genealogico riportato da Ibn Khaldūn (v. berberi), formava uno dei quattro rami del grande ceppo etnico dei Mādghīs. Attualmente i Nafūsah risiedono sull'altipiano a sud-ovest di Tripoli, detto in arabo Gebel Nefūsah e in berbero Drār n Infūsen; nome che in senso ampio viene applicato ai territorî di Nālūt, Fassāṭō e Yefren, benché solo alcuni nuclei degli abitanti risultino effettivamente discendenti dai Nafūsah.
Per il fatto che questi ebbero, tra le genti dell'altipiano, maggiore importanza storica, molto probabilmente il loro nome da una zona più ristretta si estese a tutto il territorio montano compreso tra il confine tunisino-tripolitano e Yefren.
Il nome dei Nafūsah appare per la prima volta in fonti arabe, a proposito della conquista di Tripoli compiuta dai musulmani condotti da ‛Amr ibn al-‛Aṣ nell'anno 22 o 23 dell'ègira (642-643, 643-644 d. C.). Gli abitanti della città chiamarono in loro soccorso i Nafūsah che contribuirono alla resistenza. Essi dimoravano allora anche nella vasta regione piana detta Gefārah, compresa fra l'altipiano e il mare, e uno dei loro principali centri era la città marittima di Ṣabrah, la romana Sabratha a ovest di Tripoli. Secondo alcune fonti erano cristiani, secondo altre ebrei. L'esistenza di parecchie basiliche bizantine porta a credere, senza escludere la presenza di nuclei giudaici, che grande diffusione avesse avuto tra di essi il cristianesimo. Il loro accorrere in aiuto di Tripoli assalita dai musulmani si potrebbe perciò ritenere come un indizio d'intesa religiosa; ma se questa pure vi fu in parte, è certo che la linea direttiva della storia dei Nafūsah consiste nella loro tendenza ad esercitare un forte predominio in tutto il settore nord-occidentale della Tripolitania, intervenendo nelle guerre che vi si combattevano, sorvegliando la via litoranea che metteva in comunicazione Tripoli con la Barberia centrale e occidentale, e cercando, ogni volta che nel mutarsi delle dominazioni dell'Africa del Nord sembrava possibile, di fondare un proprio stato indipendente.
Affermatasi in Barberia la conquista araba e diffusosi l'Islām, i Nafūsah finirono per accogliere la nuova fede, guadagnati però ben presto dalle dottrine degli Ibāḍiti. Entrarono quindi in pieno nel grande movimento delle rivolte khārigite contro gli Arabi che, iniziatesi nel 122 dell'ègira, 739-740 d. C., si prolungarono fino nel sec. IV dell'ègira, X d. C., e cioè fino al tempo della dinastia fāṭimita. In un primo periodo i Nafūsah ebbero un loro governo autonomo, con a capo un Imām da essi eletto; tra altri furono chiamati a tale carica Abu'l-Khaṭṭāb e Abū Ḥātim Ya‛qūb, ancora famosi tra le genti dell'altipiano come valorosi guerrieri che lungamente combatterono contro eserciti inviati dagli ‛Abbāsidi per riconquistare la provincia africana.
In seguito, formatosi il regno ibāḍita dei Rustamidi, con centro a Tāhert in Algeria, i Nafūsah fecero parte di esso e ne costituirono il baluardo orientale, sempre mostrando la tendenza a intervenire negli avvenimenti della zona costiera tripolitana. Mentre nell'anno 267 eg., 880-881 d. C., la città di Tripoli era assediata dal principe ṭūlūnide al-‛Abbās che ribellatosi al padre Aḥmed tentava per suo conto la conquista d'un regno in Barberia, i Nafūsah furono chiamati al soccorso e prontamente giunti sbaragliarono l'esercito invasore. Per tale spirito di preponderanza, oltre che per la loro eterodossia,finirono per urtarsi gravemente col principato degli Aghlabiti, che dal principio del sec. IX d. C. si era formato nella Barberia orientale e che comprendeva anche Tripoli; nella sanguinosa battaglia detta di Manū (283 eg., 896-897 d. C.) l'aghlabita Ibrāhīm ibn Aḥmad inflisse ai Nafūsah una terribile sconfitta, che ancora oggi è ricordata dai colti Ibaḍiti del Gebel come il più terribile disastro di loro gente.
Nuove lotte sostennero tuttavia nei secoli seguenti, a tempo del regno dei Fāṭimiti e dell'impero almohade. Effettuatasi nel sec. XI d. C. l'invasione dei Benī Hilāl e dei Benī Sulaim, alcune tribù arabe, e specialmente gli al-Maḥāmīd e i Giuwārī, si stabilirono nella zona costiera a occidente di Tripoli, ove prima predominavano i Nafūsah. Alcuni contingenti di questi che dimoravano nella Gefārah devono pertanto essersi ritirati sull'altipiano non al tempo della conquista, ma in seguito all'invasione araba; altipiano che essendo di difficile accesso offriva ai Berberi un rifugio ove cercarono di vivere indipendenti, di mantenere la fede ibāḍita e la lingua originaria, mentre molte altre regioni vicine passavano al sunnismo e si arabizzavano. In tale atteggiamento rimasero durante il dominio degli Ḥafṣidi sull'Ifrīqiyah e poi dei Turchi in Tripolitania. Quando questi, ripreso nel 1251 eg., 1835-1836 d. C., il dominio diretto di Tripoli, vollero occupare l'interno, sostennero lunghe lotte per la conquista dell'altipiano dei Nafūsah, nelle quali rifulse per valore e tenacia lo sheikh Ghūmah ibn Khalīfah, comunemente ritenuto come l'eroe dell'indipendenza berbera contro i Turchi. Egli in realtà era di stirpe araba e parte grandissima nelle guerre ebbe la tribù araba dei Maḥāmīd, mentre non sembra che i Berberi vi partecipassero in notevole misura.
Iniziata nel 1911 l'occupazione italiana della Tripolitania, i Nafūsah si mostrarono dapprima ostili, tendendo essi a creare un principato ibāḍita indipendente, che si sarebbe dovuto estendere fino al mare. Sconfitti nel 1913 dal generale Lequio ad al-Aṣāba‛ah fecero atto di sottomissione e in seguito si sono sempre dimostrati fedelissimi all'Italia anche quando l'interno della Tripolitania, per le ripercussioni della guerra mondiale, era sconvolto dai ribelli; e nel 1922, iniziatasi la riconquista dell'interno, combatterono a fianco delle truppe regolari.
I Nafūsah oltre che adoperare l'arabo come lingua di cultura e nelle relazioni esterne, hanno un linguaggio berbero che presenta delle varietà fra la zona di Yefren da una parte e quella di Fassāṭō-Nālūt dall'altra, e che si riconnette coi dialetti Zenātiyyah. Mentre nella seconda delle dette zone il berbero ha una grande vitalità, in quella di Yefren già da qualche tempo prima dell'occupazione italiana si andava determinando un processo di arabizzamento, che in qualcuno dei paesi, come ad es. Ad el-Qal‛at, è parallelo all'abbandono della dottrina ibāḍita e alla conversione al sunnismo.
Il nafūsī, parlato ai nostri tempi da circa 30.000 uomini, ebbe verosimilmente in passato un'estensione assai maggiore, e nel periodo più fiorente della cultura ibāḍita assurse a dignità letteraria: opere teologiche, giuridiche e storiche furono composte in berbero, di qualcuna delle quali si conserva la traduzione araba, che accenna all'originale nafūsī. Anche in tempi recenti la tradizione letteraria non si è del tutto spenta. Prescindendo dall'operetta dell'Ashemmākhī redatta per invito del De Calassanti-Motylinski, circa un secolo fa, un certo Abū Fālghah, nativo di Mézzū (territorio di Fassāṭō), componeva dei poemetti religiosi a carattere letterario.
I Nafüsah sono in generale agricoltori, assai attaccati alle loro terre, in cui piantano specialmente ulivi, palme, fichi, cereali. Sono attivi e tenaci nel lavoro, come si vede, tra l'altro, dai terrazzamenti con cui riescono a fare delle coltivazioni anche su ripide fiancate di monti.
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