negazione
La negazione di frase è una risorsa che segnala che la situazione descritta in una frase non sussiste: in altri termini, essa inverte il valore di verità di una frase dichiarativa. In italiano, dove essa è espressa soprattutto dall’avverbio non, si ha dunque non piove (quindi «è falso che piova») rispetto alla sua controparte positiva piove (quindi «è vero che piove»).
La negazione di una frase dichiarativa serve a:
(a) rifiutare o correggere affermazioni di altri parlanti;
(b) affermare che non sussistono situazioni ritenute vere in base alle conoscenze (sia condivise dagli interlocutori sia comunemente attese in un certo contesto).
A questa funzione della negazione si riallaccia la funzione proibitiva, che si riscontra in frasi imperative come non sederti! rispetto a siediti! Diversamente dalla negazione dichiarativa, con cui si afferma la non-verità di una certa situazione, la negazione proibitiva è volta a interdire il realizzarsi di una certa situazione (come nell’esempio precedente) o a interromperne lo svolgimento, come nel caso di non piangere!, detto, ad es., dalla mamma al bambino che sta piangendo.
In italiano le due funzioni della negazione (quella dichiarativa e quella proibitiva) sono espresse dallo stesso avverbio non. La funzione proibitiva traspare solo dalla forma della seconda persona del verbo, che è all’➔ infinito e non all’➔ imperativo. Diversamente dall’italiano, in latino la proibizione era espressa da nē (opposto a nōn): nē dubitāveris! («non dubitare!»).
La negazione in generale è una funzione tipica del linguaggio umano, verbale e segnato; considerata un «universale pragmatico» (Ramat 1987: 48) per le particolari esigenze comunicative a cui risponde, è stata indagata in prospettiva funzionale (Bernini & Ramat 1996) e formale (Zanuttini 1997), nonché nelle sue relazioni con la logica e la filosofia (Horn 1989). Le caratteristiche della negazione in italiano (descritte tra gli altri da Manzotti & Rigamonti 1991) si manifestano a ogni livello: lessicale, morfologico, sintattico, semantico e pragmatico.
La negazione di una frase è espressa tipicamente dall’avverbio non (< lat. nŏn) preposto al predicato: non voglio, non piove. Insieme a non, l’avverbio mica (< lat. mīcam «briciola»; ➔ grammaticalizzazione) può intensificare (➔ intensificatori) la negazione dal punto di vista pragmatico, respingendo implicazioni o inferenze sollecitate dal contesto di discorso (Cinque 1976), come quella suggerita dalla domanda tu hai capito?, a cui risponde (1):
(1) certo che ho capito: non sono mica stupido io.
La funzione di negazione è inoltre svolta da altri tipi di elementi, che non operano sul predicato della frase.
(a) La serie di indefiniti nessuno, niente / nulla, mai (➔ indefiniti, aggettivi e pronomi), che indicano non-esistenza in riferimento alle categorie generali, rispettivamente, di essere animato, entità inanimata e tempo: nessuno (< lat. ne ipsu(m) ūnum «non proprio uno») e niente (probabilmente < lat. medievale nec entem «neanche un essere»), nulla (di stile elevato, < lat. nūlla, neutro plurale di nullus «nessuno») hanno la funzione di ➔ pronomi: nessuno mi ha detto niente; mai (< lat. magis «più») ha funzione di avverbio: non arrivi mai in orario; nessuno ha anche funzione aggettivale: da nessuna parte, in nessuna maniera. In Toscana è usato come aggettivo negativo anche punto: non ne ho punta voglia.
(b) Le congiunzioni neanche (< né + anche; ➔ univerbazione), nemmeno (< né + meno) e neppure (< né + pure), che aggiungono un elemento negativo ad altri già espressi nel contesto precedente, come in non mi piace il tennis e neanche (o nemmeno o neppure) il calcio. Neanche e nemmeno possono anche avere valore rafforzativo, indicando l’esclusione di ogni possibilità: per es., non oso neanche (o nemmeno o neppure) chiederglielo.
(c) Le congiunzioni correlative (né) ... né ... (< lat. nec «né»), che possono coordinare elementi aventi la stessa funzione sintattica (➔ correlative, strutture): non li ho (né) visti né sentiti.
(d) La forma no (< lat. nōn), usata principalmente come risposta olofrastica a domande polari (➔ interrogative dirette): A Piove? B No. La risposta no vale qui «non piove», cioè rappresenta in forma negativa assoluta il contenuto della domanda a cui risponde, contrapponendosi a sì, che rappresenta invece lo stesso contenuto in forma positiva. Per il fatto di rappresentare una frase e di avere funzione di frase, no (come sì) è definita profrase (Bernini 1995). No ha funzione di frase:
(i) dichiarativa, come nelle risposte a domande;
(ii) interrogativa, come in no?, per es., in replica a guarda che non piove;
(iii) subordinata, come in credo di no;
(iv) come intercalare (➔ intercalari);
(v) in alcune formule di linguaggi specialistici (per es., quello medico), come sinonimo di nessuno (no [o non] tracce ematiche nelle urine).
(e) A livello morfologico, i prefissi s-, dis-, a-, in-, che formano aggettivi, nomi e verbi negativi a partire dai corrispondenti elementi di base, come in (2):
(2) sfortunato (rispetto a fortunato), disonore (onore), disobbedire (obbedire), anormale (normale), inesperto (esperto)
Il significato di singole parole può essere negato con l’anteposizione di non, con possibili oscillazioni grafiche: non credente, non belligeranza, ma non violenza accanto a non-violenza e a nonviolenza, e nonviolento, noncuranza.
La negazione realizza il valore negativo della categoria della polarità: tale valore è sempre espresso da un elemento lessicale tra quelli elencati nel § 2, a esclusione però degli elementi esaminati in (e). Il valore positivo della categoria della polarità, realizzato nelle frasi non negative, non ha in italiano espressione esplicita: cfr. io ti sento rispetto a io non ti sento.
Le frasi negative si distinguono da quelle positive perché alle prime si possono aggiungere altri elementi tramite la congiunzione neanche (3 a.); le frasi positive ammettono invece l’aggiunta di altri elementi solo tramite anche (3 b.):
(3) a. io non ti sento, neanche lui
b. io ti sento, anche lui
I prefissi negativi elencati in (e) nel § 2 non esprimono il valore negativo della polarità; la presenza di parole così formate non rende la frase negativa:
(4) Giovanni è infelice, anche [*neanche] Maria lo è.
In italiano la sintassi della frase negativa è caratterizzata dall’avverbio non, che, come si è detto, si antepone al verbo finito, ai ➔ clitici che possono accompagnarlo e all’infinito nelle frasi subordinate implicite (negazione di predicato, nell’es. 5; ➔ completive, frasi); non si può anteporre anche a qualsiasi costituente della frase in contesti contrastivi (negazione di costituente, es. 6):
(5) a. non sappiamo
b. non lo abbiamo imparato
c. speriamo di non incontrarlo
(6) a. non di solo pane vive l’uomo
b. la ricca è lei, non lui
Non sono propriamente negative le frasi comparative (➔ comparative, frasi), esclamative (➔ esclamative, formule) e temporali (➔ temporali, frasi), nelle quali il non (soggetto a frequenti oscillazioni nell’uso) è solo espletivo, cioè riempitivo e opzionale:
(7) a. è più furbo di quanto non pensassi
b. quante sciocchezze non ha detto!
c. l’ho aspettato finché non è arrivato
L’italiano è una lingua a negazione multipla, o (secondo un’altra terminologia) a concordanza negativa: la presenza di un altro elemento negativo oltre a non tra quelli elencati in (a), (b) e (c) nel § 2, ai quali va aggiunto l’avverbio mica, non è interpretata come doppia negazione equivalente a un’affermazione di verità, come in logica. In italiano la presenza o assenza di non con un secondo elemento negativo (nessuno, mai, mica, ecc.) è regolata da queste due restrizioni:
(a) se gli elementi negativi seguono il verbo, il non è obbligatorio:
(8) a. non lo sapevo mica
b. non mi dice mai niente nessuno
(b) se gli elementi negativi precedono il verbo, il non è escluso:
(9) a. mica lo sapevo
b. nessuno mi dice mai niente
In diverse varietà colloquiali (➔ colloquiale, lingua), soprattutto settentrionali (➔ Milano, italiano di), non è talvolta omesso anche con elementi negativi postverbali: siamo mica matti; c’era nessuno; fa niente. Queste costruzioni possono riflettere il sostrato dialettale a negazione postverbale di alcuni dialetti gallo-italici (➔ dialetti): sta fomna la m pyaz mia «questa donna non mi piace» (lomb. orientale).
Con elementi negativi postverbali non può essere escluso nelle frasi interrogative polari, dove è sospeso il valore di verità del contenuto della frase. In tale contesto, nessuno, niente e mai equivalgono ai loro corrispondenti positivi qualcuno, qualcosa, qualche volta:
(10) a. mi ha cercato nessuno [cioè «qualcuno»]?
b. sei mai stato in Croazia?
In una prospettiva tipologica globale, con l’espressione della negazione tramite un elemento indipendente come l’avverbio non, l’italiano si conforma a una tendenza maggioritaria tra le lingue del mondo (477 su un campione di 1011; WALS 2005: carta 112). L’asimmetria riscontrata nelle frasi con più elementi negativi per quanto riguarda la presenza di non sembra invece minoritaria tra le lingue del mondo (13 contro 170 che non presentano asimmetria su un campione di 206 lingue; WALS 2005: carta 115). Tale asimmetria si riscontra quasi esclusivamente tra le lingue dell’Europa.
Il profilo semantico delle frasi negative si delinea tenendo conto della portata della negazione. Tale termine indica la porzione della frase su cui la negazione opera, cioè la parte della frase negata che la differenzia dalla corrispondente frase a polarità positiva (Klein 2007).
Nelle frasi dichiarative pronunciate con ➔ intonazione neutra la portata della negazione si estende a destra dell’avverbio non e comprende la parte rematica della frase (➔ tematica, struttura), sottolineata nell’es. (11); la parte tematica è invece esclusa dalla portata della negazione:
(11) Giovanni non è andato a Nizza per lavoro
In base al contesto a cui risponde, nello stesso es. (11) la portata della negazione può avere estensione diversa, segnalata con mezzi intonativi o sintattici. Se la portata è limitata a un costituente che segue il verbo, ciò è espresso dai seguenti mezzi:
(a) l’enfasi intonativa sul complemento o sulla frase effettivamente negati (➔ focalizzazioni), indicata dal sottolineato negli esempi (11 a.-e.):
(11) a. Giovanni non è andato a Nizza per lavoro, ci è andato in vacanza
Un caso particolare di questo tipo è quello in cui, malgrado le apparenze, la parte di enunciato negata non è il predicato della principale ma quello della subordinata (sottolineata nei due esempi 12 a. e b.):
(12) a. non sono venuto qui per parlarti, ma per vedere tua madre [quindi «sono venuto qui»]
b. non è entrato quando parlavi, ma quando avevi finito di parlare [quindi «è entrato»]
(b) La negazione di costituente (cfr. § 3), cioè lo spostamento di non davanti al costituente negato, che si accompagna a enfasi intonativa come in (a). Si segnala così in modo esplicito che la portata della negazione comprende il complemento alla sua destra:
(11) b. Giovanni è andato a Nizza non per lavoro: ci è andato in vacanza
(c) L’inserzione del costituente in una frase scissa negativa (➔ scisse, frasi):
(11) c. non è per lavoro che Giovanni è andato a Nizza: ci è andato in vacanza
Anche il soggetto della frase può ricadere nella portata della negazione se spostato in posizione rematica dopo il verbo, come in:
(11) d. a Nizza per lavoro non è andato Giovanni, ma Maria
Il soggetto può essere negato anche tramite una frase scissa, come in:
(11) e. non è Giovanni che è andato a Nizza per lavoro, ma Maria
I diversi profili semantici che una frase negativa può assumere secondo la portata della negazione e i mezzi di espressione prosodica o sintattica che l’italiano può impiegare sono illustrati da (13), che può avere due interpretazioni diverse, a seconda che il soggetto sia escluso o incluso nella portata della negazione:
(13) tutti gli studenti non hanno passato l’esame
Si danno in questo caso le possibilità seguenti:
(a) se la frase è pronunciata con intonazione neutra, il soggetto non è compreso nella portata della negazione: il fallimento dell’esame riguarda in tal caso l’intero insieme degli studenti considerati e la frase è intesa come «nessuno studente ha passato l’esame»;
(b) l’enfasi intonativa sul verbo di modo finito può segnalare l’estensione della portata al soggetto (tutti gli studenti non hanno passato l’esame): in questo caso il fallimento dell’esame non riguarda l’intero insieme degli studenti considerati e la frase va intesa come «non tutti gli studenti hanno passato l’esame», ovvero «qualche studente non ha passato l’esame, qualche altro sì».
Il profilo semantico delle frasi negative è inoltre diversamente delineato in base a determinati fattori.
(a) Mica e gli elementi negativi elencati in (a), (b), (c) nel § 2 replicano la negazione nell’ambito della portata di questa. Invece gli elementi formati con i mezzi indicati in (e) nel § 2 ricadono dentro la portata della negazione non: il loro significato negativo è così neutralizzato e il significato della frase è positivo (➔ litote):
(14) Giovanni non è insensibile [quindi «Giovanni è sensibile»]
Analogamente, il secondo dei non che si succedono all’interno della stessa frase ricade dentro la portata del primo e il significato che ne risulta è positivo:
(15) non posso non compiangerlo [quindi «devo compiangerlo»]
(b) La negazione di frasi subordinate dipendenti da verbi di opinione (credere, pensare, aspettarsi) e di volontà (volere, intendere, desiderare) (➔ oggettive, frasi) può essere ‘sollevata’ (cioè trasferita) nella frase principale. In questo caso la negazione ha portata ampia, dato che comprende anche la subordinata al verbo effettivamente negato, come in (16 a.). La portata ampia è dimostrata dal fatto che la frase subordinata può contenere mica o altri elementi negativi tra quelli elencati in (a), (b), (c) nel § 2, come in (16 b.):
(16) a. non credo che Giovanni sia arrivato [quindi «credo che Giovanni non sia arrivato»]
b. non credo che la cura gli farà niente [quindi «credo che la cura non gli farà niente»]
(c) Non ha portata ampia anche nella costruzione non è che + frase, con la quale la negazione è estrapolata dalla frase cui effettivamente appartiene e che nel costrutto appare come subordinata (17 a.). Le caratteristiche di questa costruzione permettono di utilizzarla per negare una frase già negativa (17 b.): infatti, il secondo della sequenza di due non, compreso nella frase subordinata insieme a eventuali altri elementi negativi, ricade nella portata del primo non, presente nella frase principale non è che (Bernini 1992):
(17) a. non è che la vacanza mi giovi [quindi «la vacanza non mi giova»]
b. non è che la vacanza non mi giovi [quindi «la vacanza mi giova»]
Va notato che la costruzione non è che è usata anche, specie nella lingua colloquiale (➔ colloquiale, lingua) come negazione nelle interrogative dirette a risposta prevista (18) o nelle repliche che modificano il tema (19 a.), in luogo del più tradizionale non che (19 b.):
(18) non è che mi presteresti cinquanta euro?
(19) a. non è che non voglio [o voglia] prestarteli, è che non ce li ho
b. non che non voglia prestarteli, è che non ce li ho.
Per la semantica delle frasi negative sono inoltre interessanti i costituenti detti a polarità negativa, che sono accettabili solo in contesti negativi: si ritrovano in espressioni idiomatiche (➔ modi di dire) quali non aprire bocca, non chiudere occhio (cfr. stanotte non ho chiuso occhio rispetto a *stanotte ho chiuso occhio). In queste espressioni si nega la condizione minima necessaria per il realizzarsi di un evento, come il fatto di chiudere gli occhi nel sonno nell’esempio precedente. Del pari, esistono una varietà di lemmi (➔ lemma, tipi di) che operano con quello specifico significato solo con negazione: non poter vedere (qualcuno: non lo posso vedere; poter vedere qualcuno non è la forma positiva corrispondente), non poterne più (di), ecc.
Nel parlato molto informale possono assumere lo status di elementi a polarità negativa termini originariamente volgari, come non ci capisco un tubo (o un accidente; anche con varianti oscene: non ci capisco un cazzo). A partire da queste espressioni possono avviarsi processi di grammaticalizzazione che creano nuove parole negative, come mica, originariamente «briciola», di cui si è già detto. Questi processi, descritti nel cosiddetto ciclo di Jespersen (Jespersen 1917), portano alla formazione di costruzioni negative discontinue, nelle quali cioè la negazione è espressa due volte: da una particella postverbale di creazione recente, derivata da un elemento a polarità negativa, e da una particella preverbale più antica, come nell’italiano non parlo mica rispetto a non parlo, e in francese je ne parle pas (pas < lat. passum «un passo»). In italiano la costruzione discontinua si realizza se si attuano le condizioni pragmatiche menzionate nel § 2; in francese è invece obbligatoria e non ha particolari funzioni pragmatiche.
Il ciclo può continuare con l’erosione della negazione preverbale, il che porta a una nuova costruzione in cui sopravvive la sola particella negativa postverbale, come nell’italiano settentrionale parlo mica e nelle forme di negazione dei dialetti settentrionali menzionati nel § 3, dove mi(g)a «non» è pure derivato dal lat. mīcam «briciola». In tali dialetti la negazione postverbale, d’uso obbligatorio, rappresenta la fase finale del ciclo di Jespersen; l’italiano standard non ha raggiunto questo stadio, in quanto l’espressione solo postverbale della negazione è innescata in maniera variabile dalle condizioni sociolinguistiche menzionate nel § 2.
Per la funzione comunicativa illustrata nel § 1, la frase negativa presuppone sempre una corrispondente frase positiva e, a differenza di questa, non può essere usata per introdurre nel discorso nuove situazioni o nuovi referenti. Inoltre, come descritto nel § 4, il diverso contesto di discorso in cui si inserisce una frase negativa ne condiziona il profilo semantico per l’interazione tra portata della negazione e articolazione tema-rema.
Le caratteristiche semantiche della negazione la rendono versatile sul piano pragmatico, permettendo di modulare reazioni comunicative a diversi livelli, come nei casi seguenti:
(a) le frasi negative correggono il contenuto di frasi positive (cfr. § 4) e con mica respingono anche implicazioni o inferenze sollecitate dal contesto (cfr. § 2);
(b) nell’uso detto metalinguistico (Horn 1989: 371-445), la negazione ha anche una funzione diversa da quella di rovesciare il valore di verità di una frase positiva; in tale uso, la frase negativa rifiuta e corregge qualche porzione di un enunciato precedente, per es.:
(i) la prospettiva utilizzata per descrivere una situazione, che rimane sempre vera, come nel caso della misura in cui la bottiglia è riempita (20):
(20) la bottiglia non è mezza vuota: è mezza piena
(ii) la pronuncia di parole contenute nell’enunciato precedente, senza che venga messa in dubbio la validità della situazione descritta:
(21) non ho detto pèrformance: ho detto perfòrmance
(c) nelle interrogative polari, dove è sospeso il valore di verità del contenuto della domanda, in attesa della risposta sì (verità) o no (non verità), l’aggiunta della negazione serve a esprimere gli atteggiamenti del parlante, per es., di timore (22) o di cortesia (23):
(22) ma tua madre non è malata?
(23) non lo prenderesti un caffè?
(d) nella forma reduplicata di no (no no) pronunciata come unità intonativa [noˈno], la profrase no ha valore attenuativo in contesti di contrapposizione (Floricic & Mignon 2007):
(24) Parlante A: guardate! si sta muovendo la casa!
B: no, dev’essere un’impressione.
A: no no: si sta muovendo davvero!
Nell’inventario degli elementi negativi dell’italiano (cfr. § 2) l’unico elemento che continua direttamente un antecedente latino è non, che ha ampliato il suo ambito funzionale da quello della negazione di frase dichiarativa a quello di negazione di frase proibitiva, espressa dall’avverbio nē oppure da una costruzione perifrastica con l’imperativo del verbo nōlō «non voglio», come in nōli mē tangere «non toccarmi» lett. «non voler toccarmi» (cfr. § 1). Oltre a nē proibitivo è stato abbandonato nē congiunzione subordinante negativa, nonché haud, che esprimeva una negazione attenuata, per es., haud pulchrum «non proprio bello» [quindi «bruttino»] (Tekavčić 1980: 482-483). L’inventario degli elementi negativi è arricchito in italiano dalla profrase no, cristallizzatasi da usi di latino nōn in risposte con ellissi del verbo, come in sit autem sermo vester, est, est; non, non «ma il vostro linguaggio sia: “sì” se è sì, “no” se è no» (Matteo 5, 37).
I pronomi indefiniti negativi latini nēmo «nessuno», nihil «niente», numquam «mai» sono stati sostituiti con le neoformazioni indicate al § 2. Le forme neente, neiente, attestate nell’italiano del XIII secolo, mostrano stadi intermedi dell’evoluzione ne(c) entem > niente.
Il termine a polarità negativa all’origine dell’avverbio mica (cfr. § 4) è attestato nel I secolo d. C.: quinque dies aquam in os suum non coniecit, non micam panis «per cinque giorni non ha messo in bocca acqua, non una briciola di pane» (Petronio, Satyricon, 42). Mica è attestato dal XIII secolo al di fuori dell’area fiorentina, dove oltre a punto, tuttora in uso (cfr. § 2), era usato come elemento rafforzativo della negazione anche fiore, come in son certo non poria partirmen fiore («non potrei separarmene affatto») (Zanuttini 2010: 571).
La negazione multipla, che comporta l’uso di più indefiniti negativi + l’avverbio non, differenzia l’italiano moderno e antico (Zanuttini 2010) dal latino classico, dove due negazioni si elidevano dando luogo a una frase positiva: nemo non videt «tutti vedono» (lett. «nessuno non vede»). La sequenza di negazione e indefiniti negativi (cfr. § 3) non era ammessa in latino, dove a una parola negativa come neque «né» potevano far seguito solo indefiniti positivi, sottolineati nella frase: neque ego umquam fuisse tale monstrum ullum puto (Cicerone, Pro Caelio, 12) «né penso che ci sia mai stato nessun siffatto prodigio».
La negazione multipla si diffuse probabilmente a partire da usi non classici, già attestati in Plauto (III-II sec. a.C.), anche per influsso greco (Molinelli 1988).
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