NEGRETTI, Jacopo, detto Palma il Giovane
NEGRETTI, Jacopo, detto Palma il Giovane. – Nacque a Venezia tra il 1548 e il 1550 da Antonio, pittore e nipote di Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio, e da Giulia Brunello, nipote di Bonifacio de’ Pitati,anch’eglipittore.
Lo spostamento della nascita al 1548-50 rispetto all’anno 1544, tradizionalmente accolto sulla base della biografia di Carlo Ridolfi (1648, p. 172), è dovuto all’incrocio di diversi elementi: tra questi, il disegno con l’Autoritratto della Morgan Library di New York (inv. n. 142243), datato 1606, dove Palma si dichiara di anni 58, e un documento inedito (Venezia, Parrocchia di S. Giustina, Morti, reg. 2, c. 32v) in cui il 17 ottobre 1628 si registra la morte del «signor Giacomo Palma pittor d’anni 78».
Cresciuto in una famiglia di pittori, dopo un presumibile apprendistato nella bottega paterna, ebbe l’opportunità di vivere un’esperienza inconsueta per un artista veneziano: nel 1564 Guidobaldo II della Rovere, duca d’Urbino, in visita a Venezia, avendone apprezzato il talento, invitò a corte il giovanissimo Jacopo che di questa esperienza, così significativa, avrebbe sempre riconosciuto l’importanza esprimendo la sua gratitudine, fino alla fine della vita, «per esser stato levato da Venetia e mantenuto in Roma quattro anni» (Gronau, 1936, p. 151). Mentre non si sono trovati riscontri documentari o figurativi sul suo soggiorno urbinate, informazioni precise sono invece fornite sul suo arrivo a Roma nel maggio 1567 dall’ambasciatore del duca, Traiano Mario, che lo ebbe suo ospite almeno fino al novembre 1568.
Le relazioni accurate inviate da Traiano Mario al duca forniscono il ritratto di un giovane promettente e irrequieto, ansioso di lavorare con altri artisti; nelle lettere si parla anche di «alcuni mesi in dozena in casa d’uno dell’arte» (Gronau, 1936, p. 149), ma non viene fornito il nome del pittore presso il quale sarebbe stato pensionante.
Le fonti, oltre a generici suoi esercizi sulla statuaria antica, «sul Cartone» di Michelangelo e sulle pitture di Polidoro da Caravaggio (Ridolfi, 1648, p. 173; Baglione, 1642, pp. 183 s.), riferiscono a tale periodo la sua partecipazione alla decorazione «nella bella Galleria» (Baglione, 1642, p. 183)e nelle Logge vaticane, non individuabile anche a causa dei ripetuti restauri che hanno omologato lo stile degli affreschi. Al soggiorno romano sono anche riferiti una Gloria di angeli in adorazione del Sacramento per la chiesa di S. Maria in Trivio alla fontana di Trevi, affidata all’Ordine dei crociferi, e un affresco con la Madonna in Ss. Vincenzo e Anastasio, adiacente alla stessa fontana, entrambi perduti (ibid., pp. 183 s.). Scomparsa è anche la Discesa dello Spirito Santo per S. Silvestro a Monte Cavallo, inviata dal veneziano in un periodo di tempo successivo, mentre si conserva la S. Teresa trafitta dall’angelo eseguita vari anni più tardi (1615) per la Madonna della Scala in Trastevere (ora Roma, S. Pancrazio), una delle prime formulazioni in pittura della transverberazione della santa spagnola.
Il disegno, datato 1568, con il Ritratto di Matteo da Lecce (New York, The Morgan Library, inv. n. 142246) resta la sola opera nota, riferibile con certezza a questi anni, a indicare le inclinazioni e gli interessi del giovane. Il foglio, oltre a testimoniare della sua amicizia per uno dei più appassionati divulgatori di Michelangelo, nella tecnica del gesso nero abbinato a quello rosso segnala un contatto con la cerchia di Federico Zuccari e una vocazione per la presa dal naturale, peraltro contraddetta sul verso da una figura derivata fedelmente dall’affresco con la Deposizione di Daniele da Volterra nella chiesa romana di Trinità dei Monti.
Nel 1569 Palma è segnalato in diverse occasioni nel registro di spese del cardinale Ippolito II d’Este insieme a una quindicina di artisti, tra cui Matteo da Lecce, probabilmente perché entrato a far parte dell’équipe di Cesare Nebbia che in quegli anni lavorava alla decorazione di villa d’Este a Tivoli (Tosini, 1999 [2001]), a ulteriore dimostrazione del suo inserimento nell’ambiente artistico romano.
Una lettera da Venezia a Guidobaldo II nel settembre 1570, in cui l’ambasciatore ducale Giovanni Francesco Agatone affermava che «il giovane dipintore di V. Ecc.za» (Gronau, 1936, p. 21), dunque in una mansione da pittore di corte, era andato con lui a Venezia per eseguire il disegno di una coppa e di un vaso di cristallo che il duca intendeva acquistare, è stata assunta come prova che in quell’anno l’artista fosse definitivamente ritornato nella città natale. In realtà tutte le fonti (Borghini, 1584; Baglione, 1642; Ridolfi, 1648) sono concordi sulla durata di otto anni del soggiorno romano, dunque dal 1567 al 1574 circa.
Una conferma indiretta è offerta dal fatto che la commissione per la Gloria di angeli in adorazione del Sacramento, citata in precedenza, fu affidata dai crociferi (ordine dal quale Palma avrebbe ricevuto numerose commissioni a Venezia) nel 1571 e rinnovata nel 1573, da assumere quindi come termini post quem per l’esecuzione, oltre che dalla menzione(Baglione, 1642, p. 183) di Palma tra gli artisti attivi durante il papato di Gregorio XIII, iniziato nel 1572.
Con il ritorno a Venezia (città cui si fa riferimento per tutti gli edifici, di destinazione sacra o profana, citati all’interno della voce ove non diversamente indicato) non prima del 1574, si pone il problema di un eventuale discepolato di Palma presso Tiziano, sollevato dalle parole di Boschini (1674, p. n. n.: «che pure anco hebbe fortuna di godere degli eruditi precetti di Tiziano») che riportano la descrizione accurata fornita da Palma della tecnica del maestro, facendo supporre una sua reale presenza in quella bottega. Da ciò sarebbe derivato l’incarico di ultimare la Pietà(Venezia, Gallerie dell’Accademia) alla morte di Tiziano, permettendogli così di candidarsi come suo erede spirituale. Non è tuttavia noto quando la Pietà sia passata, per volere del Senato, nelle mani di Palma, cui spettano il piccolo angelo reggi torcia in alto a destra, qualche ritocco e l’iscrizione in basso in cui attestò di averla portata a termine «reverenter».
Se non può essere escluso un contatto personale tra i due pittori, nel breve arco di tempo che intercorre tra il rientro di Palma a Venezia e la scomparsa di Tiziano nel 1576, appare scarsamente credibile l’ipotesi di un alunnato da parte di un artista di circa 26 anni e cresciuto nella cultura figurativa centro-italiana, antitetica agli esiti personalissimi della fase estrema di Tiziano. Né trova alcuna conferma la recente proposta di vederlo apprendista presso Tiziano nella fanciullezza (Tagliaferro, 2009), in contrasto con la prassi abituale in una famiglia di artisti e su cui non fa cenno alcuna delle fonti più vicine.
Le poche opere note eseguite nel periodo immediatamente successivo al rientro di Palma a Venezia, quali Cristo al Limbo per S. Nicolò della Lattuga (ora Quero, Belluno, parrocchiale) e l’affresco ai Ss. Giovanni e Paolo raffigurante Marte, Nettuno e prigionieri di guerra, del 1577 circa, per il Monumento funebre di Gerolamo Canal – oggi distrutto ma ricostruibile attraverso due disegni preparatori, tra cui il modelletto grafico (Mason, 2011, pp. 92 s., fig. 7) – palesano il persistere della lezione romana nelle soluzioni compositive e nel forte interesse per le forme plastiche.
Il 1578 fu segnato dal prestigioso incarico pubblico del grande ovato con Venezia coronata dalla Vittoria che riceve l’omaggio dei popoli soggetti e dei due riquadri laterali con la Vittoriadi Francesco Bembo sulla flotta di Filippo Maria Visconti e Andrea Gritti che riconquista Padova per la nuova decorazione del soffitto della sala del Maggior Consiglio in palazzo ducale dopo l’incendio del 1577, a fianco di Tintoretto e Veronese e in posizione di preminenza su altri pittori allora attivi in città.
Venezia coronata dalla Vittoria nello scenografico illusionismo prospettico e compositivo, inteso come impalcatura di figure dinamiche e scorciate, e nel cromatismo prezioso tendente a tinte fredde che ne accentua la plasticità, evidenzia l’influenza della maniera romana, mentre nei due dipinti laterali si inizia a intravvedere l’ammirazione per Tintoretto, reinterpretato in chiave più scenografica.
Una riprova della considerazione di cui Palma doveva godere da parte degli organismi statali venne sempre nel 1578, dagli incarichi di valutare, insieme a Veronese, le quattro Allegorie dipinte da Tintoretto per l’atrio Quadrato in palazzo ducale (Lorenzi, 1868, p. 449, doc. 880) e di approntare il modello a olio con S. Giovanni Evangelista che bacia il libro ricevuto dall’angelo per il mosaico sul piedritto meridionale della volta dell’Apocalisse nella basilica di S. Marco, modello pagato il 31 marzo 1580 (Saccardo, 1896, p. 301). La collaborazione al rifacimento musivo della basilica marciana riprese nel 1623, quando ricevette 155 ducati per i modelli a olio dei mosaici raffiguranti la Crocifissione di s. Pietro e la Decollazione di s. Paolo destinati alla parete di fondo della volta settentrionale della cupola della Pentecoste.
Tra il 1580 e i primi mesi del 1581 portò a termine il suo primo incarico complesso a destinazione religiosa, il ciclo pittorico della sacrestia vecchia di S. Giacomo dall’Orio, che i visitatori apostolici descrissero il 7 maggio 1581 come «ex pulcherrimis picturis ornata» (Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Visitatio dominorum visitatorum apostolicorum anni 1581, cc. 69-70, in Mason Rinaldi, 1984, p. 67).
Commissionato dal parroco Giovanni Maria da Ponte, celebrato nella tela in cui è presentato alla Madonna dai suoi santi protettori, il ciclo, che prevede episodi tratti dall’Antico e Nuovo Testamento sulle pareti e culmina nel Trionfo dell’Eucarestia sul soffitto, appare in linea con le istanze post-tridentine, nel raffigurare l’Eucarestia sotto il duplice aspetto di sacrificio della messa e di sacramento. Dal punto di vista formale mostra un artista che guarda alla grande lezione del Cinquecento veneto, ispirandosi a Tintoretto e Jacopo Bassano, ma soprattutto a Tiziano nella pennellata d’impasto e nei passaggi vaporosi di luce e ombra.
La fase ‘tizianesca’ vede anche il Crocifisso con la Maddalena (Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro), la Visitazionedi S. Maria del Giglio e S. Paterniano che cura gli infermi per la chiesa omonima (ora a San Cassiano del Meschio, Treviso, parrocchiale) contraddistinte da un colorismo di tocco e da un uso della luce che sfrangia le forme. S. Lorenzo che distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri e il Martirio di s. Lorenzo, tele parietali nella cappella Malipiero a S. Giacomo dall’Orio, subito successive, evidenziano un delicato momento di trapasso, ancora più manifesto in due teleri (I quattro cavalieri dell’Apocalisse e Gli angeli sterminatori) dei quattro che compongono il ciclo dell’Apocalisse eseguito per la sala dell’albergo nella Scuola di S. Giovanni Evangelista (I dodicimila crocesegnati e la Vergine coronata di stelle e l’angelo che uccide l’Idra furono invece consegnati tra il 1582 e il 1584). Queste opere vanno in ogni caso collocate prima dell’estate del 1582, data entro la quale si fermano le notizie raccolte a Venezia da Borghini per il suo Il Riposo, edito nel 1584. Oltre ai dipinti menzionati, tra quelli pervenuti si devono considerare già eseguiti: la Presentazione della Vergine al tempio (Dresda, Gemäldegalerie) e l’Annunciazione (Monaco, Alte Pinakothek) originariamente nella chiesa di S. Maria Assunta dei Crociferi (ora Gesuiti); la Crocifissione nella chiesa della Ss. Trinità (ora nella Madonna dell’Orto) e la Resurrezione di Cristo in S. Zulian. Al momento in cui Borghini completava le sue note veneziane, era in lavorazione la grande Assunzione della Vergine per il soffitto della sala dell’albergo nella Scuola di S. Maria della Giustizia e di S. Gerolamo (ora Ateneo veneto).
È proprio in quest’ultima opera, purtroppo giudicabile solo attraverso il modelletto (Venezia, Fondazione Querini Stampalia) e due frammenti (San Pietroburgo, Ermitage; Milano, collezione privata: ripr. in Mason Rinaldi, 1984, figg. 72 s.), che si avverte, in un momento di accelerazione nell’adesione di Palma alla tradizione pittorica veneziana, un forte interesse per Veronese nella spettacolarità della composizione, dove grandi figure decorative si librano nello spazio in un vortice di nubi.
In questa fase si propone anche il confronto con uno degli artisti frequentati a Roma, Federico Zuccari, allora a Venezia per eseguire il teleroraffiguranteL’Imperatore Federico che rende omaggio al papa Alessandro III per il ciclo parietale nella sala del Maggior Consiglio, accanto al quale Palma collocò, nel 1583, il suo Alessandro III e il doge Sebastiano Ziani che concedono a Ottone di trattare la pace, in strettissima relazione spaziale e figurativa.
Sempre del 1583 è l’Assunzione della Vergine commissionata dalla confraternita dei marzeri per il proprio altare in S. Zulian, connotata da un’ardita articolazione delle masse e da una salda costruzione spaziale di ascendenza veronesiana. La commissione fu favorita dallo scultore Alessandro Vittoria, autore delle due statue ai lati della pala, amico e protettore di Palma cui affidò, nel 1592, la decorazione ad affresco della facciata della propria casa (di tale lavoro resta unica traccia in un disegno nella Staatliche Graphische Sammlung di Monaco, inv. n. 3475).
Nello stesso periodo, post 1582, partecipò al ‘concorso’ per il nuovo Paradiso, un’enorme tela da porsi sulla parete orientale della sala del Maggior Consiglio, in cui rivaleggiarono Tintoretto, Veronese e Francesco Bassano e di cui resta testimonianza nel grande modello della Pinacoteca Ambrosiana a Milano.
La notorietà di Palma dovette travalicare ben presto il confine della Serenissima: nel febbraio 1582 (Bava, 1995) gli giunse l’incarico da parte di Carlo Emanuele di Savoia di celebrare il padre Emanuele Filiberto con un dipinto raffigurante la Battaglia di San Quintino (Torino, Palazzo reale), a buon punto nel marzo dello stesso anno, anche se terminato solo nel 1585.
Gli anni Ottanta furono segnati anche dallo straordinario episodio della decorazione dell’oratorio annesso all’ospizio per donne anziane indigenti a Cannaregio, retto dai crociferi sotto la giurisdizione dei procuratori di S. Marco. L’opera impegnò Palma per un decennio, documentabile quasi giorno per giorno attraverso il libro di spese del reggente fra Priamo Balbi. Nel 1583 Palma ricevette l’acconto per la pala d’altare con l’Adorazione dei magi (perduta), nel 1584 la caparra per il Cristo in gloria che benedice il doge Renier Zen e, nel 1586, per i tre dipinti celebrativi del doge Pasquale Cicogna, saldati nell’agosto 1587; nel 1589 firmò l’accordo per la decorazione del soffitto con l’Assuntaeangeli musicanti; nel dicembre 1590 fu collocato sopra la porta d’ingresso il Trasporto di Cristo al sepolcro e nell’agosto 1592 furono saldati la Flagellazione di Cristo e due Profeti.
Le tele, in parte di soggetto storico, relative alla fondazione dell’Ordine dei crociferi e a membri dello Stato veneziano benefattori dell’ospizio, e in parte di tematica religiosa, si collocano tra i capolavori di Palma, specialmente quelle legate al mondo contemporaneo e alla figura di Cicogna, per sobrietà di accenti e di narrazione sia di una storia individuale sia di una collettività di emarginate.
Negli anni compresi tra il 1588 e il 1627 Palma risulta iscritto alla fraglia dei pittori (Favaro, 1975). Dal censimento dei savi alle Decime per gli anni 1595-98 la sua famiglia, abitante nella parrocchia di S. Croce, risulta composta dalla moglie Andriana, sette figli, una sorella dell’artista e tre servi (Mason Rinaldi, 1984, p. 71).
Nel 1588-89 fu collocata sul soffitto della chiesa di S. Zulian l’impegnativa Apoteosi di s. Giuliano; degli stessi anni sono la Caduta della manna, David e il pane della preposizione, Elia e l’angelo, episodi biblici prefiguranti l’Eucarestia, eseguiti per il soffitto della sagrestia dei Crociferi, chiesa che Palma avrebbe poi arricchito nel 1592-93 e nel 1620 circa con altre tele collegate al ritrovamento della Croce e all’Ordine committente.
Sul finire del secolo, con la scomparsa dei maestri del Cinquecento, Palma divenne il protagonista indiscusso del panorama pittorico veneziano, proponendosi come autorevole depositario di una grande eredità e tale ruolo di capofila gli fu riconosciuto da Boschini attraverso il conferimento del «grado primiero» tra i pittori delle «sette maniere» (1674, p. n. n.). Gli anni Novanta lo videro impegnato sia in opere di tematica religiosa, sia in tele celebrative della Serenissima e dei suoi rappresentanti, tanto nella capitale quanto nelle città del Dominio.
Nel primo gruppo rientrano la Lavanda dei piedi e Cristo davanti a Caifa per la cappella del Sacramento in S. Giovanni in Bragora e il ciclo parietale nella sala dell’albergo della Scuola di S. Maria della Giustizia, in origine di otto tele, forse il ciclo gerolimitano più completo esistente allora in Italia, ora suddiviso tra le chiese di S. Giorgio a San Giorgio delle Pertiche (Padova) e di S. Gerolamo a Venezia. Altrettanto complesso è il ciclo con Storie di s. Saba per la cappella della famiglia Tiepolo in S. Antonin risalente al 1593, anno in cui data anche il Massacro degli abitanti di Ippona (Cremona, S. Pietro al Po, ora Montpellier, Musée Fabre); del 1595 sono le Stimmate di s. Francesco per S. Rocco a Bianzano (Bergamo) e il Trionfo di David per le portelle d’organo in S. Zaccaria.
Tra i dipinti di celebrazione statale, del 1595 sono la Madonna con il Bambino e i ss. Ermagora e Marco, simboleggiante la dedizione di Udine a Venezia, per il palazzo della Comunità di Udine (ora Udine, Musei civici), IlDoge Alvise Mocenigo che ringrazia la Vergine per la vittoria di Lepanto nella chiesa di S. Fantin, vera e propria galleria di ritratti, cui si possono aggiungere, per confronto stilistico, l’Esaltazione dei rettori di Padova Jacopo e Giovanni Soranzo per la sala del Podestà di Padova (Padova, Musei civici) e i dipinti votivi dei dogi Lorenzo e Gerolamo Priuli, Leonardo Loredan, Francesco Venier e Pasquale Cicogna, tutti e quattro eseguiti nell’ultimo decennio del secolo per la sala dei Pregadi in palazzo ducale.
Molto denso di committenze fu il 1599, anno in cui firmò e datò Cristo e l’adultera (Genova, Galleria di Palazzo Rosso), Cristo e la samaritana (Genova, Galleria di Palazzo Bianco), il Crocifisso e santi nella chiesa degli Zoccolanti a Potenza Picena, i Ss. Agostino e Domenico nel duomo di Trogir (Traù). La Crocifissione e il Battesimo di Cristo, nella chiesa di S. Maria Assunta a Lentiai (Belluno), risultano pagati tra il 1599 e il 1602; nel 1599 il parrocodiS. Pantalon ordinò le due tele con S. Pantaleone che risana un paralitico e la Decapitazione del santo; 1599 è anche l’anno scolpito sull’altare costruito da Alessandro Vittoria in S. Zaccaria, ornato dalla pala di Palma con S. Zaccaria in gloria. La collaborazione con lo scultore si ripeté nei primissimi anni del Seicento nell’altare della Scuola dei Luganegheri in S. Salvador, ornato dalla Madonna con il Bambino in gloria e i ss. Antonio Abate, Giovanni Battista e Francesco d’Assisi.
L’inizio del nuovo secolo vide Palma coinvolto in una commissione di grande impegno per dimensioni e tema, vale a dire l’insieme dei dipinti, dedicato al Purgatorio, per il soffitto della sala al piano terra della Scuola di S. Maria della Giustizia.
Nei 13 pannelli che compongono il ciclo, la cui datazione («1600 dicembre») è iscritta entro un cartiglio, Palma riuscì a instaurare uno strettissimo legame tra la funzione esercitata dalla confraternita – accompagnare i condannati all’esecuzione operando per l’espiazione dei loro peccati – e la decorazione pittorica che illustra le anime purganti, i mezzi per l’espiazione e i dottori della Chiesa che li avevano definiti nei loro scritti.
Soggetti consoni alla sensibilità del pittore e a quella religiosa dell’epoca furono soprattutto quelli connessi alla passione di Cristo, resi con sempre maggiore attenzione per gli effetti luministici, quali si possono vedere nelle portelle del tabernacolo dell’altar maggiore di S. Zaccaria (1600 circa), nei tre scomparti sul soffitto dell’oratorio della Ss. Trinità a Chioggia per cui fu pagato nel 1601 o nella cappella del Sacramento in S. Giacomo dall’Orio (1604 circa), con l’Andata al Calvario e il Trasporto di Cristo al sepolcro. Altro impegno di vasto respiro che dall’inizio del Seicento si protrasse per circa un trentennio fu quello riguardante il duomo di Salò.
Il 4 dicembre 1601 l’assemblea degli Eletti deliberò di invitare Palma «per tratar e discorrere sopra il disegno et pictura del coro» (Riccioni, 2008); renitente a spostarsi, Palma inviò Antonio Vassilacchi detto l’Aliense, che volle come aiuto nell’impresa, per la stesura di un primo progetto. Un nuovo piano fu sottoscritto il 25 gennaio 1602 presso un notaio a Venezia: a Palma spettarono gli affreschi del catino absidale con l’Assunzione della Vergine e gli Evangelisti, le portelle dell’organo con il Serpente di bronzo e l’Uccisione di Abele e la pala con la Visitazione sull’altarea sinistra nell’abside. I lavori, tra contrattempi e interruzioni, ebbero compimento nel 1605. Nel 1609 gli Eletti mostrarono l’intenzione di affidargli un’Annunciazione per l’altar maggiore ma, nonostante l’approvazione del disegno inviato, la pala fu ufficialmente commissionata solo nel 1627 e posta sull’altare nel gennaio 1629.
Nel 1604 gli furono saldati il Martirio di s. Teonisto e dei diaconi Tabra e Tabratha per l’altar maggiore di S. Teonisto a Treviso (ora Brusuglio [Varese], S. Vincenzo Martire) e la Conversione di s. Paolo per S. Pietro a Padova; nello stesso anno datò il suo Battesimo di Cristo per S. Giorgio dei Genovesi a Palermo, nelle cui cappelle laterali si trovano anche le pale con l’Annunciazione e il Martirio di s. Giorgio (1606), commissionategli da membri della locale nazione genovese.
Le numerose commissioni dimostrano la grande fortuna di Palma negli Stati estensi, in particolare nel Reggiano. Per Reggio Emilia, nel 1601-02, dipinse la Madonna in gloria e i ss. Raimondo da Peñafort e Sebastiano per la cappella dell’avvocato Giovanni Battista Busana in S. Domenico. nella stessa chiesa nel 1603 fu collocata la Madonna in gloria e s. Giacinto per la contessa Camilla Ruggeri Brami la quale, probabilmente nel 1607 (Cadoppi, 2005, pp. 2-19), lo incaricò di eseguire, per la sua nuova cappella nel duomo cittadino, il Compianto sul Cristo morto, drammatica scena notturna rischiarata solo da due torce. A quest’ultima commissione si lega il modelletto conservato nei locali Musei civici. Nel 1608 firmò e datò la spettacolare Adorazione dei magi, ordinata nel 1606 dall’arte della seta per la propria cappella nella basilica della Madonna della Ghiara (ora Modena, Galleria Estense). Alla fine del primo decennio fu collocata nella chiesa di S. Agostino la pala con la Madonna della Ghiara e donatore.
Altre opere sono nel territorio reggiano, come il S. Giovanni Battista, datato 1602, legato di don Gerolamo Corradini alla chiesa parrocchiale di Bagno e il Crocifisso con la Madonna, s. Giovanni e la Maddalena destinato all’oratorio della Confraternita della Misericordia di Castelnuovo di Sotto per il quale, nel 1614, ricevette la caparra dal committente Filippo Cagnolati, notaio e sindaco della confraternita stessa.
Dal convento dei cappuccini di Reggio è stata di recente dimostrata provenire (Olivari, 1996, p. 167) l’Assunta (1626 circa) ora nella Pinacoteca di Brera, dove giunse nel 1811 insieme all’Autoritratto in atto di dipingere una Resurrezione (1580 circa).
Palma ottenne incarichi anche nel Modenese: dei primi anni del Seicento è il Martirio di s. Lorenzo, omaggio al suo maestro putativo, Tiziano, donato alla chiesa di S. Bernardino di Carpi da monsignor Paolo Coccapani; del 1610-11 la Visitazione per la chiesa del Paradiso a Modena (ora Galleria Estense).
Il linguaggio di Palma nel nuovo secolo non mostra rilevanti segni di rinnovamento, ma si mantiene nell’alveo di una tradizione consolidata nel tradurre in pittura i temi maggiormente richiesti dalla Chiesa post-tridentina: martiri, soggetti cristologici e pale con la Vergine e i santi, in una formulazione a piani prospettici sovrapposti con la Madonna e il Bambino in gloria e sotto le figure dei santi dislocate su assi divergenti sullo sfondo di un’apertura paesaggistica, destinata a ripetersi sino alla fine della sua carriera.
Oltre alle opere a destinazione ecclesiastica, un aspetto importante dell’apporto di Palma in territorio estense consistette nella produzione profana, soprattutto per la raffinata reggia di Mirandola.Il principe Alessandro I Pico, affidò nel 1608 a lui e a Sante Peranda la decorazione di due sale del palazzo Nuovo: nella prima fase dei lavori, riguardante la Favola di Psiche, il suo apporto è identificabile attraverso un disegno preparatorio (già Londra, collezione Rudolf; Mason, 1996, pp. 153-161) per i dipinti con Psiche presentata a Giove da Venere e Psiche soccorsa da Amore (ora Mantova, palazzo ducale), mentre del ciclo sulle Età del mondo, ispirato dalle Metamorfosi di Ovidio, si è conservata l’Età del ferro (ibid.), databile intorno al 1609.
Nel primo decennio del Seicento collaborò alla realizzazione delle incisioni per due trattati: Il vero modo et ordine per dissegnar tutte le parti et membra del corpo humano, edito nel 1608 a Venezia da Justus Sadeler ed eseguito insieme al bolognese Odoardo Fialetti, e il De excellentia et nobilitate delineationis libri duo, edito a Venezia nel 1611 per i tipi di Giacomo Franco: forse un tentativo di rinnovare la prassi della bottega veneziana, sicuramente un riconoscimento del valore dell’esercizio grafico nella formazione dell’artista. D’altra parte, egli fu un disegnatore fecondo e versatile per tutta la sua vita e i disegni a lui attribuibili sono tali da renderlo un fenomeno singolare nella Venezia contemporanea. Almeno un migliaio sono infatti quelli pervenuti in fogli sparsi, nei musei di tutto il mondo, come anche raccolti in volumi (Monaco, Staatliche Graphische Sammlung; Londra, British Museum; Venezia, Museo Correr; Oxford, Ashmolean Museum; in Mason Rinaldi 1990, pp.11-29), che spesso sono di ausilio nella ricostruzione di dipinti perduti.
Sono questi gli anni in cui si sviluppò anche una relazione di amicizia e stima, documentata da numerose lettere, con il poeta Giambattista Marino, in visita a Venezia per la prima volta nel 1602 per la pubblicazione delle Rime, celebrato da Palma in un disegno ora al British Museum (inv. n. 197* d.1, P 67, 116) raffigurante Il poeta Marino incoronato da Apollo e dalle Musee ricambiato dal poeta con commissioni di dipinti ed elogi in La Galeria… (Venetia 1620).
I dipinti richiesti da Marino furono in predominanza di tematica profana, produzione questa relativamente limitata nel corpus di Palma: tra gli esempi più significativi, per sensualità raffinata e teatralità esibita, Venere e Marte (Londra, National Gallery), Venere e Cupido nella fucina di Vulcano, Perseo e Andromeda e Tarquinio e Lucrezia (Kassel, Gemäldegalerie Alte Meister), Apollo e le Muse (Parma, Galleria nazionale), il Giudizio di Mida e lo Scorticamento di Marsia (Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Museum).
Degni di nota sono anche i dipinti di Palma da collezione, con figure femminili desunte dalla Bibbia, come la serie delle ‘seduttrici’ dell’Accademia di S. Luca a Roma: Betsabea al bagno, Susanna e i vecchioni,Sansone e Dalila, Lot e le figlie, o la sequenza delle ‘cacciatrici di teste’, come Salomè con la testa del Battista (Vienna, Kunsthistorisches Museum), Giaele e Sisara (Cherbourg, Musée d’art Thomas-Henry), Giuditta e Oloferne (Parigi, Louvre).
Intorno al 1611 si collocano le sei pale con S. Giovanni Battista, S. Elena, S. Lorenzo, S. Sebastiano, Ss. Pietro e Paolo, l’Assunta, a ornamento delle cappelle, ideate da Vincenzo Scamozzi, che con la chiesa in cima al colle di Monselice costituiscono il ‘paesaggio devozionale’ delle Sette Chiese, intitolate ai santi titolari delle basiliche di Roma: una struttura sacrale di pellegrinaggio per la quale Pietro Duodo aveva ottenuto nel 1605 da Paolo V l’indulgenza plenaria.
Per quanto riguarda la tarda produzione veneziana, nel 1616 fu saldata la grande tela con la Moltiplicazione dei pani e dei pesci per il presbiterio dei Carmini, commissionata nel 1613. Nello stesso anno, sulla base della data iscritta sul disegno preparatorio (Londra, British Museum, inv. n. 197* d.1, P 4, 11) eseguì il Trasporto del corpo di s. Caterina sul monte Sinai, distrutto da un incendio nel 1977, parte del ciclo dedicato alla santa nell’omonima chiesa che comprendeva anche: S. Caterina davanti alla Vergine con il Bambino (perduto); S. Caterina battezzata dall’eremita (ora nel duomo di Conegliano) e La madre di Caterina che si consiglia per le nozze della figlia, in deposito presso il palazzo Patriarcale.
Il 1° giugno 1614 il capitolo della Scuola Grande di S. Marco passò a Palma l’incarico della pala per l’altare della sala superiore, in precedenza assegnata a Domenico Tintoretto, con Cristo in gloria e i ss. Marco, Pietro e Paolo; l’opera fu terminata entro lo stesso anno durante il quale fu impegnato anche nell’esecuzione delle portelle d’organo, raffiguranti S. Bonaventura e S. Ludovico, per la chiesa della Croce ora in S. Alvise (Bisson, 2008, pp. 157-161). Non mancarono, in questo stesso lasso di tempo, altre commissioni statali, come il telero con il Doge Marcantonio Memmo dinnanzi alla Vergine assistito dai ss. Marco Antonio Abate, Alvise e Rocco per l’andito del Maggior Consiglio, firmato e datato 1615.
Nel secondo e terzo decennio del Seicento aumentò d’intensità la richiesta di pale per chiese del territorio della Serenissima, ma anche delle Puglie (Monopoli, cattedrale, Madonna in gloria e i ss. Rocco e Sebastiano, 1610 circa; Tricase, parrocchiale, Compianto sul Cristo morto, 1620 circa), della Toscana (Pisa, S. Martino, S. Benedetto tra i rovi, 1619 circa; v. Ciardi, 1992), della Francia (Flagellazione di Cristo, 1620 circa, per la cappella di Benoît Voisin in St-Nizier a Lione (ora Lione, Musée des beaux-arts), delle coste della Dalmazia (per la chiesa di S. Francesco a Zara, S. Francesco in gloria e i ss. Bernardino, Ludovico e Cecilia, 1625 circa), in una diffusione quasi capillare delle sue opere che attesta del perdurare della sua fortuna, nonostante il raggelarsi della sua produzione in formule ormai superate (ricordiamo che il catalogo delle sue opere conservate annovera oltre 600 numeri). Una certa nobiltà di impianto mantengono la pala con S. Benedetto che riceve nella religione i fanciulli Mauro e Placido per S. Giustina a Padova, pagata nel settembre 1618; l’Imperatore Eraclio che porta la croce per il duomo di Urbino terminata nell’agosto 1619 e la Madonna in gloria e s. Ubaldo (San Paolo del Brasile, Museu de arte), originariamente per S. Ubaldo a Pesaro, con l’eloquente iscrizione «Iacobus Palma/Palmam de robore/sumpsit/1620», ad attestare il perdurare del legame e della gratitudine verso i Della Rovere.
Nel 1620 ricevette il permesso di avere sepoltura nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo e di porre sopra la porta della sacrestia i busti di se stesso, di Palma il Vecchio e di Tiziano, in un’emblematica operazione genealogica, in cambio di due dipinti, la Crocifissione e la Resurrezione, a ornamento della sagrestia (Hochmann, 1992).
Tra le sue ultime opere: S. Michele Arcangelo nella cattedrale di Monopoli datata 1625 al pari del disegno preparatorio (New York, The Morgan Library, inv. n. s It. 16.32) per la pala con Cristo che consegna le chiavi a Pietro destinata alla chiesa di S. Polo per la quale, alla fine degli anni Novanta, aveva eseguito altre tre tele: la Conversione di s. Paolo, S. Antonio Abate tormentato dai demoni e S. Antonio Abatesollevato dagli angeli; la Trinità e i ss. Giuseppe, Francesco, Lucia e Margherita in S. Maria Assunta ad Arquà Petrarca, firmata e datata 1626, anno in cui si impegnò anche a consegnare, per la Pasqua successiva, la Madonna con il Bambino in gloria e i ss. Stefano papa, Gerolamo e Carlo Borromeo per la cattedrale di Hvar (Lesina); la pala con i Ss. Carlo Borromeo, Francesco e il vescovo Marin Zorzi in adorazione dell’Assunta commissionatagli nel 1627 per il duomo nuovo di Brescia.
Il 1° aprile 1627 stese il suo testamento (De Mas Latrie, 1867), chiedendo di essere sepolto nell’arca predisposta ai Ss. Giovanni e Paolo, disponendo dei lasciti per le due figlie Giulia e Lucrezia e lasciando tutto il materiale inerente la professione al nipote Giacomo, figlio di Lucrezia, mentre all’allievo Giacomo Alborello andavano 100 ducati, due quadri e 30 disegni e a Domenico Tintoretto quattro disegni.
In una lettera del gennaio 1628 Alessandro Diplovatazio raccontò al duca d’Urbino di aver incontrato Palma nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo mentre ammirava il Martirio di s. Pietro Martire di Tiziano, convinto che valesse più quel quadro che tutto il convento con i frati dentro (Gronau, 1936, pp. 151 s.).
Morì a Venezia il 17 ottobre 1628.
Fonti e Bibl.: Per una dettagliata bibliografia fino al 1984, v. S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane. L’opera completa, Milano 1984. R. Borghini, Il Riposo, Firenze, Marescotti, 1584, pp. 559-561; G. Baglione, Le vite de’ pittori…, Roma 1642, pp. 183 s.; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (Venezia 1648), a cura di D. von Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 172-205; M. Boschini, Breve instruzione, in Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, pp. n.n.; R. De Mas Latrie, Testament et codicille de Jacques Palma le Jeune, in Gazette des beaux-arts, XXII (1867), pp. 295-299; G.B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia, Venezia 1868, p. 449; P. Saccardo, Les mosaiques de St. Marc à Venise, Venise 1896, pp. 237, 301, 317; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, pp. 19-22, 149-152; E. Favaro, L’arte dei pittori a Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, p. 148; S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane 1548-1628. Disegni e dipinti (catal., Venezia), Milano 1990; R.P. Ciardi, in R.P. Ciardi - R. Contini - G. Papi, Pittura a Pisa tra manierismo e barocco, Pisa 1992, p. 100; M. Hochmann, Peintres et commanditaires à Venise (1540-1628), Paris 1992, pp. 349 s.; A.M. Bava, Le collezioni di pittura e i grandi progetti decorativi, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino, 1995, pp. 212 s.; S. Mason, Domenico Tintoretto, Palma il Giovane e Sante Peranda per il Ducato estense, in La pittura veneta negli Stati estensi, a cura di J. Bentini - S. Marinelli - A. Mazza, Modena 1996, pp. 135-161; M. Olivari, in Pinacoteca di Brera, Addenda e apparati generali, Milano 1996, p. 167; P. Tosini, Girolamo Muziano e la nascita del paesaggio alla veneta nella villa d’Este a Tivoli: con alcune osservazioni su Federico Zuccari, Livio Agresti, Cesare Nebbia, Giovanni de’ Vecchi ed altri, in Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte, s. 3, XXII (1999 [2001]), p. 219; P. Cottrell, The artistic parentage of Palma Giovane, in The Burlington Magazine, CXLIV (2002), 1190, pp. 289-291; A. Cadoppi, J. N. detto Palma il Giovane (1548 - 1628): documenti inediti e nuove datazioni per i quadri ‘reggiani’ del pittore veneziano, in Reggio storia, XXVII( 2005), 106, pp. 2-19; S. Mason, Le Paradis de Palma le Jeune: la ‘fortune’ d’un exclu, in Le Paradis de Tintoret: un concours pour le palais des Doges, a cura di J. Habert, Milano 2006, pp. 74-87; M. Bisson, Palma il Giovane: le ritrovate portelle d’organo della chiesa di S. Croce a Venezia, in Arte veneta, LXV (2008 [2009]), pp. 157-161; M. Riccioni, Una riforma nella pittura bresciana del Seicento. Palma il Giovane. La decorazione del coro nel duomo di Salò, Roccafranca (BS) 2008, pp. 41-59; G. Tagliaferro, Le botteghe di Tiziano, Firenze 2009, pp. 174 s.; S. Mason, La cappella di S. Saba a S. Antonin: committenza e devozione nella Venezia di fine Cinquecento, in Chiesa di S. Antonin. Storia e restauro, a cura di T. Favaro, Venezia 2010, pp. 135-147; S. Mason, Intorno a Palma il Giovane: disegni e dipinti in raccolte francesi, in Venise et Paris 1500-1700. Actes des Colloques de Bordeaux et de Caen, …2006, a cura di M. Hochmann, Genève 2011, pp. 83-100.