NEGRO
Tra le varie popolazioni barbariche del mondo antico, la negra ha più d'ogni altra attratto l'interesse degli artisti che ne hanno dato vivaci caratterizzazioni. Sebbene sotto il nome di negri siano comprese varie razze, che presentano diversi caratteri somatici, l'arte antica si limitò in genere a creare un tipo fisso di n. distinto dal color nero della pelle, dai capelli lanosi, dal naso corto largo e schiacciato, dalle labbra grosse ed everse, riunendo cioè tutti gli elementi più caratteristici. I contatti maggiori nel mondo antico furono certamente con i negri nilotici, con gli Etiopi, e in Grecia il nome di Αἰϑίοψ fu dato a ogni tipo di pelle nera, secondo l'etimologia stessa del nome che i geografi interpretavano come uomo dalla faccia bruciata dal sole. La mancanza di conoscenze esatte del continente africano determinava questa generalizzazione del tipo negro. Per Omero l'Etiopia è una terra remota bagnata dall'Oceano, e non v'è accenno al color nero dei suoi abitanti, divisi in orientali e occidentali, nelle terre dove sorge e dove tramonta il sole.
È il mito di Memnone, re degli Etiopi, elaborato forse nell'Aithiopìs di Arctino di Mileto e noto ad Esiodo che contribuisce al diffondersi del loro ricordo nella letteratura e in parte anche nell'arte. Come un popolo remoto ai confini della terra appaiono in Esiodo (Theog., 984-5; anche Strab., vii, 3, 7), e fissati nelle regioni orientali in Mimnermo (Diehl, 10). Nel Prometeo di Eschilo (808-9) si parla della razza nera che abita vicino alle sorgenti del sole dove è il fiume Aithiops, cioè il Nilo, e quindi localizzata in Africa; ma nelle Supplici (280-2) gli Etiopi appaiono vicini agli Indiani e Strabone cerca di spiegare che Eschilo li ha posti lungo la corrente dell'Oceano che rinfresca tutto il corso del sole fin dall'oriente. Erodoto (vii, 69, 70) racconta che due razze etiopiche facevano parte dell'esercito di Serse che invase la Grecia nel 480 a. C., una asiatica con capelli lisci e una africana con capelli lanosi, e, pur non accennando al color nero, questo appare ormai come un carattere implicito nel nome stesso di Etiopi.
Nel V sec. a. C., oltre al mito di Memnone, re degli Etiopi, è diffuso anche quello di Andromeda, che ci riporta in questo stesso ambiente negro, perché i genitori, Cefeo e Cassiopea, regnavano sugli Etiopi, e un'Andromeda scrissero Sofocle ed Euripide.
Ma, prima che i Greci, il tipo negro interessò fin dalla II dinastia gli artisti egiziani che lo rappresentarono accanto ai barbari asiatici nelle scene di prigionieri di guerra del faraone. Forse l'interpretazione più colorita ed espressiva si ha in un rilievo da una tomba di Memfi della XVIII dinastia con un gruppo seduto di negri attoniti, con le grosse labbra sporgenti, i nasi schiacciati e i grandi anelli agli orecchi, con viva notazione dei tratti somatici e una variata gamma tipologica. Non mancano anche modelli lignei di truppe negre, come quello di mercenari nubiani da una tomba di Asyūt dell'XI-XII dinastia al museo del Cairo, o quello dell'armata negra con archi su una barca da Benī Ḥasan all'Ashmolean Museum di Oxford.
I rapporti e gli scambi attestati fra l'Egitto e Creta rendono verisimile la conoscenza della razza negra da parte degli artisti minoici e lo Evans ha illustrato alcune immagini frammentarie da Cnosso interpretate come negri. Le più antiche sarebbero su alcuni frammenti di faïence del Medio-Minoico Il trovate nel complesso del cosiddetto Town Mosaic; rappresentano tre corpi frammentarî nudi e una testina, e sono tutti di minuscole dimensioni. L'Evans nota il colore bruno, il prognatismo, la forma del torso e, se la testina in realtà non mostra nel suo schematismo caratteri decisamente negroidi, la struttura dei corpi nudi dinoccolati e arrotondati, dai glutei e dall'addome prominenti, contrastanti con "il vitino di vespa" minoico, sembra caratterizzare con sensibile naturalismo la mollezza e la flessuosità dei negri, le loro pose contorte e snodate fino a quella delle gambe allargate a rana in uno dei frammenti. Al Medio-Minoico III appartiene invece un frammento di rilievo in stucco dipinto raffigurante una mano che tocca una collana a pendagli configurati a testa di negro in oro; il carattere negroide sarebbe rappresentato soprattutto dal curioso particolare dei triplici anelli appesi alle orecchie che sembra richiamare costumi africani, mentre meno individuabili sono i capelli crespi, il naso camuso e le labbra grosse descritti dall'Evans. Se deve vedersi un tipo negroide in questi pendagli di collana l'arte minoica precorrerebbe il gusto dell'oreficeria ellenistica degli orecchini a testa di negro. Al Tardo-Minoico I B scende infine il frammento di una figura proveniente dalla Casa degli Affreschi, che ha servito per comporre il quadro detto dall'Evans "il capitano minoico delle truppe negre" e per dedurre l'uso di contingenti negri a servizio dei signori di Cnosso. Il frammento si riduce a una parte della coscia di colore nero con un bordo del costume a segmenti gialli e neri, mentre in un altro frammento sembra conservata la parte posteriore della testa pure di color nero. L'esiguità dei frammenti rende ipotetica qualsiasi interpretazione della figura.
Raffigurazioni di negri mancano nell'arte micenea e il primo ambiente greco dove appaiono è quello ionico di Naucrati, la colonia milesia fondata nel VII sec. a. C. sul delta del Nilo, attivo porto ellenico dove i Greci potevano venire in contatto con l'elemento etiopico. I piccoli balsamari ionici di faïence a corpo ovoidale allargato in basso, trovati a Cipro ma prodotti a Naucrati nel VII-VI sec. a. C., con doppia faccia di n. e di orientale, documentano questo vivo interesse per i caratteri etnici negroidi, opposti qui a quelli asiatici, distinti questi ultimi soprattutto dalla barba. Da questo ambiente di Naucrati sembrano provenire scarabei di pasta vitrea con testina di n. di cui alcuni esemplari sono a Londra al British Museum, e uno a Berlino da Egina, e il motivo della testina negroide si trova anche in pendagli di steatite provenienti da Cipro, ambiente in diretti rapporti commerciali con Naucrati, mentre una analoga testina in pasta vitrea azzurra proviene da Naucrati stessa. A Cipro il motivo della protome negroide decora anche un ornamento a tenia aurea con rosette e teste di animali trovato a Larnaca insieme a un bel balsamario gianiforme a testa di n. e di asiatico.
L'uso di questo motivo della testa di n. in oggetti di ornamento e di oreficeria fa pensare che fosse considerato apotropaico oltre che decorativo ed esotico. Se questi minuscoli oggetti, pendagli, orecchini, scarabei, rimangono un po' stereotipati e convenzionali, il tipo negroide assume invece una colorita espressione nei frammenti di ceramica ionica a figure nere del VI sec. a. C. da Naucrati; tre frammentarie figurine di negri, oggi a Londra, hanno un'accentuazione quasi umoristica della struttura dei corpi dalle membra sottili vivacemente gesticolanti, dai glutei sporgenti, in scene di danze; una testina ha un esagerato prognatismo e labbra scimmiescamente sporgenti. Lo stato frammentario non permette di sapere se qualcuna di queste figurine di negri facesse parte della scena mitica delle avventure di Eracle e Busiride, tema di creazione ionica del VI sec., che trova la più felice e umoristica formulazione nella nota idria ceretana a Vienna. Nella faccia principale dell'idria il gigantesco e robusto Eracle fa strage dei gracili e pavidi Egizi, e nello spazio tra le anse è raffigurata la guardia del corpo negra, impersonata da cinque Etiopi con perizoma, che recando le clave uncinate accorrono in ritardo come gendarmi da operetta: l'artista ionico ha sottolineato la muscolosa struttura dei corpi asciutti, il prognatismo, le grosse labbra che sporgono quanto la punta dei nasi, la calotta di capelli crespi e compatti.
Oltre a Naucrati, a Cipro, anche Rodi, che appartiene alla medesima rete di scambi e di influssi, ci dà interpretazioni di tipi negroidi in una serie di statuette fittili del VI sec. a. C. da Camiro, ora a Londra, in cui è colto con vivo e preciso naturalismo il tipico atteggiamento in cui potevano vedersi questi negri accovacciati per terra all'angolo di una strada: la gamba sinistra è piegata al suolo e il n. siede sul piede nascosto, alzando verticalmente il ginocchio destro stretto fra le mani incrociate, poggiandovi sopra il mento in una posa che ne rispecchia la pigra rilasciatezza, l'immobile riposo, l'assenza di pensiero, creando uno schema che troverà lungo sviluppo fino al periodo ellenistico.
A differenza dell'ambiente ionico quello attico, più severo e contenuto, tarda ad interessarsi della rappresentazione del tipo negroide e vi arriva soltanto nella seconda metà del VI sec., sperimentandola dapprima in vasi plastici, cioè in una forma che già di per sé costituiva una bizzarria virtuosistica e ricercata. Non certo per ragioni profilattiche i ceramisti attici scelsero il motivo della testa di negro, come pensava la Maximowa, né per contenere vino o profumi d'Africa, come suggeriva il Perrot, bensì per pura funzione artistica, perché, come dice brillantemente il Beazley "sarebbe sembrato un crimine non rappresentare negri quando si aveva quella magnifica vernice nera". E la ragione mi pare che risalti evidente nei vasi dove la testa di n. è accoppiata a quella di una testa di kòre, con un vivace e colorito contrasto sia somatico e tipologico fra l'elemento greco e barbarico, sia cromatico e stilistico fra il bianco incarnato femminile e il nero brillante del volto negroide. Una prima creazione del tipo di n. appare nella serie di vasi configurati con acclamazione ad Epylikos in una forma turgida e compatta, di cui alcuni esemplari furono dipinti da Skythes. E ripreso da Charinos tra il 520 e il 510 ed è rielaborato in altri gruppi nei primi decennî del V sec. a. C. Ne conosciamo una trentina di esemplari, dei quali alcuni copiati da un medesimo stampo, in cui il ceramista gioca sempre sul modellato plastico dei capelli lanosi resi con globetti fitti di argilla lasciati del colore naturale, sull'effetto cromatico degli occhi bianchi e delle grosse labbra risparmiate nel colore dell'argilla, spiccanti sul nero lucente del volto, e sul vivo naturalismo dei tratti fisici. Di fronte al bello tipizzante e alla astratta eleganza formale delle teste femminili risalta ancor più lo studio veristico ed espressivo di quelle di n., delle quali l'esempio più significativo è rappresentato dall'oinochòe di Boston del 530 circa. Una imitazione di questo tipo attico si ha in un vaso plastico del museo di Taranto con qualche rielaborazione, specie nella fronte, e senza il gioco cromatico della vernice nera, essendo lasciato tutto il vaso nel colore naturale dell'argilla.
In queste teste di n. modellate sui vasi plastici non dobbiamo vedere Busiride, come pensava lo Helbig, neppure una Omphale o una menade nella testa femminile accoppiata, ma due esemplificazioni del tipo ellenico e del tipo barbarico, quest'ultimo certamente creato con conoscenza diretta di Etiopi e di negri, forse apparsi ad Atene come schiavi attraverso il commercio di Naucrati, già prima di comparire nelle armate di Serse nel 480. L'osservazione delle caratteristiche somatiche è così viva e penetrante da presupporre modelli viventi e non spiegabile con una elaborazione astratta del tipo. Schiavi barbarici vediamo infatti testimoniati attraverso la ceramica dipinta in Atene al servizio della migliore società ateniese.
Al VI sec. si data anche una vigorosa testa di n., fortemente caratterizzata, incisa nel campo circolare di una gemma trovata nel santuario di Artemide a Brauron.
Ai primi del V sec. a. C. scende la raffigurazione sulla lèkythos a figure nere del Pittore della Megera, nel Museo Nazionale di Atene, con i satiri che infieriscono sulla donna nuda negra legata al tronco di palma, caratterizzata dalla fronte sfuggente, i capelli irti, lanosi e corti, il naso schiacciato, le labbra sporgenti, il collo sottile e le membra agili, con il ventre prominente e gli enormi seni penduli.
L'immagine di negri è trattata dai ceramografi attici anche in scene relative al mito di Memnone e di Busiride. Capelli lanosi, labbra prominenti, naso rincagnato, robusto mascellare caratterizzano queste figure di negri, senza peraltro l'umorismo delle interpretazioni ioniche. Exekias e un pittore a lui vicino ci danno immagini manierate di Etiopi armati del lungo scudo semilunato e di clave lisce, oltre che di arco e turcasso, in tre anfore con Memnone a Londra, a New York, a Filadelfia. Le dimensioni degli Etiopi sono più piccole di quelle dei guerrieri greci e accanto alle armi greche vediamo riprodotte quelle caratteristiche africane come lo scudo, che è diverso anche dalla pelta amazzonica più piccola, e come la clava, che non è nodosa, ma liscia, simile cioè a quella dei Pigmei, ugualmente africani. Inoltre due volte accanto ad uno di questi negri della guardia di Memnone è scritto il nome Amasis, che deve considerarsi un chiaro riferimento al noto faraone che regnò tra il 559 e il 525 e durante il cui regno si stabilirono stretti contatti fra Grecia ed Egitto, soprattutto attraverso Naucrati, e il cui nome doveva risuonare in Atene come un simbolico richiamo all'ambiente egizio-nubiano e africano in generale.
Questi medesimi caratteri si riscontrano in vasi attici a figure rosse con Etiopi sempre riferibili al mito di Memnone, e quindi in genere intesi come guerrieri; con vivo naturalismo è fissato l'Etiope morente in un frammento. Nel tondo interno di una kỳlix al Louvre G 93, databile circa al 520 a. C., la forzatura del naso rincagnato e delle labbra prominenti nella testa di Etiope, che imbraccia lo scudo semilunato, assume quasi toni caricaturali.
Come servitori di Cefeo appaiono invece gli Etiopi nell'idria di Londra E 169 da Vulci con i preparativi del sacrificio di Andromeda; nell'atmosfera di angosciosa attesa spicca la colorita nota dominante del vario affaccendarsi dei servi negri, con tratti divenuti ormai convenzionali dal piccolo naso rincagnato, i capelli crespi e la fronte bassa, differenziati dai greci anche nel disegno degli occhi e nel profilo del mascellare. Gli stessi caratteri presenta la figura che il Froehner interpretò come personificazione dell'Etiopia, ma che è da considerare piuttosto Fineo, seduto in disparte nel suo ricco costume ricamato con chitonisco e calzoni, sul cratere da Capua a Berlino, Antiquarium n. 3237. Soltanto in figure schizzate come episèmata di scudi in vasi a figure nere e rosse si trova una maggiore forzatura espressiva.
Un aspetto del tutto particolare il n. etiope assume invece nella tarda ceramica a figure nere quando diviene il tema decorativo di tutta una serie di alàbastra provenienti da diversi luoghi: Atene, Megara, Tanagra, Kerč, Camiro, Rodi, Ampurias, Napoli. Il n. vi è rappresentato isolato in varie pose sempre caricate e movimentate, e oltre al tipo somatico dai capelli lanosi, un po' ingentilito nei tratti del volto dal piccolo naso camuso, i ceramografi sfruttano largamente il vistoso ed esotico costume con tunica manicata e frangiata e calzoni, giocando sul vivace ornato di fasce, zig-zag, file di punti, e talvolta aggiungendo una corazza breve e decorata. Hanno armi barbariche, l'arco, l'ascia, lo scudo lunato con pendula pelle frangiata, mentre un elmo attico è talvolta poggiato su uno sgabello oppure al suolo, e spesso una palma sta chiaramente a definire l'ambiente africano. È certo da escludere l'ipotesi di C. Smith e del Gardner che questi alàbastra siano stati fabbricati a Naucrati per la provenienza rodia di alcuni, poiché sono certamente di produzione attica, come è stato riconosciuto, e due recano iscrizioni attiche. Non è da credere neanche che debba vedervisi un ricordo intenzionale dei soldati negri delle armate di Serse sconfitte dai Greci, quasi come un'allegorica celebrazione della battaglia di Maratona, di cui l'elmo sarebbe un trofeo, come voleva il Gardner. Si è anche pensato che, poiché questi alàbastra richiamano l'antica forma di quelli egizi destinati a contenere fini unguenti, e la ripetizione di una figura isolata in una serie di vasi di ugual forma suggerisce l'idea di un'etichetta, possano essere stati fabbricati in serie ad Atene per la vendita e l'esportazione dell'olio per unguenti e profumi, detto mỳron, importato dall'Egitto, sul quale c'informa Ateneo (xv, 689 b). Sono certamente figure che vogliono richiamare l'atmosfera esotica africana nella quale s'inquadrava il mito di Mèmnone, forse non senza un possibile influsso del teatro negli sgargianti costumi.
Una volta fissato il tipo non meraviglia che sia stato poi sfruttato anche in altri vasi, come ad esempio due piatti, uno da Taranto e uno a Tubinga, e su uno dei vasi plastici a testa femminile attribuito a Syriskos, databile intorno al 480, oggi a Boston, nel quale il n. appare vivacemente gesticolante in una posizione squilibrata che ne accentua il carattere marionettistico tutto particolare di questa immagine. Gli altri sugli alàbastra sono sempre fissati in una dinamica posa in atto di brandire le armi caratteristiche, che deve intendersi appunto come scena di armamento, e l'elmo attico non si riferisce agli Etiopi, combattenti sempre a testa nuda o con berretto frigio, ma sembra un richiamo indiretto a Memnone, al cui servizio attende l'etiope. D. M. Robinson ha suggerito che questi alàbastra contenessero olii per il bagno e che l'etiope richiamasse l'uso di avere schiavi africani nelle terme, ma ci aspetteremmo allora una diversa interpretazione del n. non come guerriero mitologico, ma più vicino alla realistica figurazione di schiavi nella ceramica attica contemporanea, mentre questi alàbastra ci danno gli Etiopi guerrieri come personaggi di una colorita pantomima di manierato folclore barbarico, che costituisce una singolare apparizione nell'ambiente del tardo arcaismo attico.
Un giovane guerriero etiopico con scudo e pelta appare anche nel tondo di una kỳlix a figure rosse databile intorno al 500, oggi al Louvre, come motivo isolato derivato forse dalle scene con Memnone, e i cui tratti sono forzati fino al grottesco.
I ceramografi attici a figure rosse riprendono con particolare favore il tema di Eracle e Busiride, che trovava anche viva elaborazione nel teatro comico di Epicarmo, Antifane, Efippo, Mnesimaco, e in drammi satireschi di Frinico e di Euripide. Il coro degli Egizi avrà rappresentato coloritamente tipi nubiani e negri vivacemente caratterizzati, ma non sembra di dover far dipendere le formulazioni di negri nei ceramografi dalle maschere teatrali, come vuole la Kermer, anche se abbiamo testimonianze di maschere negre sia per le Danaidi nelle Hiketides di Eschilo, sia per gli Aigyptioi dello stesso Eschilo, ripresi da Frinico, sia in altri casi. Le maschere hanno infatti una diversa schematizzazione e stilizzazione dei tratti, più marcata e convenzionale, mentre le caratterizzazioni dei ceramografi attici rientrano nella visione pittorica da cui muovevano anche le interpretazioni ioniche. Sappiamo da Pausania (x, 32, 7) che anche Polignoto nella Lesche degli Cnidî a Delfi aveva raffigurato un fanciullo etiope nudo accanto a Memnone nella Nèkyia.
Nell'idria ceretana di Eracle e Busiride si aveva una chiara differenziazione del tipo egizio da quello negro, mentre i ceramografi attici contaminano spesso i due tipi etnici, cercando di caratterizzare gli Egizi con la calvizie, ma danno anche a loro tratti negroidi. Una prima ripresa del tema appare in Epiktetos sia in una kỳlix del British Museum, in cui il tipo dell'egizio si ripete uguale in tutte e cinque le figure con alto cranio e occhi obliqui, sia in un'altra di Villa Giulia i cui volti sono più marcati da una corta barba. Simile struttura cranica e tratti più grossolani e appuntiti hanno le figure di una kỳlix frammentaria a Berlino (3239) con acclamazione a Leagros, a cui si avvicinano quelle di una kỳlix da Valle Trebba a Ferrara, che sono massicce, con pronunciata calvizie. Già negroide invece è il tipo che compare nell'idria di Monaco del Pittore di Troilo e nella pelìke di Atene del Pittore di Pan, press'a poco coeve. Hanno teste rotonde, rasate, con calvizie, fronti basse e sporgenti, nasi rincagnati, labbra grosse e sporgenti; quelli dell'idria hanno un vistoso costume pesante a larghe fasce e portano gli esotici orecchini a disco; quelle della pelìke hanno un collo taurino, una enorme mascella tondeggiante, il naso rincagnato e una larga calvizie, e presentano la barbarica circoncisione di cui ci parla Erodoto. Convenzionale e vicino al Pittore di Troilo rimane il cratere a colonnette di New York (15.27) attribuito al Pittore di Girgenti con tipi calvi dai baffi spioventi estranei al tipo negroide; grossolani e grotteschi con i baffi spioventi sono i tipi nello stàmnos di Bologna attribuito al Pittore di Altamura, mentre il vero tipo negroide è fissato con vivace naturalismo nello stàmnos di Oxford della cerchia di Hermonax, con figure dai fitti capelli crespi corti, dal piccolissimo naso rincagnato, dalle grosse labbra rappresentate semiaperte facendo intravedere i denti. Singolare è la raffigurazione di uno dei servi di Busiride che tiene avvinto Eracle su una pelìke della Bibliothèque Nationale del Pittore dell'Etiope.
Schiavi barbarici dovevano trovarsi a servizio delle ricche famiglie ateniesi, specialmente dopo le guerre persiane, e la loro raffigurazione costituisce una nota di colore nell'austero quadro dello stile severo. Su un'anfora a Copenaghen dei primi del V sec. a. C. un nudo servitorello negroide dal naso corto e schiacciato segue il nobile padrone tenendo un cestello sulla spalla, e in una lèkythos a fondo bianco a Berlino una giovane ancella negroide vestita di peplo reca lo sgabello in testa e il balsamario in mano per la padrona che si prepara al sacrificio accanto alla tomba. Spinto fino al grottesco è il volto negroide di un altro servitorello, forse in atto di aiutare nella palestra il giovane padrone, che sta versandosi sulla mano l'olio da un arỳballos, raffigurato in un frammento di arỳballos ovoidale dall'acropoli di Atene databile ai primi del V sec. a. C.: la testa è appuntita, la mascella è grossa, il naso fortemente rincagnato e appuntito.
L'anfora di Copenaghen può essere un commento figurato al passo di Teofrasto che descrive il vanitoso che quando esce di casa tiene ad avere come accompagnatore uno schiavo etiopico (xxi).
Una forza quasi ritrattistica assume la testa di n. che campeggia al centro di un piatto della seconda metà del V sec. a. C nel Museo Civico di Bologna; con cura e incisività sono fissati gli elementi etnici della calvizie, del largo mascellare, con mento sfuggente, dei capelli lanosi, del cranio asimmetrico, delle labbra carnose e sporgenti, del naso rincagnato, degli zigomi sporgenti, arrivando a rendere anche l'aria ottusa e cupa con la fronte corrugata e la fissità dell'occhio.
Una particolare raffigurazione del tipo di n. in forme plastiche si trova nella prima metà del V sec. a. C. nella serie di vasi configurati che il Buschor ha attribuito a Sotades, noti da esemplari a Boston (98, 881), Collezione Van Branteghem, Monaco, Dresda, Catania. Al collo di un vaso decorato a figure rosse si attacca un gruppo plastico di un coccodrillo, la cui coda arrotolata costituisce l'ansa, il quale ha addentato il braccio sinistro di un n. nudo inginocchiato con il torso serrato dalla zampa anteriore dell'animale. Anche in questo caso la vernice nera invitava a rappresentare il nudo etiope creando un efficace stacco cromatico con il coccodrillo chiaro; ma se il ceramista ha ben reso i tratti del n. dagli occhi tondi e sbarrati, dal naso schiacciato e dalle grosse labbra, mostra di non conoscere bene la struttura del coccodrillo, comprovando la creazione attica di questi motivi nilotici.
La lotta con i coccodrilli sarà riferita soprattutto allo ambiente dei pigmei per il facile umorismo nascente dal contrasto fra gli omuncoli e i grossi aggressivi bestioni nilotici e vediamo che i pigmei vengono presto ad assumere caratteristiche etniche negroidi.
Erodoto parla di negri pigmei in Egitto, Aristotele li considera come trogloditi abitanti l'alto Nilo e Ctesia di Cnido, che visse alla corte persiana alla fine del V sec., li confina invece nella favolosa terra dell'India descrivendoli come negri, alti da uno a due cubiti, brutti, camusi, con folte barbe e capigliature, con enormi phalloi. Mentre nel cratere François i pigmei sono semplicemente uomini piccoli, nella seconda metà del V sec. a. C. si hanno rappresentazioni vascolari grottesche di pigmei. Tratti negroidi presentano molti dei personaggi delle scene sui vasi cabirici (v.) della seconda metà del V sec. a. C., come Mitos, Pratolaos, Cefalo, Cadmo, Circe e perfino Afrodite ed Hera, i mỳstai cabirici, e anche i pigmei che dovevano venir avvicinati ai multiformi dèmoni cabirici.
Teste di n. erano state anche prese come motivo decorativo della phiàle d'oro che il simulacro della Nemesi di Ramnunte, opera di Agorakritos, teneva nella mano destra, e Ch. Picard ha pensato che alludessero alla sconfitta subita dagli Ateniesi in Egitto nel 454; sembra peraltro poco probabile che si volesse richiamare una sconfitta ateniese mentre il valore puramente decorativo di simili protomi negroidi è attestato dalla più tarda coppa aurea del tesoro di Panagjurište nella Bulgaria meridionale, ornata di tre file di teste di n., in forte sbalzo, cesellate con vivezza e con cura.
L'interesse per i tipi di negri nel V sec. a. C. è attestato anche da figure in gemme, come quella di Boston con testa di negra del tardo periodo classico e anche dall'apparire di negri nella monetazione di Atene e di Delfi. Nel IV sec. a. C. invece è soprattutto l'ambiente italico che si compiace di rappresentare tipi di negri riprendendo fra l'altro il motivo del vaso plastico di Sotades con n. addentato dal coccodrillo in tutta una serie di imitazioni con varianti nella coda del coccodrillo, che avvolge talvolta il braccio sinistro del n., nella bocca che addenta in altri vasi la gamba destra o il piede destro del n., con gusto più ornamentale nella decorazione. Anche il tipo di vaso plastico a testa di n. o di negra creato dai ceramisti attici del VI sec. a. C. è ripreso e sviluppato dalle fabbriche italiche ed etrusche del IV sec. a. C. con l'aggiunta di nastri, corone, altri dettagli, e smorzando invece la forza del modellato attico in un gusto più trito e ornamentale, tentando talvolta di rendere plasticamente e naturalisticamente i crespi capelli, invece che con i piccoli globuli di argilla; esemplari sono a Berlino, a Londra, a New York, a Parigi; la testa di n. di prospetto appare modellata anche sopra ad askòi provenienti da Cipro.
Un nuovo più vasto e multiforme interesse per il tipo del n. si ha nell'arte ellenistica e certamente la causa principale fu la fondazione di Alessandria e il suo affermarsi come vivissimo e intenso centro artistico. L'ambiente nilotico, etiopico, negroide locale fornì nuovi spunti e nuova ispirazione a scultori, toreuti, pittori, coroplasti in svariate creazioni di un colorito naturalismo, sia con virtuosismo veristico di studî etnici, sia in scene di genere, sia in elaborati grotteschi. I tipi si diffondono e si rielaborano in tutto il mondo ellenistico, ma i prototipi e i motivi originali fanno capo ad Alessandria. Soprattutto i bronzetti sembrano di spirito alessandrino e il capolavoro della serie rimane il fanciullo suonatore della Bibliothèque Nationale di Parigi, dalle gracili membra snodate e dall'aria tristemente patetica. I capelli a boccoli calamistrati in file simmetriche che caratterizzano questa e altre figure ellenistiche di etiopi e di negri, che viene a sostituire la capigliatura crespa precedente, ci riporta alla moda egizia e libica e conferma l'elaborazione alessandrina del n. ellenistico, che perdura in periodo romano, trovando un richiamo nei due Aethiopes capillati che compaiono nella Cena di Trimalchione (Petr., 34).
Le statuette di terracotta si diffondono maggiormente e sono create anche in fabbriche microasiatiche e italiche. Bronzetti e terrecotte colgono i fanciulli negri nelle pose più realistiche e tipiche, o in atto di suonare le loro tristi nenie, o accoccolati con la testa poggiata sulla mano in un rassegnato abbandono, in un melanconico torpore come agli angoli di una strada in un'afosa giornata, o in atto di danze esotiche e lascive, o di togliersi la spina dal nudo piede, o di portare oggetti, o di vendere frutta, di giocare con uccelli. Prosegue la produzione dei vasi configurati a testa di n. in varie fabbriche ellenistiche, alcuni verniciati di nero, altri del colore dell'argilla, che presentano i tratti ellenistici nel modellato e nell'acconciatura a boccoli in file, e non mancano anche vasi con figure intiere di negri accoccolati, fra cui un tipo con anfora sul dorso. Teste e busti di negri sono anche modellati in bronzo in vasetti configurati, talvolta con ageminature argentee negli occhi e in rame nelle labbra, di tecnica alessandrina, e imitati in più correnti prodotti fino al periodo imperiale, forse destinati ad unguenti e profumi.
Il virtuosismo tecnico ellenistico ricerca nuovi effetti coloristici sfruttando per statuette di negri il basalto, la pietra nera e il marino nero, e la testina di n. diventa anche un motivo usato nell'oreficeria ellenistica come ornamento terminale di orecchini e di braccialetti o di pendagli, con il volto intagliato in granato o in altre pietre scure, talvolta sormontato dalla aurea parrucca a ricciolini.
Un posto a sè occupa nell'ambiente attico ellenistico il grande rilievo marmoreo trovato ad O della stazione di Larissa ad Atene nel 1949, tuttora inedito, esposto nel Museo Nazionale, raffigurante un giovane palafreniere negro vestito di corto chitonisco, che trattiene per il morso un imponente cavallo dalle salienti vene e dal poderoso modellato, con gualdrappa di pelle di pantera. La lastra alta m 1,96, larga m 1,90 faceva parte di un fregio ravvivato da una policromia, e il n. spiccava con le sue carni scure e con i capelli di tono rossiccio.
Appena accennati sono invece i tratti barbarici nella bella testa bronzea idealizzata forse di qualche personaggio libico, trovata insieme a frammenti di cavalli bronzei nel tempio di Apollo a Cirene, ora a Londra, degli inizî dell'ellenismo; solo la corta barba e la carnosità delle labbra danno una nota esotica a questo volto regolare.
Il gusto di servi negri diffuso in Grecia si riflette ancora nell'Eunuco di Terenzio dove Thais è detta: cupere ex Aethiopia ancillulam e lo spinto alessandrino rivive nella veristica descrizione di una schiava negra nel Moretum (31 ss.)
..... erat unica custos
Afra genus, tota patriam testante figura
torta comam, labroque tumens et fusca colore
pectore lata, iacens mammis, compressior alvo,
cruribus exilis, spatiosa prodiga planta.
Schiavi negri erano anche a Roma impiegati nelle terme, come attesta il passo dell'Auctor ad Herennium, iv, 50, 63 ab avunculo rogetur Aethiops qui ad balneas veniat e schiavi negri dall'India, comites fusci quos India torret, possiede Nemesi in Tibullo, ii, 3, 55.
Molto più stretti divengono i rapporti con l'Egitto e con le altre province africane durante l'Impero, con la fondazione di città, con scambi commerciali, e non dovevano quindi mancare anche negri in Roma soprattutto come servitori che il Trimalchione petroniano tiene come coppieri; il nome Aethiops è quello generalmente usato per il n., e meno diffuso è Maurus. In Marziale (vi, 39) troviamo: hic qui retorto crine Maurus incedit con una nota di disprezzo, in Giovenale (v, 54-55) e in Floro (iv, 7) risulta di cattivo augurio imbattersi in un n., e non si manca di satireggiare anche rapporti immorali con negri (Martial., vi, 39; Iuvenal., vi, 559-600), ma si esalta d'altro canto la fama, ottenuta certo nell'anfiteatro, del venator Olympius (Anth. Pal., i, 353-354, Riese), dicendo: nihil tibi forma nocet nigro fuscata colore.
L'arte romana riprende i temi ellenistici della testa o del busto di n. per vasetti bronzei o fittili, per lucerne di bronzo e di terracotta, per pesi e calamai di bronzo, talvolta anche modellando la figura intiera del n. accoccolato; alcune applicazioni bronzee con busti di negri sono spesso fini, come un esemplare di Ostia.
Caratteri negroidi si sono visti in un busto marmoreo del periodo flavio di un uomo con pelle di pantera a Villa Albani, Galleria del Canopo (Brunn-Bruckmann, 729-730); una testa di negra con acconciatura traianea è venuta in luce nell'agorà di Atene nel 1947; una statua stante di un n. con exomis è nel Museo Nazionale di Napoli, e torso e testa di un fanciullo etiopico in marmo nero, con un colombo nella mano sinistra, sono a Sousse. Ma nel campo della statuaria l'espressione più significativa del tipo negroide si ha nella bella testa marmorea da Thyreatis nel Peloponneso, ora a Berlino, di un colorito ed esperto naturalismo, che rende la crespa calotta di capelli cortissimi e la leggera fioritura della barbula e, con morbido impressionismo, la pesante carnosità delle labbra ombrate dai corti baffi, il gonfiore degli occhi affioranti dallo sguardo patetico con penetrante psicologismo. Il Graindor ha pensato di riconoscervi Memnone (v.) uno dei trophimoi di Erode Attico, essendo stata trovata in uno dei possedimenti di questo personaggio adrianeo.
I mosaici e i dipinti nilotici rielaborati in ambiente romano offriranno tratti negroidi in tipi di pigmei e di figure spesso grottesche, ma l'arte romana che darà nuove e originali creazioni nella rappresentazione dei barbari galli, germanici, daci, asiatici, imiterà e sfrutterà per i negri i motivi soprattutto ellenistici; rappresentazioni negroidi dureranno perciò nel periodo imperiale fin quando si continuerà a rielaborare questo repertorio alessandrino.
Bibl.: La maggior parte dei monumenti considerati si trova catalogata nella monografia di G. H. Beardsley, The Negro in Greek and Roman Civilization, A Study of Ethiopian Type, The Johns Hopkins Univesity studies in Archaeology, n. 4, Baltimora 1929. Tra la ricca bibliografia sull'argomento si vedano soprattutto: Th. Panofka, Delphi und Mellaine, in Berlin Winckelmannspr., IX, 1849; W. Helbig, Vasi di Busiri, in Ann. Inst., 1865, pp. 296-307; S. Trivier, Tête de Chef Libyen, Bronze de Cyrène, in Gaz. Arch., IV, 1878, pp. 60-62; E. Babelon, Tête de nègre de la Collection Janze au Cabinet des Médailles, in Gaz. Arch., IX, 1884, pp. 204-207; R. von Schneider, Schlafender Neger, in Jahrbuch Kunst. Samml., III, 1885, p. 3 ss.; W. M. Flinders Petrie, Naukratis, I, Londra 1886, II, Londra 1888; K. Tümpel, Die Aithiopenländer des Andromeda-mythos, in Jahrbuch Phil. Paed. Supplement-band, XVI, 1888, pp. 129-216; H. Winnefeld, Alabastra mit Negerdarstellungen, in Ath. Mitt., XIV, 189, pp. 41-50; E. Bethe, Zu den Alabastra mit Negerdarstellungen, in Ath. Mitt., XV, 1890, pp. 243-245; E. Reisch, Vasen in Corneto, Kopgefäss des Charinos, in Röm. Mitt., V, 1890, pp. 313-322; E. Bethe, Der Berliner Andromedakrater, in Jahrbuch, I, XI, 1896, pp. 292-300; H. Schrader, Ueber den Marmorkopf eines Negers in den Königlichen Museen, in Berlin Winckelmannspr., LX, 1900; A. J. B. Wace, Grotesque and the Evil Eye, in Ann. Brit. School Athens, x, 1903-4, pp. 103-114; E. von Stern, Ein Bronzgefäss in Bustenform, in Österr. Jahreshefte, VII, 1904, pp. 197-203; W. N. Bates, Scenes from the Aethiopis on Black-figured Amphora, in Transactions of the Department of Arch. University of Pennsylvania Free Museum of Science and Art, I, 1904-5, pp. 45-50; R. von Schneider, Neger, in Österr. Jahreshefte, IX, 1906, pp. 321-324; P. Graindor, Les vases au nègre, in Musée Belge, XII, 1908, pp. 25-30; F. W. von Bissing, Mittheilungen aus meiner Sammlung, Kopf eines Libyers, in Ath. Mitt., XXXIV, 1909, pp. 29-32; P. Graindor, Tête de nègre du Musée de Berlin, in Bull. Corr. Hell., XXXIX, 1915, pp. 102-112; G. Calza, Expressions of Art in a Commercial City: Ostia, in Journ. Rom. Stud., V, 1915, pp. 164-172; E. Buschor, Das Krokodil des Sotades, in Münchner Jahrbuch Bild. Kunst, XI, 1919, pp. 1-43; Ch. A. Seltmann, Two Heads of Negresses, in Am. Journ. Arch., XXIV, 1920, pp. 14-26; A. Evans, The Palace of Minos, I, Londra 1921, pp. 302, 310, 312, 526, figg. 228, c, 230, 231, 383; II, pp. 556-7, fig. 489, Tav. XIII; H. Junker, The First Appearence of the Negroes in History, in Journ. of Egypt. Arch., VII, 1921; M. I. Maximowa, Les vases plastiques dans l'antiquité, Parigi 1927; J. D. Beazley, Charinos, in Journ. Hell. stud., XLIX, 1929, p. 38 ss.; Fasti Arch., II, 1947, p. 144, n. 1131, testa traianea dall'Agorà; D. Faccenna, Rappresentazione di negro nel Museo Naz. di Napoli, in Arch. Class., I, 1949, pp. 188-195, Tavv. LIV-LV; G. Montanari, Vasi attici configurati a testa umana del Museo Civico di Bologna, in Arch. Class., II, 1950, pp. 194-197; D. Zontschew-P. Gorbanow, Antike Goldgefässe von Panagüriste, in Österr. Jahrshefte, XXXVIII, 1950, Beibl. pp. 225-228, fig. 79. Rilievo nel Museo Naz. di Atene: Bull. Corr. Hell., 1950, p. 291; Πόλεμον, IV, 1951. Vaso etrusco a testa di negro: Bull. Metropolitan Museum, XV, 1956-57, pp. 54-55; statuetta bronzea di fanciullo negro nella Walters Art Gallery: The Art Quarterly, XX, 1957, pp. 93, 204, 319; The Walters Art Gallery, 25th Annual Report for the Year 1957, pp. 38-40; Ch. Picard, Pourquoi la Némésis de Rhamnonte tenait-elle à sa dextre une coupe ornée de têtes de nègres?, in Rev. Arch., 1958, I, pp. 98-99; D. E. L. Haynes, Bronze Bust of a Young Negress, in British Museum Quarterly, XXI, 1957, p. 19-20, tav. IV; H. Hofmann, Kunst des Altertums in Hamburg, Magonza 1961, tav. 28 (fanciullo negro in basalto inv. 1961, i).