NEGROLI
Famiglia di armaioli milanesi attivi tra la metà del XV e il XVI secolo. A partire dall’inizio del XVI secolo il cognome originario, Barini, fu progressivamente sostituito dal soprannome Negroli.
Nel corso di quattro generazioni sono documentati come armaioli almeno 26 Negroli, la maggior parte a Milano, ma pure a Roma e a Parigi; tuttavia la reale fama della famiglia si diffuse solo con gli ultimi discendenti, i cugini Filippo e Giovan Paolo e le loro rispettive botteghe. Se nel Quattrocento la produzione dei Negroli si iscriveva perfettamente nella tradizione delle botteghe milanesi, le prime opere di Filippo, all’inizio degli anni Trenta del Cinquecento, rappresentano al contrario qualcosa di totalmente nuovo, inaugurando la moda delle armi ‘all’eroica’ ispirate a modelli dell’antichità classica.
Ben poco si sa di Giovanni Barini, detto Negroli, capostipite e fondatore della dinastia. Nato probabilmente nel secondo decennio del XV secolo, collaborò inizialmente con un’altra importante famiglia di armaioli milanesi, i Negroni da Ello, detti Missaglia, ma pure con i da Ferno. Intorno alla metà del secolo inizia a comparire su vari pezzi la marca Negroli (due chiavi incrociate), a volte associata con una M coronata (per Milano) e le iniziali IH coronate (per Iohannes). La data di morte di Giovanni è ignota: un documento del gennaio 1504, relativo alla divisione ereditaria dei beni di famiglia giacenti in Roma, è sottoscritto da Domenico Negroli, figlio dell’ormai defunto Giovanni; è però molto probabile che Giovanni fosse già morto da circa quarant’anni perché il suo nome non compare nella lista di 72 armaioli cittadini che nel 1474 presentarono al duca di Milano la richiesta di confermare le lettere patenti loro concesse nel 1463. In tale occasione l’unico Negroli presente è Giacomo, il primogenito di Giovanni e probabilmente già suo erede.
Dei quattro figli di Giovanni, Giacomo, Filippo e Domenico ebbero a loro volta discendenti armaioli; di Gerolamo, il terzogenito, non si conoscono figli.
Giacomo ebbe due figli, Pietro Antonio e Giovan Ambrogio, ma la loro linea si interruppe per mancanza di figli maschi. Filippo ebbe tre figli armaioli: Francesco (che ebbe Gerolamo, Giovan Pietro e Giovan Antonio), Bernardino (senza figli) e Gian Giacomo (che ebbe Filippo, Giovan Battista, Francesco e Alessandro). Domenico ebbe a sua volta tre figli armaioli: Nicolò (che ebbe Giovan Paolo, Giovan Pietro, Giovan Battista, Giuseppe e Domenico), Andrea (senza figli) e Luigi (con Giovan Francesco, Giovan Ambrogio e Alessandro).
Alla morte di Giovanni i suoi figli si divisero le attività paterne a Milano e a Roma: le prime andarono a Domenico, mentre le seconde furono gestite dai tre maggiori (deceduti tra il 1504 e il 1507), forse con l’aiuto di procuratori o di altri maestri stipendiati, sebbene tale divisione non fosse rigida né esclusiva. Tra il 1504 e il 1506 si ha notizia di una seconda divisione tra gli eredi Negroli, in seguito alla quale ai figli di Giacomo venne affidata la cura della bottega romana che, alla loro morte (nel 1521), passò al cugino Bernardino, figlio di Filippo. Nel 1530, deceduto anche Bernardino senza eredi, la bottega romana venne gestita da personale di fiducia dei Negroli ma la sua attività andò man mano riducendosi fino a scomparire.
Domenico (m. 1526) fu certamente un importante armaiolo la cui marca – due chiavi incrociate e coronate e le iniziali DN – figura almeno su un paio di bracciali, ma probabilmente suoi sono anche due elmetti destinati a Filippo il Bello e un elmo da giostra, unica arma da torneo nota dei Negroli. Dal 1504 entrò in società con Sebastiano Missaglia per un decennio, rifornendo di armi di alto livello il mercato francese; allo scioglimento della società, cui seguì un graduale allontanamento dei Missaglia dall’attività e la cessione delle loro botteghe ai Negroli, tale mercato venne monopolizzato da Domenico e, in seguito, dai suoi figli, Nicolò (m. 1531), Andrea (m. 1532-35) e Luigi (ca. 1486-1551). Nel 1537 l’intera eredità di Domenico e dei suoi figli defunti (Nicolò e Andrea) venne divisa tra gli eredi sopravvissuti, cioè tra i cinque figli di Nicolò e i tre di Luigi, segnando la fine della collaborazione tra i membri di questa linea: i primi restarono a Milano dando origine alla loro rinomata bottega e i secondi si insiedarono a Parigi operando come mercanti di armi ai massimi livelli, con una clientela che comprendeva Carlo IX e i suoi fratelli, i duchi di Angiò e di Alençon.
Le opere principali realizzate da Giovanni e figli sono: Parti di un’armatura da cavallo per Ulrich IX di Matsch (con marche da Ferno, Missaglia e Negroli), ca. 1445-50: Sluderno, Castel Coira; Parti di un’armatura da uomo d’arme (con marche Missaglia e Negroli), ca. 1450-60: già Curtatone, Santuario di S. Maria delle Grazie (ora Mantova, Museo diocesano); Barbotto (con marca Negroli e iniziali IH coronate), ca. 1460: Philadelphia Museum of Art, Kienbusch Armory; Celata (con marca Negroli), ca. 1480: Leeds, The Royal Armouries Museum; Due elmi, all’italiana e alla tedesca per Filippo il Bello (con marche Negroli), ca. 1496-1500: Madrid, Real Armería; Elmo da giostra alla tedesca (con marca Negroli), ca. 1500: San Pietroburgo, Ermitage; Bracciali per un’armatura da cavallo (con marca Negroli e iniziali DN), ca. 1510: New York, The Metropolitan Museum of Art.
Dei cinque figli di Nicolò, nato da Domenico e Angela Venzago, furono sicuramente armaioli di eccellente livello Giovan Paolo (ca. 1513-1569), Giovan Battista (ca. 1517-post 1582) e Giuseppe (ca. 1525-1559). Essi privilegiarono il mondo francese già appannaggio della propria linea, quasi a seguire un tacito accordo per spartirsi l’intero mercato europeo con i cugini, figli di Gian Giacomo di Filippo, le cui armi di lusso trovarono sbocco presso la corte imperiale e i suoi alleati. Nulla si sa del loro apprendistato, essendo alcuni troppo giovani per aver potuto essere addestrati nella bottega paterna (lo fu probabilmente solo Giovan Paolo, mentre Giovan Battista poté godere soltanto per pochi anni dell’insegnamento paterno).
Verso la metà degli anni Quaranta è possibile che si fosse sviluppata la collaborazione con il famoso armaiolo Giovan Battista Panzeri detto Zarabaglia – che infatti presenziò come testimone a un atto di Giovan Paolo nel 1549; i documenti non sono esaustivi, ma la comunanza tra i due maestri (che portò per esempio alla nomina di Giovan Paolo a stimatore di fiducia di Giovan Battista Panzeri e del suo socio e collaboratore Marco Antonio Fava per la valutazione di un’armatura sbalzata e ageminata destinata all’arciduca Ferdinando II del Tirolo nel 1559, oggi conservata a Vienna, Kunsthistorisches Museum, Hofjagd- und Rüstkammer) è assolutamente certa, tanto da lasciar ipotizzare un periodo di apprendistato di Panzeri, nato verso il 1519, nella bottega di Giovan Paolo Negroli.
Negli anni Cinquanta si collocano alcuni atti stipulati tra i Negroli, figli di Nicolò, e altri armaioli per la commercializzazione di armature, spade e pugnali: un accordo per 700 scudi venne stipulato nel 1550 con Giovan Ambrogio Aboni de Ponte, poi risoltosi l’anno successivo con il saldo del debito; nel 1553 Francesco de Corsico, un collaboratore esterno, si impegnò a consegnare 145 morioni decorati all’acquaforte valutati 12 lire l’uno. Si sa poi che nel 1557 Pompeo della Croce era debitore dei Negroli della somma di 100 scudi per il valore di armi diverse ricevute a credito. A testimoniare la floridezza dell’impresa dei figli di Nicolò è la dote che loro sorella Barbara poté offrire nel 1550 al marito Giuseppe Cacciaguerra: ben 10.000 lire imperiali.
Con la fine degli anni Cinquanta gli affari dei fratelli vennero sempre più espandendosi, anche in ambito finanziario: Domenico, non impegnato nella produzione di armi, nel 1558 affidò al cristallaio Gabriele Vimercati l’esecuzione di tre oggetti su disegno fornito da lui stesso (una coppa e due ‘bottoni’ da candelieri), mentre due anni dopo gli altri fratelli prestarono al conte milanese Pietro Antonio Lonati, futuro senatore milite e quindi commissario generale dell’esercito in Lombardia e Piemonte, 350 scudi, cifra che crebbe grazie agli interessi fino a quasi 400 scudi nel 1565. Nel 1562 Giovan Pietro venne nominato procuratore del tesoriere generale dello Stato di Milano Giovan Battista Arconati per i suoi affari con la Camera francese.
Gli ultimi documenti noti riguardano ormai la generazione successiva agli armaioli figli di Nicolò: Cesare, figlio naturale di Giovan Pietro e banchiere di enorme notorietà e ricchezza, morì il 25 ottobre 1589 mentre suo cugino Nicolò, di Giovan Paolo, il 12 settembre 1603. Il secondogenito di Giovan Paolo, Ludovico, dopo aver dettato il proprio testamento l’11 febbraio 1610 morì pochi giorni dopo. L’inventario dei beni custoditi nella sua casa milanese di S. Maria Segreta dimostra come ormai la mercatura e il commercio avessero preso il posto della fabbricazione di armi presso questo ramo dei Negroli.
Le opere principali dei figli di Nicolò di Domenico sono: Petto di armatura ‘da cavallo’ (firmata Giovan Paolo Negroli, ca. 1540-45): New York, The Metropolitan Museum of art; Borgognotta (ca. 1540-45): Washington, D.C., National Gallery of Art; Armatura ‘da piedi’ (ca. 1540-45): Parigi, Musée du Louvre; Elmetto ‘da cavallo’ (ca. 1540-45): New York, The Metropolitan Museum of Art; Armatura ‘da cavallo’ per Enrico II di Valois (ca. 1545): Parigi, Musée du Louvre, Collezione privata.
Francesco di Filippo di Giovanni, di cui conosciamo una sola opera (Schiena di armatura alla tedesca, con marca Negroli e iniziali FN, ca. 1505-10, in collezione privata americana) fu un armaiolo di ottimo livello con una importante clientela: gli Este, fin dal 1508, non solo trattarono con la sua bottega per ottenere armi e altre merci ma addirittura gli affidarono denaro da portare da Milano a Ferrara.
Alla sua morte, nel 1518 circa, i suoi tre giovanissimi figli Gerolamo, Giovan Pietro e Giovan Antonio vennero affidati, oltre che alla madre Caterina Marliani, anche allo zio Gian Giacomo, con il quale convissero per un ventennio almeno. Tra 1538 e 1540 una serie di atti notarili sancì la pace tra i due rami familiari, non prima però che la causa per la divisione dei beni in comune avesse portato alla necessità di nominare alcuni mediatori per risolvere la disputa.
Emancipatisi i fratelli dallo zio, già nel 1540 Giovan Pietro (1514/16-1589), ormai maestro indipendente, assunse nella propria bottega i primi collaboratori. Dopo aver onorato la commissioneper l’armatura di Luigi de Leyva, principe di Ascoli e figlio del primo governatore imperiale di Milano (1547), nel 1550 i tre fratelli lavorarono per ‘monsù Vandono’, forse Antoine de Bourbon, duca di Vendôme. Nel 1558 Giovan Antonio (1516/17-1573) fu pagato per armi fornite al procuratore del duca di Medinaceli Juan de la Cerda, mentre l’anno successivo Gerolamo (1512/14-1570) venne chiamato a stimare, a nome dell’arciduca Ferdinando II del Tirolo, la già ricordata armatura eseguita da Giovan Battista Panzeri e Marco Antonio Fava.
Rimasto solo, Giovan Pietro, anche a nome del nipote Giovan Francesco (figlio del fratello Gerolamo), nel 1574 prima affittò a Cornelio de Duaghis una casa con bottega, sita nella contrada degli armaioli all’interno della parrocchia di S. Maria Segreta, poi, pochi mesi dopo, a testimoniare la ricchezza raggiunta dalla famiglia, versò ben 20.000 lire di dote alla nipote Caterina, figlia del defunto Gerolamo, andata in sposa ad Annibale de Conti, molto probabilmente figlio a sua volta di un armaiolo, Giovan Ambrogio. Nel 1579, circa sessantacinquenne, Giovan Pietro abbandonò definitivamente la bottega che occupava il piano terreno della sua casa in S. Maria Segreta, ritirandosi così dagli affari; sopravvisse ancora un decennio, morendo il 20 gennaio 1589.
Figli di Gian Giacomo di Filippo (ca. 1463-1543) – armaiolo molto apprezzato e noto, fornitore tra gli altri del duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere e del re di Francia Francesco I di Valois – e di Veronica Arzoni furono Filippo (ca. 1510-1579), Giovanni Battista (ca. 1511-1591), Francesco (ca. 1522-1600) e Alessandro (ca. 1528-1573), che iniziarono la carriera formandosi con ogni probabilità nella bottega paterna come armaioli. Nel 1533 Francesco venne collocato presso lo spadaio e ageminatore Vincenzo Figino con un contratto di sei anni per essere istruito nell’arte della doratura in foglia e in filo: secondo l’accordo avrebbe abitato per tutto il tempo con Vincenzo guadagnando una piccola paga giornaliera, che sarebbe aumentata di anno in anno, man mano che le capacità del ragazzo fossero cresciute. Avrebbe avuto poi, caso abbastanza eccezionale, il permesso di recarsi per qualche mese a scuola, ogni mattina, per imparare a scrivere. La scelta della bottega di Vincenzo Figino non appare ovviamente per nulla casuale, ma dettata dalla volontà di offrire al ragazzo la migliore preparazione possibile, affidandolo al capo di un’impresa di grandi dimensioni e di chiarissima fama.
L’abilità nell’agemina (cioè nella doratura a freddo) di Francesco e la bontà dell’insegnamento impartitogli da Figino si rivelarono immediatamente dopo la fine del suo apprendistato, nel 1539, quando insieme ai fratelli maggiori Filippo e Giovan Battista, sbalzatori e cesellatori, collaborò per la parte ageminata alla cosiddetta guarnitura ‘de los Mascarones’ per Carlo V, significativamente la prima opera uscita dalla bottega di Filippo Negroli a essere decorata con tale tecnica (e non dorata a caldo).
In precedenza e in seguito si collocano altre opere di altissimo livello e pregio: la borgognotta e l’armatura per Francesco Maria I della Rovere (1532-35), l’elmetto e la rotella per Carlo V (1533), la famosa armatura ‘ad ali di pipisterello’ sempre per il duca di Urbino (1532-1535), immortalata pochi anni dopo da Tiziano in uno dei ritratti dipinti per la sala dei Cesari nel palazzo ducale di Mantova (oggi distrutti, ma noti attraverso copie), e la sontuosa guarnitura ageminata ancora per Carlo V dei primi anni Cinquanta.
Fino al 1551, quando Francesco abbandonò definitivamente la bottega familiare dopo vari soggiorni presso la corte di Carlo V, i quattro fratelli lavorarono insieme producendo alcune tra le armi sbalzate e ageminate più ricche (e apprezzate) del Cinquecento, soprattutto destinate alla corte imperiale e a Carlo V in particolare. Il mercato imperiale rappresentò lo sbocco privilegiato della bottega di Filippo al punto che nel 1555 l’imperatore nobilitò i quattro figli di Gian Giacomo attribuendo loro lo stemma di un giovane moro con le gambe avvolte dalle fiamme e il motto «Dei Gratia».
Non è certo un caso che Filippo, il principale responsabile della cesellatura dei pezzi e a capo della bottega dopo la morte del padre, sia l’unico armaiolo citato da Giorgio Vasari già nel 1550 («intagliatore di cesello, in arme di ferro con fogliami e figure») e ancora nel 1568 («Di Filippo Negrolo milanese, intagliatore di cesello in arme di ferro con fogliami e figure, non mi distenderò, avendo operato, come si vede, in rame [sic, ma certo refuso per «arme»] cose che si veggono fuor di suo, che gli hanno dato fama grandissima»).
La metà del secolo coincide con le ultime opere attribuibili a Filippo e ai fratelli; tuttavia sappiamo che la loro produzione di armi da parata, sbalzate, cesellate e dorate, continuò per alcuni anni, almeno sino al definitivo ritiro dalla bottega di Filippo, nel 1557, abbandono probabilmente dovuto a problemi alla vista. La divisione dei beni che seguì elenca infatti nella bottega dei Negroli varie armi sbalzate e dorate che, dalle descrizioni, si iscrivono nel solco delle precedenti produzioni. Dopo il ritiro di Filippo e la morte di Alessandro, continuarono a lavorare per molti anni Giovanni Battista e Francesco, la cui attività venne man mano differenziandosi per abbracciare prevalentemente la mercatura e il commercio del denaro.
Filippo trascorse gli ultimi venti anni della sua vita lavorando piccoli oggetti di metallo semiprezioso, i cosiddetti ‘tremolanti’, destinati ad arricchire le acconciature femminili; con il passare degli anni lo scultore in ferro che aveva vestito Carlo V ‘all’antica’, come un imperatore romano, fu costretto a vendere tutto quello che possedeva e a impegnare parte della dote della moglie per sopravvivere, tanto che alla sua morte le due misere stanze che costituivano la sua abitazione non contenevano che pochi mobili di modestissimo valore.
Le opere principali di Gian Giacomo di Filippo e figli sono: Borgognotta per Francesco Maria I della Rovere (firmata e datata 1532): Vienna, Kunsthistorisches Museum, Hofjagd- und Rüstkammer; Armatura per Francesco Maria I della Rovere (1532-35): Vienna, Kunst-historisches Museum, Hofjagd - und Rüst-kammer, Firenze, Museo nazionale del Bargello, San Pietroburgo, Ermitage; Borgognotta e rotella per Carlo V (firmata e datata 1533): Madrid, Real Armería; Borgognotta (1532-35): New York, The Metropolitan Museum of art; Armatura ‘ad ali di pipistrello’ per Francesco Maria I della Rovere (1532-35): San Pietroburgo, Ermitage, Firenze, Museo nazionale del Bargello, Firenze, Museo Stibbert, New York, The Metropolitan Museum of art; Buffa per Francesco Maria I o Guidobaldo II della Rovere (firmata e datata 1538): Leeds, The Royal Armouries Museum; Guarnitura ‘de los Mascarones’ per Carlo V (firmata e datata 1539): Madrid Real Armería, Waddesdon Manor, Surrey, Rothschild collection; Armatura per il Delfino Enrico di Valois (ca. 1540): Parigi, Musée de l’Armée; Rotella ‘della Medusa’ per Carlo V (firmata e datata 1541): Madrid, Real Armería; Borgognotta (firmata e datata 1543): New York, The Metropolitan Museum of art; Borgognotta per Carlo V (firmata e datata 1545): Madrid, Real Armería; Borgognotta (post 1545): Parigi, Musée de l’Armée; Guarnitura ‘ageminata’ per Carlo V (1550-53): Madrid, Real Armería, Firenze, Museo Stibbert, San Pietroburgo, Ermitage; Rotella ‘della Medusa’ per Carlo V (ca. 1556): Vienna, Kunsthistorisches Museum, Hofjagd- und Rüstkammer.
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