DI NEGRO, Negrone
Nacque a Genova, intorno al 1530, da Filippo, mercante e banchiere, appartenente ad una delle più antiche e nobili famiglie cittadine, già divisa nel sec. XIII in almeno dieci rami, collegati in due grandi "alberghi": de' Bagni e di S. Lorenzo. Secondo il Claretta, il D. apparteneva a quest'ultimo, ma dal suo testamento appare evidente il contrario, lasciando egli numerosi legati "per dictam nobilem familiani de Nigro de Baneis" (Claretta, p. 123).
Ancora giovane, il D. lasciò Genova per seguire le iniziative finanziarie del padre: dapprima in Spagna, poi nelle Fiandre, come banchiere al servizio di Carlo V, poi di Filippo II. Fu probabilmente nelle Fiandre, quindi, che entrò in contatto con Emanuele Filiberto di Savoia, nominato nel 1556, poco dopo l'abdicazione di Carlo V, governatore generale dei Paesi Bassi. Nel 1557 il D. fu drammaticamente coinvolto, come molti altri banchieri, nella bancarotta ufficiale del governo spagnolo, decretata dallo stesso Filippo II, perdendovi circa 100.000 scudi e restando in pratica senza mezzi. Entrò allora al servizio di Emanuele Filiberto, come consigliere e consulente finanziario, giusto in tempo per partecipare ai suoi successi: alla vittoria di San Quintino, che pose fine al conflitto fra Spagna e Francia, e al successivo trattato di Cateau - Cambrésis, che restituiva ai Savoia l'intero ducato, in gran parte occupato dai Francesi. Nel 1559 era a Nizza, sempre al seguito del duca, da dove scriveva alla Repubblica di Genova per ottenere la restituzione di alcune bocche da fuoco, sottratte da un vascello genovese al castello di Nizza. Ma la sua già apprezzata esperienza in materia di credito e finanze doveva ben presto aprirgli più importanti uffici. Fu nominato dapprima consigliere di Stato e Finanze, tesoriere particolare del duca e ciambellano. Quindi, con patenti del 31 dic. 1563. tesoriere e "ricevidore" generale "tanto di quà che di là dei monti", ovvero in Piemonte e in Savoia.
Erano questi del resto gli anni nei quali Emanuele Filiberto, appena ritornato in Piemonte, procedeva alacremente all'opera di riorganizzazione dello Stato, coadiuvato da una piccola pattuglia di fedeli consiglieri, alcuni dei quali già da tempo al suo seguito nelle Fiandre, altri suoi procuratori nel Piemonte occupato dagli Spagnoli. Tutti innalzati alle più alte cariche del governo, in riconoscimento dei servizi prestati in precedenza, come il Provana, il Balbo, il Belli, C. Dal Pozzo, T. Langosco, G. M. Cocconato, G. Costa. Tra essi vi fu pure il D. in un ruolo tutto sommato di notevole rilevanza. Oltre a ricoprire il delicato incarico di tesoriere generale, egli avrebbe dovuto, come in effetti fece, rimettere in moto l'arrugginito sistema fiscale dello Stato, nonché provvedere alle numerose esigenze straordinarie del duca. E in questo campo la sua precedente esperienza e soprattutto i suoi legami con i più importanti capitalisti finanziari del tempo, i banchieri genovesi, risultarono utilissimi. Fu così che nello stesso 1564 fu in grado di fornire al duca 20.000 scudi d'oro necessari per l'acquisto della contea di Tenda. E, non potendo successivamente Emanuele Filiberto restituirli, lo fece lui stesso, ottenendo in cambio dal duca il feudo di Stupinigi, con l'annesso titolo comitale. Due anni dopo il D. venne nominato generale delle finanze, mantenendo sempre l'ufficio di tesoriere. Doveva quindi così, oltre che curare i registri dei conti della Tesoreria generale, e cioè delle entrate e uscite effettive dello Stato, predisporre i bilanci annuali di previsione, molto spesso annotati e controllati dallo stesso duca.
Negli anni seguenti non mancarono altri segni della benevolenza e della soddisfazione di quest'ultimo nei suoi confronti. Fu nominato sovrintendente delle fabbriche e fortificazioni, investito del titolo marchionale, nel 1572, per il feudo di Mulazzano, da lui acquistato in precedenza, infine creato cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Una simile ascesa ovviamente gli provocò numerosi avversari e nemici. Per di più in un settore tanto delicato quale quello della finanza pubblica, dove il D., tra l'altro sospetto per la sua origine "straniera", si trovò a gestire rilevanti capitali liquidi, che, in un paese dall'economia ancora sostanzialmente agricola quale quella del Piemonte, lo rendevano il più importante controllore di capitale monetario nel paese. Egli stesso se ne lamentò più volte, per lettera, con il duca e altri personaggi della corte.
Già nella relazione dell'ambasciatore veneziano S. Cavalli, del 1564, si accennava a una sua propensione "a vivere allegramente lasciando le cose dei conti e delle scritture molto confuse". Ma in quella più dettagliata di F. Morosini, del 1570, si accennava piuttosto a un suo presunto interesse privato nella gestione degli uffici e al fatto che "è comunemente odiato da tutti ... per la severità e il rigore nel l'esazione del denaro ..." (Claretta, pp. 78 ss.).
È assai probabile che il Morosini avesse colto nel segno. Indubbiamente il D. ricostituì la sua fortuna con Emanuele Filiberto, arrivando a possedere, tra beni mobili e immobili, un capitale di oltre 100.000 scudi. E ciò sia con mezzi leciti e occasioni fortunate, sia con mezzi meno leciti. Nel 1562 aveva partecipato, ad esempio, alla costituzione di una società per lo sfruttamento minerario della Val d'Aosta, insieme allo stesso duca e ad altri personaggi della corte. Ma, nello stesso tempo, egli fu utile al duca nella stessa misura con la quale se ne servì. Fu lo strumento della dura politica fiscale voluta dal sovrano, che, nei vent'anni del suo governo, non solo riassestò completamente le finanze pubbliche, ma fu anche in grado di costituire un tesoro di riserva di oltre 1.000.000 di scudi d'oro. Tuttavia esistono numerose conferme delle accuse avanzate contro il Di Negro. La prima la fornì egli stesso, nel 1573, chiedendo al duca di potersi ritirare privatamente dapprima a Savignone, poi a Genova. Fatto piuttosto inconsueto nel tempo, ciò gli fu accordato, in maniera tale tuttavia da far chiaramente indovinare un tacito compromesso con lo stesso duca. Questi già l'anno prima, con espresse patenti, lo aveva assolto di tutta la sua amministrazione "se ne li detti conti li sia occorso errore di calcolo o partite ommesse in debito ..." (Manno, p. 58). E, nel 1574, venne emanata un'altra patente per avocare al duca "qualsiasi causa che l'avvocato e patrimoniale generale o altro ufficiale della Camera dei Conti potrebbono intentare contro il marchese di Mulezzano" (ibid.). Il D. si ritirò quindi a Genova, mantenendo tuttavia ancora i suoi uffici, di cui continuava a godere i relativi stipendi, ma delegandone i compiti al suo compatriota Lorenzo Grimaldi "gentiluomo genovese", da lui stesso indicato al duca. Il Grimaldi tuttavia gli successe ufficialmente solo nel 1583 "sendo vacato da circa due anni in quà l'uffizio ... per la morte del fu sig. Di Negro ..." (Galli, III, p. 130).
D'altra parte il volontario ritiro a Genova non troncò affatto i buoni rapporti fra il D. e Emanuele Filiberto. Al contrario egli fu, fino alla morte, il rappresentante ufficiale sabaudo presso la Repubblica, svolgendo, nello stesso tempo, più volte analogo ruolo presso il duca per conto di Genova.
La numerosa corrispondenza da lui inviata al duca sabaudo testimonia che egli non fu soltanto un rappresentante formale. Già nell'aprile del 1575, al contrario, Emanuele Filiberto lo incaricava segretamente di seguire i drammatici avvenimenti interni che sconvolgevano l'equilibrio dell'oligarchia genovese, divisa ancora una volta dal conflitto che opponeva i nobili "vecchi" a quelli "nuovi". E, in particolare, di seguire e favorire l'opera di mediazione tentata dall'inviato pontificio, il cardinale G. Morone. Con questo il D., pur appartenendo la propria famiglia al partito dei nobili "vecchi", tenne una fitta corrispondenza, informandone minutamente il duca di Savoia, spesso attraverso copie delle lettere stesse del Morone, celatosi sotto il nome di "cavalier Alessandro Mozzanica". Ma egli tenne anche personali rapporti con l'inviato spagnolo Francesco d'Ugarte e con lo stesso plenipotenziario Carlo Borgia, duca di Candia.
Ritiratosi dapprima a Savona, poi a Savignone, per paura dei disordini, il D. continuò ad informare il duca su tutti gli avvenimenti, fino alla pacificazione seguita all'accordo di Casale, il 10 marzo 1576, dovuta all'opera del cardinale Morone. Pochi mesi dopo seguì personalmente la spinosa questione dell'acquisto di Oneglia, voluto da Emanuele Filiberto per creare altri sbocchi marittimi al Piemonte. Ma la cessione della città fatta da Giovanni Girolamo Doria, in cambio di altri feudi in Piemonte, provocò le rimostranze della Repubblica, che pure ne aveva in un primo tempo rifiutato l'acquisto. Rimostranze vane tuttavia che il D. riuscì facilmente a respingere.
La corrispondenza di questi anni fra il D. e il duca testimonia altresì come egli continuasse ad essere consultato a Torino: ora in occasione di una ventilata riforma della Camera dei conti, nel 1574; ora a proposito della ristrutturazione dell'importante gabella generale del sale, nel 1577; ora per i nuovi criteri di gestione delle imposte indirette in Savoia, il D. era interpellato direttamente dal duca, al quale inviava pareri e suggerimenti assai attenti. Tale rapporto si interruppe nel 1580, con la morte di Emanuele Filiberto, al quale il D. sopravvisse solo un anno. Morì a Genova nel 1581, come appare nelle già ricordate patenti di nomina del suo successore e nella Cronaca di G. Cambiano di Ruffia: "... in gennaro, febbraro, marzo et aprile sono morti il sig. Ferrante Vitelli ... et Negron di Negro, general tesoriere ..." (Claretta, p. 89).
Secondo il Manno, aveva sposato Battistina Doria, avendone tre figli: Emanuele Filiberto, Bonifacio e Girolamo. Ma dal suo testamento, del 1572 (pubblicato dal Claretta) figura come moglie (seconda?) Giulia Fieschi ed erede universale la figlia naturale Camilla, moglie di Antonio Lomellini. È certo tuttavia che il D. ebbe in seguito almeno un figlio maschio, Emanuele Filiberto, investito nel 1582 del marchesato di Mulazzano, che, alla sua morte, nel 1608 (e non nel 1657, come scrisse il Manno) passò ai figli Negrone e Antonio Emanuele Filiberto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. di corte, Protocolli ducali, m.223, c. 212; m. 227, c. 53; m. 224, c. 228; m. 233, c. 232; Ibid., Lettere particolari, N, m. 2 (1560-1575); Ibid., D, m. 20; Ibid., Lettere ministri, Genova, m. 1 (1574-1580); Ibid., Prov. di Torino, Stupinigi (testam. del D., del 30 apr. 1572); Ibid., Camerale, Infeudazioni, Stupinigi; Ibid., Patenti controllo finanze, 1563, 31 dicembre; patenti di tesoriere generale; 1566, 10 maggio; generale delle finanze; 1570, 19 ottobre; sovrint. fabbr. e fortif.; 1572, 30 giugno e 18 dicembre; 1574, 20 agosto; patenti a suo favore di Emanuele Filiberto; Arch. di Stato di Genova, Secretorum, I (1566), m. 19, c. 202; Ibid., Litterarum, ff. 9-10 (1562-1574); Torino, Bibl. naz., A. Manno, Il patriziato subalpino (datt.), XIV, p. 58; Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato…, a cura di E. Alberi, Firenze 1839-63, s. 2, V, pp. 87, 98, 115; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti, Torino 1798, III, pp. 124, 128 ss.; D. Gioffredo, Storia dell'Alpi Marittime, in Hist. patriae mon., III, Script., I, Augustae Taurin. 1840, coll. 1579 ss.; G. Claretta, Il genovese N. D. ministro di finanze di Emanuele Filiberto duca di Savoia, Firenze 1882; J.A. Goris, Etudes sur les colonies marchandes meridionales ... à Anvers de 1488 à 1567, Louvain 1925, pp. 185, 201 e passim; Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 292 s.; A. Garino Canina, La finanza del Piemonte nella seconda metà del XVI secolo, in Miscell. di storia ital., s. 3, XXI (1924), pp. 24, 27, 31 e passim; P. Egidi, Emanuele Filiberto (1559-1580), Torino 1928, pp. 109, 136; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 40.