NEGRONI, Pietro, detto lo Zingarello
NEGRONI, Pietro, detto lo Zingarello. – Nacque in Calabria, verosimilmente tra il 1515 e il 1520.
La data 1505 desumibile dal profilo tracciatone da Bernardo De Dominici (1742) non ha trovato conferme; il biografo, inoltre, è incerto sul luogo d’origine, di volta in volta identificato fra Settecento e Ottocento con Cosenza, Crotone, Castrovillari o San Marco Argentano, località più probabile essendo indicata in un manoscritto del XVI secolo, i Commentaria di Bernardino Bombini (Agosti - di Majo, 2004, p. 133).
Il carattere polidoresco della sua produzione è stato spiegato con un discepolato presso Polidoro Caldara da Caravaggio a Messina, intorno al 1530 (Bologna, 1959, pp. 76 s. n. 26). De Dominici, invece, ritiene fondata la posizione di quanti già ai suoi tempi lo credevano allievo di Marco Cardisco: è altamente probabile che si fosse formato nei primi anni Trenta nella bottega del conterraneo, a Napoli, dove poteva studiare anche diverse opere di Polidoro (Leone de Castris, 1996, p. 56). Come ha sostenuto Barbara Agosti (2001), non può però essere identificato col «compagno» di Cardisco (collaboratore di Giovanni da Udine) citato nelle Vite di Giorgio Vasari, senza ricordarne il nome.
Il primo documento su Negroni è del 1539: si tratta della commissione di una Immacolata da parte di Pacilio Certa, di destinazione sconosciuta (Filangieri, 1888, pp. 273 s.). Nell’atto notarile il pittore è detto «de Neapoli», specificazione questa che suggerisce un suo trasferimento in città già da diversi anni. Ciò rende credibile la collaborazione agli apparati allestiti per l’ingresso di Carlo V a Napoli nel 1535 di cui narra De Dominici (1742). Recentemente si è supposto (Agosti, 2001) anche un suo coinvolgimento negli analoghi apparati approntati a Cosenza ed è stata rilanciata una vecchia ipotesi sulla sua frequentazione del circolo intellettuale di Bernardino Martirano nella villa di Leucopetra, presso Portici, circostanze che sembrerebbero essere indirettamente confermate da una lettera inviata da Venezia nel 1544 da Polidoro Papera al pittore Giovan Luca da Eboli, dove Negroni è reputato «eccellenza oggidì dell’arte in cotesti paesi napoletani». Il pittore ebolitano viene invitato ad evitare «l’affettazione delle paroluzze della lingua toscana», difetto riscontrabile, a detta del Papera, nel modo di scrivere del calabrese (ibid., p. 23).
L’opera di Negroni con la data più antica è la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Antonino e Catello della chiesa di S. Antonino a Sorrento, richiesta da Luca de Maxo nel 1539 (come attesta una scritta posta ai piedi della composizione), in cui è sensibile la vicinanza a Cardisco. A una fase precedente potrebbero invece appartenere la Madonna col Bambino in S. Maria della Consolazione ad Altomonte (Cosenza) e la Pietà dei Ss. Marcellino e Festo a Napoli. Del 1540 è la Natività in S. Domenico ad Aversa, firmata assieme a Girolamo Cardillo; all’anno successivo risale l’Adorazione dei magi nella chiesa partenopea di S. Maria Donnaromita.
Sulla base di una scoperta documentaria è stato espunto dal catalogo negroniano il polittico della chiesa di S. Maria Maddalena in Armillis a Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno), realizzato da un certo Giovan Lorenzo Firello (o Ferrillo) tra il 1540 e il 1543 (Braca, 2011). Ai modi di Firello, che si rivela uno stretto seguace di Cardisco, può essere accostata, sia pur cautamente, la tavola con la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista nell’Archivio storico diocesano di Napoli, già attribuita a Negroni (Leone de Castris, 1996, p. 56).
Nel corso degli anni Quaranta realizzò una serie di opere significative, come la perduta Madonna tra s. Andrea e il Battista per la cappella dell’Arte della lana in S. Maria delle Grazie a Napoli (1542), di cui forse è una replica autografa il dipinto della chiesa di S. Andrea a Gricignano di Aversa (Caserta; 1544); la Madonna e i ss. Lucia e Antonio di Padova del Museo di Capodimonte (1544); la distrutta tavola raffigurante la Madonna e i ss. Girolamo, Caterina e Onofrio della cappella Mastrogiudice in S. Aniello a Caponapoli (1544-45), che scatenò una clamorosa lite giudiziaria per l’insolvenza dei committenti (Borzelli, 1907); le perdute ante d’organo datate 1546 nella chiesa di S. Chiara, edificio dove, secondo De Dominici (1742), l’artista restaurò i celebri affreschi giotteschi; il documentato polittico con la Crocifissione e i ss. Eufemia e Antonino in S. Antonino dei Poveri di Sorrento (1548-49; Filangieri, 1888, pp. 275 s.).
Nei quadri del quinto decennio gli impianti compositivi di matrice polidoresca subiscono una forte «semplificazione quasi didattica» (Previtali, 1978, p. 38), mentre la «drammatica serietà» e la «tensione espressionista» di Caldara appaiono addolcite da un tono «grottesco più spiritoso che drammatico, quasi da pantomima» (Abbate, 1972, pp. 841 s.). Vi compare, inoltre, un «gigantismo muscolare» e un’«espressività stravolta da “romanista” nordico», derivanti dal contatto con maestri come Marten van Heemskerk (Leone de Castris, 1996, p. 56), forse conosciuti a Roma intorno al 1540. La presenza nell’Urbe di Negroni non è provata dai documenti, tuttavia il Ritratto di giovane della Galleria Borghese, riferitogli da Sylvie Béguin (1988-89), reca un cartiglio con la scritta «in Roma».
Altri dati documentari consentono di stabilire che Negroni, a Napoli, il 17 luglio 1548 ottenne la commissione per una perduta Pietà da collocare nella cappella di Paolo Antonio Poderico in S. Lorenzo Maggiore (Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, G.N. Iuglietta, scheda 101, prot. 1, cc. nn.); il 16 ottobre 1549 ebbe da Ippolita Monforte, moglie di Scipione di Somma, il saldo finale per una cona di soggetto non specificato da esporre nella chiesa di S. Gaudioso; l’11 novembre dello stesso anno «Francesco Iagiorillo» gli richiedeva un’Annunciazione, di destinazione non precisata (ibid., Notai del ’500, G.D. De Leto, scheda 82, prot. 3, cc. 60rv, 90r-91r).
A partire dal 1551 molte località calabresi accolsero i «rustici e saporiti frutti della sincera fantasia di Negroni» (Previtali, 1978, p. 39), spesso ospitati in contesti francescani e minoritici, al punto che quasi tutti gli studiosi hanno supposto un rientro nella terra d’origine. La presenza di opere degli stessi anni ancora in area campana rende tuttavia poco probabile l’abbandono della capitale da parte dell’artista, che infatti poté inviare da Napoli tavole quali la splendida Madonna tra i ss. Luca e Paolo, commissionata da Francesco Gualtieri per la chiesa di S. Francesco di Paola a Cosenza (1551); l’Annunciazione dell’episcopio di Cassano allo Ionio (1552); la coeva Madonna tra i ss. Barbara e Lorenzo in S. Maria di Castello a Castrovillari, edificio che nel 1560 accolse pure la grandiosa Assunzione di Maria; lo smembrato polittico della chiesa della Riforma di San Marco Argentano (1553) e l’Immacolata della chiesa cosentina delle Cappuccinelle (1558). Infine, al gruppo di opere calabresi di quegli anni potrebbe appartenere lo sconosciuto S. Giovanni Evangelista di una collezione privata di Reggio Calabria, schedato come anonimo siciliano del XVI secolo nella fototeca di Federico Zeri (Bologna, Fondazione Zeri, Fototeca, scheda 30414).
Al 1553 risale l’Andata al Calvario della collezione della Banca Toscana di Firenze, interpretazione in «dialetto napoletano» (Previtali, 1978, p. 39) della famosa tavola messinese di analogo soggetto di Polidoro, ora a Capodimonte. In questi anni la cultura negroniana appare arricchita da un’«enfasi monumentale» (Leone de Castris, 1996, p. 57) che sembrerebbe derivata da nuove frequentazioni romane, intorno al 1550, in particolare della cerchia di Pellegrino Tibaldi, Daniele da Volterra e Francesco Salviati. Va sottolineato inoltre che Negroni fu figura centrale per la trasmissione della cultura polidoresca ad alcuni artisti operanti nella seconda metà del secolo (ibid., p. 62), come Cesare Turco, entrato nella sua bottega nel 1549 (Filangieri, 1888, pp. 276 s.).
Al periodo più avanzato appartengono l’Eterno coi ss. Gennaro e Restituta nella cattedrale di Napoli (1554), la Madonna coi ss. Andrea e Giacomo del Musée des beaux arts di Orléans (1555), forse coincidente col dipinto descritto dalle fonti (De Dominici, 1742) nella chiesa napoletana della Croce di Lucca, il polittico con la Madonna e santi in S. Maria di Portosalvo a Palermo, la Madonna col Bambino in gloria del duomo di Policastro (1555), la Natività della chiesa di S. Francesco ad Arienzo e l’Adorazione dei Magi dell’Annunziata di Airola (1558).
Al maestro sono stati riferiti pure una quindicina di disegni custoditi in diverse raccolte, italiane ed estere, tra i quali vale la pena di ricordare la Pietà del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (n. 13421 F) e l’Incredulità di s. Tommaso della Royal Library di Windsor Castle (n. 1182), desunta da un celebre modello di Francesco Salviati (Parigi, Musée du Louvre). L’ultima opera conosciuta è la pala raffigurante la Madonna e i ss. Bernardino ed Aniello appartenuta alla chiesa di S. Francesco a Nocera Inferiore (ora nell’annessa Pinacoteca), accompagnata da un cartiglio che ne ricorda l’esecuzione per la famiglia Grimaldi nel 1567 (ma l’indicazione cronologica, prima del restauro, è stata variamente registrata). La tavola si colloca due anni dopo la data di morte, evidentemente errata, riferita dal De Dominici (1742, p. 675).
Nulla si sa della fase estrema del pittore, né è stato accertato quando e dove morì.
Un inedito atto notarile del 12 ottobre 1587 attesta la commissione del perduto dipinto della cappella del Battista, di patronato dei Della Marra, nella chiesa napoletana di S. Caterina a Formello a un nobilis «Petrus de Nigrone pictor» (Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, G.A. De Rosa, scheda 209, prot. 13, cc. 37r-38r). Un «magnificus Petrus Nigrone» compare anche nell’«istrumentum dotale» di Geronima Riccia quale maestro ed economo della cappella e Confraternita partenopea di S. Luca dei pittori il 27 marzo 1593 (ASN, Notai del ’500, V. Cavaliere, scheda 231, prot. 12, cc. 91v-92v). Allo stato delle conoscenze è difficile stabilire se il pittore in questione possa essere identificato col calabrese, soprattutto perché non si conoscono opere dell’artista riferibili alla seconda metà avanzata del Cinquecento. Tuttavia, appare poco probabile che a una personalità di scarso peso – quale sarebbe un omonimo altrimenti ignoto – potesse essere affidata una pala per un contesto prestigioso come S. Caterina a Formello. Una prova della longevità di Negroni parrebbe suggerita dal già citato manoscritto di Bombini, opera aggiornata negli anni Settanta e Ottanta del XVI secolo (entro il 1588) in cui viene nominato come vivente: «Et etiam Petrus Nigronus, Sancti Marci natus, et Neapolim habitans, ubi principatum de pictura tenet» (Agosti - Di Majo, 2004, p. 133). Non è dunque da escludere che Negroni potesse essere ancora in vita negli anni finali del secolo.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, Napoli 2003, pp. 671-676 (commento di A. Bisceglia); C.M. l’Occaso, P. N., in Il Calabrese, II (1844), 19, pp. 146 s.; G. Filangieri, Documenti per la storia le arti e le industrie delle provincie napoletane, IV, Napoli 1888, pp. 49, 52-54, 270-277; A. Borzelli, Un quadro di P. de Nigrone nella chiesa di S. Agnello a Caponapoli, Napoli 1907; F. Bologna, Roviale Spagnuolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli 1959, pp. 18, 76 s. n. 26, 79; A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, I, Roma 1969, pp. 178 s., 288-290 n. 251, 347-349; F. Abbate La pittura napoletana fino all’arrivo di Giorgio Vasari (1544), in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 841 s., 844, 888 n. 25; M.P. Di Dario Guida, Arte in Calabria (catal.), Cava dei Tirreni 1978, pp. 103-108; G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, Torino 1978, pp. 37-39, 48 s. nn. 19-22; F. Petrelli, Una tavola inedita di P. N.: la ‘Natività’ di S. Domenico ad Aversa, in Paragone, XXXIII (1982), 389, pp. 62-70; T.K. Kustodieva, The Adoration of the magi by P. N., in Soobščenija Gosudarstvennogo Ermitaža, XLVIII (1983), 4-6, p. 44; D. Jaffé, P. N. as a draughtsman, in The Burlington Magazine, CXXVII (1985), 984, p. 159; C. Vargas, Inediti di Cardisco, N., Ierace e Imparato a Massalubrense, in Prospettiva, 1986, n. 46, pp. 68-72; P. Giusti - P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1510-40. Forastieri e regnicoli, Napoli 1988, pp. 82, 236, 242-244, 252 s. nn. 43-47, 282 s.; S. Béguin, Quelques peintures inédites de P. N., in Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, in Prospettiva, 1988-89, nn. 53-56, pp. 383-387; P. N. e la cultura figurativa del Cinquecento in Calabria (catal., Cosenza), a cura di V. Savona, Rovito 1990; P. Ramade, Un dessin de P. N. récemment entré au Musée des beaux-arts de Rennes, in Disegno.Actes du Colloque du Musée des beaux-arts de Rennes… 1990, Rennes 1991, pp. 87-90; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Napoli 1993, pp. 140 s., 155, 174-176, 330; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1540-1573. Fasto e devozione, Napoli 1996, pp. 44-73, 82 s. nn. 30-52; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Roma 2001, pp. 78-82; B. Agosti, Elementi di letteratura artistica calabrese del XVI secolo, Brescia 2001, pp. 12, 15-23, 83 s.; B. Agosti - I. di Majo, Biografie d’artisti nella Calabria sacra e profana di Domenico Martire, in Dal Viceregno a Napoli. Arti e lettere in Calabria tra Cinque e Seicento, a cura di I. di Majo, Napoli 2004, pp. 131-134; I. di Majo, Qualche nota su P. N.: intorno ai dipinti di S. Maria del Castello a Castrovillari, in Studi di storia dell’arte, 2006, n. 17, pp. 85-94; A. Braca, in Sottostrati noncuranti. Restauri d’arte fra Salerno e Avellino, a cura di A. Cuciniello, Napoli 2011, pp. 34-39; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 379.