NELEO di Scepsi
Secondo il testamento di Teofrasto, conservato in Diogene Laerzio (V, 52), fu questi l'erede dei cosiddetti "scritti acroamatici" di Aristotele, cioè degl'inediti corsi di lezione tenuti da Aristotele nel Liceo e passati, alla morte del maestro, a Teofrasto. A questa notizia, che non c'è ragione di non ritenere degna di fede (tanto più che Scepsi, città della regione dell'Ida in Asia minore, dovette essere un centro di qualche cultura, se di Scepsi erano i due filosofi Erasto e Corisco che, ottenuto il governo di Asso da Ermia di Atarneo, vi accolsero Aristotele profugo dall'Accademia: e figlio di Corisco era del resto lo stesso N.), si ricollega una narrazione di Strabone (XIII, 1, 54, p. 609), riferita poi anche da Plutarco e da Suida, secondo la quale i manoscritti aristotelici, nascosti in un sotterraneo dagli eredi di N., furono più tardi, già danneggiati dall'umidità e dai vermi, venduti al bibliofilo Apellicone di Teo, e infine, morto costui, recati dal conquistatore di Atene, Silla, a Roma, dove furono studiati prima da Tirannione di Amiso e poi da Andronico di Rodi, che ne preparò la prima grande edizione. Secondo un'altra tradizione, nota ad Ateneo (I, p. 3 a-b), N. vendette invece gli scritti aristotelici a Tolomeo Filadelfo, fondatore della biblioteca di Alessandria. Certo in ogni modo resta il fatto che attraverso la proprietà di N. passò tutto quel maggiore complesso delle opere aristoteliche, che, nate nel chiuso ambito della scuola, restarono poi fino all'edizione di Andronico ignote all'antichità, che conosceva invece benissimo gli scritti dialogici composti da Aristotele con fine letterario nell'età giovanile e destinati quindi alla pubblicazione.
Bibl.: W. Jäger, Aristoteles, Berlino 1923, p. 116 segg.