Vedi NEOATTICISMO dell'anno: 1963 - 1995
NEOATTICISMO (v. vol. V, p. 413)
II concetto, originario del sec. XIX, è un'espressione tecnica prediletta nella letteratura archeologica, sul cui significato effettivo da tempo non esiste più un'intesa. Già verso la fine del secolo scorso si era modificato il senso originario di questo composto moderno, prima di trasformarsi nel concetto corrente, che in seguito è stato soggetto a molte interpretazioni e da allora impiegato in varie accezioni. Se all'inizio era stato chiamato neoattico solo un determinato gruppo di scultori classicistici di Atene, in poco tempo si venne a parlare di molte e differenti botteghe di scultori neoattici e di una scuola neoattica assai diffusa, oppure, in generale, di una maniera o di una tecnica di lavorazione neoattica, di una serie neoattica di motivi e di una corrente stilistica neoattica. A seconda delle propensioni individuali il concetto serve alla caratterizzazione restrittiva di una singola opera, di uno o più gruppi di monumenti e generi artistici, di un atteggiamento stilistico, di gusto o di pensiero e persino di un'intera epoca storica. Questa intricante molteplicità di usi di un'espressione scientifica è il motivo per cui essa male si adatta a designare in maniera univoca un dato fenomeno storico-artistico. Pur richiamandosi a diverse possibilità di interpretazione, connesse perlopiù a un livello di comprensione di tipo tendenzialmente intuitivo, il concetto di n. non può più sostituirsi all'analisi descrittiva di un fatto concreto.
Nel 1853 H. Brunn coniò il concetto di «arte» o «scuola neoattica», per distinguere le opere tardo-ellenistiche e di età imperiale di alcuni scultori che si firmavano come ateniesi, dalle creazioni della «arte attica antica». Egli riconobbe una caratteristica importante dei neoattici attivi dal II sec. a.C. al II sec. d.C. in una mancanza di «autonomia e originalità di invenzione», perché essi si erano ispirati ai «modelli più antichi nella concezione globale e generalmente anche in tutti i motivi essenziali» (p. 561). Di fronte alla stretta affinità di tipo tematico, formale, stilistico e artigianale con le creazioni classiche Brunn era disposto a riconoscere una produzione artistica propria a questi neoattici solo in quanto, rispetto ai modelli, i loro esponenti migliori «riproducono ... la delicatezza massima, il massimo vigore, dedicano ... nell'esecuzione la medesima cura a tutti i dettagli» (p. 570). D'altronde è caratteristico che nelle opere dei neoattici «inizia a prevalere lo scopo di una decorazione elegante e piacevole» (p. 569) e che «a poco a poco la sensibilità più sottile scema sempre più e si afferma una concezione puramente esteriore e materiale» (p. 570). Con queste frasi Brunn aveva già sintetizzato interi aspetti, che poi divennero importanti per tutte le definizioni successive di «neoattico». Egli rilevò anche come accanto ai lavori firmati dai neoattici esistano «parecchi altri monumenti che almeno all'aspetto esterno sembrano loro strettamente imparentati e appartengono sicuramente a una corrente artistica affine» (p. 569).
La dissertazione di F. Hauser nel 1889 tentò di «riunire» in maniera sistematica tali opere, «per evidenziare meglio la maniera neoattica rispetto al quadro più ampio» dell'arte coeva. Egli si concentrò sull'analisi dei rilievi figurati (rilievi decorativi, vasellame e suppellettili di marmo), sui quali singoli tipi di figure sono assemblati a formare di volta in volta insiemi più estesi e variati. Stabilì che numerosi tipi di figure, pur diverse dal punto di vista cronologico e stilistico, ma che possono derivare, non senza eccezioni, dalla scultura ateniese classica, appartengono al repertorio delle varie botteghe di scultori. L'unico intento degli artisti sarebbe stato di copiare ecletticamente «opere di tutti i tempi e scuole», per combinarle paratatticamente fra loro in contesti diversi. Hauser ritenne tale impostazione un'esplicita dichiarazione di fallimento della capacità artistica creativa e inventiva: i prodotti neoattici sarebbero concepiti soltanto «per conoscitori in grado di collegare le allusioni stilistiche delle singole figure al nome di determinati maestri, e che se ne facevano un divertimento, «et non inscriptis auctorem reddere signis» (Stat., Silv., IV, 6, 22). Con questa valutazione negativa Hauser tentò di deprezzare sistematicamente tutti i capolavori della «maniera neoattica» nei confronti delle opere greche più antiche, e anche di stigmatizzarne gli acquirenti come appartenenti a un pubblico con una cultura superficiale, in grado di capire solo «frasi imparate a memoria» (p. 178). Successivamente Hauser (1913) localizzò il punto di irradiazione e la «sede degli artisti neoattici» in Atene, dopo aver preso in considerazione dapprima vari centri di produzione a Pergamo e Alessandria. Ma la scoperta della nave affondata di fronte a Mahdia, che trasportava numerosi oggetti neoattici in marmo pentelico, non lo fece più dubitare della paternità ateniese dell'arte eclettica.
E. Löwy (1922) riprese queste conclusioni e fornì un'eccellente sintesi sull'arte neoattica. Egli estese l'uso del concetto contemporaneamente a quasi tutti i motivi dell'arte decorativa greca tardo-ellenistica e dell'arte romana di età tardo-repubblicana e imperiale. Constatava infatti che la selezione eclettica di prototipi da ambiti, epoche, stili o panorami completamente diversi non sarebbe rimasta una caratteristica specifica delle sculture firmate da Ateniesi e dei rilievi, già da Hauser affiancati alle sculture stesse, grazie alla connessione fra tipi. Nel periodo compreso tra il II sec. a.C. e il II sec. d.C. quasi tutti gli scultori, toreuti, pittori, ceramisti, intagliatori di gemme e stuccatori avrebbero realizzato i progetti più diversi «ad arbitrio, senza preoccuparsi granché del significato e dell'unità stilistica» (p. 7). «In una parola, è questo il procedimento dei neoattici, soltanto che è esercitato su una serie infinita di materiali, e non limitata dall'età e dall'origine dei prototipi. Quanto aveva creato l'intera arte greca in tutte le età precedenti, qui cade a Roma dal cielo come tributo prezioso» (p. 9). Così Löwy concepì il n. come un fenomeno generale, innescato nel tardo-ellenismo da un vasto movimento classicistico e in seguito diffusosi ovunque. Tuttavia egli non riuscì a elaborare un'interpretazione più approfondita e circoscritta dal punto di vista tematico e contenutistico sulle opere eclettiche di ispirazione classicistica: «l'osservatore non cercava in esse nient'altro che i valori della forma. Ma la forma artistica stessa non ha in sé vita e significato? Aver colto e utilizzato questa forza vitale è la concezione non propriamente creativa e tuttavia infinitamente feconda dei neoattici» (p. 10).
Le argomentazioni di Löwy avrebbero dovuto suggerire la rinuncia alle denominazioni «neoattico», «arte neoattica», ecc., come in seguito avrebbe ribadito, sia pure con cautela, H. U. von Schoenebeck (1938), e come poi G. Richter (1951 e 1959) avrebbe consigliato espressamente. Ma la fede incrollabile nell'origine genuinamente ateniese di quell'arte classicistica, e soprattutto eclettica, ebbe un tale peso che il concetto continuò a essere tramandato. Allora si tentò di giustificarne di nuovo l'uso da due diverse prospettive metodologiche. In un caso si tratta della questione del luogo di origine della corrente di stile classicistico, nell'altro invece l'argomentazione punta sulla provenienza dei prototipi; del resto ciò ebbe come conseguenza un nuovo modo di intendere il fenomeno.
Si data al 1940 l'intento di G. Becatti di ritrovare i motivi della nascita del classicismo ad Atene. Dopo la perdita definitiva dei valori politici ed economici, la borghesia erudita di questa città si sarebbe dedicata intensamente alla vita culturale, rammentandosi degli ottimi risultati conseguiti sul piano artistico e spirituale all'epoca del predominio ateniese. Perciò, a differenza delle altre città e metropoli ellenistiche, in Atene già alla fine del IV sec. a.C. si era costituito un ambiente intellettuale che formò il terreno di coltura ideale per un atteggiamento psicologico retrospettivo durante tutto l'ellenismo, «guardato come una vera rinascita della grandezza passata» (p. 10). Il cosiddetto n. sarebbe sorto attorno alla metà del II sec. a.C., come risultato di quella «corrente classicheggiante, che si delineò marcatamente in Atene fin dal primo ellenismo, e strettamente collegata al movimento artistico attico precedente, come ci dimostra lo stile delle creazioni originali di questo periodo iniziale» (p. 83). Becatti però non avrebbe voluto riferire il concetto di «neo-atticismo» (p. 79) all'intera arte classicistica, ma avrebbe preferito vederlo applicato in modo specifico alla produzione in serie di rilievi decorativi, vasi e candelabri marmorei, puteali, ecc. Egli aveva inoltre tralasciato di offrire una precisa motivazione a tale artificiosa restrizione proposta, probabilmente, solo sotto l'influsso della dissertazione di Hauser sui rilievi neoattici.
La tesi di Becatti di una tradizione ininterrotta di temi e motivi classici nella produzione artistica ateniese è stata confermata dagli esiti di ricerche successive (Hausmann, 1959, p. 22; Matz, 1958, pp. 102-117), mentre va relativizzata la sua importanza per la nascita del classicismo effettivo o del cosiddetto n.; poiché alcune sculture, la cui origine va cercata al di fuori dell'Attica oppure che non legano affatto con officine ateniesi, mostrano assai chiaramente che singoli ritorni classicistici già fra il IV e III sec. a.C. erano graditi persino a botteghe di scultori di altre regioni (von Graeve, 1979, p. 152; Himmelmann, 1975, p. 17 ss.; 1980, p. 83; 1983, p. 87 ss.; Muss, 1984, p. 28 ss.). Dunque difficilmente si possono circoscrivere a una regione precisa i presupposti intellettuali per la nascita di un'arte classicistico-eclettica. Così nel II sec. a.C. parecchie opere di tale corrente stilistica, e realizzate secondo tale gusto, sono indipendenti fra loro e create in luoghi anche estremamente distanti (Borbein, 1969, p. 93 ss.; Zanker, 1970-1971, p. 100 ss.; 1974, p. 76 ss.; 1979, p. 283; Stewart, 1979, p. 46 s., 63, nota 96). Dati questi presupposti, difficilmente ci si potrà ancora attenere alla tesi secondo la quale Atene deve essere stata il luogo di origine della scultura classicistico-eclettica, dunque di un presunto neoatticismo.
Oltre agli studi di Hauser e Becatti, la dissertazione di W. Fuchs edita nel 1959 aveva analizzato particolarmente i concetti generali sulla natura dell'arte neoattica e sul metodo di lavoro dei «neoattici». Allora porre la questione relativa alla loro origine non significava tanto indagare la provenienza degli artisti e dei monumenti archeologici da studiare, quanto determinare la «localizzazione delle fonti, cioè la forza sempre attiva dei prototipi» (p. 2) a cui essi si rifacevano. Così il concetto doveva assumere una fisionomia totalmente nuova: «sarà scopo del lavoro illustrare la struttura del neoattico come un concetto univoco e rigoroso, delimitarlo e comprenderlo a partire dalla sua origine, ossia dalla riproduzione e utilizzazione in senso decorativo di opere classiche ad Atene» (p. I s.). È evidente la problematicità di tale definizione. A partire da una posizione astratta del problema, per di più assai unilaterale e che si lega molto strettamente all'interesse per una convenzionale «ricerca di maestri», essa nega fin da principio la realtà della pratica artistica. Dalla pienezza del repertorio eclettico di forme classicistiche, Fuchs ha ritagliato solamente un settore per motivare il concetto di «neoattico» e cogliere così il presunto tratto saliente di numerosi generi della plastica in rilievo e a tutto tondo dell'età tardo-ellenistica e imperiale. Questo metodo venne criticato già nelle recensioni (Richter, 1959; Kraus, 1960) e anche in svariati lavori successivi (Matz, 1968, p. 15; Cain, 1985, pp. 3, 140 s., 147 s.); infatti troppi tipi di opere e singoli motivi, attribuiti genericamente all'insieme «neoattico» di forme, non possono essere ritenuti «riproduzioni» di prototipi ateniesi classici. Inoltre quale carattere essenziale della c.d. arte neoattica si è rivelata la combinazione di motivi arcaistici, classicistici ed ellenistici ampiamente diffusi, a cui spesso, dal I sec. a.C., sono stati integrati anche nuovi elementi dell'epoca. Evidentemente era nell'interesse di scultori e committenti scegliere da tutto l'insieme di forme create nelle epoche precedenti e in quella attuale, con lo scopo di formare così composizioni sempre nuove. Perciò il concetto di n. non è una denominazione appropriata, in grado di definire adeguatamente lo stile di determinate botteghe di scultori, un'intera corrente stilistica o un orientamento di fondo del gusto in una certa epoca storica (così p.es. Bianchi Bandinelli, 1969).
Nonostante queste obiezioni in merito al metodo e all'oggetto, il concetto di «neoattico» si è ben consolidato nella terminologia archeologica specialistica. Così sono venuti in primo piano vari aspetti, già menzionati sin dal primo inquadramento di Brunn. Ancor oggi molti autori usano i concetti «arte neoattica», «maniera neoattica», ecc., semplicemente come comodi sinonimi di creazioni eclettiche in ambito classicistico, o copie di originali classici (p.es. Ridgway, 1970, p. 110; Williams, 1978, p. 32); altri accettano incondizionatamente le definizioni fornite da Fuchs e Becatti, modificandole solo raramente e su aspetti secondari. Di recente si è voluto riconoscere come possibile inventore dell'«arte neoattica», ossia dell'eclettismo, non un 'Αθηναῑος, ma Damophon di Messene (Stewart, 1979, p. 52 s.). Dall'approfondita analisi di Hauser fra le principali caratteristiche formali e stilistiche di questo n. si annoverano l'isolamento e la disposizione paratattica dei singoli motivi: «la costruzione delle immagini aspira, soprattutto per mezzo dell'allineamento e dell'isolamento, a ricreare il rapporto esistente in età classica fra la figura e lo spazio; rapporto che era determinato in funzione delle singole figure e non concepito come elemento aggregante dell'intera composizione» (Matz, 1968, p. 15). Nel frattempo in molte ricerche sull'arte tardo-ellenistica e imperiale (per una sintesi v. Hölscher, 1987) è stato tuttavia constatato come questo fenomeno non sia una caratteristica specifica della produzione c.d. neoattica ma dettato di volta in volta dal soggetto e dalla funzione di un'opera.
Stanno diventando sempre più rare quelle voci che come Hauser, Löwy, Becatti e Fuchs, scorgono nei prodotti artistici «neoattici» meri artefatti, quindi «oggetti dell'attività artistica», che «non stanno più al servizio del culto o dell'uso, bensì [sono] 'privi di finalità' e quindi senza scopo, usati a fini puramente decorativi» (Fuchs, 1959, p. 196). Molti studi recenti su diversi complessi di opere e sulla tradizione letteraria (v. p.es. l'epistolario di Cicerone) hanno mostrato chiaramente che quasi tutte le sculture di questo genere sono state commissionate e realizzate per una precisa utilizzazione. Né si dubita più che ovunque l'arte classicistico-eclettica nasca non da una carenza di vigore creativo, ma da una teoria artistica promossa da una riflessione critica sviluppatasi nella prima metà del II sec. a.C. Per la scelta e la combinazione di singoli motivi e di forme stilistiche erano decisivi soprattutto gli aspetti contenutistici, orientati ai valori concettuali del messaggio; inoltre nella maggior parte dei casi le nuove composizioni figurative sono state realizzate con molta attenzione e secondo determinati criterî decorativi. Perciò la posizione e lo stile di un motivo figurativo, vegetale od ornamentale erano sempre orientati all'efficacia espressiva, in connessione al resto della decorazione. A seconda del tema rappresentato la composizione stilistica dei varî elementi decorativi poteva essere mantenuta unitaria oppure opportunamente variata. Dunque il carattere proprio dell'eclettismo non si può comprendere come un «estremo ricordo dello splendore di un grande passato», in cui solamente «un certo numero di tipi ... da uno spirito artistico ormai estinto [fu] riadattato in senso decorativo e sfruttato fino a completo esaurimento delle sue possibilità» (Fuchs, 1959, p. 195). Nell'età di Augusto si trattava perlomeno di creare un linguaggio espressivo nuovo e vincolante per tutti, il valore ideale del cui messaggio poteva essere pari al valore originario del linguaggio formale ateniese classico (Gelzer, 1979, p. 24 ss.; Cain, 1985, p. 147 s.). Tale stile classicistico-eclettico di età imperiale non si può più caratterizzare con efficacia mediante il concetto tradizionale di n., né relativamente all'evoluzione formale, né in senso ideale o estetico. Anche per questo motivo vari studi contemporanei ne evitano consapevolmente l'impiego.
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