Neologismo
Origine del termine
Formato sulla base dell'aggettivo greco néos ("nuovo") e del sostantivo lógos ("parola, espressione"), il termine neologismo designa una parola o espressione nuova, coniata mediante le regole di formazione proprie del sistema lessicale di una lingua. Il n. può avere origine dalla necessità di denominare un nuovo oggetto o un nuovo concetto; altre volte nasce come manifestazione di estro artistico o di gioco linguistico, o con intento scherzoso, ironico o polemico. Si è affermato l'orientamento a considerare n. anche gli ulteriori significati assunti da parole già esistenti - che T. De Mauro definisce neosemie (2006, p. 25) -, così come termini nati in ambito specialistico o regionale e vocaboli prelevati o adattati da lingue straniere possono confluire nel lessico dell'uso comune, arricchendolo e rinnovandolo costantemente.
La forma francese néologisme, connotata negativamente come "abitudine a usare parole nuove", è documentata per la prima volta nel 1734, ma già nel 1726 era stato pubblicato il Dictionnaire néologique à l'usage des beaux esprits du siècle dell'abate P.-F. Guyot Desfontaines, che testimonia fin dal titolo l'uso dell'aggettivo néologique ("neologico") e contiene la prima apparizione del sostantivo néologue ("neologo, chi usa parole nuove"). Queste e altre forme della stessa famiglia lessicale - tra le quali néologie ("neologia, creazione di neologismi") - esprimono la tendenza prevalente nella cultura del 18° sec.: apprezzamento per la neologia come arte di formare parole nuove, se necessarie a rappresentare il progresso delle idee, e ostilità nei confronti dell'abuso di neologismi, in quanto considerati futili fantasie lessicali. Dalla lingua francese, allora dominante in Europa, l'intera costellazione verbale si è diffusa nelle altre lingue europee di cultura. La prima documentazione inglese risale al 1754, mentre la comparsa in italiano del termine neologismo si riscontra nei due volumi del Nouveau dictionnaire français-italien di F. D'Alberti di Villanuova, pubblicati a Parigi e a Marsiglia rispettivamente negli anni 1771 e 1772 e, successivamente, nel Saggio sopra la lingua italiana di M. Cesarotti (1785).
Il rinnovamento lessicale
La parola neologismo è, dunque, settecentesca, ma il fenomeno che essa esprime è ben più antico: il rinnovamento lessicale è un processo intrinseco alla vita stessa di ogni lingua, anche se è stato più volte guardato con cautela e sospetto, se non addirittura con avversione. Le prime testimonianze del fastidio per l'abuso di n. si trovano già in età classica, quando i retori e i grammatici latini definirono il concetto di vitiose loqui ("parlare in modo scorretto o corrotto"): i n. - detti verba nova ("parole nuove") o verba ficta ("parole escogitate in modo artificioso") - furono rifiutati come vitia che inquinavano la purezza della lingua e della cultura latina. Dalle riserve espresse in merito all'uso di parole nuove da Varrone, Cicerone e, in minor misura, da Quintiliano e poi ancora dalle grammatiche e dai trattati di retorica medievali, si discostò parzialmente l'importante Rhetorica ad Herennium, del 1° sec. a.C., che invitava a valersi dei n. con moderazione, sottolineando che il loro impiego accorto e sporadico, lungi dal molestare per l'eccessiva novità, poteva perfino abbellire e impreziosire l'eloquio.
La diffusione del cristianesimo conformò la lingua latina con espressioni prima sconosciute, riflesso di nuove esperienze e dottrine. Il latino più tardo, arricchito di espressioni e parole nuove, provenienti anche dalle traduzioni medievali dal greco e dall'arabo, rimase per secoli lo strumento della comunicazione intellettuale, grazie alla sua plastica capacità di ricevere e descrivere fenomeni e cambiamenti sociali e culturali. Questa consapevolezza permeò l'opera e il pensiero di Erasmo da Rotterdam, il quale, intervenendo nella polemica contro il ciceronianismo che pretendeva di difendere l'autonomia e la purezza della cultura latina, ricordò le parole e i significati nuovi introdotti in latino proprio da Cicerone. Ma un atteggiamento ostile ai n. pervase ancora l'Umanesimo e, a partire dal Cinquecento, caratterizzò anche le tendenze classicistiche sorte in Italia, che si svilupparono fino a elaborare un canone arcaizzante. Basti pensare all'influenza a lungo esercitata dall'arte della retorica sull'italiano, che per secoli ha vissuto uno statuto di lingua letteraria, prerogativa dei soli scrittori. Ne è riflesso, sul piano lessicografico, l'ostentato disinteresse degli accademici della Crusca per le terminologie specialistiche e le nomenclature delle arti e dei mestieri, fino a giungere all'intenzionale esclusione dalla prima edizione del Vocabolario (1612) di forme estranee al canone letterario: forestierismi, dialettalismi e neologismi.
Nel corso del Seicento l'Accademia della Crusca assunse il ruolo di baluardo a difesa della purezza della lingua italiana, ma le accese polemiche sviluppatesi contro l'eccesso di fiorentinismo e l'opera lungimirante di alcuni accademici di prestigio, tra i quali il cardinale Leopoldo de' Medici, L. Magalotti e F. Redi, contribuirono ad attenuare le posizioni più intransigenti e a prestare maggiore attenzione alla lingua dell'uso e alle nuove voci delle arti, della scienza e della tecnica, come testimoniato dalla terza edizione del Vocabolario (1691). Il 17° sec., però, registrò anche un rinnovamento del lessico poetico e letterario, che si espresse attraverso il conio di forme composte e derivate, inedite o di uso poco comune, come nel caso del poeta G. Marino, e di parole fantasiose o "pellegrine", come sostenuto da E. Tesauro nel Cannocchiale aristotelico (1654), il trattato che offre la chiave per intendere il concettismo e la poetica del Barocco.
Il mutamento del clima culturale. - I segnali di un più vivace cambiamento del clima culturale si registrarono nel corso del Settecento: ne furono antesignani il naturalista A. Vallisnieri e il poligrafo G.P. Bergantini, che accolsero nelle loro opere espressioni di origine straniera e nuovi termini scientifici e tecnici, in sintonia con la ricca produzione lessicografica anglofrancese e con la pubblicazione della prima grande enciclopedia dell'età moderna, l'Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772), di D. Diderot e J.-B. d'Alembert. "La liceità del neologismo è nel Settecento grandemente rafforzata; ragioni culturali e motivi sociali concorrono a conferire alla neologia uno statuto teorico solidissimo" (Vitale 1984, p. 27). Anche Cesarotti, nel Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana (edizione definitiva: Pisa 1800), difese l'innovazione lessicale come strumento di miglioramento e arricchimento delle lingue e situò in una corretta prospettiva storica la circolazione internazionale dei forestierismi. In questo contesto di apertura e vivacità di contatti fra culture diverse, G. Leopardi scrisse: "Rinunziare o sbandire una nuova parola o una sua nuova significazione (per forestiera o barbara ch'ella sia), quando la nostra lingua non abbia l'equivalente, o non l'abbia così precisa, e ricevuta in quel proprio e determinato senso; non è altro, e non può esser meno che rinunziare o sbandire, e trattar da barbara e illecita una nuova idea, e un nuovo concetto dello spirito umano" (Zibaldone di pensieri [2400], 18 apr. 1822).
Il Purismo ottocentesco. - Tuttavia, nel quadro internazionale della diffusione del movimento neoclassico, l'Ottocento italiano si caratterizzò per il fenomeno del Purismo, che nacque soprattutto per reazione all'influenza - da molti avvertita come invadente - della lingua e della cultura francesi, esportate con modi talvolta anche autoritari durante il periodo dell'espansione napoleonica. Fu proprio il Purismo a riportare in auge la purezza fiorentina e letteraria delle origini e a favorire la pubblicazione di numerosi repertori o elenchi di voci da censurare: latinismi, barbarismi, dialettalismi e neologismi. La maggior parte di tali repertori, poi spesso dimenticati perché rimasti relegati nel periodo in cui furono prodotti, si richiamava a due visioni in parte divergenti: quella del veronese A. Cesari, contraria a ogni rinnovamento e a ogni contatto con le altre lingue, e quella di altri lessicografi, che si potrebbero ritenere più moderati e tolleranti. Del primo e più folto gruppo si ricorda il Lessico della corrotta italianità (1877) di P. Fanfani e C. Arlìa; del secondo, i Neologismi buoni e cattivi più frequenti nell'uso odierno (1886) di G. Rigutini. L'unità d'Italia coincise con un'epoca di profonda trasformazione della società, nella quale si diffuse progressivamente l'educazione popolare e si avvertì la necessità di una lingua nazionale che sostituisse le parlate locali: l'annosa questione della lingua, prima riservata a una cerchia ristretta di intellettuali e letterati, coinvolse in modo crescente tutti gli strati sociali.
Il Dizionario moderno e i repertori successivi. - Il Novecento s'inaugurò con un'opera singolare e inedita per impianto e concezione, il Dizionario moderno (1905) dello scrittore e giornalista romagnolo A. Panzini, che ebbe l'idea di raccogliere parole e locuzioni nuove, registrate al loro primo apparire. Il rinnovarsi del lessico italiano fu raccontato attraverso la pubblicazione di sette edizioni, fino all'ottava, postuma, curata da A. Schiaffini e B. Migliorini nel 1942. La singolarità dell'opera consiste nell'atteggiamento dell'autore nei confronti dell'innovazione lessicale: ogni nuova forma o locuzione viene osservata con interesse e curiosità, e offre l'occasione per commenti e notazioni sui n. e sui forestierismi registrati, talvolta definiti brutti, deformi, mostruosi o ineleganti, ma sempre accolti con larghezza di documentazione e senza pregiudizi. Il dizionario panziniano è il capostipite di una serie di repertori di parole nuove, raccolte fino ai nostri giorni senza volontà di censura, come testimonianza del cambiamento linguistico e sociale. "Attraverso i neologismi, dunque, si può leggere in filigrana la storia della società che usa la lingua" (Marazzini 1994, p. 506).
Dopo una lunga parentesi, determinata dagli eventi della Seconda guerra mondiale, l'attività lessicografica riprese vigore tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta e andò maturando una nuova consapevolezza disciplinare e teorica, con l'intento di mettere i lettori in contatto con la realtà linguistica del momento, tenendo conto non più solo della lingua letteraria, ma anche di quella parlata, della lingua dei giornali e degli altri mezzi di informazione. Il crescente interesse manifestato per i n. nella seconda metà del Novecento è dovuto principalmente a due fattori: il rapido progresso scientifico e tecnologico, che ha comportato la continua ricerca di denominazioni nuove; e il graduale abbattimento di ogni ostacolo che precedentemente si frapponeva alle molteplici forme di comunicazione internazionale, fino alla capillare diffusione della rete telematica. Già nel 18° sec., con la formulazione delle classificazioni e delle tassonomie del sapere scientifico, i linguaggi della scienza e della tecnica avevano attinto dal patrimonio comune delle lingue classiche gli elementi lessicali idonei a costruire nuovi termini, con l'indubbio vantaggio di poterli facilmente adattare e integrare nelle diverse lingue di cultura, in modo tale da favorire una circolazione ampia e trasparente della terminologia scientifica e tecnica in ambito internazionale. Qualcosa di simile è accaduto, a partire dagli ultimi decenni del 20° sec., con la diffusione osmotica e simultanea di parole o espressioni nuove che adattavano o ricalcavano in vario modo elementi lessicali di matrice inglese o angloamericana, soprattutto nell'ambito della tecnologia, dell'economia, dei grandi eventi di portata mondiale, ma anche con riferimento a esperienze della vita quotidiana che tendono a somigliarsi sempre di più in ogni luogo del pianeta.
Si tratta di parole o locuzioni recentemente analizzate e classificate con il nome di internazionalismi (Internationalismen 1990; Petralli 1996), il cui esempio più eloquente è l'espressione stessa globalizzazione, che designa proprio il processo di progressivo superamento e abbattimento dei confini nazionali.
L'aspetto che più colpisce in una nuova formazione lessicale consiste spesso nell'iniziale difficoltà a riconoscerla come familiare, quasi fosse un'alterazione del codice che permette a coloro che parlano la stessa lingua di comunicare tra loro. Per questo motivo, è naturale che le neoformazioni lessicali possano apparire inizialmente buffe o brutte, solo per mancanza d'abitudine. L'impressione sgradevole si attenua nel tempo e ciò che poteva sembrare sorprendente o ridicolo viene progressivamente accettato, fino a risultare indistinguibile o naturale, se non abituale. Già Diderot, ideatore dell'Encyclopédie, aveva notato che ogni parola nuova produce all'orecchio di chi l'ascolta un effetto di sorpresa e disagio che sarà mitigato dal tempo, poiché la fortuna di un n., pur legata alla sua efficacia espressiva, dipende soprattutto dal reale bisogno di denominare oggetti, concetti o fenomeni che non sono ancora conosciuti.
Le nuove forme di produzione dei neologismi
Nella seconda metà del Novecento si è assistito anche a una progressiva diversificazione delle fonti e dei canali di diffusione dei n.: alla produzione letteraria e a quella tecnico-scientifica si affiancano, infatti, nuovi e più potenti mezzi d'informazione, che suscitano un interesse sempre più vasto in ampi strati della società e che contribuiscono a diffondere livelli omogenei e condivisi di competenza linguistica e lessicale. La stampa quotidiana e periodica, il cinema, la radio, la televisione e, da ultimo, l'informatica e le reti telematiche svolgono contemporaneamente i ruoli di fonti di produzione, filtro e cassa di risonanza di notizie, scoperte, stili di vita, mode e tendenze e, quindi, delle parole che li esprimono. Molte di queste parole sono accolte definitivamente e a pieno titolo nel lessico dell'uso comune; altre restano prerogativa di momenti o periodi determinati e mantengono alcuni tratti che le rendono immediatamente riconoscibili e databili; altre ancora entrano come meteore nell'universo lessicale di una lingua, si affermano nell'uso per un breve periodo di tempo, e poi scompaiono o rimangono relegate ai margini, in qualcuna delle tante periferie del lessico dove spesso - per riprendere una metafora di L. Wittgenstein - proprio come in una grande metropoli, la loro esistenza o sopravvivenza continuerà a essere ignorata da molti abitanti. Accade, inoltre, che le neoformazioni lessicali risultino caricate di connotati scherzosi, ironici o addirittura polemici; altre volte sono creazioni volutamente estemporanee, adatte agli slogan pubblicitari, ai tempi serrati della programmazione radiofonica e televisiva, o agli spazi ridotti di un titolo e allo stile sincopato dei quotidiani. Vi sono, però, accorgimenti e segnali particolari che sollecitano l'attenzione dell'ascoltatore, dell'interlocutore o del lettore nel sintonizzarsi con lo spirito che plasma tali neologismi. Nel parlato, si tratta dell'intonazione e, talvolta, della mimica o dell'aggiunta di una spiegazione o di una definizione; aggiunte esplicative o definitorie si possono riscontrare anche nei testi scritti, accanto a un uso appropriato di caratteristiche e segni tipografici, quali le virgolette, il corsivo o anche il neretto e le parentesi. Sono tutti mezzi che permettono sia di prendere le distanze da un'espressione avvertita ancora come stravagante, troppo estrosa o eccessivamente alla moda, sia di caricare certe parole di un'enfasi particolare, con il fine di far passare giudizi insinuanti, ammiccamenti o valutazioni. Ma tali accorgimenti e meccanismi sono l'indizio più evidente dello statuto neologico di una parola o di un'espressione e sono soliti accompagnarla dalle prime apparizioni fino all'accettazione nel lessico dell'uso comune.
Classificazione dei neologismi
Tutto ciò potrebbe far pensare che individuare la data di nascita e la paternità di un n. sia un'operazione relativamente facile. In realtà, gli aspetti da considerare per poter stabilire con certezza la datazione di una parola nuova variano a seconda che si tratti di neoformazioni letterarie, di termini nuovi della scienza e della tecnica, di nuove accezioni di parole già esistenti o di forestierismi e dialettalismi. Il caso che può apparire più semplice è quello che lo storico della lingua italiana B. Migliorini (1896-1975) ha definito parola d'autore, sul modello dell'espressione quadro d'autore, perché quella parola "è stata coniata da una persona nota, in un certo tempo, in un certo luogo"; ma un'attribuzione e una datazione certe richiederebbero, anche in questo caso, verifiche e controlli interminabili e al tempo stesso irrealizzabili su tutta la produzione anteriore. Per quanto riguarda le neoformazioni dei linguaggi settoriali, occorre tener presente la difficoltà di rintracciarne la prima attestazione, che potrebbe precedere di molto la loro reale diffusione tra gli specialisti. Le medesime difficoltà di documentazione sussistono per gli slittamenti di significato e i cambiamenti di funzione grammaticale, così come per i forestierismi e i dialettalismi, dei quali è arduo fissare con precisione il momento di passaggio nel lessico italiano. D'altra parte, la documentazione dell'"uso incipiente" - raccomandata da Migliorini per individuare le prime attestazioni di parole o espressioni nuove candidate a entrare nell'uso vivo della lingua - è un sussidio prezioso per chi compila i vocabolari, che assumono il ruolo di rappresentazione riconosciuta e condivisa del lessico di una lingua. Il vaglio e la selezione che determinano l'esclusione o l'ingresso di una neoformazione nei vocabolari sanciscono la definitiva accettazione di una parola nuova e provocano, conseguentemente, la perdita del suo statuto neologico.
Tra le molteplici possibilità di descrivere e classificare i vari tipi di n., può risultare utile basarsi sui processi di trasformazione, combinazione o cambiamento di significato che si producono negli elementi formanti. I n. ottenuti per derivazione, quelli cioè che hanno origine da parole già esistenti, si ricavano mediante la modificazione della sola forma di ogni parola: per accorciamento (cioè attraverso l'abbreviazione della parola: per es., corto in luogo di cortometraggio); con l'aggiunta di affissi (siano essi prefissi, suffissi o entrambi, come nei casi di iperburocratico, buonsensista, sbianchettare); per adattamento da parole straniere (per es., deregolazione, dall'inglese deregulation); o, come deacronimici, mediante la trascrizione della pronuncia delle singole lettere che compongono acronimi o sigle (per es., essemmesse, da SMS, Short Message Service).
I n. per composizione, quelli che nascono dalla combinazione di due o più unità lessicali preesistenti, si possono ottenere mediante l'aggiunta di prefissoidi (come in cardiocentro) o suffissoidi (come in idrogenodotto), detti anche confissi, cioè elementi lessicali dotati di significato autonomo, che sono per lo più formanti colti perché tratti dal patrimonio delle lingue classiche. È possibile, però, incontrare anche n. sintattici formati tramite l'ellissi di un elemento lessicale originariamente presente (come nella locuzione colloquiale da paura) o mediante la riduzione delle parole che li compongono alle sole lettere iniziali, come nel caso di acronimi o sigle (per es., ENAC, Ente Nazionale per l'Aviazione Civile).
Quando si sottrae parte di una o più parole collegate, si produce quel fenomeno che i linguisti chiamano tamponamento, grazie al quale il n. assume le caratteristiche di una forma grafica univerbata (per es., diversabile per diversamente abile); un tipo particolare di tamponamento è l'acronimo ottenuto tagliando e fondendo tra loro le parole di un'unità composta (come COAVISOC, Commissione d'Appello per la Vigilanza e il Controllo delle Società di Calcio Professionistiche). Può accadere, infine, che si determini il cambiamento di una proprietà grammaticale o della funzione sintattica di un'unità lessicale, dando luogo in questo caso al fenomeno della transcategorizzazione (come nel caso del sostantivo palmare, calcolatore o telefono cellulare evoluto tecnologicamente che sta nel palmo di una mano).
A livello semantico, un n. può avere origine da parole già esistenti, attraverso figure retoriche come l'antonomasia (per es., calimero, chi è ingiustamente oggetto di scarsa considerazione), la metafora (gamba, componente partitica di fondamentale importanza nel sostegno di una coalizione politica), la metonimia (Eurotower, la Banca centrale europea a Francoforte, dal nome della sua sede), l'onomatopea (tic tac) o l'enfasi espressiva (gggiovane), ma anche dall'introduzione nel lessico comune di quelle forme note come dialettalismi (fanagottone, dal milanese fanigutùn, fannullone) o forestierismi (questi ultimi presi in prestito da lingue straniere, come nel caso di bookshop). È anche possibile ridefinire un'unità lessicale mediante la specializzazione del suo significato generico all'interno di un ambito specifico (è il caso di campana, contenitore di forma simile a una campana destinato alla raccolta differenziata dei rifiuti). Tra i n. semantici rientra anche un tipo del tutto particolare, quello dei calchi lessicali: espressioni che traducono e ricalcano letteralmente locuzioni di origine straniera (come finanza creativa, dall'inglese creative finance).
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