NEREO e NEREIDI (Νηρεύς, Νηρηίδες; Nereus, Nerēides)
Nereo fu, presso i Greci antichi, la più gradita e la più cantata fra le divinità marine. Lo si immaginò come un bel vecchio, lieto e sereno, pieno di senno e di sapienza, che, insieme con le sue figliole, abitava, nel fondo del mare, una grotta scintillante di luce. Sue figlie sono le Nereidi, a lui generate dall'oceanina Doride in numero di cinquanta o (secondo i mitografi più tardi) di cento.
I nomi greci di Nereo e Nereidi sono certo da derivarsi da νάω ("sgorgo", "fluisco"), ναρός ("fluido", "liquido"; cfr. il greco mod. νερό "acqua"); e come Nereo impersonava il mare nei suoi aspetti più giocondi, più pittoreschi, più utili all'esistenza dell'uomo, così le Nereidi, amiche e confortatrici dei naviganti, personificavano le lente e molli onde del mare in bonaccia.
Alle Nereidi il mito, e specialmente la poesia, attribuirono nomi spesso significativi e allusivi alle loro qualità fisiche o alle loro doti spirituali: vi fu così, fra essi, Pasithea ("tutta divina"), Laomedeia ("reggitrice di popoli"), Erato ("amabile"), Thaleia ("fiorente"), e così via. Spesso i poeti amarono raggruppare due o più Nereidi i cui nomi avessero significato simile o in qualche modo corrispondente: così Saò e Anfitrite ("colei che conduce in salvezza" e "la signora del rumoreggiante mare"); Erato ed Eunike ("la passione d'amore" e "la gioia della vittoria"); ecc.
Le più famose di tutte furono Anfitrite, consorte di Posidone, e Tetide, la massima delle Nereidi e direttrice delle loro danze, alle cui nozze avevano aspirato Posidone e lo stesso Zeus, ma che volle invece sposare un mortale, Peleo, avendo saputo che da lei sarebbe nato un figlio più forte del padre. Molto celebrata fu anche, specialmente nelle leggende siceliote e italiote, Galatea, amante del ciclope Polifemo; né meno famose furono Amaltea e Aretusa.
Dal ricordo delle Nereidi il pensiero era costantemente riportato alla dolce serenità del mare tranquillo; poiché esse, salendo alla superficie del mare, vi portavano quella stessa calma di cui godevano nelle profonde loro dimore: spesso anche, nelle notti di luna, s'immaginava che, in prossimità della costa, s'intrattenessero a suonare coi Tritoni o che, salendo sulla terra, presso le foci dei fiumi, vi si fermassero a danzare e a cantare. S'intende così come i culti di Nereo e delle Nereidi si trovino di frequente localizzati nelle isole o sulle coste e in prossimità delle foci dei fiumi, dove specialmente s'incontra il culto di Tetide e di Achille.
Nereo poi si trova introdotto in altre leggende, soprattutto in quelle di Eracle e di Paride, a causa delle sue doti profetiche. A Eracle, che gli aveva chiesto suggerimenti sul modo migliore di venire in possesso dei pomi delle Esperidi, Nereo rifiutò a lungo una risposta, sottraendosi alla sua forza con ripetute trasformazioni, finché Eracle, tenendolo stretto, lo costrinse a cedere. Più facilmente invece concesse il suo vaticinio a Paride.
Bibl.: L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1894, p. 554 segg.; P. Weizsäcker e Bloch, in Roscher, Lexikon der griech. und. röm. Mythologie, III, coll. 207 segg., 240 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, passim.
La rappresentazione delle Nereidi è stato tema assai caro all'arte figurativa dell'antichità che in una serie quasi innumerevole di monumenti d'ogni genere, dall'arcaismo fino alla tarda età romana, ci dà i varî episodî del mito, in cui le Nereidi appaiono ora in piccolo, ora in grande numero. In corrispondenza con la tradizione poetica le Nereidi prendono parte alla lotta del padre Nereo contro Eracle, e di Eracle contro il vecchio marino (ἅλιος γέρων), assistono alla liberazione di Andromeda, formano corteo agli Argonauti e alla sorella Anfitrite che va sposa a Posidone, seguono Europa nel suo viaggio sul mare fino a Creta, soprattutto s'interessano al destino della sorella Tetide, di cui seguono le sorti dall'audace ratto di Peleo fino al tragico destino di Achille: in quest'ultimo ciclo particolarmente amato è l'episodio delle Nereidi che portano ad Achille le armi forgiate da Efesto. Fuori della leggenda, l'arte greca, ogni volta che deve rappresentare un viaggio di divinità attraverso il mare, si compiace di animare il paesaggio con un corteo di Nereidi su mostri marini. Per lo studio tipologico delle Nereidi, i vasi dipinti restano la fonte principale: sui più antichi - sec. VI-V a. C. - esse sono completamente vestite: nel sec. IV, corrispondentemente a quanto avveniva nella grande arte, gli artisti osano svestirle, ma parzialmente, lasciando intravvedere ora una spalla, ora il seno: solo nell'età ellenistica e romana esse ci appaiono in una completa nudità. Rappresentazioni di Nereidi nella statuaria non sono numerose, ma sono di singolare interesse, perché, nella grande arte, la concezione artistica trova più adeguata espressione: avvolte da lunghe vesti fluttuanti, tengono talvolta con le due mani l'ampio himation, che si tende dietro il loro capo come una vela in cui il vento s'ingolfa: così le Nereidi che ornavano gl'intercolunnî del monumento funerario di Xantho (nella Licia), secondo l'antica concezione greca (già contenuta nella Aithiopis di Arctino, cfr. Quint. Smyrn., III, 770 segg.), che faceva delle Nereidi le accompagnatrici delle anime giuste verso le isole dei beati.
Nella prima metà del sec. IV abbiamo a Epidauro le Nereidi acroteriali di Timoteo, sedute su cavalli sorgenti dal mare. Ma la più famosa rappresentazione di Nereidi nell'antichità era un'opera di Scopa, che Plinio vide a Roma (Nat. Hist., XXXVI, 26), ma della quale non ci resta che l'eco della tradizione letteraria. Rappresentazioni singole di Nereidi in epoca più tarda non sono rare, soprattutto come ornamento di giardini e di fontane: così ad es. la Nereide rapita dal centauro marino (Museo Vaticano, Sala pompeiana degli animali): tema da vecchia fiaba, concepito con la sorridente arguzia dell'ultima corrente dell'arte ellenistica, di cui è esponente Arcesilao (v. arcesilao, IV, p. 20). Un riflesso della stessa arte vediamo nella pittura con la bella Galatea che ride dell'infelice amore di Polifemo, e nel rilievo dell'ara di Cn. Domizio Enobarbo. E gli schemi e le forme, fissati in quest'ultimo periodo dell'arte ellenistica, resteranno immutati nelle numerose rappresentazioni dell'arte decorativa romana, quali musaici e rilievi di sarcofagi, di grandi vasi, di fontane.
Bibl.: O. Navarre, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, IV, i, pp. 72-75; P. Weizsäcker, in Roscher, Lexikon der griech. u. röm. Mythologie, III, col. 216 segg. (ivi precedente bibliografia). Per la rappresentazione di Nereidi con le armi di Achille si veda particolarmente, H. Heydemann, Nereiden mit den Waffen des Achilles, Halle 1879.