CAPPONI, Neri
Nato il 3 luglio 1388 da Gino di Neri e da Margherita di Iacopo Nasi, ereditò dal padre una preminente posizione in seno alla classe politica fiorentina della prima metà del sec. XV, e nei due primi decenni del regime mediceo fu secondo in importanza solo a Cosimo de' Medici. Educato dal padre come mercante, passò gran parte dei suoi primi anni curando gli interessi commerciali della famiglia. Nel 1401 fu iscritto all'arte della lana. Tuttavia, come figlio maggiore di uno dei principali uomini politici fiorentini, egli prese parte sin da allora alla vita politica. A diciotto anni fu tra gli ostaggi dati da Firenze al Gambacorta in seguito all'accordo concluso da suo padre per la resa di Pisa nel 1406. Così il C. fu presente all'occupazione della città e dette probabilmente la forma definitiva ai Commentari sull'acquisto di Pisa spesso attribuiti a suo padre; a lui Matteo Palmieri dedicò il De captivitate Pisarum liber.
Il C. ebbe la prima carica pubblica nel 1412, quando fu capitano del Bigallo; l'anno successivo fu tra gli ufficiali delle Condotte. In seguito ricoprì varie cariche minori: il che rettifica l'opinione comunemente accettata secondo la quale egli in quegli anni fu continuamente fuori Firenze per affari. Nel 1417 fu camerlengo del Comune; nel 1420 occupò la sua prima carica maggiore come capitano di Volterra. Nel 1421, l'anno della morte del padre, il C. era podestà di Pistoia; nello stesso anno l'ambasciatore fiorentino a Roma, Rinaldo degli Albizzi, ricevette l'istruzione di intercedere presso Martino V per ottenere la restituzione di 2.000 fiorini, di cui il papa era debitore verso il C. e altri mercanti fiorentini. Nel gennaio 1423 fu per la prima volta dei Priori, la maggiore magistratura del governo fiorentino.
Il contributo del C. alla politica fiorentina si realizzò in modo particolare nel settore degli affari esteri, e specialmente in quello della supervisione e della direzione della politica militare. La fondamentale importanza della guerra nella vita politica, e la conseguente necessità di stabilire buone relazioni con i più importanti condottieri, erano già state sostenute dal padre del C., Gino, nel corso della sua attività pubblica e dallo stesso teorizzate nei Ricordi, scritti nell'ultimo anno di vita a guisa di consigli per i propri figli. Nel 1424 il C. ebbe la prima esperienza importante fuori del Comune, quando fu inviato a Roma per ottenere il sostegno di Martino V contro la minaccia di Filippo Maria Visconti. Incontratosi successivamente con Braccio da Montone concluse con lui un accordo che però fu reso vano dalla morte dello stesso all'Aquila. Nel corso della missione, inoltre, riuscì a mettere al soldo di Firenze uno dei principali capitani pontifici, Luigi da Sanseverino. Ma questi non onorò il contratto, e fu in parte per recuperare l'acconto dato al condottiero che il C. ritornò a Roma nell'ottobre 1424. Il 29 di quel mese giunse in questa città, ove già si trovava Rinaldo degli Albizzi, come oratore fiorentino presso la Curia. Sembra che l'Albizzi si risentisse in qualche modo dell'arrivo del C., considerandolo offensivo per la sua esperienza di diplomatico; e forse la rivalità tra i due, che esplose negli anni successivi, ebbe origine da questo episodio. Quindici giorni dopo l'Albizzi venne richiamato a Firenze e lasciò il C. a proseguire i tentativi per ottenere l'appoggio papale contro il Visconti.
In quest'epoca il C. era ancora notevolmente impegnato, oltre che nella vita pubblica, anche negli affari. Nel catasto del 1427 egli registrò una società bancaria con i fratelli Lorenzo ed Agostino, e anche una bottega dell'arte della lana. Ma poco tempo dopo, l'inizio della guerra contro Lucca obbligò il C. a dedicarsi quasi esclusivamente alla vita pubblica. Tra il 1429 e il 1434 egli fu frequentemente impegnato nella vicenda bellica, sia come membro dei Dieci della guerra sia come commissario presso l'esercito. Si è supposto che il C. avesse un interesse personale nell'aggressione contro Lucca, in quanto come membro eminente dell'arte della seta avrebbe desiderato la distruzione dell'industria serica lucchese o almeno la sua subordinazione a quella fiorentina; tuttavia dalle testimonianze in nostro possesso non risulta né che la posizione del C. nell'industria della seta fosse così eminente da giustificare tale ipotesi, né che egli fosse stato tra i promotori della guerra.
L'aggressione contro Lucca era stata preceduta dalla ribellione di Volterra, per combattere la quale Firenze raccolse un considerevole esercito sotto il comando di Niccolò Fortebraccio e condusse una attiva campagna diplomatica per isolare i Volterrani. Il C. fu inviato a Siena nell'ottobre 1429 per ottenere l'appoggio di quella Repubblica contro la ribellione. Domati i ribelli, Fortebraccio diresse l'esercito verso la Lucchesia, saccheggiandone le campagne e provocando così l'apertura delle ostilità con Lucca. Il 24 dic. 1429 il C. fu inviato presso l'esercito come commissario e concluse con Fortebraccio una nuova condotta per 700 cavalli e 200 fanti. Si disse che nel corso degli eventi che seguirono il C. ebbe su Fortebraccio maggiore influenza di ogni altro commissario fiorentino; il che spiega la sua quasi continua partecipazione agli eventi militari degli anni immediatamente successivi. Nel gennaio dell'anno 1430 il C. si occupò dell'approvvigionamento dell'esercito che assediava Collodi e acquistò grande onore a Firenze per la successiva conquista della cittadina. Fu allora che si manifestò l'ostilità di Rinaldo degli Albizzi, anch'egli commissario presso l'esercito, nei suoi confronti. Rinaldo, infatti, nelle lettere inviate a Firenze, si lamentò della grande influenza che il C. godeva sia presso i condottieri sia a Pistoia, da dove l'esercito veniva rifornito e dove il C. aveva legami con la fazione dei Cancellieri. Come già suo padre aveva sostenuto in una situazione simile - cioè durante l'assedio di Pisa nel 1406 -, il C. insisteva che una sistematica devastazione del contado lucchese e un rigido assedio sarebbero stati più efficaci che un attacco diretto contro la città. Si oppose perciò al piano del Brunelleschi di inondare Lucca deviando il Serchio, considerandolo irrealizzabile, e il successivo fallimento del progetto accrebbe ulteriormente la sua reputazione di essere tra i pochi fiorentini ad intendersi di arte militare. Nel corso del 1430 e del 1431 il C. ebbe incarichi di castellano di diverse fortezze pisane, ma in effetti fu quasi sempre con Pesercito.
Tuttavia quando, nel gennaio 1432, egli si recò in forma privata a Roma per ottenere l'appoggio papale alla guerra, Rinaldo degli Albizzi riuscì a volgergli contro il governo fiorentino: il C. fu accusato di fomentare le fazioni nella città e condannato in contumacia all'esilio. Ma appena Rinaldo lasciò Firenze per affari, il governo revocò la condanna e il C., riabilitato, poté rientrare in città: in giugno egli era già tornato al centro della scena politica. Diversamente da quel che farà poi Cosimo de' Medici due anni dopo, egli non cercò di sfruttare politicamente il ricuperato favore popolare e non volle stabilire alcun tipo di dominio politico su Firenze. Egli non era, come il Machiavelli rilevò successivamente, capo di una fazione politica e rimase sempre, come il padre, un fermo difensore della tradizione repubblicana. Nell'ottobre 1432 il C. fu nominato capitano di Pistoia e riprese a occuparsi specialmente di questioni militari.
Resta oscuro il ruolo sostenuto dal C. negli avvenimenti che fecero da sfondo all'esilio e al successivo ritorno trionfale di Cosimo de' Medici nel 1433-34. Evidente risulta la sua opposizione ai tentativi degli Albizzi di dominare lo Stato, ed è probabile che questa, più che una reale simpatia verso il regime mediceo, lo spingesse ad appoggiare Cosimo. L'Albizzi certamente temette un'alleanza tra i suoi due maggiori rivali e tentò ancora, senza successo, di far condannare il C. dalla Signoria. Ma il maggiore interesse del C. continuava ad essere la guerra, e tenendosi lontano da Firenze egli evitò in gran parte di restare coinvolto nella lotta tra le fazioni. I medicei compresero l'importanza di ottenere almeno l'appoggio passivo del C. e Agnolo Acciaiuoli scrisse a Cosimo in esilio: "Io ti consiglio che tu adoperi, con tutto tuo potere, che Neri di Gino ti sia amico; perocché io non ci conosco uomo da più di lui, ed a cui bisogno tuo venisse fatto". Neri, insieme con Luca degli Albizzi - fratello di Rinaldo, ma in rotta con lui - svolse comunque un ruolo importante, come comandante della fanteria comunale, nei decisivi fatti di settembre, quando resistette al tentativo di colpo di Stato operato da Rinaldo e aprì in tal modo la strada al richiamo di Cosimo.
Nonostante il favore che aveva mostrato nei riguardi dei Medici, il C. restò un oppositore del predominio di una fazione nel governo di Firenze. Nel 1434 aveva temuto l'influenza degli Albizzi più di quella dei Medici, ma nei primi anni del regime mediceo evitò di associarsi strettamente a Cosimo e fu pertanto considerato con qualche sospetto. Fece parte della prima Balia medicea e nel luglio 1436 divenne gonfaloniere di giustizia; ma continuò a passare buona parte del suo tempo fuori Firenze, presso l'esercito. Nel 1435 fu inviato ambasciatore a Venezia per tentare di rinnovare la lega tra le due Repubbliche contro i Visconti. Quando ricevette la nomina a gonfaloniere il C. era commissario presso le truppe dislocate in Lunigiana: tornò a Firenze solo per i due mesi di durata dell'ufficio, ma subito dopo tornò presso l'esercito per difendere Barga contro il Piccinino e per organizzare con Francesco Sforza un nuovo attacco contro Lucca. Tra il 1437 e il 1441 fu quasi continuamente tra i Dieci della guerra; nel 1438 andò a Genova per promuovere uno sforzo bellico unitario. Nella primavera del 1439 fu rappresentante fiorentino al campo di Francesco Sforza, che era al servizio insieme di Firenze e di Venezia, e fu in gran parte suo merito l'aver convinto il condottiero a muoversi verso nord per opporsi al brillante assalto che il Piccinino aveva lanciato contro lo Stato veneziano. Ottenuta la promessa dello Sforza, il C. andò a Venezia per annunciare la notizia: il Senato lo accolse con grande gratitudine ed entusiasmo e gli offrì l'onore, che il C. declinò, dello status di nobile veneziano.
Nel febbraio 1440 il C. era ancora una volta a Venezia, con Giulio Davanzati, per discutere i piani di guerra e per sondare le intenzioni di Francesco Sforza in un momento in cui la fedeltà di questultimo alla lega sembrava vacillare: incontrò lo Sforza a Verona e riuscì a persuaderlo a continuare la guerra contro Milano. Ottenne inoltre da lui 1500 cavalieri, che condusse a Firenze per rafforzare l'esercito contro l'attacco che il Piccinino portava dall'Umbria e che doveva concludersi con la battaglia d'Anghiari, cui il C. fu presente come commissario insieme con Bernardetto de' Medici. Ancora una volta la fermezza del C. nei riguardi dei condottieri e la sua comprensione della loro mentalità contribuirono in modo probabilmente rilevante alla vittoria, di cui certamente a Firenze egli fu salutato come il vero artefice. In segno di onore la città natale gli offrì il cavalierato; ma ancora una volta il C. si schermì, limitandosi ad accettare un elmo cerimoniale d'argento e un'armatura completa che sarebbero divenuti l'eredità più preziosa della famiglia Capponi. Dopo la battaglia il C. accompagnò una parte dell'esercito in una riuscita azione di rappresaglia contro il conte di Poppi, che aveva appoggiato i Milanesi; di questa breve campagna lasciò una descrizione nella sua Cacciata dei conti di Poppi, edita dal Muratori.
Tra i comandanti fiorentini ad Anghiari era l'indisciplinato capitano di fanteria Baldaccio d'Anghiari; quando, nel 1441, Baldaccio venne in odio alla Signoria per insubordinazione e sospetto di tradimento, si disse ch'egli era legato al C. da stretta amicizia. Tale legame tra un politico di primo piano e un pericoloso soldato fu ritenuto dal Machiavelli la causa principale del successivo assassinio di Baldaccio. Non è certo improbabile che Baldaccio e il C. fossero amici, date le note relazioni del C. con numerosi tra i principali capitani; ma è molto improbabile che tale amicizia fosse la base per un colpo di Stato antimediceo. Il C. certamente si oppose a Cosimo in numerose occasioni e quasi certamente diffidò dei metodi oligarchici che quest'ultimo usava per assicurarsi il dominio dello Stato; ma l'ipotesi di una fazione antimedicea guidata da lui, suggerita dal Cavalcanti, appare eccessiva. Come affermò il Machiavelli, il C. aveva "assai amici e pochi partigiani": non era il capo di una fazione nel senso in cui lo era Cosimo, e infatti sembrò riconciliarsi sempre di più col regime e con i suoi metodi. Dopo esser stato podestà di Prato nel 1443, fu membro di quella Balia del 1444 che rafforzò il sistema di controlli elettorali tipico del regime mediceo.
Nel 1444 il C., con Cosimo e tre cardinali, fu scelto per l'arbitrato tra Eugenio IV e Francesco Sforza, ed e chiaro che sia all'interno sia all'esterno era considerato il secondo cittadino di Firenze. Nel 1446 fu di nuovo oratore a Venezia, e nell'anno seguente fu tra gli ambasciatori inviati da Firenze a Niccolò V per congratularsi della sua elezione al pontificato. In questa occasione il C. incontrò a Tivoli Alfonso d'Aragona, contro cui due anni dopo dovette riprendere l'attività militare. Nel 1448 infatti fu commissario dell'esercito che soccorse Piombino assediata dai Napoletani e riconquistò Ripalbello e Ripomarancio. Nello stesso anno il C. fu ammesso alla delicata carica di accoppiatore, chiaro indizio che a quest'epoca egli si era pienamente riconciliato col sistema mediceo di controllare indirettamente il governo di Firenze.
Il C. ebbe ancora un urto con Cosimo sulla decisione di passare dalla alleanza con Venezia a quella con Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti e l'emergere di una probabile successione di Francesco Sforza. Il mutamento di alleanza fu promosso da Cosimo, e probabilmente rappresentò un realistico riconoscimento dei cambiamenti sopravvenuti nell'equilibrio degli Stati italiani; ma il C., la cui visione delle relazioni internazionali era più conservatrice di quella di Cosimo, temeva la minaccia che lo Sforza avrebbe rappresentato come duca di Milano e probabilmente provava una certa simpatia per l'idea di una Repubblica ambrosiana. Inoltre egli era conosciuto e apprezzato a Venezia, ed evidentemente non era ossessionato da quella crescente paura dell'imperialismo veneziano che stava diventando così diffusa a Firenze. Comunque la sua opposizione al mutamento delle alleanze fu respinta, e il C. stesso, dopo aver partecipato all'ambasceria che si congratulò con lo Sforza per la conquista del ducato, si recò a Venezia per l'ambasceria conclusiva che terminò con la rottura tra le due Repubbliche. La guerra che seguì vide il C. ancora una volta impegnato come commissario nella campagna contro i Napoletani, e ancora una volta in un ruolo decisivo nella direzione della politica militare.
Il C. occupò l'ultimo ufficio maggiore nel 1453, come capitano di Pistoia; ma anche nell'anno della morte era pronto ad accettare cariche minori come quelle di castellano di Vico Pisano e del castello S. Giorgio in Pisa. Morì il 27 nov. 1457.
L'intensa attività politica e militare degli ultimi trent'anni consentì al C. poco tempo per le attività commerciali, che egli lasciò ai figli e particolarmente a Gino, al cui nome nel 1453 fu registrata la bottega di lane della famiglia. Tuttavia il C. accrebbe il patrimonio familiare, particolarmente nel contado di Pisa in cui passò tanta parte della sua vita con l'esercito. Non ci sono prove che il C. avesse interessi culturali particolarmente intensi, anche se l'importanza della sua posizione politica lo obbligava a partecipare al patronato di numerose opere d'arte. Nel 1443, come uno degli operai del duomo, concordò con Donatello i particolari delle sculture della cantoria della cattedrale; partecipò anche al consorzio di ricchi parrocchiani che commissionò al Brunelleschi la ricostruzione della chiesa di S. Spirito. Egli stesso fu poi sepolto in quella chiesa, e il suo elogio funebre fu scritto da Cristoforo Landino.
Il C. aveva sposato Selvaggia di Tommaso Sacchetti, che gli diede dieci figli e morì il 15 sett. 1450. Le considerevoli sostanze del C. furono ereditate dal figlio Gino, con adeguati legati per le figlie viventi, sposate ad esponenti delle famiglie Nerli, Corbinelli, Bardi e Manetti.
Ai posteri il C. lasciò quei Commentari che, essendo la cronaca di uno tra i personaggi politici più attivi e impegnati, rimangono una fonte inestimabile per la storia di quei periodo. Gli scritti storici del C., e cioè i Commentari e La cacciata dei conti di Poppi, furono editi da L. A. Muratori nei Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, insieme con i Commentari sull'acquisto di Pisa spesso attribuiti al C. (si veda la bibliografia relativa al padre del C., Gino).
Il ritratto del C. ricorre varie volte nella pittura e scultura fiorentine. L'unico autentico è il medaglione (che lo rappresenta in tarda età) sulla sua tomba, dovuto con tutta probabilità a Bernardo Rossellino. Negli affreschi della cappella Sassetti in Santa Trinita (circa 1481-85), dovuti al Ghirlandaio, appare invece in età più giovanile ed è riconoscibile nel personaggio a testa nuda alla destra nella Resurrezione del figlio del notaio romano.Il ritratto deriva probabilmente dal busto in terracotta, ora nel Bargello, spesso attribuito a Donatello ed erroneamente identificato con Niccolò da Uzzano. Nel secolo successivo il C. fu ritratto dal Vasari nell'affresco di Palazzo Vecchio mentre cavalca dietro Cosimo il Vecchio che rientra a Firenze dall'esilio. Una serie di affreschi che rappresentano i momenti più importanti della sua vita fu dipinta intorno al 1585 da Bernardino Poccetti nel palazzo Capponi sull'attuale lungarno Guicciardini, dove esiste anche un suo ritratto di profilo, con turbante, ripreso dal medaglione tombale.
Fonti e Bibl.: Un'immensa massa di materiale sparso utile ad una biografia del C. si trova all'Archivio di Stato di Firenze, e molte sue lettere sono nel fondo Mediceo avanti il Principato. Una biografia umanistica del C. quasi contemporanea è quella lasciata da B. Platina, Vita NeriiCapponi Florentini, edita da L. A. Muratori nei Rerum Italicarum Scriptores, XX, Mediolani 1731, coll. 477-516.Il saggio biografico più esauriente, in cui sono anche pubblicate numerose lettere del C., è quello di I. Masetti-Bencini, N.C.;note biograf. tratte da documenti, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, XVI(1905), pp. 91-100, 136-54, 158-74;dello stesso autore si veda Notee appunti tratti da docum. sulla vita politica di N. C., ibid., XX (1909), pp. 15-31, 33-56.Si confrontino inoltre: D. Buoninsegni, Storia della città di Firenze dall'anno 1410 al 1460, Firenze 1637, passim; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli erudititoscani, XX (1786), pp. 180, 196, 230, 250, 259, 278, 320, 360;G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di F. L. Polidori, Firenze 1839, I, pp. 307, 549, 555, 569, 607; II, pp. 26 s., 74, 90, 133 s., 159, 266, 434-443(testamento del C.); Rinaldo degli Albizzi, Commissioni per il Comune di Firenze…, a cura di C. Guasti, I-III, Firenze 1867-1873, ad Indices; I. Masetti-Bencini, Un docum. su N. di Gino C., in Arch. stor. ital., s.5, XXIV (1889), pp. 88-91;F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, p. 6; Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini ill. del sec. XV, a cura di P. D'Ancona-E. Aeschlimann, Milano 1951, pp. 269, 274, 276 ss., 474, 475 s., 493;Griso di Giovanni, Diario, a cura di N. Lerz, in Arch. stor. ital., CXVII(1959), pp. 248 ss.;N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, ad Indicem; S. Ammirato, Istorie fiorentine, II, Firenze 1641-47, ad Indicem;G. Capponi, Storia della Repubblica fiorentina, Firenze 1876, adIndicem;F. C. Pellegrini, Sulla Repubblica fiorentina al tempo di Cosimo il Vecchio, Pisa 1889, passim;I.Masetti-Bencini, La battaglia di Anghiari, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, XVIII (1907), pp. 106-27;C. Gutkind, Cosimo de' Medici, London 1938, pp. 64, 69 ss., 86, 92, 110, 129, 148, 152, 156, 159, 161;C. C. Bayley, Warand Society in Renaiss. Florence, Toronto 1961, pp. 14, 97, 98, 100, 114s., 130 s., 149, 162, 167; N. Rubinstein, The Government of Florence underthe Medici, 1434-94, London 1966, pp. 19, 134, 236;R. Goldthwaite, Private wealth in Renaiss. Florence, Princeton 1968, pp. 189-94;F. W. Kent, Ottimati families in Florentine Politics and Society,1427-1530, università di Londra, tesi di laurea, anno accad. 1971, pp. 396,481 s. 524 s.; P. Burke, Culture and Society in Renaissance Italy, London 1972, p. 78;E. Borsook-I. Offerbaus, Storia e leggenda nella Cappella Sassetti, in Studi in onore di U. Procacci, in corso di stampa; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Capponi, tav. XI.