Capponi, Neri di Gino
Nacque il 3 luglio 1388, primogenito di Gino di Neri e di Margherita Nasi; la famiglia era una delle più ricche e potenti di Firenze. Dopo aver esercitato la mercatura nell’Arte della lana, Neri partecipò con il padre alla conquista di Pisa nel 1406 e scrisse o rimaneggiò i Commentarii su quella guerra, attribuiti al padre stesso. Dal 1412, quando divenne capitano del Bigallo (specie di ufficio per l’assistenza sociale), rivestì vari incarichi pubblici: nel 1420 fu capitano di Volterra, nel 1421 podestà di Pistoia e nel 1423 fu dei priori. Seguendo anche l’orientamento del padre svolse la sua azione prevalentemente fuori Firenze, da diplomatico e da commissario alle truppe. Nel 1424 fu inviato a Roma per ottenere l’accordo del papa, Martino V, contro il duca di Milano Filippo Maria Visconti. Tra il 1429 e il 1434 fu impegnato nella guerra contro Lucca come commissario e membro dei Dieci. La conduzione del conflitto suscitò l’ostilità di Rinaldo degli Albizzi contro i Dieci che incaricarono C. e Alamanno Salviati di mitigarlo (cfr. Istorie fiorentine IV xxii 6). In seguito, Albizzi si urtò con lo stesso C., che fu esiliato, ma solo per pochi mesi. Nella crisi del 1433-34 non si unì (IV xxvii 7) al partito di Rinaldo che, per difendere il potere degli ottimati, volle l’esilio di Cosimo il Vecchio de’ Medici. Quando il provvedimento fu annullato e, con il trionfale ritorno di Cosimo a Firenze, fu instaurato il potere mediceo, C. non vi partecipò direttamente, impegnandosi piuttosto in azioni militari o diplomatiche fuori Firenze. Nel 1436 fu gonfaloniere di giustizia, ma poi tornò alla milizia e contribuì a respingere a Barga le truppe del condottiero visconteo Niccolò Piccinino (V x 1). Nel 1439, commissario nella guerra contro Milano, si recò a Venezia: qui ottenne la conferma dell’alleanza con Firenze garantendo la lealtà di Francesco Sforza, che aveva suscitato la diffidenza dei veneziani con il suo destreggiarsi tra gli alleati e il duca di Milano (cui sperava di succedere, come avvenne). Anche in seguito fu C. a mantenere buone relazioni con Venezia (V xxi e xxviii). Nell’aprile 1440 tornò a Firenze con Bernardetto de’ Medici e partecipò alla battaglia di Anghiari (29 giugno), dove furono sconfitte le truppe di Piccinino; attaccò poi il conte di Poppi e lo privò di tutti i suoi possessi (V xxxiii-xxxv). C. rifiutò il cavalierato che la sua città voleva concedergli, rimanendo il cittadino più importante dopo Cosimo, anche se fu danneggiato dall’uccisione del condottiero suo amico Baldaccio d’Anghiari (VI vi 2-6, vii 9). In seguito fu ancora commissario (VI xv 7), ma dissentì senza successo da Cosimo sull’opportunità di mutare le alleanze, lasciando Venezia a favore di Milano, dove lo Sforza stava per diventare duca. Secondo M., C. avrebbe preferito che si conservasse la tradizionale alleanza con Venezia, ritenendo che la Lombardia dovesse rimanere libera e divisa in due repubbliche (VI xxiii 5-8). M. lo dice morto nel 1455 (VII ii 3), ma in realtà si spense il 27 novembre 1457. Aveva sposato Selvaggia Sacchetti, da cui ebbe dieci figli, tra i quali l’erede Gino.
M. ha anche utilizzato i Commentarii di C. (in RIS, 18° vol., 1731, coll. 1157-1216) nelle Istorie fiorentine, per il libro IV e particolarmente nel libro V dal cap. x; quindi, come fonte spesso esclusiva, nei capp. xx-xxii, xxviii-xxix, xxxi, xxxv. In quest’ultimo capitolo la vittoriosa impresa nel Casentino viene descritta seguendo una breve relazione dello stesso C., La cacciata del Conte di Poppi (in RIS, 18° vol., cit., coll. 1217-1220). Nel libro VI il testo di C. è stato utilizzato particolarmente per i capp. ix-x, xiv-xvi, xxv-xxviii. M. assegna a C. «un ruolo di grande rilievo» per ridimensionare i meriti di Cosimo de’ Medici e anche perché egli rappresentò un diverso orientamento politico (Anselmi 1979, p. 132), distinguendosi solo per i suoi meriti di cittadino e condottiero disinteressato e non facendo mai uso, a differenza di Cosimo, di mezzi come il denaro e i favori illeciti, per crearsi un proprio partito (VII ii 1). Non sempre M. segue i Commentarii nel descrivere le azioni dello stesso C.: nelle Istorie fiorentine (V xxi) assume un forte rilievo politico, sorretto da un’efficace argomentazione, l’orazione pronunziata da C. di fronte al doge, che è invece riportata dal protagonista in modo sobrio (Commentarii, cit., coll. 11881189; cfr. Sasso 1993, pp. 428-29). La battaglia di Anghiari è svalutata da M. (V xxxiii 15, xxxiv 1) probabilmente per il suo pregiudizio contro le armi mercenarie (Anselmi 1979, p. 133), mentre C. e altre fonti dicono che fu cruenta (Commentarii, cit., coll. 1194-1195). M. cita C. anche nel breve ritratto del nipote di lui (Piero di Gino Capponi), contenuto nelle Nature di uomini fiorentini (→): dove osserva che il carattere «vario» di Piero lo rendeva talvolta somigliante al nonno Neri, talvolta al mediocre padre. Lo stesso giudizio è ribadito nei Frammenti storici (5 § 61). Le divergenze fra Cosimo de’ Medici e C. sono rilevate anche da Francesco Guicciardini nelle sue Storie fiorentine (a cura di A. Montevecchi, 1998, pp. 84-85). Giovanni Cavalcanti, che menziona C. nella sua opera storica, lo esalta nel Trattato politico-morale (ed. M. Grendler, 1973, pp. 96, 151, 205-06).
Bibliografia: Commentarii e La cacciata del conte di Poppi, in RIS, 18° vol., 1731. Si veda inoltre: F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998.
Per gli studi critici si vedano: M. Grendler, The Trattato politico-morale of Giovanni Cavalcanti (1381-c.1451). A critical edition and interpretation, Genève 1973; M. Mallett, Capponi Neri, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 19° vol., Roma 1976, ad vocem; G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2° vol., Bologna 1993.