GIRALDI, Neri
Nacque a Firenze, il 22 apr. 1560, da Lionardo e Lisabetta di Carlo di Bernardo Medici.
Apparteneva a un ramo collaterale dell'antica famiglia dei Neri, quello detto Del Chiaro. Nonostante le tradizioni repubblicane della famiglia, il padre del G. si adattò senza troppe difficoltà al regime mediceo, dedicandosi all'attività mercantile. Fu anche camerlengo della gabella dei contratti, ma fallì nel 1558, intaccando seriamente il patrimonio familiare.
Le prime notizie relative al G. risalgono al 1579, quando fu assunto come apprendista nella filiale di Cracovia della compagnia Soderini. Rimase in Polonia piuttosto a lungo, mantenendo però contatti con la corte granducale, tanto che gli fu conferito il titolo di gentiluomo di camera del granduca Francesco I e, successivamente, di Ferdinando I, titolo a cui non corrispondevano peraltro precise mansioni. Già all'inizio degli anni Novanta del Cinquecento doveva avere conseguito una posizione di qualche rilievo nell'entourage mediceo, poiché venne impiegato da Ferdinando I nei traffici granari con l'Europa settentrionale, che in questa fase avevano assunto un'importanza decisiva. A partire dal 1590, infatti, la Toscana fu colpita da tre gravi crisi agricole (1590-91, 1596-97, 1600-01) e si trovò nella necessità di importare grossi quantitativi di cereali per ridurre i drammatici effetti sociali della carestia. Le importazioni furono seguite personalmente dal granduca, che utilizzò esponenti di famiglie mercantili fiorentine per accedere ai lontani mercati tedeschi e polacchi. Nell'agosto 1590 Ferdinando I incaricò il G. e Riccardo Riccardi di fare incetta di grano a Danzica e a Lubecca. La missione si concluse con successo e consentì al G. di realizzare grandi guadagni e di ottenere la fiducia del granduca, che gli conferì simili incarichi anche negli anni successivi. Oltre a recarsi spesso in Polonia, nel 1595-96 il G. fu anche in Transilvania, con le funzioni di ufficiale pagatore del piccolo corpo di spedizione toscano inviato a combattere i Turchi.
Le capacità dimostrate dal G. nella gestione dei commerci granari indussero Ferdinando I a utilizzarlo in una delicata missione diplomatica: la conclusione di un trattato di commercio con l'Impero ottomano. Si trattava di una vecchia aspirazione della politica medicea, che mirava a contrastare l'ormai evidente declino delle attività mercantili toscane nel Mediterraneo orientale. Già nel 1578 Francesco I aveva affidato a B. Gianfigliazzi il compito di concludere un trattato di commercio, ma l'impresa era miseramente fallita. Nel 1592 Ferdinando I riprese i contatti con la Sublime Porta, ma ci vollero diversi anni perché cominciassero delle vere trattative. Finalmente, nel 1598, il granduca, confidando nelle buone intenzioni manifestategli dal sultano, inviò il G. in Oriente. L'istruzione predisposta per l'occasione gli raccomandava di ottenere per i mercanti fiorentini attivi in Oriente condizioni simili a quelle applicate a Francesi e Veneziani. In sostanza, si trattava di garantire alle merci toscane una relativa libertà di movimento e alcune esenzioni fiscali, e di arrivare all'istituzione di un console fiorentino a Costantinopoli. Il punto delicato della trattativa era però un altro: il granduca pretendeva un'esplicita garanzia che i mercanti toscani non fossero molestati come conseguenza delle imprese antiturche delle galere dell'Ordine di S. Stefano, dato che queste dovevano essere considerate come appartenenti a un ordine religioso dipendente dal pontefice.
Il G. si imbarcò da Ancona nel luglio 1598 e, dopo una breve sosta a Ragusa, proseguì per Costantinopoli. Giunse malato nella capitale turca all'inizio di settembre dopo un viaggio molto difficile, nel corso del quale temette più volte di essere derubato. Le trattative si rivelarono subito molto più difficili del previsto, come il G. scrisse al granduca in una lettera-relazione dell'8 nov. 1598 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 888, cc. 33-35). C'era, innanzi tutto, l'opposizione dei Veneziani, che denigravano il granduca presso il sultano e impedivano le comunicazioni tra il G. e la Toscana. Ma, soprattutto, il G. dimostrò una scarsa capacità di muoversi nell'ambiente infido della corte ottomana e commise errori di tutti i generi: il gran visir finì per irritarsi perché le trattative erano state avviate a sua insaputa e ostacolò i negoziati, mentre altri ministri pretesero regalie che i toscani non erano disposti a dare. Non era nemmeno chiaro quale fosse la volontà del sultano. Secondo il G., Maometto III era ben disposto verso l'accordo, anche "se sta come matto a governo delle donne e questi viziri fanno tutto quello che vogliono" (ibid., c. 35r), ma le sue erano illusioni. Dopo qualche mese di inutili colloqui, le trattative fallirono miseramente. Il G. fu addirittura incarcerato per essersi recato su di un minareto da cui si poteva vedere l'harem e venne liberato solo grazie all'intercessione dei rappresentanti francese e veneto. Secondo un resoconto coevo (ibid., 4274, cc. 67-70), le responsabilità del fallimento ricadevano interamente sul G., che si sarebbe dimostrato vanitoso e imprudente. Tuttavia, al di là degli innegabili errori dell'inviato toscano, il vero ostacolo a ogni accordo era la clausola sulle galere stefaniane: i Turchi sapevano che l'Ordine stefaniano era un'istituzione medicea e non intendevano garantire alle sue navi un'illimitata libertà di corsa ai loro danni.
Dopo la missione a Costantinopoli, non si hanno notizie del G. fino al 1601-02, quando tornò in Germania e in Polonia per acquistare cereali. Nel 1605 gli fu di nuovo conferito l'incarico di recarsi a Danzica, ma questa volta il G. dovette svolgere anche compiti diplomatici, visto che si recò per diverso tempo alla corte di Sigismondo III Vasa, re di Polonia, che nel 1606 lo creò cavaliere dello Speron d'oro. Mentre era in Polonia, il G. fu coinvolto in un importante evento politico-diplomatico, le nozze di Demetrio, il preteso figlio di Ivan IV di Russia. Il 19 nov. 1605 Demetrio, che pochi mesi prima si era impadronito di Mosca, sposò per procura a Cracovia Marina Mniszech, figlia del palatino di Sandomir, un nobile polacco che lo aveva appoggiato attivamente nella guerra contro Boris Godunov. Il G. assistette all'evento e lasciò una precisa descrizione della sfarzosa cerimonia, colta esclusivamente nei suoi aspetti esteriori. Allo stesso tempo, però, avviò contatti per ottenere libero commercio tra Toscana e Moscovia, confidando nella mediazione dei magnati polacchi, che con il loro appoggio avevano reso possibile a Demetrio la conquista del Regno. Com'è noto, il matrimonio non portò molta fortuna a quest'ultimo, che nel maggio 1606 venne ucciso in una congiura antipolacca, e la corte fiorentina temette che la partecipazione del G. alle nozze provocasse ritorsioni sui mercanti toscani a Mosca.
Nel corso del 1606 il G. compì per conto dei Medici un altro viaggio in Polonia, che fu assai meno fortunato dei precedenti. Infatti, Roberto Pepi, il cassiere affiancatogli dal granduca, lo accusò di varie malversazioni, facendolo finire sotto processo. Il granduca gli condonò la pena in considerazione dei servigi resi, a patto che il G. restituisse la non piccola somma di 3000 fiorini.
Dopo questo increscioso episodio, il G. si stabilì definitivamente a Firenze, lasciandola soltanto per un nuovo viaggio in Polonia, nel 1617. Le missioni commerciali e diplomatiche gli avevano consentito di ottenere il favore dei granduchi e di conseguire una situazione patrimoniale che si può intuire assai solida. Nei primi decenni del Seicento il G., che nel 1598 si era sposato con Maria di Roberto Franzesi della Foresta, era il capo di un'ampia e onorata famiglia dell'élite fiorentina. Alcuni dei suoi numerosi figli erano destinati a brillanti carriere. Francesco svolse alcune missioni in Polonia e nel 1624 fu nominato cavaliere di S. Stefano, Lionardo fu preposto di Empoli e stimato accademico della Crusca.
Il G. morì, probabilmente a Firenze, il 24 ott. 1620.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 884, cc. 203 s., 244-246, 498 s., 635 s.; 886, cc. 176 s., 242 s., 358-360, 390-392 (corrispondenza con il granduca); 4274, cc. 34-81 (progetto di trattato con i Turchi); Raccolta Sebregondi, 2644 (abbozzo di albero genealogico della famiglia); altre fonti sono indicate in M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato (1537-1737), in Notizie degli Archivi di Stato, XII (1952), pp. 83, 86 s.; V. Meystowicz - W. Wyhowska, Elementa ad fontium editiones, XXVII, Res Polonicae ex Archivo Mediceo Florentino, Romae 1972, pp. 182, 220, 240; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, III, a cura di A. Barzazi, Roma 1991, pp. 133 s.; J.R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa Medici, III, Firenze 1781, pp. 156-158; S. Ciampi, Esame critico con documenti inediti della storia di Demetrio di Iwan Wasiliewitch, Firenze 1827, pp. 55-64; Id., Bibliografia critica delle antiche reciproche corrispondenze… dell'Italia colla Russia, colla Polonia e altre parti settentrionali, Firenze 1834-42, pp. 136 s.; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, V, Firenze 1845, pp. 1849-1851 (recens. di A. Reumont, in Arch. stor. italiano, VII [1849], Appendice, pp. 293 s.); A. Reumont, Di alcune relazioni dei Fiorentini colla città di Danzica, in Arch. stor. italiano, XIII (1861), pp. 46 s.; D. Tiribilli Giuliani, Sommario storico delle famiglie toscane, II, Firenze 1862, ad vocem (spesso impreciso); [H.-A.-S.] de Charpin Feugerolles, Les florentins à Lyon - M.-L. Fournier, Les florentins en Pologne, Lyon 1893, ad indicem; F.F. De Daugnon, Gli italiani in Polonia dal IX secolo al XVIII, II, Crema 1905, p. 202; H. Samsonowicz, Relations commerciales entre la Baltique et la Méditerranée au XVIe et XVIIe siècle. Gdansk et l'Italie, in Mélanges en l'honneur de F. Braudel, Histoire économique du monde méditerranéen 1450-1650, I, Toulouse 1973, pp. 539 s.; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 292 s., 332; P. Malanima, I Riccardi di Firenze, Firenze 1978, p. 87; C. Ciano, I primi Medici e il mare, Pisa 1980, pp. 119-121, 128; R. Burr Litchfield, Emergence of a bureaucracy. The Florentine patricians (1530-1790), Princeton 1986, p. 251; A.M. Pult Quaglia, Per provvedere ai popoli. Il sistema annonario nella Toscana dei Medici, Firenze 1990, p. 131; M. Gemignani, Il cavaliere Iacopo Inghirami al servizio dei granduchi di Toscana, Pisa 1996, pp. 35 s.; R. Mazzei, Itinera mercatorum. Circolazione di uomini e beni nell'Europa centro-orientale, Lucca 1999, ad indicem (con ulteriore bibliografia).