STRINATI, Neri
– Nacque presumibilmente a Firenze nel corso del quinto decennio del XIII secolo, figlio di Alfieri di Strinato di Ramingo e di madre non conosciuta. Ebbe almeno due fratelli, Belfradello e Albertino, che morirono senza lasciare eredi.
Queste, così come molte altre notizie biografiche su Neri Strinati e la sua consorteria, sono in gran parte note grazie alla Cronichetta di memorie familiari che egli scrisse a partire dal 1312, tra i primi esemplari di quei libri di ricordi (o di famiglia) prodotti in gran numero soprattutto negli ambienti mercantili fiorentini tra Duecento e Quattrocento.
L’affidabilità sostanziale del racconto è confermata, in più casi, da documenti coevi: così, sebbene nessun atto si sia conservato a testimonianza delle vicende familiari più risalenti nel tempo, i documenti sempre più numerosi a partire dagli anni Trenta del XIII secolo convalidano la precoce appartenenza degli Strinati ai livelli più alti della società fiorentina.
La proprietà di palazzi, case e botteghe nell’area più centrale e antica di Firenze, così come nel contado più prossimo alla città, i legami matrimoniali con famiglie già affermate, la partecipazione alla vita politica del Comune e l’esercizio di proficue attività creditizie collocano la famiglia ai vertici sociali, economici e politici.
Schierati con la fazione ghibellina, gli Strinati raggiunsero un ruolo politico preminente nei sei anni di predominio della parte (1260-66), quando numerosi furono i membri della consorteria che sedettero nei consigli comunali. Questa scelta politica, risultata di fatto perdente dopo la sconfitta degli ultimi Svevi e dei loro sostenitori ghibellini a Benevento e a Tagliacozzo, fu però poi scontata con l’esilio di molti degli uomini di casa e con il loro allontanamento quasi completo dalla politica cittadina degli anni seguenti.
Il primo ricordo che lo vide protagonista diretto risale al 1266 quando, secondo il racconto affidato alla Cronichetta, Neri Strinati acquistò insieme ai fratelli alcune porzioni di botteghe e di un palazzo da altri membri della consorteria. L’anno seguente una divisione dei beni tra consorti fu probabilmente dettata dal tentativo di salvaguardare almeno una parte delle proprietà familiari all’indomani del rientro in città dei guelfi guidati da Carlo I d’Angiò e il conseguente abbandono di Firenze da parte di molti ghibellini.
Le case dei consorti condannati come ribelli furono rase al suolo; le altre riuscirono a salvarsi, tranne la torre gentilizia che nel 1268 gli Strinati furono obbligati ad abbattere a proprie spese: evitarono in tal modo che i nemici allora al potere la distruggessero facendola intenzionalmente cadere sugli edifici ancora sottratti alla devastazione guelfa. Agli inizi degli anni Settanta, tuttavia, quasi tutti i consorti erano in esilio in quanto ghibellini ribelli al Comune e fu così che nel 1272 fu distrutto anche il palazzo di famiglia. Pochi mesi prima la consorteria era stata costretta a finanziare la lastricatura della piazza del Mercato.
È dunque probabile che anche Strinati in quegli anni fosse obbligato all’esilio, finché l’opportunità di rientrare in Firenze gli fu offerta dalla pace tra guelfi e ghibellini fortemente voluta dal pontefice Niccolò III, che aveva affidato quel difficile compito al cardinale Latino Malabranca. Nel febbraio del 1280 il nome di Nerius de Alferiis comparve dunque tra i garanti ghibellini alla pace per il sesto di porta Duomo, quello nel quale la consorteria risiedeva. In quegli stessi giorni giurò poi di rispettare la pace insieme agli altri ghibellini di Firenze. Per gli Strinati, come per molte altre casate fiorentine, alla pace pubblica seguì una serie di paci private siglate con nemici di più o meno lunga data.
Nel 1285 Strinati ricoprì l’unico incarico politico di cui i documenti tramandino memoria: fece allora parte del Consiglio generale del podestà. Di questo mandato la Cronichetta tace, mentre ci informa del fatto che l’anno seguente fu celebrato il matrimonio con Diana, di casata non nota, dalla quale ebbe forse anche i due figli rammentati nelle memorie, Giovanni e Mattio, quest’ultimo deceduto nel 1312.
I ricordi personali si dilungano quindi nell’elencare con grande cura i beni immobili di Strinati e della consorteria; attestano con dovizia di particolari divisioni di beni e compravendite immobiliari, così come la gestione delle botteghe date in affitto. Strinati riporta con eccezionale attenzione le date e i nomi dei notai che stilarono le varie carte, così da mettere gli eredi in condizione di poter rivendicare un giorno eventuali diritti. Ricorda anche la produzione di vino e il possesso di diversi animali, asini, vacche e pecore, allevati e affidati con contratti di soccida alle cure di affittuari nel Mugello, anche se non sempre con buoni esiti, visto che non mancarono i furti di bestiame.
La documentazione d’archivio integra l’immagine di possidente che Strinati delinea di se stesso e della sua famiglia nel racconto. Se alcuni atti lo ricordano come semplice testimone di compere e traffici creditizi di familiari o di altri individui, o come garante di affari di diversa natura, altri invece lo vedono protagonista in qualità di prestatore di denaro. Nel novembre del 1295 Salimbene del fu Ugolino, abitante nella piazza degli Uberti nel popolo di San Pier Scheraggio, confessò per esempio di aver ricevuto da Neri del fu Alfieri Strinati 45 fiorini d’oro, che si impegnò a restituire nel giro di un anno. Se questi atti si riferiscono a transazioni fiorentine, talvolta anche piuttosto modeste, l’attività creditizia di Strinati non dovette limitarsi alla sola città natale: la Cronichetta rammenta la sua presenza in chorte del papa intorno al 1266 insieme ad altri esponenti della sua casata, probabilmente per affari (Diacciati, 2010, p. 129).
Il giro di traffici commerciali della famiglia risulta d’altra parte confermato dall’iscrizione di alcuni Strinati sia all’arte del cambio, di cui uno di loro fu anche console, sia all’arte di Calimala, che riuniva i principali mercanti e banchieri fiorentini.
Se negli anni Novanta le attività creditizie e di compravendita proseguirono come in precedenza, una novità poco piacevole colpì Strinati e la consorteria nel suo complesso: fu iscritta nella lista delle casate magnatizie e pertanto sottoposta alla severa legislazione introdotta con gli ordinamenti di giustizia. A queste leggi particolari Strinati non dette spazio nel proprio racconto; si limitò solo a riportare il lamento per non aver potuto agire contro un tale inadempiente a un accordo economico perché popolano e perciò protetto dalla legge. Il possesso da parte della famiglia dei requisiti che giustificavano l’iscrizione nelle liste magnatizie risulta confermato comunque dal racconto di Strinati: nella Cronichetta vantò la presenza di numerosi cavalieri addobbati tra i propri parenti e narrò i frequenti scontri che li videro opporsi a casate avversarie, sottolineando l’attaccamento ai valori e allo stile di vita cavalleresco.
Il successivo conflitto tra bianchi e neri che turbò la città di Firenze tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento lo vide nuovamente dalla parte degli sconfitti e nel 1302 Strinati riparò in Padova insieme a un cugino, mentre un terzo preferì rifugiarsi a Roma.
L’ultimo documento che attesta la sua presenza a Firenze è in effetti un atto di divisione di beni tra consorti del gennaio 1302. Il suo nome, in realtà, non compare invece nelle liste di condannati nel 1302, ma l’esilio di Strinati e di altri familiari è confermato dalla cosiddetta provvisione di Baldo d’Aguglione del settembre 1311: furono tra i ghibellini cui non fu consentito il rientro in Firenze. I rapporti con la città natale, per quanto difficili, non vennero comunque del tutto meno e Strinati si affidò alle donne di famiglia rimaste in Firenze per concludere qualche questione economica rimasta in sospeso.
Si ignora il luogo e la data di morte, che fu però sicuramente successiva al 1312.
Fu infatti in quell’anno a Padova, città nella quale risiedeva da ormai un decennio, che Strinati compose la Cronichetta per la quale è noto. Avanti negli anni affidò alla pagina scritta i ricordi, allo scopo non solo di tramandare memoria della propria vicenda e di quella familiare, ma anche di tutelare gli interessi dei suoi discendenti. Tale finalità giustifica la grande cura con cui Strinati, come detto, elencò possessi e diritti, non mancando mai di fornire le date e i nomi dei notai che avevano rogato gli atti attestanti dette proprietà. La Cronichetta è dunque un testo più affine a un libro di ricordanze familiari che non a una cronaca cittadina vera e propria, come il titolo, scelto arbitrariamente dal primo editore settecentesco, potrebbe indurre a pensare. Proprio per questo il racconto presenta invece caratteri di grande originalità, consentendo di tratteggiare i lineamenti di una casata magnatizia attraverso la testimonianza diretta di uno di loro. L’intenzionale silenzio con cui Strinati evita di ricordare il ruolo politico e gli affari commerciali e creditizi della consorteria testimonia la volontà di segnare la sua lontananza dai valori mercantili e popolari allora in piena affermazione. Le memorie dedicate alla competizione tra casate e ai conflitti di fazione, così come il ricordo orgoglioso dei numerosi cavalieri addobbati tra i parenti, viceversa, rivendicano l’adesione ai valori cavallereschi tipici dei magnati.
La Cronichetta è dunque un esempio di libro di famiglia e più in particolare dei cosiddetti libri testimoniati, vale a dire certamente esistiti, ma a noi non pervenuti in originale: il racconto ci è infatti giunto grazie alla copia autografa redatta nel 1467 da un lontano discendente di Neri, Belfradello di Strinato. A lui si devono anche alcune notizie sulle vicende della famiglia Strinati nel corso del XV secolo e una breve narrazione della congiura dei Pazzi. La Cronichetta fu poi edita a metà Settecento e a tale edizione, come detto, deve il titolo con il quale è ormai nota. L’originale è stato recentemente rintracciato da Nicoletta Marcelli nel manoscritto segnato Conventi Soppressi, C 1 1588 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (Marcelli, 2010). Acefalo, è privo della prima parte del racconto di Strinati, che rimane dunque testimoniata dalla sola edizione settecentesca.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Strozziane Uguccioni (acquisto), 1284 giugno 1; Notarile Antecosimiano, 6695, cc. 201v, 216v; Storia della guerra di Semifonte scritta da mess. Pace da Certaldo e Cronichetta di Neri degli Strinati, a cura di R. Martini, Firenze 1753, pp. 97-133; Dino Compagni e la sua cronica, a cura di I. Del Lungo, I-III, Firenze 1879-1887, I, parte II, p. XI; I. Lori Sanfilippo, La pace del cardinale Latino a Firenze nel 1280. La sentenza e gli atti complementari, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo e Archivio muratoriano, LXXXIX (1980-1981), pp. 193-259 (in partic. pp. 230-239); Ser Matteo di Biliotto notaio, Imbreviature, I, Registro (anni 1294-1296), a cura di M. Soffici - F. Sznura, Firenze 2002, ad ind.; Il libro del chiodo. Archivio di Stato di Firenze: riproduzione in fac-simile con edizione critica, a cura di F. Klein - S. Sartini, Firenze 2004, p. 46; Ser Matteo di Biliotto notaio, Imbreviature, II, Registro (anni 1300-1314), a cura di M. Soffici, Firenze 2016, ad indicem.
N. Marcelli, Un reperto quattrocentesco: la Cronichetta di N. degli Strinati e il capitolo Eccelsa patria mia, però che amore di Antonio di Matteo di Meglio, in Medioevo e Rinascimento, n.s., XIX (2008), pp. 339-374; S. Diacciati, Memorie di un magnate impenitente: N. degli Strinati e la sua Cronichetta, in Archivio storico italiano, CLXVIII (2010), pp. 89-143; N. Marcelli, Note di storia e cronaca fiorentina da uno sconosciuto manoscritto della Biblioteca nazionale (Conventi Soppressi, C 1 1588), ibid., CLXVIII (2010), pp. 145-155.