MOSCOLI, Nerio
– Originario di Città di Castello, visse a Perugia nella prima metà del XIV secolo.
L’origine non perugina, affermata già nella rubrica posta all’inizio della sezione dedicata alla sua produzione poetica nell’unico testimone che la riporta (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Barberiniano Latino 4036, c. 31r), trova conferma in un riferimento interno nel sonetto Lor che non poco sentiste del Giuda nel quale il poeta si autodefinisce «castellano» (Poeti perugini..., 1997, p. 87). È di conseguenza impossibile consentire con la sicurezza di Franco Mancini (ibid., p. 11) riguardo al patronimico di Nerio, ovverosia «Muscolo di Guido Malitiae», che risulta infatti residente a Perugia; la notizia si fonda sulla Libra perugina del 1285 (Perugia, Arch. di Stato, Libra I, c. 136v; ma si tratta di aggiunta posteriore al 1292: Grohmann 1986, p. 271), nella quale, inoltre, sono computate ben cinque persone di nome «Muscolus» (sebbene nessuno di questi sia considerato «dominus» quale l’eventuale genitore di Nerio, tra l’altro mediamente fornito di ricchezze).
Nerio risiedette nel rione perugino di Porta Eburnea, forse nella parrocchia di S. Biagio, dove possedeva un fondo nei pressi del monastero femminile di S. Maria di Valverde (Perugia, Arch. di Stato, Giudiziario, Podestà, c. 15r, in Nicolini, 1971, pp. 698 s., n. 10), situato appena al di fuori delle mura e vicino a un pendio o un fossato (Perugia, Arch. di Stato, Miscellanea, 26, c. 9v , ibid., p. 758); probabilmente era qui collocato il casamentum dotato di torre a cui fa riferimento un documento del 1361 (Perugia, Arch. di Stato, Catasti, primo gruppo, n. 34, c. 668r). Fu senz’altro un magnate, come risulta dall’inserzione, accanto al figlio Niccolò, nel Libro Rosso perugino del 1333 (Fabretti, 1887, p. 120), nel quale vennero censiti «nomina et pronomina magnatorum et de prole militari et aliorum magnorum civium perusinorum», con procedura legislativa del tutto normale per i regimi popolari; allo stesso tempo del tutto tipica risulta la deroga concessa a Nerio di avere libero accesso al palazzo del podestà e del capitano del Popolo in un documento del 1323 (Perugia, Arch. di Stato, Consigli e Riformanze, 20, c. 219v), con il risultato di render sfuggente il suo ruolo politico almeno quanto l’idea del «rigore con cui veniva applicata la legislazione antimagnatizia» in città (Maire-Vigueur, 1987, p. 538). In discorsi del genere, tuttavia, si dovrà tenere presente sempre la problematica documentaria riguardante la città perugina, per la quale le Riformanze si interrompono dopo il 1327 (Berisso, 2000, p. 116). Sul lato delle attività svolte da Nerio, si può pensare che il suo cospicuo censo gli permettesse di esercitare l’attività di prestatore (doc. 29 in Liber contractuum ... , 1967, p. 59).
Nerio risulta autore di un corpus non esiguo di poesie: si tratta di 114 pezzi, tutti sonetti, salvo due canzoni e due ballate (tra cui una ballata mezzana). Nove i sonetti in tenzone, con un Simone da Pièrile (cioè da Pierle, sul lago Trasimeno, Berisso, 2000, p. 113, n. 342); un Manuello (che fu Immanuel Romano secondo Tommasini Mattiucci, 1897, pp. 73-76: ma l’identificazione venne esclusa da Massèra 1920, p. 110, mentre Berisso, 2000, p. 122, ritiene a giusta ragione insolubile la questione); Attaviano (da non confondersi con Ettolo né con Guelfo Taviani, proposto da Tommasini Mattiucci, 1897, pp. 90 e 94; secondo Berisso, 2000, p. 119, si tratta del magnate perugino Attaviano Tancredi); Cione (non certo il toscano Baglioni); Pucciarello; Cionello e infine Marino Ceccoli (Massèra, 1920, pp. 106-110).
L’integrità del corpus è trasmessa, come già detto, dal manoscritto Biblioteca apostolica Vaticana, Barberiniano Latino 4036, isolato ma importante – e per alcuni aspetti pregevole – testimone della stagione poetica primo-trecentesca a Perugia, che per taluni si è addirittura cristallizzata in «scuola», in una parabola «insieme stupefacente e bruciante per i risultati raggiunti» (Berisso, 2000, p. XV). Il copista che presiedette alla sua stesura, completandolo entro il 1349-50, risulta a tutti gli effetti un concittadino partecipe e profondo conoscitore della produzione di tale stagione, che punta a confezionare un canzoniere che risulti quasi un istant book (l’espressione è di Brugnolo, 2001, p. 243) orgogliosamente municipale e di immediato consumo per il milieu notarile-magnatizio perugino. L’intera produzione di Nerio ivi registrata sembrerebbe consumarsi proprio nel ventennio precedente, se è vero che, come ha dimostrato ormai in maniera definitiva Massèra, 1920, p. 110, sono del tutto fantasiosi i riferimenti a Celestino V e al pellegrinaggio giubilare del 1300 che Tommasini Mattiucci, 1897, pp. 56 e 96, aveva riscontrato rispettivamente in L’onorevel bacchetto, podestate (Poeti perugini ..., 1997, p. 88, che finalmente restituisce il minuscolo, contrariamente a Marti, 1956, p. 645) e Tu, ch’el divin proffettigi Giudizio (Poeti perugini..., 1997, p. 91).
Sotto una fitta coltre tardostilnovista non priva di asperità tecniche soprattutto sul terreno della rima (Varanini, 1994, p. 104 ), le poesie di Nerio riflettono un sentimento di contraddittorio distacco dalla diretta partecipazione alla vita pubblica: ‘contraddittorio’ poiché qua e là emerge quello che si avvicinerebbe piuttosto a un’idea ‘politica’, ma solo nel senso di un certo distanziamento rispetto alla politica cittadina e alle sue istituzioni, non privo di ironia o addirittura di netto pessimismo – evidente nei sonetti 109 e 110 (Poeti perugini..., 1997, pp. 136 s.), ma soprattutto 91 e 92 (ibid., pp. 110 s.), i quali, nel riferirsi a un efferato fatto di cronaca, esprimono anche un richiamo alle autorità, non privo di disincanto («Podestà, Capitano, o car’ signore / se giustipia o pietà nei cori amate»).
Risulta difficilmente refutabile la realtà storica di un confino a Cantalupo («cacciato / a demorar de qua de Cantalupo»), evocato in Quell’affamato ensazïabil lupo (ibid., p. 89), forse legato a uno specifico avvenimento inquisitorio. Tuttavia quanto si riscontra sembra piuttosto sfociare in una denuncia generale rispetto al regime popolare perugino, a fondamento, dunque, di una posizione genericamente di opposizione – del tutto in linea, d’altronde, con quanto si è detto rispetto alla posizione dei nobili a Perugia a inizio Trecento (Maire-Vigueur, 1987, pp. 535-538) – laddove il presunto ghibellinismo, confortato da un rapporto con Uguccione della Faggiuola, pure insistentemente sostenuto da Tommasini Mattiucci (1897, p. 97), ma di cui fece giustizia Massèra (1920, p. 110), è da considerarsi indimostrabile se non completamente infondato.
Si può ritenere congrua la posizione centrale occupata da Nerio all’interno del canzoniere, nel quale egli risulta, allo stesso tempo, l’autore più abbondantemente registrato e forse l’unico a non aver esercitato la funzione notarile (Poeti perugini ..., 1997, p. 12). Il copista – e forse, con lui, l’intera élite culturale – gli riconosce, dunque, un primato culturale che contempera l’appartata posizione politica propagandata nella tenzone con Pucciarello (nella quale si afferma la ricerca del «borgo / pacifico e quieto», ibid., p. 133) con una precisa posizione di leadership stilistica (Berisso 2000, p. 56) nella scuola perugina, in particolare nel trapianto locale di una tradizione lirica vagliata dal filtro ciniano, e che si risolve in un’ispirazione per lo più tipo amoroso, in cui fa talvolta capolino qualche interferenza comica, da ridimensionare però rispetto a quanto la letteratura critica aveva voluto vedere nella scuola. Sta a dimostrarlo non solo l’ordito lessicale e sintattico, ma anche il ventaglio dei motivi, che risultano allo stesso tempo in debito profondo, se non eccessivo, con Cavalcanti e Dante, ma soprattutto con il poeta-giurista Cino da Pistoia, che insegnò nello Studium perugino a due riprese proprio in questi anni (1326-30 e 1332-33) e inviò a Marino Ceccoli il sonetto «Io son sì vago de la bella luce» (Balduino, 1984, pp. 177-180); ulteriore tassello è la tenzone con Bandino Tebaldi, che fu «rector scholarium» nel medesimo Studium e fu, probabilmente, suo coetaneo (Berisso, 2000, p. 122). Epigono soffocato dai modelli e dalla tecnica poetica al limite della castrazione, Nerio, tuttavia, può essere considerato caposcuola di questa stupefacente stagione poetica di provincia.
Ebbe diversi figli, tra i quali Niccolò (ricordato nel citato Libro Rosso), Fino (Perugia, Arch. di Stato, Catasti, primo gruppo, n. 34, c. 635v.) e Tiberuccio (che fu proprietario di un castello a Torgiano; Cronache della città di Perugia, 1887, I, p. 123).
La morte si può collocare tra il 18 novembre 1338 e il 28 giugno 1348, ovverosia tra la misurazione dei fossi situati fuori delle mura dei borghi della città di Perugia, nella quale è ricordata la sua abitazione, e l’estensione del testamento di Pietruccio Vagnoli, nel quale vengono ricordati i soli heredes di Nerio (Liber contractuum, doc. 43, in Romizzi Ricci, 1969-70, p. 448), dunque in un periodo estremamente ravvicinato alla compilazione del canzoniere perugino.
Fonti e Bibl.: A. Fabretti, Documenti di storia perugina, Torino 1887, p. 120; Cronache della città di Perugia, a cura di A. Fabretti, I, Torino 1887, p. 123; P. Tommasini Mattiucci, N. M. da Città di Castello antico rimatore sconosciuto, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria, III (1897), pp. 1-159; A.F. Massèra, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Bari 1920, pp. 106-110; M. Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 537-653, 772-775, 778 s., 798 s., 805-809; Liber contractuum 1331-1332 dell’abbazia benedettina di San Pietro in Perugia, a cura di C. Tabarelli, Perugia 1967, p. 59; P. Romizzi Ricci, Il notaio perugino Pietro di Lippolo e le sue “imbreviature” del 1348, inAnnali della Facoltà di Lettere e Filosofia, VII (1969-70), p. 448; I. Baldelli, Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari 1971, pp. 385-417; A. Bruni Bettarini, Postille ai poeti perugini del Trecento, in Studi di filologia italiana, XXIX (1971), pp. 147-189; U. Nicolini, Le mura medievali di Perugia, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale, Perugia 1971, pp. 698 s., n. 10, 747-766; A. Balduino, Cino da Pistoia, Boccaccio e i poeti minori del Trecento, in Id., Boccaccio, Petrarca ed altri poeti del Trecento, Firenze 1984, pp. 141-206 ; M.S. Elsheikh, Scavi perugini, in Filologia e Critica, IX (1984), pp. 284-292; A. Grohmann, L’imposizione diretta nei comuni dell’Italia centrale nel XIII secolo. La Libra di Perugia del 1285, Perugia-Roma 1986, p. 271; J.-C. Maire-Vigueur, Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio, in Storia d’Italia, VII, 2, Torino 1987, pp. 323-606; E. Mattesini, L’Umbria, in L’italiano delle regioni, a cura di F. Bruni, Torino 1992 , pp. 507-539; G. Varanini, Giunta alla rimeria perugina del Trecento, in Id., Lingua e letteratura dei primi secoli, Pisa 1994, pp. 73-104 ; Poeti perugini del Trecento: Codice Vaticano Barberiniano Latino 4036, II, N. M., ed. a cura di F. Mancini, con la collaborazione di L.M. Reale, Perugia 1997; M. Berisso, La raccolta dei poeti perugini del Vat. Barberiniano Lat. 4036: storia della tradizione e cultura poetica di una scuola trecentesca, Firenze 2000, passim ; C. Ciociola, Poesia gnomica, d’arte, di corte, allegorica e didattica, in Storia della letteratura italiana, II, Trecento, Roma 2000, pp. 345 s.; F. Brugnolo, La poesia del Trecento, ibid., X, La tradizione dei testi, Roma 2001, pp. 243 s.