Neuroimaging
A partire dalla fine degli anni Ottanta del 21° sec., lo studio in vivo del sistema nervoso centrale nei soggetti normali, e delle sue modificazioni nell’invecchiamento e nelle patologie neurologiche e psichiatriche, ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti. Tra i fattori responsabili di tale sviluppo vanno sicuramente annoverati i progressi realizzati nel campo delle metodologie di neuroimaging di tipo anatomico e funzionale. Le prime sono rappresentate dalla tomografia assiale computerizzata (TAC) e dalla risonanza magnetica (RM), le seconde da tecniche funzionali, tra le quali si annoverano le tomografie a emissione (PET, Positron Emission Tomography, e SPECT, Single Photon Emission Computed Tomography) e la risonanza magnetica funzionale (RMf).
Tecniche di neuroimaging anatomiche
Tomografia computerizzata (TC)
Questa tecnica sfrutta le radiazioni ionizzanti (raggi X), e consente di riprodurre sezioni (tomografie) corporee del paziente ed elaborazioni tridimensionali. L’aggettivo assiale è attualmente inappropriato, perché le nuove metodiche non acquisiscono più in un piano assiale, cioè trasversale, cosa che permetteva di produrre un’immagine alla volta, ma adottano una tecnica detta a spirale, così da ottenere più immagini in una sola scansione; oggi si deve perciò parlare di tomografia computerizzata (TC). Questa si basa sulla rilevazione del fascio di raggi X attenuato mediante un sistema di detettori che ne traduce l’intensità in un segnale elettrico di corrispondente valore. L’immagine della parte del corpo da studiare, per es. il cervello, viene creata misurando l’attenuazione di un fascio di raggi X che lo attraversa. Questa varia in modo proporzionale alla densità elettronica dei tessuti attraversati, cioè alla distribuzione spaziale degli elettroni nello strato corporeo in esame. Poiché le immagini prodotte sono di tipo digitale, il cervello esaminato viene suddiviso in una serie discreta di elementi di volume (voxels), che segue la scala dei grigi. L’unità di misura della densità elettronica è l’unità di Hounsfield (UH), la cui scala comprende 2001 diverse tonalità di grigio, dal nero al bianco. Lo studio della TC può essere migliorato dall’infusione endovenosa di un mezzo di contrasto iodato, che consente una migliore differenziazione di strutture con densità simile. Le immagini della zona del corpo, come il cervello, sottoposta alla TC, vengono elaborate al calcolatore e suddivise in strati di spessore inferiore al centimetro. Su ogni immagine è visualizzabile, in scala di grigi, la densità delle diverse strutture studiate (la sostanza bianca, rappresentata da fasci di fibre di connessione; la sostanza grigia, costituita principalmente da neuroni; il liquor). Questa metodica di indagine è diventata meno importante dopo l’avvento delle tecniche di risonanza magnetica, ma resta estremamente utile per lo studio della componente ossea del cranio e rappresenta il primo approccio diagnostico in emergenza (Frisoni, Filippini, in The dementias, 2006, pp. 157-95). È infatti la metodica di immagini di prima scelta nel caso in cui occorra verificare la presenza di patologie quali infarto cerebrale ischemico o emorragico, emorragie subaracnoidee ed ematomi sottodurali ed epidurali, idrocefalo, ascessi e neoplasie presi nella loro generalità, contusioni postraumatiche (Pozzi Macelli 2000).
Risonanza magnetica (RM)
Questa tecnica, che si basa sul fenomeno della risonanza magnetica nucleare, è entrata in uso negli anni Ottanta, e ha permesso di ottenere immagini anatomiche dettagliate del distretto corporeo in esame, come il cervello e la spina dorsale. Essa sfrutta le proprietà nucleari di alcuni atomi (in particolare dell’idrogeno, H, i cui nuclei sono costituiti da un singolo protone) in presenza di un campo magnetico. Durante l’indagine RM il soggetto viene immerso in un campo magnetico uniforme e a intensità elevata (dell’ordine di 1-3 tesla dunque superiore di un fattore 104 al campo magnetico terrestre), e un impulso viene inviato a un’opportuna radiofrequenza (RF), al fine di indurre il fenomeno di risonanza magnetica. L’energia trasportata dall’impulso RF viene assorbita dall’organismo e riemessa sotto forma di un segnale a RF che dipende dalle proprietà chimico-fisiche dei tessuti interessati (fenomeno di risonanza magnetica). Se viene applicato un campo magnetico di energia sufficiente, è possibile ruotare la magnetizzazione dei protoni di un angolo arbitrario (detto flip angle), in relazione al tipo di immagini che si desidera ottenere. Terminato l’effetto dovuto all’invio dell’impulso, a mano a mano gli spin dei protoni dell’idrogeno tenderanno a tornare al loro stato iniziale di allineamento lungo il campo magnetico (fenomeno di rilassamento); tramite una bobina ricevente viene misurato l’andamento della magnetizzazione nel piano perpendicolare al campo magnetico principale (free induction decay, FID). Tale segnale di risonanza magnetica dipende in particolare dalla concentrazione di nuclei di idrogeno (densità protonica), e, poiché l’idrogeno è presente nel corpo umano prevalentemente in forma di acqua, il segnale è correlato al contenuto di acqua nei tessuti. Il segnale di risonanza magnetica è legato da due costanti, T1 e T2, che descrivono le modalità temporali con cui il sistema torna all’equilibrio dopo lo stimolo indotto dall’impulso RF, e danno conto dell’ambiente chimico-fisico in cui i nuclei di idrogeno sono immersi nel campione (in particolare, delle modalità di interazione dei nuclei di idrogeno con l’ambiente circostante e dello stato di legame dell’acqua nel sistema in esame).
Un tomografo RM è un’apparecchiatura complessa, che comprende un magnete per la generazione del campo magnetico (nei sistemi di ultima generazione, un magnete superconduttivo), bobine a RF per la generazione degli impulsi RF e la rilevazione dei segnali di risonanza magnetica, bobine per la generazione di gradienti di campo magnetico, necessari alla codifica spaziale dei segnali e quindi alla formazione delle immagini, e un computer per la gestione delle sequenze di acquisizione e per la ricostruzione, elaborazione e visualizzazione delle immagini. La tecnica RM è caratterizzata da un’elevata risoluzione sia spaziale (inferiore a 2 mm) sia di contrasto, che dipende dalle caratteristiche di densità protonica, quindi da T1 e T2, dei tessuti, e che permette di differenziare accuratamente tessuti diversi, e in particolare tessuti normali da quelli patologici. La tecnica RM concorre pertanto con la TC per il dettaglio anatomico delle immagini, e in particolare delle immagini cerebrali, per il migliore contrasto tra tessuti a densità simile, quali la sostanza bianca e la sostanza grigia. Esistono oggi sequenze di acquisizione ultrarapide che consentono di generare immagini in tempi estremamente ridotti (dell’ordine del centesimo di secondo), pertanto con elevata risoluzione temporale. L’intensità del campo magnetico può variare dai decimi di tesla, per piccole macchine dedicate allo studio delle articolazioni, a 3 tesla per le macchine attualmente in commercio per scopi diagnostici, e a 7 tesla per alcune macchine per la risonanza magnetica, mentre nell’ambito sperimentale e di ricerca sono in sviluppo dispositivi da 8, 9, 12 tesla. In teoria, sarebbe possibile effettuare misurazioni rilevando il segnale emesso da una grande varietà di nuclei atomici, come per es. il sodio, il fosforo, il carbonio e impostando la frequenza di risonanza delle bobine a radiofrequenza al valore appropriato; tuttavia in campo diagnostico viene attualmente usato come fonte di segnale quasi esclusivamente l’idrogeno. Per ottenere un’analisi morfologica completa del cervello, vengono acquisiti almeno due contrasti T1 e T2: T2 identifica particolarmente bene il liquido cefalorachidiano, e viene utilizzato per valutare la presenza di edemi associati a neoplasie cerebrali.
Agenti di contrasto paramagnetici come il gadolinio hanno la proprietà di ridurre notevolmente il T1 dei tessuti con cui vengono a contatto; di conseguenza le immagini possono mettere in risalto in modo efficace le zone raggiunte dall’agente di contrasto paramagnetico. Questo è utile, per es., per ottenere angiogrammi, o per visualizzare emorragie cerebrali e lesioni cerebrali con alterazioni della barriera ematoencefalica. Infatti, la RM strutturale serve per analizzare e studiare in particolare alcune patologie quali la sclerosi multipla, la patologia cerebrovascolare, i processi neoplastici cerebrali (Magnetic resonance imaging of the brain and spine, 20094).
Diffusion tensor imaging (DTI). Questa tecnica misura la diffusione delle molecole d’acqua nei tessuti biologici. In un mezzo isotropico come l’acqua, le molecole di liquido si muovono di moto browniano casuale, mentre nei tessuti biologici la diffusione può essere anisotropica. Per es., una molecola d’acqua all’interno di un neurone o di una fibra (assone) ha una probabilità molto bassa di attraversare la guaina mielinica; di conseguenza la molecola si muoverà principalmente lungo l’asse della fibra neurale. Ribaltando il concetto, se misuriamo le molecole d’acqua di una certa regione che si stanno muovendo (diffondendo) lungo una particolare direzione, possiamo assumere che la maggior parte delle fibre della regione è orientata parallelamente a questa direzione. Questa tecnica permette di misurare la diffusione nelle tre direzioni spaziali e l’anisotropia all’interno del singolo voxel, consentendo di tracciare mappe delle direzioni delle fibre che compongono i principali fasci di sostanza bianca del cervello (Le Bihan 2007; fig. 1). Questa indagine anatomica permette di esaminare le connessioni tra le varie strutture cerebrali (si usa la trattografia; Basser, Pajevic, Pierpaoli et al. 2000), oppure di esaminare aree di degenerazione neuronale e demielinizzazione in malattie come la sclerosi multipla o le demenze su base degenerativa.
Diffusion-weighted imaging (DWI). Questa tecnica permette la misurazione della distanza di diffusione delle molecole d’acqua; più breve risulta questa distanza, più chiara appare la regione considerata. Dopo un’ischemia cerebrale, le immagini DWI sono molto sensibili ai cambiamenti patofisiologici che avvengono nella lesione. L’aumento del segnale DWI appare entro 5÷10 min dall’insorgenza dei sintomi dell’attacco ischemico; si pensi perciò all’importanza di questa valutazione diagnostica rispetto a quella della TC, che normalmente identifica i cambiamenti nei tessuti nell’ordine delle 24 ore. La TC, per la sua scarsa sensibilità all’ischemia acuta, è utilizzata per verificare l’assenza di emorragia, che impedirebbe l’uso dell’attivatore tissutale plasminogeno per combattere l’occlusione dell’arteria/arteriola (Magnetic resonance imaging of the brain and spine, 20094).
Tecniche di neuroimaging funzionale
Queste tecniche danno informazioni aggiuntive rispetto alla semplice morfologia (per es., imaging metabolico, quantificazione del flusso ematico cerebrale); le metodiche di indagine funzionale principali sono, come detto, la PET e la SPECT, che consentono di misurare in vivo specifici processi biochimici cerebrali. Possono quindi individuare modificazioni che hanno luogo a livello cellulare, e che non si riflettono necessariamente in alterazioni a livello macroscopico. Tali caratteristiche rendono i metodi di immagine funzionale particolarmente adatti allo studio delle modificazioni cerebrali associate a neurodegenerazione, come la demenza di Alzheimer e le demenze frontotemporali. Gli studi PET che utilizzano come tracciante il [18F]-fluorodesossiglucosio ([18F]-FDG), forniscono una misura quantitativa del consumo locale di glucosio, che è un indice diretto dell’attività cerebrale regionale (Herholz, in The dementias, 2006, p. 238). La SPECT consente invece di valutare il flusso ematico regionale, che è un parametro biochimico strettamente connesso al fabbisogno metabolico (Dougall, Ebmeier, in The dementias, 2006, pp. 197-228).
La strumentazione e gli algoritmi di ricostruzione differiscono tra PET e SPECT, a causa delle proprietà differenti dell’emissione di positroni e dell’emissione di fotoni gamma. La disponibilità di radioisotopi che emettono positroni di atomi come, per es., il carbonio, l’ossigeno e il fluoro, che possono essere inseriti in molecole biologicamente rilevanti senza alterarne le proprietà, costituisce un grande vantaggio della PET, in quanto rende possibile studiare in vivo i sistemi di neurotrasmissione e la neurochimica del sistema nervoso centrale. La maggiore risoluzione spaziale della PET rispetto alla SPECT, e la grande potenzialità che offre di utilizzare traccianti specifici per il target fisiologico o metabolico che si vuole misurare, la pongono come metodica di elezione nello studio delle modificazioni precoci e precliniche in ambito neurologico.
Un’altra tecnica di neuroimaging è rappresentata dalla RMf, ampiamente utilizzata per lo studio in vivo dell’attività cerebrale durante specifici compiti sensomotori e cognitivi.
Positron emission tomography (PET)
Sviluppata a metà degli anni Settanta, la PET produce immagini di distribuzione di un tracciante radioattivo emittente positroni (somministrato al soggetto per via endovenosa o tramite inalazione) in sezioni del cervello. Nel momento in cui i nuclei radioattivi decadono, emettono positroni, ovvero particelle con la stessa massa degli elettroni, ma con carica elettrica positiva. Dopo aver percorso una breve distanza interagendo con la materia circostante e ceduta la loro energia, i positroni si annichilano incontrando gli elettroni della materia. Nel processo di annichilazione, le due particelle (elettrone-positrone) si ‘annullano’, e si generano due radiazioni elettromagnetiche di 511 keV ciascuna, emesse in direzioni opposte. Il sistema di rilevazione della PET è costituito da una serie di sensori disposti a corona attorno alla testa del soggetto in esame. La rilevazione simultanea delle due radiazioni di annichilazione da parte di due sensori, con tecnica di rilevazione in coincidenza, consente di determinare la direzione delle radiazioni e di localizzare l’evento di annichilazione lungo la linea che congiunge i due sensori stessi. La rilevazione di numerosi eventi di annichilazione da parte del sistema PET permette di campionare spazialmente la radioattività nel cervello, e l’impiego di algoritmi di ricostruzione tomografica consente di generare immagini di distribuzione del tracciante radioattivo in sezioni. Successive elaborazioni offrono la possibilità di ottenere una rappresentazione tridimensionale della distribuzione di radioattività nel cervello. Si è assistito in questi anni a una rapida evoluzione dei tomografi PET, oggi costituiti da migliaia di rivelatori aventi dimensioni di pochi millimetri, accoppiati a componenti elettroniche sempre più sofisticate e veloci. La risoluzione spaziale, determinata da diversi fattori tra cui le dimensioni dei rivelatori, è dell’ordine di 4 mm nei tomografi di ultima generazione. La risoluzione temporale, determinata dal tempo necessario per rivelare un numero di radiazioni sufficiente alla formazione delle immagini, è dell’ordine di minuti.
La grande potenzialità della PET sta nella possibilità che essa offre di utilizzare traccianti specifici per il target fisiologico o metabolico che si vuole studiare/visualizzare. I nuclei radioattivi emittenti positroni usati in PET (11C, 13N, 15O, 18F, che è chimicamente sostituibile all’idrogeno H) sono infatti isotopi di elementi principali costituenti la materia biologica e possono essere pertanto ‘legati’ a molecole fisiologiche per formare traccianti radioattivi che, una volta somministrati, si comportano nell’organismo in modo uguale ai loro analoghi non radioattivi. Le immagini PET di distribuzione di un tracciante radioattivo riflettono quindi il processo biochimico o fisiologico al quale partecipa il tracciante stesso. Per fare un esempio, il [18F]-FDG, il tracciante più largamente usato in PET, essendo un analogo del glucosio permette di studiare il metabolismo regionale di glucosio nel cervello. L’acqua marcata con 15O ([15O]-H2O) è un tracciante della perfusione cerebrale che permette una misura quantitativa del flusso ematico regionale cerebrale (in unità di ml/min/100 g di tessuto) e che è stato largamente impiegato nell’indagine delle funzioni cerebrali mediante studi di attivazione, in cui si confrontano le immagini di flusso in un soggetto a riposo e in condizioni di attivazione, ossia quando il soggetto è impegnato in un determinato compito o sottoposto a un determinato stimolo. Altri radiotraccianti PET sono specifici dei sistemi di neurotrasmissione, e permettono lo studio della densità recettoriale nell’individuo normale e in quello affetto da patologie neurologiche degenerative e infiammatorie. In particolare, gli studi riguardanti prove di legame dei recettori si sono rivelati di enorme valore in quanto hanno permesso di svelare alcuni ‘segreti’ farmacologici del cervello, compresa la distribuzione e l’affinità dei recettori e dei siti leganti il farmaco, e la perdita funzionale in una certa classe di recettori associata a malattie neurologiche o psichiatriche specifiche (Herholz, in The dementias, 2006, pp. 229-51).
Risonanza magnetica funzionale (RMf)
Questa procedura richiede l’acquisizione di rapide sequenze T2, di solito immagini ecoplanari a gradiente di eco, ripetute nel tempo, mentre il soggetto esegue un determinato compito. Tale tecnica è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (cambiamenti nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata all’attività dei neuroni del cervello (Le Bihan 2007). Come nel caso della PET, la differenza di emodinamica regionale è messa in relazione all’attività neuronale di sistemi alla base di specifiche funzioni sensomotorie, percettive o cognitive. Infatti, le variazioni del flusso ematico e dell’ossigenazione sanguigna nel cervello sono strettamente correlate all’attività neuronale. Quando le cellule nervose sono attive consumano ossigeno trasportato dall’emoglobina che attraversa i capillari sanguigni locali. L’effetto è un aumento del flusso sanguigno nelle regioni di maggiore attività neuronale, che avviene con un ritardo compreso tra 1 e 5 s circa. Tale risposta emodinamica raggiunge un picco in 4-5 s, prima di tornare a diminuire fino al livello iniziale. Si hanno così variazioni del flusso ematico cerebrale e della concentrazione relativa di ossiemoglobina (emoglobina ossigenata) e deossiemoglobina (emoglobina non ossigenata). L’emoglobina è diamagnetica quando ossigenata, ma paramagnetica quando non ossigenata, e il segnale dato dal sangue nella RMf varia in funzione del livello di ossigenazione. Tale metodo quindi è spesso indicato con l’acronimo BOLD (Blood Oxygen-Level Dependent). Una maggiore intensità del segnale BOLD deriva da diminuzioni nella concentra-zione di emoglobina non ossigenata. Incrementi del flusso sanguigno cerebrale, superiori rispetto all’aumento del consumo d’ossigeno, porteranno a una maggiore intensità del segnale; mentre diminuzioni nel flus-so, di maggiore entità rispetto alle variazioni del consumo d’ossigeno, causeranno minore intensità del segnale.
A differenza della PET, dove vengono utilizzate radiazioni ionizzanti, la RMf viene considerata una tecnica non invasiva, che non espone a radiazioni ionizzanti. Per quanto riguarda invece la risoluzione spaziotemporale, relativamente a questioni legate alla fisiologia della risposta emodinamica, in termini temporali si tratta di circa 2-10 s (quindi un tempo legato alla natura intrinseca dei processi emodinamici), mentre per la risoluzione spaziale si scende fino a 1-3 mm. Applicata allo studio della fisiologia del cervello, la RMf BOLD ha permesso dunque di visualizzare su una scala temporale estremamente frazionata le variazioni dell’ossigenazione delle regioni corticali, che si considera siano in stretta relazione con il grado di attività delle regioni stesse.
Metodi di analisi
Differenti metodi statistici vengono utilizzati per misurare la correlazione di ciascun voxel con il compito in esame. La mappa dei voxels, significativamente correlati con il compito, si sovrappone quindi a un’immagine anatomica standard oppure ricavata dagli stessi soggetti sottoposti allo studio funzionale. I risultati statistici ottenuti dalle misurazioni possono essere successivamente proiettati su mappe anatomiche del cervello, dando in questo modo luogo a immagini e mappe caratteristiche.
I metodi di analisi dei dati negli studi di attivazione PET e RMf sono soprattutto quelli sviluppati nell’ambito della statistical parametric mapping (SPM) del Wellcome department of imaging neuroscience che ha sede a Londra. Questi metodi permettono una normalizzazione rispetto allo spazio stereotassico dei dati PET e RMf acquisiti, per poter effettuare medie di soggetti diversi e medie di osservazioni di tipo sperimentale allo scopo di accedere a complesse procedure di analisi statistica (Friston, in Human brain function, 20042, pp. 599-632).
Tutte le immagini acquisite vengono trasformate in uno spazio stereotassico, il cosiddetto Talairach space o Montreal neurological institute space, al fine di rendere possibile il confronto con un atlante di riferimento conforme allo spazio stereotassico. La procedura prevede anche il controllo per l’attività globale come covariata confondente (analisi di covarianza, ANCOVA). Per concludere l’esame, allo scopo di testare l’ipotesi di effetti specifici regionali (o covariate), si procede con una comparazione delle stime usando contrasti lineari. I risultati sono set di valori per voxel per ogni contrasto in esame, che costituiscono le mappe statistiche parametriche basate su t statistico SPM{t}. Questi non sono altro che i foci di ‘attivazione’ caratterizzati in termini di estensione spaziale e altezza del picco in accordo alla distribuzione gaussiana (Zeki, in Human brain function, 20042, pp. 161-242). La SPM è quindi un’analisi voxel-by-voxel. Questi stessi metodi di analisi inoltre possono essere applicati anche allo studio di pazienti affetti da malattie neurologiche degenerative (Herholz, in The dementias, 2006, pp. 229-51).
Sono state proposte anche differenti procedure di analisi statistiche (per una rassegna, v. Herholz, Salmon, Perani et al. 2002). Questi modelli elaborati recentemente riflettono la struttura ‘connessionale’ del sistema nervoso, ed enfatizzano l’associazione/ac-coppiamento degli elementi del sistema in termini di connettività efficace (Dolan, in Human brain function, 20042, pp. 365-514).
Studio delle funzioni cognitive
I progressi della neurofisiologia di base, dimostrando in modo incontrovertibile la specializzazione funzionale esistente a tutti i livelli del sistema nervoso, hanno screditato il concetto di ‘equipotenzialità’ del sistema nervoso centrale. Le tecniche neuroradiologiche, TC e RM, hanno costituito lo standard di riferimento per la localizzazione morfologica delle lesioni cerebrali in vivo. A partire dall’inizio degli anni Ottanta, con l’esplorazione del cervello in vivo mediante le tecniche di neuroimaging funzionale, non è stato più necessario aspettare un ‘guasto’ per ottenere dati sul funzionamento del cervello, né ricorrere all’autopsia o alla localizzazione neuroradiologica della lesione. Fondamentale è stato lo sviluppo delle metodiche PET e SPECT, che sono state applicate, con sempre maggiore frequenza, sia allo studio di pazienti affetti da disturbi neuropsicologici sia alle indagini sull’organizzazione cerebrale delle funzioni cognitive nel soggetto normale. Un aspetto fisiologico essenziale dimostrato dagli studi di neuroimaging funzionale PET e SPECT è che i deficit cognitivi possono anche avere origine da lesioni che, pur risparmiando strutture cerebrali essenziali, determinano però, da un punto di vista funzionale, una disconnessione di queste tra loro o con altri centri funzionali (Perani, Bressi, Cappa et al. 1993).
La possibilità di misurare variazioni di flusso ematico conseguenti ad attività cognitiva usando la PET con [15O]-H2O ha permesso i primi studi di attivazione attraverso i quali è stato possibile attribuire ruoli funzionali a specifiche regioni del cervello. A queste metodiche radioisotopiche si è poi aggiunta la RM con agente di contrasto esogeno (per es., quella basata sull’uso di gadolinio, la DSC-MRI, Dynamic Susceptibility Contrast-Magnetic Resonance Imaging), grazie alla quale è possibile stimare volume e flusso ematico; la risonanza funzionale con arterial spin labeling (ASL-MRI), che permette anch’essa una quantificazione del flusso ematico, e quella basata sull’effetto BOLD (RMf-BOLD). Quest’ultima tecnica viene ormai diffusamente utilizzata per gli studi di attivazione, e spesso preferita agli studi con PET e [15O]-H2O grazie alla maggiore risoluzione temporale, la quale rende possibile la registrazione delle rapide variazioni di flusso ematico che si accompagnano all’attivazione regionale cerebrale associata all’esecuzione di compiti motori, sensoriali e cognitivi.
La maggiore risoluzione temporale, la non invasività, l’assenza di esposizione a radiazioni ionizzanti, la facile disponibilità delle apparecchiature e i costi di mantenimento relativamente limitati hanno allargato l’utilizzazione di questa metodica a numerosi centri per lo studio dell’attivazione cognitiva nei soggetti normali e nei pazienti neurologici e psichiatrici. Risultati convergenti suggeriscono che la specializzazione funzionale non è una proprietà fissa di specifiche regioni del cervello, ossia che funzioni cognitive come la memoria, il linguaggio, le capacità esecutive sono processi distribuiti e non localizzati. Utilizzando i dati forniti da metodologie di neuroimaging funzionale è possibile sapere come, dove e quando l’attività cognitiva è prodotta nel nostro cervello. La PET e la RMf, permettendo lo studio in vivo dell’attività cerebrale, hanno dimostrato come i substrati neurali delle funzioni cognitive siano rappresentati da circuiti neurali più o meno complessi. Tutto questo ha contribuito a creare un nuovo modo di vedere i principi organizzativi dell’architettura funzionale cerebrale, in termini di processi distribuiti e di interazioni tra sistemi cerebrali specializzati. Il principale contributo delle tecniche di neuroimaging funzionale riguarda infatti la specializzazione e l’integrazione funzionale e come queste si rapportano all’anatomia e alla fisiologia delle connessioni cortico-corticali nel cervello umano (Human brain function, 20042). Il grande contributo degli studi delle funzioni cognitive con neuroimaging funzionale appare evidente se si considera l’enorme quantità di pubblicazioni presenti negli ultimi quindici anni su riviste di alto livello scientifico (per una rassegna, cfr. Perani 2008). La letteratura internazionale su tale argomento è ormai molto vasta, tanto da rendere qui impossibile anche una sintetica rassegna di quella più rilevante; di seguito ne vengono forniti alcuni esempi.
Sistemi di memoria
Il funzionamento del sistema nervoso centrale nello svolgersi delle diverse capacità cognitive si basa sull’attività di sistemi neurali complessi e sul ruolo cruciale delle loro connessioni. La memoria rappresenta una di queste complesse capacità cognitive: il cervello umano ha la possibilità unica di acquisire, immagazzinare e usare un numero enorme di informazioni. A partire dagli anni Novanta, le tecniche di neuroimaging funzionale hanno aperto una nuova era nell’ambito delle neuroscienze cognitive che ha rivoluzionato non solo i metodi di studio ma anche le nostre conoscenze sull’organizzazione cerebrale dei sistemi di memoria. Il funzionamento della memoria umana appare ora molto più complesso rispetto a quanto prospettato dagli studi neuropsicologici. I risultati nell’ambito degli studi di attivazione PET e RMf sulla memoria hanno rivelato che questa funzione non è unitaria, ma esistono sistemi multipli di memoria con differenti specializzazioni e caratteristiche, implementati nel nostro sistema nervoso centrale. L’apprendimento, i depositi delle tracce di memoria remote e più vicine, la memoria di lavoro e le memorie implicite, che riguardano per es. le conoscenze di procedure motorie, dipendono da substrati neurali complessi e integrati.
La memoria episodica è solidamente connessa all’attività dell’ippocampo e delle strutture del circuito di Papez. Quando si impara a memoria una lista di parole l’ippocampo e le altre strutture del circuito raggiungono la massima attivazione; a mano a mano però che le parole vengono depositate stabilmente come tracce, l’attivazione si riduce. Nella fig. 2 le regioni cerebrali attivate (corteccia del cingolo posteriore, precuneo e ippocampo) sono sovrapposte a immagini anatomiche del cervello.
Gli studi di neuroimaging funzionale hanno evidenziato il ruolo basilare delle funzioni di memoria nelle altre attività cognitive, inclusi il linguaggio, il ragionamento, la capacità di astrazione. Questi dati, nell’ambito dei processi di memoria, hanno fornito un importante contributo anche per lo studio delle funzioni cognitive nell’apprendimento e nell’elaborazione di lingue differenti. Per es., la memoria di lavoro risulta fondamentale nell’acquisizione di una nuova lingua e nel determinare il livello di padronanza con cui ci confrontiamo (Perani 2005).
Gli studi di neuroimaging funzionale hanno anche contribuito a dimostrare che le tracce di memoria sono rappresentate estesamente nella nostra corteccia cerebrale. La memoria semantica depositaria delle nostre conoscenze enciclopediche giace principalmente nella corteccia dei lobi temporali, e la memoria procedurale, che rappresenta la nostra capacità implicita di acquisire e di eseguire correttamente complesse sequenze visuomotorie (guidare la macchina, andare in bicicletta), si avvale di strutture cerebrali filogeneticamente più antiche, come il cervelletto e i gangli della base.
Linguaggio
Lo studio dei fondamenti neurologici del linguaggio costituisce un’area multidisciplinare per definizione, ove domini distanti, come linguistica, neuroscienze e metodi di neuroimaging, devono necessariamente interagire e fornire strumenti di indagine. La PET e la RMf sono state applicate in modo sistematico allo studio delle basi neurali del linguaggio, per es. per capire quali sistemi neurali sono attivi durante compiti fonologici, come l’ascolto di storie o la produzione e comprensione di parole (Démonet, Thierry, Cardebat 2005). Uno degli aspetti più interessanti di questo ambito di ricerche è stato la dimostrazione dell’attivazione di estesi sistemi neurali per le funzioni di linguaggio, anche al di fuori delle strutture cerebrali descritte dalla neuropsicologia classica. Inoltre è risultato evidente il coinvolgimento dell’emisfero di destra, in particolare nelle fasi di recupero funzionale in pazienti afasici (Perani, Abutalebi, Paulesu et al. 2003). Di notevole interesse è risultato anche lo studio di soggetti bilingui e poliglotti, che ha rivelato come tutte le lingue padroneggiate si avvalgano di un unico sistema cerebrale e non di sistemi multipli, come era stato ipotizzato da alcune teorie. L’età di acquisizione, il livello di padronanza e la quantità di esposizione della seconda lingua sono variabili cruciali nel modulare l’attività di questi sistemi neurali (Perani, Abutalebi 2005). Si è dimostrato infatti che l’attivazione delle regioni cerebrali per la madrelingua è inferiore rispetto all’attivazione per una seconda lingua alla quale si è stati esposti tardivamente e per un tempo limitato (Wartenburger, Heekeren, Abutalebi et al. 2003).
Gli studi di neuroimaging ci consentono anche di mettere alla prova dei fatti le ipotesi più sofisticate. Per es., nei soggetti normali hanno confermato che l’area di Broca è una regione essenziale per elaborare gli aspetti morfologici e sintattici del linguaggio, ma hanno anche indicato che essa opera all’interno di circuiti molteplici, comprendenti altre regioni corticali connesse, coinvolti non solo nell’elaborazione sintattica, ma anche in altri aspetti dell’organizzazione linguistica, quali la fonologia e la semantica lessicale, oltre che in funzioni extralinguistiche, quali la rappresentazione delle azioni (Tettamanti, Buccino, Saccuman et al. 2005).
Studio dell’invecchiamento
Con l’invecchiamento, il cervello va incontro a una progressiva riduzione ponderale e volumetrica, che coinvolge sia la sostanza bianca sia quella grigia. Tali modificazioni, osservabili a livello macroscopico con i metodi di neuroimaging anatomica (TC e RM) come ‘atrofia’, riflettono la comparsa di alterazioni microscopiche. Le modificazioni quantitative evidenziano la perdita di neuroni, la formazione di placche senili, le modificazioni di tipo qualitativo a livello delle sinapsi come il numero di ramificazioni, la lunghezza e il numero di connessioni dendritiche. I primi studi di neuroimaging eseguiti in soggetti normali mediante TC sono stati soppiantati dai metodi di RM per l’indiscutibile superiorità di questa relativamente all’imaging anatomico. Questa elevata sensibilità alle mo-dificazioni del parenchima cerebrale ha portato a individuare con grande frequenza aree iperintense nella sostanza bianca degli emisferi di soggetti anziani normali. Sono considerati reperti probabilmente aspecifici le iperintensità periventricolari (‘incappucciamento’ degli apici ventricolari) e i piccoli focolai iperintensi, mentre alterazioni più estese della sostanza bianca o di quella grigia sono correlate con la presenza di fattori di rischio vascolare e di alterazioni ai test neuropsicologici. È stata comunque dimostrata una correlazione lineare tra la frequenza di questi reperti e l’età. In uno studio realizzato recentemente e condotto su più di 1000 anziani, è stato dimostrato che le anomalie periventricolari sono chiaramente associate a rallentamento cognitivo e ad altre lievi alterazioni della sfera cognitiva. Tra i dati più interessanti ricavati dalle misure di tipo volumetrico con RM, ricordiamo il riscontro di una correlazione inversa tra età e volume dell’ippocampo e di un’analoga correlazione con le prestazioni a test di memoria in uno studio su soggetti anziani non dementi (Frisoni, Filippini, in The dementias, 2006, pp. 157-95). Studi longitudinali di soggetti con minime modificazioni cognitive, in cui si era evidenziata con TC e RM la presenza di atrofia dell’ippocampo, hanno dimostrato l’insorgenza di demenza negli anni successivi in un’alta percentuale (70%). PET e SPECT hanno dimostrato riduzioni dei parametri funzionali di profusione e metabolismo glucidico cerebrali con l’avanzare dell’età. Il grado di riduzione però era di valore notevolmente inferiore a quello presente nel caso di malattie dell’invecchiamento come, per es., le demenze e non riguardava le stesse strutture cerebrali (Hasselbanch, Knudsen, in The dementias, 2006, pp. 253-77).
Studio delle malattie neurologiche
Per quanto riguarda le condizioni patologiche associate a demenza, e in particolare il morbo di Alzheimer (mdA), a livello anatomico macroscopico si sono riscontrati gradi variabili di atrofia, proporzionali alla perdita di neuroni. Un problema fondamentale che si pone per quanto riguarda i metodi di indagine anatomica RM, è quello di individuare una ‘soglia di normalità’ che possa fornire elementi di supporto alla diagnosi differenziale tra invecchiamento fisiologico e mdA iniziale. Sia la TC sia la RM hanno un ruolo importante nel processo diagnostico di esclusione di altre patologie potenzialmente responsabili di demenza (per es., l’idrocefalo a bassa pressione, o un ematoma subdurale), ma la possibilità di identificare una ‘soglia diagnostica’ dell’atrofia si è rivelata un obiettivo piuttosto difficile da raggiungere. La RM è sicuramente superiore alla TC nell’evidenziare l’atrofia delle strutture temporali mediali come l’ippocampo. I metodi di analisi delle immagini recentemente sviluppati dal gruppo del citato Wellcome department of cognitive neurology, consentono una più rapida analisi dei dati anche per le tecniche RM (Zeki, in Human brain function, 20042, pp. 161-242).
In generale, i risultati appaiono soddisfacenti a livello di studi di gruppi di pazienti, ove sono state evidenziate anche correlazioni più specifiche tra il volume di alcune strutture cruciali (come l’ippocampo) e le prestazioni a prove di memoria. In particolare, la VBM (Voxel-Based Morphometry) è una tecnica completamente automatica per la misura dell’atrofia cerebrale sulla base delle modifiche di volume e di densità della sostanza grigia e di quella bianca (Friston, in Human brain function, 20042, pp. 599-632).
Recenti studi VBM eseguiti su pazienti con mdA e con degenerazione lobare frontotemporale hanno dimostrato che il quadro di atrofia in queste due condizioni è significativamente diverso, e può essere usato per la diagnosi differenziale. Nel mdA le aree che risultano atrofiche in maniera significativa sono risultate la corteccia parietale e le regioni temporali mediali (amigdala, ippocampo), mentre nella demenza frontotemporale (FTD, FrontoTemporal Dementia) la progressione dell’atrofia è più rapida, e riguarda regioni corticali frontali e temporali.
È ancora incerta l’utilità delle misure morfometriche nella popolazione dove queste avrebbero più rilevante applicazione clinica e di ricerca, ovvero nei soggetti che si trovano nelle fasi iniziali della malattia (mdA possibile, demenza discutibile); allo stesso modo, nel caso del singolo paziente il risultato di un’indagine morfometrica rimane da interpretare sulla base del contesto clinico.
PET e SPECT sono invece molto utilizzate nelle malattie neurologiche degenerative, e in particolare nelle demenze. Nelle linee guida per la diagnosi di queste ultime, sono state inserite le misure della perfusione cerebrale regionale con la SPECT e del metabolismo del glucosio con la PET (Dubois, Feldman, Jacova et al. 2007). La maggior parte delle indagini sinora eseguite si basa su misurazioni effettuate in condizioni di riposo. La SPECT, data l’ampia disponibilità delle attrezzature e il costo limitato dell’esame, sin dalle prime applicazioni cliniche è stata considerata uno strumento promettente per la diagnosi del mdA. La dimostrazione di un pattern di ipoperfusione relativamente specifico, che interessa le aree temporoparietali dei due emisferi, nelle fasi precoci della malattia, ha avuto un ruolo importante nella promozione delle applicazioni diagnostiche della SPECT. Gli studi PET nelle malattie associate a demenza sono ormai numerosissimi, e hanno dimostrato l’indubbia utilità della metodica nella diagnostica clinica e in differenti aree della ricerca sulle demenze (per una rassegna, cfr. The dementias, 2006). L’importanza clinica della PET nello studio dei pazienti con probabile mdA è legata alla possibilità di dimostrare diminuzioni della perfusione o metabolismo glucidico nelle aree associative temporoparietali: nella figura 3A, sezioni di cervello in un soggetto con morbo di Alzheimer mostrano ipometabolismo nelle regioni parietali (aree verdi); ciò è stato dimostrato anche con tecnica SPECT. Infatti, in condizioni di patologia degenerativa come mdA, esiste un accoppiamento tra flusso e metabolismo, e l’informazione diagnostica fornita dallo studio di perfusione SPECT è di regola comparabile a quella ottenibile con metodiche PET per la misura del metabolismo glucidico. Nelle fasi iniziali della malattia, la riduzione metabolica può interessare anche le aree temporali mediali (strutture dell’ippocampo), in accordo con i dati neuropatologici e con l’evidenza clinica di deficit di memoria. Nelle demenze di tipo frontotemporale, sulla base della combinazione di compromissione frontale (identificata con la PET) e caratteristiche cliniche recentemente delineate dal gruppo di Lund e Manchester (Clinical and neuro-pathological criteria for frontotemporal dementia, «Journal of neurology, neurosurgery and psychiatry», 1994, 57, 4, pp. 416-18), è possibile formulare una diagnosi in vivo di sospetta patologia: nella figura 3B si evidenzia come, in un soggetto con questo tipo di demenza, l’ipometabolismo riguarda le regioni dei lobi frontali (aree verdi; cfr. Dougall, Ebmeier, in The dementias, 2006, pp. 197-228).
Perché le metodiche funzionali siano applicabili nella pratica clinica è necessario che siano utilizzabili con il singolo paziente e che siano facilmente eseguibili. Un altro studio europeo multicentrico (Herholz, Salmon, Perani et al. 2002) e uno studio statunitense (Foster, Heidebrink, Clark et al. 2007) hanno dimostrato che la diagnosi automatizzata di mdA e FTD è fattibile sulla base di metodi VBM che consentono una sensibilità e una specificità dal 93% al 97% nella diagnosi del singolo soggetto. Oltre al ruolo importante nella diagnosi differenziale tra mdA e invecchiamento normale, la PET possiede anche un ruolo predittivo sullo sviluppo di demenza. Sebbene si tratti di un’entità clinica ancora controversa, il deficit cognitivo lieve (MCI, Mild Cognitive Impairment) sta imponendosi sempre più all’attenzione di neurologi e geriatri. Per l’MCI mancano markers biologici, e clinicamente esso presenta aspetti cognitivi borderline tra invecchiamento normale e compromissione di tipo Alzheimer. Le indagini funzionali PET hanno fornito indicazioni prognostiche: infatti, l’alterazione del metabolismo glucidico nelle aree temporoparietali è stata dimostrata essere un fattore predittivo per l’evoluzione in mdA (Anchisi, Borroni, Franceschi et al. 2005).
Le prospettive di sviluppo più interessanti riguardano la possibilità di studiare con la PET le modificazioni a livello dei sistemi neurotrasmettitoriali e delle funzioni recettoriali. Questo tipo di indagini ci porterà a esaminare in modo più diretto le modificazioni fisiologiche e patologiche che danno luogo ai fenomeni di riduzione metabolica e perfusionale osservati sinora: basti pensare, per es., alla possibilità di indagare la funzionalità del sistema colinergico nelle fasi precoci del mdA, oppure quella del sistema serotoninergico nella demenza frontotemporale. Oltre all’indubbio interesse scientifico di questi sviluppi, appare altamente probabile che da questo filone di ricerca possano derivare indicazioni terapeutiche e preventive di grande rilevanza clinica per le patologie associate a demenza.
Neurochimica del cervello
Il funzionamento del nostro cervello si basa su un sistema integrato molto complesso di sostanze chimiche, con attività nella comunicazione tra neuroni di tipo eccitatorio, inibitorio o di modulazione; le attività mentali umane sono regolate infatti da una neurochimica molto sofisticata. A partire dagli anni Novanta, i gruppi di ricerca che lavoravano con le tecniche funzionali PET hanno sviluppato metodi basati sull’utilizzo di radioligandi per la misura in vivo dei sistemi di neurotrasmissione cerebrale, focalizzando la loro attenzione sui siti di azione (i recettori), sulla sintesi e sulla degradazione dei neurotrasmettitori (Frith, in Human brain function, 20042, pp. 245-362). Sappiamo che sostanze come la dopamina, l’acetilcolina o la serotonina sono alla base del comportamento e dei sistemi cognitivi: l’acetilcolina, per es., riveste un ruolo chiave nell’apprendimento e nel consolidamento delle tracce di memoria.
Neurorecettori e neurotrasmissione
L’utilizzo della PET e di traccianti radiomarcati per i siti dei neurorecettori e per l’attività enzimatica fornisce una possibilità unica per lo studio di specifici sistemi di neurotrasmissione (Hasselbanch, Knudsen, in The dementias, 2006, pp. 253-77). Nel cervello dell’anziano si osserva la diminuzione dell’attività dopaminergica e la perdita di recettori pre- e postsinaptici per la dopamina. Nel caso del sistema serotoninergico vi è, con l’età, una diminuzione di legame della [18F]-altanserina ai recettori 5HT2A dell’ordine del 20% per decade dopo i 30 anni. Studi del sistema colinergico con SPECT e PET hanno mostrato solo un lieve deficit con l’invecchiamento. Nei pazienti con mdA, questi deficit risultano invece importanti (tra il 15% e il 30%) e correlati alla gravità dei sintomi cognitivi della malattia. Studi PET hanno dimostrato in pazienti con mdA una grave riduzione dell’attività colinergica nella corteccia cerebrale, causa principale della perdita di memoria; inoltre la compromissione del sistema colinergico avviene precocemente e incomincia nella neocorteccia, a carico di tutti i lobi, e nell’amigdala, mentre i nuclei della base e il nucleo del Meynert sono relativamente preservati. Gli studi dei sistemi di neurotrasmissione possono risultare utili anche per la diagnosi differenziale. Nella malattia di Parkinson e nella demenza con corpi di Lewy, gli studi PET e SPECT del sistema dopaminergico e dei recettori presinaptici e postsinaptici hanno dimostrato una degenerazione del sistema anche molto grave. La distribuzione dei recettori GABAA (Gamma-AminoButyric Acid) con [11C]-flumazenil, un radiotracciante che misura l’attività del sistema di neurotrasmissione inibitorio GABA, risulta diminuita a livello della corteccia motoria in pazienti con distonia. Con il tracciante PK11195 (PK) si studiano le cellule della microglia attivata nei processi infiammatori, al fine di valutare il grado di attività/infiammazione gliale in pazienti con morbo di Alzheimer e in pazienti con sclerosi multipla, e malattia di Parkinson (Hasselbanch, Knudsen, in The dementias, 2006, pp. 253-77). Un’applicazione interessante della PET è quella che vede l’utilizzo del tracciante [11C]-PIB (Pittsburgh Compound B), che si lega alle placche di amiloide degenerata come nel mdA, offrendo così interessanti possibilità di ricerca sui meccanismi patogenetici della malattia e, in futuro, anche sul monitoraggio di alcune terapie.
Neurochimica della cognizione
Ricerche effettuate con l’ausilio della PET in questo ambito (e che sono da considerarsi assolutamente all’avanguardia) hanno permesso anche misure in vivo della neurochimica cerebrale durante lo svolgimento di attività sensomotorie e cognitive (Frith, in Human brain function, 20042, pp. 245-362). Si è osservato, per es., il rilascio di dopamina da parte di neuroni specifici quando il nostro cervello apprende sequenze visuomotorie complesse, come durante un videogame (Koepp, Gunn, Lawrence et al. 1998).
Uno studio veramente all’avanguardia ha applicato questo metodo PET in soggetti normali durante compiti di memoria di lavoro. Si è visto un rilascio significativo di dopamina a livello della corteccia frontale, che aumentava con l’incremento del carico di lavoro richiesto ai soggetti e quanto più il compito era eseguito in modo corretto. Ciò che di ancora più strabiliante ci hanno rivelato queste ricerche è l’aumento del rilascio di dopamina nei partecipanti a esperimenti PET dello stesso tipo, ma dov’erano previste ricompense monetarie sulla base dei risultati ottenuti durante l’esecuzione di compiti specifici; questo avveniva in regioni cerebrali che rappresentano il substrato neurale dei meccanismi del piacere. Possiamo perciò affermare che la dopamina agisce modulando le strutture cerebrali depositarie dei ricordi del piacere (Pappata, Dehaene, Poline et al. 2002).
Uno studio sul linguaggio (Tettamanti, Moro, Messa et al. 2005) ha evidenziato come la dopamina sia alla base della modulazione di specifici processi linguistici, quali quelli fonologici. Il suo rilascio a livello dei gangli della base è stato inoltre asimmetrico, con un netto coinvolgimento delle strutture di sinistra, a sottolineare anche nella regolazione neurochimica una specializzazione emisferica.
Bibliografia
D. Perani, S. Bressi, S.F. Cappa et al., Evidence of multiple memory systems in the human brain. A [18F]FDG PET metabolic study, «Brain», 1993, 116, 4, pp. 903-19.
Clinical and neuropathological criteria for frontotemporal dementia. The Lund and Manchester groups, «Journal of neurology, neurosurgery and psychiatry», 1994, 57, 4, pp. 416-18
M.J. Koepp, R.N. Gunn, A.D. Lawrence et al., Evidence for striatal dopamine release during a video game, «Nature», 1998, 393, 6682, pp. 266-68.
P.J. Basser, S. Pajevic, C. Pierpaoli et al., In vivo fiber tractography using DT-MRI data, «Magnetic resonance in medicine», 2000, 44, 4, pp. 625-32.
R. Pozzi Macelli, TC e TC spirale nella pratica clinica, Napoli 2000.
K. Herholz, E. Salmon, D. Perani et al., Discrimination between Alzheimer dementia and controls by automated analysis of multicenter FDG PET, «NeuroImage», 2002, 17, 1, pp. 302-16.
S. Pappata, S. Dehaene, J.B. Poline et al., In vivo detection of striatal dopamine release during reward. A PET study with [11C]raclopride and a single dynamic scan approach, «NeuroImage», 2002, 16, 4, pp. 1015-27.
D. Perani, J. Abutalebi, E. Paulesu et al., The role of age of acquisition and language usage in early, high proficient bilinguals. A fMRI study during verbal fluency, «Human brain mapping», 2003, 19, 3, pp. 170-82.
I. Wartenburger, H.R. Heekeren, J. Abutalebi et al., Early setting of grammatical processing in the bilingual brain, «Neuron», 2003, 37, 1, pp. 159-70.
Human brain function, ed. R.S.J. Frackowiak, K.J. Friston, Ch.D. Frith et al., Amsterdam 20042 (in partic. S. Zeki, Vision and visual perception, part one, section two, pp. 161-242; C. Frith, Higher cognitive functions, part one, section three, pp. 245-362; R. Dolan, Emotion and memory, part one, section four, pp. 365-514; K.J. Friston, Imaging neuroscience. Theory and analysis, part two, pp. 599-632).
D. Anchisi, B. Borroni, M. Franceschi et al., Heterogeneity of brain glucose metabolism in mild cognitive impairment and clinical progression to Alzheimer disease, «Archives of neurology», 2005, 62, 11, pp. 1728-33.
J.-F. Démonet, G. Thierry, D. Cardebat, Renewal of the neurophysiology of language. Functional neuroimaging, «Physiological reviews», 2005, 85, 1, pp. 49-95.
D. Perani, The neural basis of language talent in bilinguals, «Trends in cognitive sciences», 2005, 9, 5, pp. 211-13.
D. Perani, J. Abutalebi, The neural basis of first and second language processing, «Current opinion in neurobiology», 2005, 15, 2, pp. 202-06.
M. Tettamanti, G. Buccino, M.C. Saccuman et al., Sentences describing actions activate visuomotor execution and observation systems, «Journal of cognitive neuroscience», 2005, 17, 2, pp. 216-25.
M. Tettamanti, A. Moro, C. Messa et al., Basal ganglia and language. Phonology modulates dopaminergic release, «NeuroReport», 2005, 16, 4, pp. 397-401.
The dementias. Early diagnosis and evaluation, ed. K. Herholz, D. Perani, Ch. Morris, New York 2006 (in partic. G.B. Frisoni, N. Filippini, Quantitative and functional magnetic resonance imaging techniques, pp. 157-95; N.J. Dougall, K.P. Ebmeier, Perfusion imaging with single photon emission computed thomography, pp. 197-228; K. Herholz, FDG PET. Imaging cerebral glucose metabolism with positron emission tomography, pp. 229-51; S.G. Hasselbanch, G.M. Knudsen, Imaging of neurotrasmitter systems in dementia, pp. 253-77).
B. Dubois, H.H. Feldman, C. Jacova et al., Research criteria for the diagnosis of Alzheimer’s disease. Revising the NINCDS-ADRDA criteria, «The lancet neurology», 2007, 6, 8, pp. 734-46.
N.L. Foster, J.L. Heidebrink, Ch.M. Clark et al., FDG-PET improves accuracy in distinguishing frontotemporal dementia and Alzheimer’s disease, «Brain», 2007, 130, 10, pp. 2616-35.
D. Perani, The functional neuroimaging of cognition, in Handbook of clinical neurology, vol. 88, 3rd series, Neuropsychology and behavioral neurology, ed. G. Goldenberg, B.L. Miller, Edinburgh-Amsterdam 2008, pp. 61-111.
Magnetic resonance imaging of the brain and spine, ed. S.W. Atlas, Philadelphia-London 20094.
Si veda inoltre:
D. Le Bihan, The ‘wet mind’. Water and functional neuroimaging, «Physics in medicine and biology», 2007, 52, 7, http:// www.iop.org/EJ/article/0031-9155/52/7/R02/pmb7_7_r02.pdf (8 marzo 2010).