neurone. Il ruolo dei neuroni specchio nell’empatia
L’individuazione dei neuroni specchio risale ai primi anni Novanta del secolo scorso, quando un gruppo di neurofisiologi di Parma guidato da G. Rizzolatti, durante lo studio della corteccia premotoria del macaco, isolò singoli neuroni che, oltre ad attivarsi quando l’animale eseguiva un’azione specifica, si attivavano anche quando l’animale semplicemente osservava la medesima azione compiuta da un altro agente. Queste prime risultanze portarono alla scoperta di un sistema neuronale, facente capo all’area premotoria F5 e alla porzione posteriore dell’area parietale, dotato di proprietà mirror (specchio), in grado cioè di rispecchiare internamente le componenti motorie di un’azione in conseguenza della sola esposizione alle sue caratteristiche sensoriali. Questa natura multimodale è stata presto estesa anche alla modalità uditiva: l’attivazione motoria che presiedeva ad un’azione tipica del repertorio comportamentale dell’animale (per es., la rottura di una noce) veniva evocata anche dalla semplice esposizione al suono tipicamente associato.
Sempre nel modello animale, si è potuto riscontrare come l’esposizione alle fasi iniziali di un’azione (i primi movimenti di avvicinamento dell’arto superiore a un oggetto) sia in grado da sola di innescare un rispecchiamento motorio nell’osservatore, anche quando gli era stata artificialmente preclusa la visione della fase finale dell’azione (l’effettiva prensione dell’oggetto). Un’analisi dettagliata del rapporto tra le proprietà cinematiche dell’azione da una parte e l’attivazione del sistema mirror dall’altra, ha messo in luce come l’attivazione di quest’ultimo corrispondesse fedelmente alla serie temporale dell’azione (successione degli atti motori e loro durata), alla tipologia dell’azione (per es., presa finale) e ai suoi scopi (per es., prensione per avvicinare). Si è così chiarito che piuttosto che un pedissequo rispecchiamento di quanto osservato, i neuroni mirror generano una simulazione incarnata (embodied simulation, dal neuropsicologo Vittorio Gallese) dell’azione e del suo scopo, che consente all’osservatore di rappresentarsi internamente anche le intenzioni dell’agente. La rappresentazione così generata è inscritta direttamente nel codice senso-motorio dell’osservatore, ed è attivata in modo automatico e non controllato.
Studi comportamentali e di neuroimaging funzionale sull’uomo hanno permesso di individuare la sede del sistema mirror per le azioni nelle aree rostrali del lobulo parietale inferiore, nella pars opercularis del giro frontale inferiore, e nella parte adiacente della corteccia premotoria, includente l’area di Broca (BA44). La centralità di quest’ultima struttura nell’articolazione del linguaggio ha spinto la ricerca a investigare il ruolo del sistema mirror nello sviluppo della competenza linguistica, dal punto di vista sia filogenetico che ontogenetico. Prerogative accertate del sistema mirror nell’uomo sono il suo operare in modo preverbale, in modo preconscio, e il suo coinvolgimento sia nelle azioni transitive (ossia quelle che coinvolgono un oggetto), ma anche in quelle intransitive e comunicative. Inoltre proprietà mirror sono state attribuite ai circuiti che presiedono alla codifica del contatto epidermico: la loro attivazione quando la persona ne fa diretta esperienza è sovrapponibile a quella riscontrata quando osserva la stessa esperienza vissuta da un altro individuo. A destare ancor più interesse, è stata la scoperta di un analogo meccanismo di simulazione incarnata sottostante ad esperienze connotate emotivamente o contraddistinte dal dolore. Lo stesso settore dell’insula anteriore si attiva sia quando un soggetto prova disgusto inalando una sostanza maleodorante, sia quando osserva la mimica facciale tipica di quest’emozione da parte di un’altra persona esposta alla stessa sostanza. Per quel che riguarda il dolore, quando il soggetto lo sperimenta in prima persona mostra un’attivazione dell’insula anteriore e della corteccia cingolata anteriore; le stesse aree sono attive quando egli osserva un’altra persona sottoposta alla medesima stimolazione dolorifica, con un’attivazione direttamente proporzionale al grado di vicinanza affettiva che li lega (sconosciuto versus congiunto). Tali aree, fittamente connesse con i centri visceromotori, sono note per il loro ruolo primario nella codifica delle valenze affettive, attentive e motivazionali degli stimoli, e nella modulazione delle reazioni viscerali che accompagnano le esperienze emotivamente connotate (per es., i conati di vomito durante il disgusto).
Il termine empatia (dal ted. Einfühlung), coniato dallo psicologo e filosofo tedesco Theodor Lipps (1851-1914), viene oggi utilizzato per denominare l’insieme delle capacità che permettono all’uomo di comprendere i vissuti dei suoi simili. Nella descrizione che ce ne offre nel 1917 la filosofa Edith Stein (Breslavia 1891- Auschwitz, 1942), allieva di Lipps, tale comprensione si realizzerebbe attraverso un processo imitativo interno all’osservatore: è sorprendentemente simile alla simulazione incarnata proposta da Gallese. Ciò ha candidato i neuroni specchio e la simulazione incarnata a principi anatomo-funzionali esplicativi della capacità di condivisione dei vissuti da parte dell’essere umano. La capacità di assumere la prospettiva dell’altro dipende da molti meccanismi, ad oggi ancora poco noti, ma sembra plausibile che consti sostanzialmente di una componente più cognitiva e di una più emotiva. Recenti studi su pazienti cerebrolesi hanno permesso di localizzare una componente cognitiva dell’empatia nella corteccia prefrontale ventro-mediale (BA10, BA11), e la componente emotiva nel giro frontale inferiore (BA44): quest’ultima sarebbe proprio la risonanza emotiva generata dal funzionamento dei neuroni specchio.