neuropatie
Neuropatie da farmaci
La moltiplicazione e la diffusione di molecole farmacologicamente attive ha contribuito, negli ultimi decenni del 20° sec., all’elevata incidenza delle neuropatie da farmaci e al chiarimento di alcuni fra i meccanismi patogenetici, sebbene in alcuni casi si possa solamente prendere atto di una correlazione evidente, del tipo causa-effetto, fra la somministrazione di una sostanza e la comparsa di una patologia neuritica. La neuropatia iatrogena è da considerarsi in molti casi come rischio accettato, dal momento che i farmaci che la inducono possono essere salvavita, come quelli antitumorali; in altri casi (antibiotici neurotossici) l’uso è da riservare solo laddove essi si dimostrino indispensabili senza alternative terapeutiche, e comunque è indicato lo stretto monitoraggio di segni e sintomi di neuropatia incipiente, spec. a carico dei nervi cranici.
Già negli anni Cinquanta del 20° sec. era evidente che la somministrazione intramuscolare di streptomicina (un antibiotico della classe degli amminoglicosidi molto usato per la terapia di infezioni tubercolari e altre infezioni croniche batteriche) poteva provocare sordità e alterazioni della funzionalità vestibolare: fu forse la prima evidenza clinica di una neurite cranica (dell’VIII paio di nervi cranici) da farmaco. A lungo tuttavia non si conobbe il meccanismo patogenetico di tale iatrogenicità: attorno al 1980 si scopri l’accumulo patologico degli amminoglicosidi nella perilinfa e nell’endolinfa dell’orecchio interno, proporzionale alla concentrazione ematica, e successivamente si evidenziò che, per tutti i farmaci di questa classe, anche una sola dose (per es., di tobramicina) è in grado di produrre effetti ototossici, e che tale patologia è solitamente irreversibile a causa della distruzione delle cellule sensitive cocleari e vestibolari. Ciò impedisce al sistema uditivo di generare potenziali d’azione in risposta ai suoni e ai movimenti. L’aumento del dosaggio e la somministrazione prolungata, ma soprattutto la ripetizione di cicli terapeutici, provocano inoltre la progressione a ritroso del danno per tutto il nervo acustico. Anche applicazioni intrauricolari (in caso di otiti con perforazione timpanica) di amminoglicosidi, polimixina-colistina, cloramfenicolo, possono determinare alterazioni cocleovestibolari. L’ipotesi patogenetica più probabile è che gli amminoglicosidi alterino dapprima la concentrazione di ioni nei fluidi del labirinto e secondariamente interagiscano con i fosfolipidi di membrana del nervo.
Questa infiammazione con danno anatomofunzionale del nervo ottico si riscontra talvolta dopo somministrazione di etambutolo a dosaggi elevati e trattamenti prolungati, spec. in pazienti con insufficienza renale ed epatica, diabete, etilismo; eccezionalmente compare anche con isoniazide (associata all’etambutolo nel trattamento antitubercolare) e cloramfenicolo; quest’ultimo antibiotico può provocare, nei pazienti con fibrosi cistica e nei neonati, perdita simmetrica delle cellule gangliari della retina e atrofia delle fibre del nervo ottico, potendosi accompagnare, se pur raramente, a una neuropatia periferica con parestesie. Tra i farmaci più recenti (2001) sono soprattutto l’etanercept e altri inibitori del TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α ) a essere chiamati in causa, per patologie oculari di tipo demielinizzante, quali la neurite ottica, e di tipo infiammatorio (uveiti). Non è stato ancora chiarito il meccanismo alla base di queste reazioni avverse: questi farmaci potrebbero esacerbare le malattie demielinizzanti inibendo l’apoptosi di cellule T potenzialmente autoreattive e innescando, quindi, una risposta autoimmunitaria contro la mielina a livello del sistema nervoso centrale. Un diverso meccanismo patogenetico, di tipo ischemico, è imputabile alla nevrite ottica da sildenafil (Viagra) e da amiodarone: essi sono ritenuti responsabili del 42% di tutti i casi di neuropatia ottica ischemica.
Alcuni alcaloidi isolati da Vinca rosea e usati come antineoplastici hanno spiccata tossicità per le strutture nervose e in partic. per quelle periferiche. Le nevriti si manifestano con parestesia, dolori di tipo folgorante e difetti trofici. La vincristina può causare anche neuropatie a livello del sistema nervoso autonomo, con costipazione, ileo paralitico, dolore addominale, ritenzione urinaria e ipotensione ortostatica. Un’altra classe di farmaci con elevata tossicità è quella delle molecole stabilizzanti i microtubuli, tra cui i taxani (come il paclitaxel e il docetaxel): essi possono causare l’insorgenza di una neuropatia grave, che dipende dalla dose per ciclo di trattamento e dalla durata dell’infusione, ma che generalmente si risolve in maniera graduale dopo l’interruzione del trattamento. La ragione di questi effetti risiede nel meccanismo d’azione: interferendo con i microtubuli delle strutture nervose (il paclitaxel promuove l’aggregazione dei polimeri di tubulina, mentre la vincristina ne promuove la depolimerizzazione), questi farmaci impediscono il trasporto di proteine essenziali nei granuli secretori a livello delle cellule nervose. Il metotrexato, che induce invece il rilascio di adenosina nel sistema nervoso centrale e inibisce la sintesi delle purine, può ugualmente provocare neurotossicita a livello dei nervi cranici con deficit dei muscoli oculari, ptosi, paralisi facciale e laringea, e deficit dell’acuità visiva da compromissione del nervo ottico. Gli antineoplastici suddetti possono dare anche neurotossicita periferica di tipo sensoriale, con deficit sensitivo che si distribuisce ‘a guanto’ e ‘a calzino’. Simile la neuropatia da cisplatino e da oxaliplatino (utilizzato nel trattamento dei tumori gastrointestinali), con la perdita della propriocezione e della sensibilità vibratoria e iporeflessia; è di solito reversibile, ma il recupero avviene lentamente, nel giro di molti mesi dalla sospensione del farmaco.