neurotrasmettitori
Neurotrasmettitori e malattie mentali
La comunicazione di miliardi di neuroni connessi fra loro nel cervello è alla base della creazione della sfera cognitiva (pensiero), affettiva (emozionale) e comportamentale. Queste attività neurospecifiche non sarebbero possibili senza la presenza dei neurotrasmettitori. Il linguaggio dei neurotrasmettitori è finemente regolato nel neurone, e ogni alterazione o malfunzionamento dello stesso può portare a modificazioni del pensiero, dell’umore e della personalità. Le malattie mentali sono la manifestazione di un’alterazione comportamentale, psicologica o biologica di un individuo, associata in taluni casi a un malfunzionamento della neurotrasmissione. La ricerca neurologica ha identificato alcuni neurotrasmettitori come la dopammina, la serotonina, la noradrenalina, il glutammato e il GABA, associati a problemi di salute mentale. Alterazioni quantitative o qualitative nella produzione, assorbimento (uptake) o riassorbimento (reuptake) di questi neurotrasmettitori sono connesse alla depressione, ai disturbi bipolari, ai disturbi ossessivo-compulsivi, alla schizofrenia e alla sindrome da deficit di attenzione e iperattività. In tempi recenti sono state proposte numerose sostanze importanti non solo per la loro funzione terapeutica, ma anche insostituibili per l’elucidazione dei meccanismi neurofisiologici e neuropatologici della neurotrasmissione nelle malattie comportamentali.
La depressione è inclusa tra i cosiddetti disturbi dell’umore. Fino a poco tempo fa si pensava che fra i geni associati alla depressione vi fosse quello che codifica una proteina che recupera la serotonina nei neuroni, una volta liberata. Recentemente (2009) è stato dimostrato che non vi è associazione fra la variante genetica (polimorfismo) del trasportatore della serotonina e la possibilità di sviluppare la depressione, ma, anche se i meccanismi molecolari ancora non sono chiari (➔mentali, malattie), tutti i trattamenti che determinano riduzione della neurotrasmissione serotoninergica sono associati allo sviluppo di quadri comportamentali ansiosi evolventi in depressione. Bassi livelli di serotonina sembrano così essere correlati con la depressione maggiore; quindi, molte delle terapie volte alla cura di questo disturbo psichiatrico cercano di ristabilire appropriati livelli di serotonina. Per la depressione si usano i farmaci serotoninergici che favoriscono l’accumulo di neurotrasmettitore nella doccia sinaptica grazie al blocco selettivo della ricaptazione da parte del terminale presinaptico. Tali farmaci, tra cui si annoverano la fluoxetina, la paroxetina, il citalopram e altri, chiamati SSRI (Serotonin Selective Reuptake Inhibitors), possiedono un’elevata specificità per il sistema serotoninergico, e sono quasi privi degli effetti collaterali indotti dai farmaci di vecchia generazione, i cosiddetti triciclici o gli inibitori delle monoamminossidasi (IMAO).È importante notare che gli SSRI sono utilizzati anche nel trattamento di disturbi mentali assai diversi dalla depressione, come il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo di panico, o la bulimia. Con il rischio che l’estrema diffusione della diagnosi di disturbo depressivo, anche in caso di lievi condizioni di disagio esistenziale, e la facilità d’uso degli SSRI, portino a un’incontrollata somministrazione di massa di antidepressivi.
Sebbene vi sia un generale accordo sull’ipotesi che esista un disturbo della connettività nel cervello degli schizofrenici, altrettanto non avviene sulla natura della disfunzione delle vie neurochimiche che caratterizzano la patofisiologia della schizofrenia. Due sono le principali ipotesi sperimentali che cercano di spiegare la schizofrenia come malattia dovuta ad alterazione dei neurotrasmettitori: l’ipotesi dopamminergica e l’ipotesi glutammatergica. L’ipotesi dopamminergica implica un aumento del sistema del metabolismo della dopammina. Essa si basa principalmente sul fatto che tutti i più diffusi antipsicotici (aloperidolo) agiscono bloccando i recettori D2 dopamminergici, e gli stimolanti la neurotrasmissione della dopammina generano una sintomatologia simile alla schizofrenia in soggetti normali, aggravando con sintomi psicotici gli schizofrenici. Ancora oggi (2010) l’esatta correlazione deve essere definita, ma l’aumentato rilascio presinaptico di dopammina o l’aumentata sensibilità o densità dei recettori postsinaptici per la dopammina risultano essere il tipo di alterazione nella neurotrasmissione associata alla schizofrenia. Il gene COMT (Catechol-O-Methyl Transferase) codifica un enzima catabolico coinvolto nella degradazione della dopammina ed è localizzato sul cromosoma 22q11, la cui delezione si associa alle manifestazioni psichiatriche tipiche della schizofrenia (➔ mentali, malattie). L’ipotesi glutammatergica della schizofrenia prevede un ipofunzionamento di questo neurotrasmettitore nelle proiezioni corticostriatali che genera un’aumentata sensibilità nei circuti talamocorticali, una riduzione del segnale rispetto al rumore di fondo dell’attività neuronale è un incremento negli stimoli dopamminergici dovuto alla disinibizione dell’area tegmentale ventrale del mesencefalo. Inoltre si è ipotizzato che il malfunzionamento dei recettori NMDA negli interneuroni GABAergici porti a una disinibizione generalizzata nella corteccia cerebrale. Alterazioni degli interneuroni GABAergici, che ricevono forti input dai neuroni glutammatergici, sono una delle più costanti alterazioni neuroanatomiche nella schizofrenia. Inoltre la neurogenetica ha indicato in alcuni geni e nell’interazione di questi geni con l’ambiente i possibili meccanismi alla base dello sviluppo della schizofrenia. L’ipermetilazione della glutammicodecarbossilasi 67 (GAD 67), è stata associata a difetti della trasmissione GABAergica telencefalica osservati nella schizofrenia.