NICASTRO (A. T., 27-28-29)
Antica città calabrese, in provincia di Catanzaro, sede di vescovato (suffraganeo di Reggio di Calabria) e di tribunale. Ha il centro principale a 200 m. di altezza media sulle pendici meridionali del M. Reventino, tra le fiumare Piazza e di Nicastro. La parte vecchia dell'abitato culmina a 300 m. nelle pittoresche rovine di un castello normanno-svevo, la più recente si stende in piano con costruzioni continue di abitazioni, opifici, magazzini, ecc., sino alla stazione della ferrovia Catanzaro Marina-S. Eufemia Biforcazione. Scarsi i resti monumentali, a causa dei frequenti terremoti, che distrussero la cattedrale normanna; notevole una mensa ponderaria del basso impero nella piazza del mercato. Il comune ha una superficie di kmq. 58,58; produzioni agricole principali sono i vini, l'olio, le frutta secche, il grano, gli ortaggi, con notevole esportazione. La popolazione del comune era di 11.212 ab. nel 1861, di 17.524 nel 1901, di 21.629 nel 1921; nel 1931 era di 24.869, dei quali 20.053 nel centro cittadino e 4816 nei centri minori di Bella, Fronti e Zangarona e nelle abitazioni sparse. Zangarona (1121 ab.) ha popolazione di origine albanese, senza particolarità di costumi, tolto il linguaggio usato familiarmente. In tutto il Nicastrese sopravvive diffusamente il costume femminile con "veste" di panno rosso, sopravveste a "coda" (annodata di dietro), fazzoletto bianco o nero a frange sulle spalle, ecc. Industria caratteristica è quella delle stoviglie domestiche di argilla rossa locale. Servizî automobilistici uniscono Nicastro a Cicala, Nocera Terinese, Cortale.
Storia. - La città ebbe origine bizantina e prosperò sotto i Normanni, che fondarono la cattedrale e vi stabilirono i benedettini: fu sede di vescovato greco, suffraganea di Reggio, sin dai primi del sec. X, e venne latinizzata sotto i Normanni (1094). Fiorì particolarmente sotto gli Svevi. Vi fu Enrico VI e l'imperatrice Costanza fece riparare il castello, dove Federico II rinchiuse il figlio ribelle Enrico. Appartenne costantemente al regio demanio, finché venne infeudata nel 1398 da Antonio Moccia e, da Giovanna II a Ottimo Caracciolo. Ferrante d'Aragona la elevò a contea per il figlio Federico, ma Ferrante II la concesse a Marcantonio Caracciolo, i discendenti del quale la possedettero sino al 1608, quando venne acquistata dai D'Aquino di Castiglione. Nel 1535 vi sostò Carlo V reduce da Tunisi, nel 1598 il Campanella lottò a favore del suo vescovo contro gli Spagnoli, e nel 1638 fu distrutta dal terremoto, che uccise gli ottimati raccolti in S. Francesco per la celebrazione della vigilia delle Palme. Altri danni subì per il terremoto del 1783 e le alluvioni prodotte dai torrenti vicini. Nel 1799 aderì al governo repubblicano, ma, all'annunzio dello sbarco del cardinale Ruffo, la plebe insorse abbattendo l'albero della libertà e malmenando il vescovo e altri del ceto più elevato.
Successivamente partecipò all'insurrezione del 1806 contro i Francesi, cospirò contro il Murat e a favore dei Borboni e insorse contro questi ultimi nel 1848 e nel 1860 per impulso specialmente del barone F. Stocco.
Bibl.: L. Giustiniani, Dizionario geografico del Regno di Napoli, Napoli 1804, VII, pp. 22-27; P. Giuliani, Memorie istoriche della città di Nicastro da' tempi più remoti fino al 1820, Nicastro 1867; F. Lenormant, La Grande-Grèce, III, Parigi 1884, p. 7 segg.