ACCIAIUOLI, Niccolò
Della celebre famiglia fiorentina, che aveva già acquistato ricchezza e potenza nel regno di Napoli, nacque a Monte Gufoni in val di Pesa, il 12 settembre 1310, da Acciaiuolo A. - al quale Roberto d'Angiò aveva dato, in compenso di aiuti finanziarî, onori e cariche, tra cui il vicariato regio a Prato di Toscana - e da Guglielmina de' Pazzi. Diciottenne, Niccolò sposò Margherita degli Spini; e nel 1331 fu inviato a Napoli, per dirigervi l'azienda paterna. Qui Roberto, nel 1335, lo creò cavaliere e consigliere del quindicenne Luigi, nipote del re e figlio di Filippo principe di Taranto. L'ottima prova fatta con questo in Calabria gli fruttò cariche, feudi e l'incarico di curare gl'interessi del principato di Taranto, tenuto dalla vedova di Filippo, Caterina di Valois. Niccolò, in base ai diritti vantati dagli Angioini di Napoli sul principato d'Acaia, ne ottenne il titolo per Roberto primogenito di Filippo, vi si recò, e, dopo tre anni (1338-41) d'intensa lotta, riuscì ad assicurarne il dominio al suo protetto. Ne ricavò, oltre a notevoli benefici economici e a numerosi feudi, anche grande fama: il Boccaccio giunse a paragonarlo ad Ulisse e ad Enea. Appunto al momento di partire per la spedizione, egli ordinò, in caso di sua morte, la costruzione "in Firenze o vero nel contado... di uno munistero dell'ordine di Certosa, il quale si chiami santo Lorenzo": certosa che poi fece edificare in vita, e che resta solenne documento della sua munificenza. Nella tragica uccisione di Andrea, marito della regina Giovanna (18 settembre 1345), sembra egli non abbia avuto parte; ma fu specialmente opera sua il matrimonio concluso, nel 1347, tra la vedova e Luigi di Taranto. Da allora Niccolò cominciò ad aver parte notevolissima nel governo del regno. Fu tra i pochissimi che accompagnarono il re nell'esilio, mentre tutto lo stato, ad eccezione di Melfi, difesa validamente da suo figlio Lorenzo, cadeva nelle mani di Luigi d'Ungheria. Allontanatosi l'invasore, l'A. ritornò nel regno, prese a soldo la "Grande Compagnia" del duca Guarnieri, facilitò l'ingresso del re in Napoli (31 agosto 1348), e contribuì alla risoluzione del conflitto che si chiuse con l'incoronazione di Luigi di Taranto, il 27 maggio 1352. Nel frattempo, aveva avuto in ricompensa altri feudi, sebbene perdesse ogni diritto su Prato, ceduta dagli Angioini a Firenze per denaro; ed era stato nominato Gran Siniscalco del regno. I letterati suoi amici, il Petrarca, il Boccaccio, Giovanni Barrile, Niccolò d'Alife, Marco Barbato di Sulmona, diffondevano la fama delle sue gesta.
Nuovo campo di azione per Niccolò fu poi la Sicilia, aspirazione viva degli Angioini dopo il 1282. Ed egli seppe conquistarne più parti e occupare Palermo e Siracusa: ma fu richiamato in Napoli dai sovrani, preoccupati della spedizione in Italia di Carlo IV. Recatosi presso l'imperatore, egli riuscì ad accattivarsene le simpatie sì che quegli lo avrebbe voluto tenere presso di sé. Dipoi, soffocate nel regno nuove insurrezioni di mercenarî e di baroni, ritornò in Sicilia, conquistò Messina (1356), ricevendone in compenso le contee di Malta e di Gozo, e rese possibile l'ingresso trionfale di Luigi e Giovanna in quella città. Ma, per quanti sforzi egli compisse, le armi angioine non fecero progressi. L'A. allora rivolse la sua attenzione al principato di Acaia, minacciato dai Turchi e dai Catalani; e fece centro della difesa Corinto, concessagli in signoria dal principe Roberto (1358). Due anni dopo era ad Avignone, ed Innocenzo VI lo inviò presso l'Albornoz, che aveva domandato il suo aiuto per la guerra contro il Visconti. L'A. fu allora a Milano, dove conobbe personalmente il Petrarca, e iniziò trattative di pace con Bernabò Visconti. Conchiusa la quale, egli ebbe la nomina a governatore di Bologna e della Romagna. Ma nuove incursioni di truppe di ventura nel Mezzogiorno e la ribellione del duca di Durazzo lo richiamarono nel regno. Vi ricondusse la calma, respingendo gli incursori e chiudendo in carcere il duca. Ritornò poi a Messina nel 1362, per riprendervi la guerra; ma la morte di re Luigi e la rivolta dei baroni contro Giovanna la interruppero. L'A. dovette ritornare a Napoli per soffocarvi i disordini (1364). Allora, per rispondere alle accuse mossegli innanzi al papa, egli scrisse un'ormai famosa lettera ad Angelo di Jacopo Acciaiuoli, vera e propria autobiografia e documento politico di notevole importanza per la storia del Trecento. L'anno dopo, l'8 novembre 1365, moriva in Napoli; e, com'era sua volontà, fu sepolto nella Certosa di Firenze.
Fedele consigliere dei sovrani che si era scelti, Niccolò Acciaiuoli aveva retto con energia ed onestà le sorti del "nobilissimo, amenoso e misero reame - com'egli lo chiama - la cui salute eo con tanta fede e costanza abracciai... reame circondato di tante comulate potenze di predoni e d'altre intestine passioni minanti turbidi", e sconvolto dall'"incostanza degli sudditi, cortesemente parlando", e dalle "reliquie delle guerre più dannificanti li popoli che le guerre". Specialmente per opera sua, Luigi e Giovanna poterono continuare a regnare; e, se furono larghi di concessioni al loro siniscalco, ebbero dalla sua persona e dal suo scrigno molto più che non dessero. Tanta era infatti l'indigenza in cui si trovavano, che, l'anno prima della morte di Niccolò, i loro tesori erano "pleni d'invidia e vacui di pecunie". Della sua patria, poi, Niccolò facilitò gli stretti rapporti economici e commerciali con il Mezzogiorno, sebbene essa si mostrasse, a volte, tutt'altro che grata verso il figlio lontano.
Bibl.: Per la famiglia Acciaiuoli, vedi bibl. alla voce acciaiuoli. Per Niccolò, ltre alle biografie di Filippo Villani e di Matteo Palmerio, quest'ultima tradotta e rifatta da Donato Acciaiuoli e poi da Benedetto Varchi, cfr. J. A. Buchon, Recherches historiques sur la principauté française de Morée, Parigi 1845; L. Tanfani-Centofanti, N. Acciaiuoli, Firenze 1863; A. Sapori, Lettera di N. Acciaiuoli a N. Soderini, in Arch. stor. napoletano, LII (1927), pp. 346-65.