VERACINI, Niccolò Agostino
– Nacque a Firenze il 14 dicembre 1689 dal pittore Benedetto e da Maria Francesca Arrighi e fu battezzato con il nome di Niccolò Agostino (Baldassari, 1992, p. 139 nota 3).
Con l’appellativo di Agostino, che ricorre nei documenti e nella letteratura periegetica (pp. 140 s.), il pittore viene ricordato nelle biografie dedicategli rispettivamente da Francesco Maria Niccolò Gabburri (1738) e dall’abate Orazio Marrini (1766), i quali attestano dell’apprendistato svolto dal giovane con il pittore fiorentino Sebastiano Galeotti.
Nel 1708 Agostino seguì Sebastiano Ricci nel viaggio di ritorno a Venezia dopo la conclusione del suo secondo soggiorno fiorentino (Baldassari, 1992, p. 141 nota 14); il periodo di studio veneziano fu presumibilmente finanziato dal gran principe Ferdinando de’ Medici (Marrini, 1766, p. XXXIII nota 2) e dovette terminare l’anno successivo, quando Veracini licenziò la sua prima opera pubblica, l’Estasi di s. Francesco destinata all’altare Torrigiani in S. Jacopo Sopr’Arno. La pala, memore nell’impianto compositivo del dipinto di Ricci con lo stesso soggetto conservato alla Galleria nazionale di Praga (Improta, 1986, p. 76), coniuga alle reminiscenze venete elementi stilistici ben caratterizzati e tipicamente fiorentini che avvicinano la pittura dell’esordiente Veracini agli esiti dei suoi immediati predecessori Pietro Dandini e Giovanni Camillo Sagrestani (Baldassari, 1992, p. 142).
Dopo la pala Torrigiani si collocano l’affresco con la Madonna che porge il Bambino a s. Francesco nella volta della chiesa di S. Maria a Montedomini, eseguito in collaborazione con il pittore quadraturista Pietro Anderlini (pp. 143 s.), e l’Autoritratto della Galleria degli Uffizi, dipinto per fare da pendant con l’autoritratto del padre Benedetto (Meloni Trkulja, 1979) e databile entro il 1711, anno in cui Agostino si iscrisse all’Accademia delle arti del disegno (Baldassari, 1992, p. 141). Nel 1713 il pittore dovette ultimare per i frati serviti della SS. Annunziata la tela ‘tenebrosa’ con Caino e Abele, attualmente nei depositi delle Gallerie fiorentine, ma la cui provenienza risulta documentata nei registri dell’Accademia del disegno (p. 145 nota 27; Gregori, 2006, p. 30).
Nel 1716 Veracini si sposò con Brigida Maria di Tommaso Maiolfi; a partire dal 1730 risiedette insieme alla famiglia nel quartiere di Santa Maria Novella, nell’odierna via Palazzuolo (Baldassari, 1992, p. 139 nota 3). Nel 1716 fu nuovamente al servizio dei Torrigiani quando i fratelli Raffaello e Giovanni Vincenzo gli commissionarono la decorazione della cappella di famiglia nella chiesa di S. Verdiana a Castelfiorentino: il pittore vi affrescò la cupola, raffigurandovi Dio Padre benedicente, ed eseguì contestualmente la pala d’altare con l’Arcangelo e Tobiolo (Improta, 1986, pp. 74-76). Ancora nel 1716 Veracini fu incaricato dalla Congregazione dei Centurioni di S. Verdiana di illustrare nella cupoletta posta sopra l’altare di loro patronato uno dei miracoli compiuti dalla santa, quello dell’acqua convertita in vino (p. 86).
In quegli stessi anni eseguì due tele per S. Bartolomeo a Sala (Siemoni, 1995) e a partire dal 1718 e fino al 1723 fu coinvolto nella realizzazione del vasto ciclo pittorico di S. Francesco a Castelfiorentino, il cui presbiterio era stato rinnovato secondo il progetto dello scultore e architetto fiorentino Girolamo Ticciati (Bartalucci, 2005, pp. 56 s.). Veracini e il quadraturista Anderlini vennero incaricati dal frate Giovanni Battista Pomposi di eseguire le pitture murali della cappella maggiore; al primo dei due spettano tutte le parti figurative, i Ss. Pietro e Paolo sormontati dalla Resurrezione di Cristo alla parete di fondo, le due finte tavole ad affresco con la Natività e la Deposizione di Cristo alle pareti laterali, e l’Assunzione della Vergine nella volta (pp. 59-61). A spese di Antonio Faeti i due pittori eseguirono anche la decorazione delle due cappelle che si aprono ai lati della tribuna, con la raffigurazione degli episodi salienti della vita dei rispettivi santi titolari, Francesco e Antonio di Padova (Baldassari, 1992, p. 148; Bartalucci, 2005, pp. 61-63). Nel 1728 ad Agostino fu infine saldata la pala con S. Bernardino tra i ss. Lucia e Ansano per l’altare di S. Lucia che era stato eretto l’anno prima sul lato sinistro della navata (Bartalucci, 2005, p. 91): l’impianto piramidale e le figure dalle membra allungate che caratterizzano la tela furono rivisitati secondo una declinazione più aulica e una maggiore ricercatezza nella resa dei costumi dei protagonisti nella pala per la chiesa abbaziale di S. Maria Assunta a Vallombrosa raffigurante S. Atto che riceve le reliquie dell’apostolo Jacopo, realizzata da Veracini nel 1733 (Cecchi, 1999, p. 149).
I rapporti del pittore con l’ordine vallombrosano risalivano alla commissione della Purificazione della Vergine, da lui dipinta per il monastero mugellano di S. Maria a Vigesimo intorno al 1716 (Baldassari, 1992, p. 147), e furono rinsaldati nel 1730, quando Veracini consegnò il S. Pietro Igneo che attraversa il fuoco (Cecchi, 1999, p. 147), uno dei sei dipinti che insieme al S. Atto e alle tele coeve di Antonio Puglieschi, Ignazio Enrico Hugford, Niccolò Lapi e Niccolò Nannetti andarono a costituire l’arredo settecentesco della navata di Vallombrosa (pp. 148-152). Circa un decennio più tardi, ancora al servizio dei vallombrosani, Veracini realizzò per S. Maria a Vigesimo la modesta tela raffigurante S. Giovanni Gualberto che presenta alla Vergine l’ordine vallombrosano (Baldassari, 1992, p. 156) e il meglio riuscito S. Giovanni Gualberto che calpesta i demoni della simonia e del nicolaismo, destinato alla chiesa di S. Bartolomeo a Ripoli (Ciardi, 1999, pp. 93 s.).
Allo scadere del terzo decennio Veracini condusse a termine altri dipinti di carattere sacro, l’Immacolata Concezione con i ss. Francesco e Chiara, oggi nella chiesa fiorentina di Gesù, Giuseppe e Maria, e il Riposo dalla fuga in Egitto, originariamente in S. Lorenzo a Pistoia e attualmente nella locale chiesa di S. Domenico (Baldassari, 1992, pp. 149 s.); nel 1728-29 ricevette i pagamenti per il Transito di s. Giuseppe e il Cristo deriso che la principessa Anna Maria Luisa de’ Medici, elettrice palatina, aveva commissionato rispettivamente per il ‘coro alto’ e il ‘coro basso’ della chiesa del conservatorio delle Montalve a villa La Quiete (Berti, 2006). Intorno al 1733 eseguì per la cappella Arnaldi in S. Giovannino degli Scolopi le due tele in ovato con S. Giuliana Falconieri e S. Francesco Borgia (Baldassari, 1992, p. 153), tuttora apposte alle pareti laterali del sacello.
Nel corso degli anni Trenta intervenne in veste di restauratore sugli affreschi trecenteschi del Cappellone degli Spagnoli a S. Maria Novella e della cappella Rinuccini a S. Croce, con integrazioni che miravano ad adeguarsi allo stile dei pittori antichi (Conti, 2002), secondo una prassi che gli veniva riconosciuta dai suoi contemporanei (Marrini, 1766, p. XXXIV) e che egli adottò intorno al 1750 nei restauri di alcune tavole dei cosiddetti primitivi (per una valutazione complessiva sull’attività di restauratore si vedano Ciatti et al., 2008, pp. 89-91).
Tra la seconda metà degli anni Quaranta e durante tutto il decennio successivo Veracini fu prevalentemente impegnato come frescante e si dedicò soltanto sporadicamente all’esecuzione di pale d’altare, che includono l’arcaizzante tela con i Ss. Francesco di Sales, Gorgonio martire e Niccolò Albergati per il capitolo della Certosa di Calci, e due opere la cui realizzazione fu delegata in massima parte all’allievo Vincenzo Gotti, il S. Nicola per l’omonima chiesa pisana e il S. Tommaso da Villanova che soccorre i bisognosi oggi in S. Michele Visdomini a Firenze, ma proveniente dal convento agostiniano di S. Maria di Candeli (Baldassari, 1992, pp. 157 s.). Nel 1746-47 Agostino aveva affrescato qui la cappella della SS. Vergine, che attualmente corrisponde al vestibolo che collega la caserma dei carabinieri Vittorio Tassi all’ingresso della chiesa di Candeli (Valentini, 2012, pp. 36 s.).
Intorno al 1750 il nobile fiorentino Bandino di Niccolò Panciatichi fece decorare una piccola stanza situata al secondo piano del grandioso palazzo di famiglia in via Larga e, come appare dai documenti, affidò al pittore quadraturista bolognese Vincenzo Torrigiani gli sfondati prospettici del vano (Floridia, 1993, p. 128). Il ciclo encomiastico, inteso a celebrare i membri della famiglia Panciatichi attorniati da figure allegoriche e mitologiche, è stato ricondotto a Veracini (Baldassari, 1992, pp. 153-156; Floridia, 1993; Ciardi, 2006, pp. 133-135) sulla base delle probanti similitudini stilistiche con i documentati affreschi profani di palazzo Ruschi a Pisa, ai quali Veracini attese tra il 1746 e il 1752 (Panajia, 2001).
L’ultima opera del pittore, il grande affresco nella volta di S. Giovannino degli Scolopi a Firenze, raffigurante la Visione di s. Giovanni Evangelista a Patmos, lo impegnò negli anni estremi in concorso con la bottega (Baldassari, 1992, p. 161).
Morì nella città natale nel febbraio del 1762, due anni dopo aver dettato il testamento, e fu sepolto in S. Salvatore d’Ognissanti (p. 162 note 79-80), la sua chiesa parrocchiale.
In un andito annesso al convento il devoto allievo Gotti gli fece erigere un monumento funebre in marmo provvisto del ritratto del maestro dipinto dallo stesso committente (Marrini, 1766, p. XXXIV); l’effigie è sopravvissuta alla distruzione del sepolcro ed è oggi conservata nel convento francescano fiorentino di via dei Giacomini (Spinelli, 2018, pp. 248 s.).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Palatino E.B.9.5: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori (1719-1741), I, 1738, p. 270.
O. Marrini, Serie di ritratti di celebri pittori, II, 1, Firenze 1766, pp. XXXIII s.; M. Marangoni, La pittura fiorentina nel Settecento, in Rivista d’arte, VIII (1912), pp. 61-102 (in partic. pp. 80-82, 102); S. Meloni Trkulja, in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1979, scheda n. A992, p. 1032; M.C. Improta, La chiesa di Santa Verdiana a Castelfiorentino, Ospedaletto 1986, pp. 74-76, 86; F. Baldassari, L’attività pittorica di N. A. V., in Paradigma, X (1992), pp. 139-163; A. Floridia, Palazzo Panciatichi in Firenze, Roma 1993, pp. 128-135; W. Siemoni, Il patrimonio artistico di Castelfiorentino, Ospedaletto 1995, p. 26; A. Cecchi, La pittura a Vallombrosa dal Quattrocento all’Ottocento, in Vallombrosa. Santo e meraviglioso luogo, a cura di R.P. Ciardi, Ospedaletto 1999, pp. 109-176; R.P. Ciardi, I vallombrosani e le arti figurative. Qualche traccia e varie ipotesi, ibid., pp. 27-108; A. Panajia, Un matrimonio del Settecento. Un evento pisano: le nozze di Pietro Verissimo Ruschi con Maria Maddalena Roncioni, Pisa 2001, pp. 59 s.; A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, postfazione di M. Ferretti, Milano 2002, p. 76; S. Bartalucci, La chiesa di San Francesco e le sue vicende artistiche, in La chiesa di San Francesco a Castelfiorentino, a cura di M.D. Viola, Firenze 2005, pp. 29-112; F. Berti, in La principessa saggia (catal., Firenze), a cura di S. Casciu, Livorno 2006, scheda n. 208, p. 381, e scheda n. 217, p. 392; R.P. Ciardi, Dal simbolo all’allegoria. Arte educatrice, arte cortigiana, in Storia delle arti in Toscana. Il Settecento, a cura di R.P. Ciardi - M. Gregori, Firenze 2006, pp. 129-156; M. Gregori, La pittura a Firenze nel Settecento: dai Medici ai Lorena, ibid., pp. 9-40; M. Ciatti et al., Due pittori-restauratori del Settecento restaurati: due tele di A. V. e Ignazio Enrico Hugford, in OPD restauro, XX (2008), pp. 89-99; A. Valentini, Santa Maria di Candeli: il monastero, la caserma, in Le caserme Tassi e Baldissera a Firenze. Opere e arredi, a cura di M. Sframeli, Firenze 2012, pp. 25-52; R. Spinelli, Le compagnie laicali in Ognissanti (secoli XVI-XVIII), in San Salvatore in Ognissanti. La chiesa e il convento, a cura di R. Spinelli, Firenze 2018, pp. 241-254.