ARDINGHELLI, Niccolò
Nacque a Firenze il 17 marzo 1503 da Pietro, che fu poi segretario di Leone X. Dovette probabilmente ai rapporti del padre con la corte pontificia la prima dignità curiale, un protonotariato apostolico, che rivestiva già nel 1523, e forse in quello stesso periodo un canonicato a Pisa (cui si aggiunse nel 1525 un canonicato fiorentino) nonché il beneficio abbaziale di S. Michele della Verrucola in territorio pisano. Nel 1523 ascoltava nello Studio di Pisa le lezioni del giurista Silvestro Aldobrandini che gli dedicò, il 1º agosto di quell'anno, un inedito Tractatus de peste (cod. Vat. Lat. 5843). Ma nel 1524 il Bembo "per l'antico amore et fraterna benivolenza nostra" accoglieva a Padova l'A., raccomandatogli da Pietro e dall'amico T. Taddei, ospitandolo presso di sé ("Hogli proferta la mia casa et ciò che dentro v'è: et dolcissimo mi fia, che egli la usi come sua"; a P. Ardinghelli, 10 ott. 1524, Delle lettere, III, f.44v.). Qui l'A. completò gli studi e rimase almeno sino al 1526, stando ad una lettera del Bembo del 28 gennaio, di risposta ad un quesito giuridico che l'A. gli aveva sottoposto.
Più oscuri gli anni seguenti: tornato a Firenze, l'A. sembra emergere appena nella trama mutevole ma già salda dei rapporti letterari e culturali con i circoli umanistici del tempo, testimoniati dalla amicizia che lo unì a D. Giannotti, al Varchi, a Pier Vettori, a Palla Rucellai: e indubbiamente ad un rapporto di amicizia piuttosto che a comuni interessi politici connessi alla situazione fiorentina e al ritorno dei Medici in Firenze va attribuita la solidarietà che l'A., di famiglia tradizionalmente filomedicea, mostrò agli esuli Aldobrandini e Giannotti, giungendo ad offrire intorno al 1530 per il secondo, condannato al confino e ridotto in povertà, la somma, richiesta per malleveria, di 500 scudi. Culturalmente più significativo il legame con il Vettori, che l'A. e il Cervini chiamarono a Roma (ove l'A. è già nel marzo 1536, forse per invito del Cervini e da questo immesso nel gruppo dei segretari del cardinale A. Farnese) e che l'A. ospitò nella propria casa nell'autunno del 1537, senza peraltro convincerlo a sostarvi definitivamente. Nello stesso anno il Vettori dedicherà all'A. l'edizione delle epistole ciceroniane da lui curata (Tertius tomus M. T. Ciceronis Epistolarum libros continet..., Venetiis 1536), indirizzandogli una lettera che resta splendido esempio di critica filologica umanistica. Poco più tardi, nel corso del 1540, l'A. si interporrà col Giannotti quale mediatore nella vivace contesa "ciceroniana" tra il Vettori e P. Manuzio.
Ma già l'A. aveva interrotto gli ozi letterari e l'attività di segretario farnesiano, che lo vedeva accanto al Caro e a B. Maffei nella Roma prelatizia, colta e politica dei primi anni del pontificato di Paolo III, per recarsi quale vicelegato nella Marca inquieta (gennaio 1538). Ritornò, come pare, nelle Marche, se il Caro, che gli inviò una bella lettera sull'"arte di governo", accenna ad un'analoga missione compiuta dall'A. nel 1536 (cfr. Lettere familiari, I, pp. 145 s.): a padroneggiare in territorio ascolano una difficile situazione, nella quale seppe districarsi, egli uomo di Chiesa, con la fierezza di un capitano d'arme, persino affrontando, in Offida, un contingente fabrianese dei suoi stessi soldati che gli si era ribellato e che punì poi esemplarmente ("La terra era tutta a rumore, in modo che mi parve debito uscir fuori, et con una zagaglia in mano scesi nella strada...": al cardinal legato R. Pio di Carpi, Appignano, 19 luglio 1539, in Barb. Lat. 5758, ff. 2r-10v.). Ferito allora, assalito ancora nell'agosto da villani o banditi, la sua missione si concludeva di lì a qualche tempo non molto onorevolmente col suo rientro a Roma.
Non gli venne però meno, per questo episodio, il favore dei Farnese: nel giugno del 1540 diviene segretario del pontefice, in sostituzione del Cervini, e datario, alternandosi con G. Capodiferro cui succederà definitivamente nel 1542. Un semplice intermezzo è la sua presenza tra il marzo ed il maggio 1541, quale commissario pontificio, nella guerra contro Ascanio Colonna, rapida vicenda guerresca narrata dallo stesso A. in un folto gruppo di lettere (in Barb. Lat. 5749, ff. 1r-27v.) indirizzate a Paolo III. Immesso intimamente nella vita di Curia, affinato da una esperienza notevole e varia di "negozi", l'A. si trovò così, come segretario pontificio, a dover esprimere frequentemente le direttive e gli orientamenti di papa Farnese, del cardinal nepote e degli ambienti curiali, ispirati per la situazione tedesca dalla energica personalità dell'Aleandro. Entro questa temperie vanno perciò collocate le lettere dell'A. al cardinale G. Contarini, legato alla dieta di Ratisbona per il tentativo, tanto atteso e discusso, di concordia con i luterani.
Le lettere, del 29 maggio e del 15 giugno 1541 (in Epistolarum Reginaldi Poli... pars tertia, ma la seconda anche in De le lettere di tredici uomini illustri..., s. l. 1554, pp. 261-275, in edizioni e ristampe successive, nelle consimili raccolte del Dolce, del Pino, dello Zanetti), costituiscono una svolta decisiva nelle vicende religiose e un documento essenziale della politica del papato farnesiano negli anni immediatamente precedenti il concilio di Trento. Esse, nelle riserve che la prima lettera esprime con linguaggio prudente, ma deciso nella sostanza, sull'operato del Contarini e sulle formule da lui proposte per l'accordo circa la giustificazione, il primato papale e l'autorità preposta alla convocazione del concilio, ritenute troppo ambigue e generiche; nel rifiuto del principio della tolleranza ai luterani, "dannosa et illicitissima", e della prospettiva di una guerra di religione, "difficile et pericolosa", motivato nella seconda lettera, alla cui tormentata elaborazione partecipò anche il Cervini, come risulta dalle quattro diverse minute conservate fra le carte di lui (Dittrich, Regesten, p.199), segnano praticamente la fine del clima entro il quale erano stati possibili i "colloqui di religione", la sconfitta, più evidente negli anni successivi, della tendenza facente capo al Contarini, al Pole, ecc., e il rilancio dell'idea del concilio, cioè di un più generale piano di riforma disciplinare e dottrinale.
A porre di lontano le premesse della sua realizzazione e a tentare una composizione del conflitto tra Francia e Spagna fu impegnato anche l'A. che, nominato vescovo di Fossombrone il 13 luglio 1541, ancora per la benevolenza del cardinale Farnese, nel novembre successivo passò nelle file della diplomazia pontificia inviato nunzio straordinario presso Francesco I.
Scopo della missione per la quale, come notavano i rappresentanti imperiali a Roma, era stato scelto uno stretto familiare del pontefice al posto dei rappresentanti ordinari, era quello di ottenere dal re un sostanziale rispetto della tregua di Lucca, assicurazioni di pace e, a suggello di questa, il consenso ad un legame matrimoniale tra il duca d'Orléans e la primogenita dell'imperatore, che avrebbe portato in dote i Paesi Bassi, proposta, quest'ultima, che il sovrano francese respinse, irremovibile com'era sulla priorità della restituzione dello Stato di Milano. È comprensibile, in questa situazione, come la discussione sul problema del concilio che l'A. affrontò non approdasse ad alcun risultato concreto. Tuttavia il Negoziato di lega et pace tra l'imperatore Carlo V e Francesco re di Francia con altre particolari proposte... resta un testo notevole della capacità e saggezza diplomatica dell'A., quasi un classico, sia pur minore, della letteratura e pubblicista diplomatico-politica dei secc. XVI-XVIII. Un grandissimo numero di manoscritti (una decina nella sola Biblioteca Vaticana) precede difatti la relativa edizione curata dal Tommaseo nel secolo scorso (in Relations des ambassadeurs vénitiens sur les affaires de France au XVIe siècle, I, Paris 1838, pp. 113-139).
Rientrato in Italia al principio del 1542 - il Granvelle riferisce a Carlo V, il 10 gennaio, di un colloquio avuto a Siena con l'A. - ebbe parte l'A., nel 1543, a favore del Farnese (cfr. Jedin, I, p. 599 n. 107), nel dissidio che, esploso tra il cardinale nepote e il Cervini, portò al volontario allontanamento del Cervini da Roma e alla distinzione delle sfere di competenza tra il Cervini e Alessandro, rimanendo attribuita al primo la responsabilità delle materie religiose e al secondo la parte più propriamente politica, generale e familiare, del pontificato farnesiano.
Rimasto a fianco del cardinal nepote, l'A. lo seguì (28 nov. 1543-1º marzo 1544) in Francia e in Germania nella legazione presso l'imperatore volta a risolvere ancora una volta i complessi problemi riguardanti la pace con la Francia e la questione religiosa. Il 19 dic. 1544 ricevette la porpora cardinalizia nel concistoro che seguì la bolla Laetare Jerusalem (30 novembre) di convocazione del concilio. Assunta nel maggio 1545 la prefettura della Segnatura di Grazia, l'A. è ormai figura di rilievo ed arbitro quasi della vita curiale tra il vecchio pontefice e il giovane e lontano cardinal nepote.
All'A. si rivolgono spesso i legati tridentini, soprattutto il Cervini, e il suo nome ricorre di continuo nelle lettere scambiate tra prelati maggiori e minori in quegli anni nodali 1545-46: per richieste di pensioni a favore di partecipanti al concilio privi di rendite dalle rispettive diocesi e che si ha interesse a trattenere a Trento (già il Del Monte, il 26 ott. 1541, aveva chiesto all'A. una lista di prelati sicuri da inviare al concilio, v. Conc. Trid., IV, p. CXL); per preoccupate denunzie di quanto si discuteva in margine alle riunioni conciliari (cfr. lettera di F. Romeo, vicario generale dei predicatori, 8 luglio 1545, ibid., X, pp. 139-140); o ancora per proposte e richieste di pareri e direttive che l'A. trasmette quasi sempre a nome del pontefice.
Membro, con il Sadoleto, il Guidiccioni, il Morone e altri, della deputazione cardinalizia sopra il concilio, istituita il 19 dic. 1544, nel cui ambito vengono discussi i decreti inviati da Trento, più spesso l'A. ha peso con il Crescenzio e lo Sfondrato nelle decisioni papali (influenza difficilmente valutabile allo stato attuale della documentazione), in riunioni ristrette, in un consiglio privato che si raccoglie presso Paolo III: "et che domani si ritrovino tutti tre alla vigna di Madama overo in Belveder' a desinar con S. Stà sotto pretesto di venir ad incontrarla per fuggir questo nome di congregazione o di consulta" (B. Maffei all'A., 25 luglio 1546, in Conc. Trid., X, p.577 n.). Si adopera, blandamente, ancora con il Crescenzio e lo Sfondrato, per la riforma delle strutture curiali e in particolare della Dataria "accioché non abbiate causa di reformarci" (B. Maffei al Cervini, Roma [27] genn. 1547, in Conc. Trid., X, pp. 341 s.; v. anche pp. 316 e 372); ma impersona rigidamente gli orientamenti "romani": vale per tutte la testimonianza non sospetta dell'amico B. Maffei che ne scriveva al cardinale Farnese (Roma 28 ag. 1546, in Nuntiaturberichte, IX, p.209), contrapponendo alla "dolceza" dello Sfondrato, temporaneamente assente, per malattia, dalle congregazioni sul concilio, il "rigore" dell'A. e del Crescenzio.
Chiara espressione della politica papale e degli interessi curiali sono due documenti che portano la sua firma: un Responsum papae ad rationes imperatoris cur Concilium transferri non debeat (in Conc. Trid., X, p.657), risultato, come pare, dalla fusione di due distinti pareri dell'A. e del Crescenzio, col quale l'A. confutò, nel settembre 1546, la tesi imperiale ostile al trasferimento del concilio; e un Responsum card. N. A. ad capita reformationis ab Hispanis proposita, del 17 febbr. 1547 (ibid., X, pp.819 s.), in cui l'A. rispose ad una serie di obiezioni formulate dai prelati spagnoli sul decreto "de residentia". Questo secondo scritto ha, come è stato notato (Jedin, II, p. 506 n. 15), carattere più spiccatamente conservatore del contemporaneo voto della deputazione cardinalizia: l'A. nega generalmente alla residenza il carattere de iure divino, respinge l'obbligo di residenza di almeno sei mesi all'anno per i cardinali romani titolari di diocesi, invocato dai prelati spagnoli in omaggio appunto al principio della residenza de iure divino, e ribadisce per contro decisamente i principi della tradizione curiale e del potere giurisdizionale del pontefice circa benefici, dispense, pluralità di diocesi per un singolo pastore, ecc. Una labile tendenza riformatrice traspare soltanto nell'accettazione del punto riguardante l'opportunità di privare dei benefici con cura d'anime ecclesiastici ignoranti o viziosi.
Di poco precedenti, risalendo agli anni 1545-46, i rapporti dell'A. con sant'Ignazio di Loyola. Poco più che un incontro si era avuto nel 1545, quando l'A., dietro richiesta di s. Ignazio, si adoperò per la soluzione di alcune questioni spettanti all'Inquisizione portoghese e per la spedizione di un breve riguardante la riforma dei monasteri femminili di Barcellona. Ignazio si rivolse nuovamente all'A. nel tentativo di giungere alla soppressione della congregazione femminile gesuitica formatasi accanto a quella maschile intorno a Isabella Roser. L'A. ne discusse col pontefice allora in Orvieto, ne scrisse a F. Archinto, vicario di Roma, e dopo un parere negativo di questo sulla opportunità di mantenere in vita la congregazione, curò la preparazione del breve di soppressione (s. Ignazio a M. Turriano, 9 ott. 1546, in Monumenta..., I, p.438).
Ma, di là da questo predominio alla corte papale, tra la fine del 1546 e il principio del 1547 l'influenza dell'A. pare subire un qualche declino: dovuto a divergenze di vedute col pontefice, ostile in quel momento all'imperatore per la questione del trasferimento del concilio, mentre l'A. auspicava una politica più elastica e concessioni di carattere finanziario a Carlo V per il potenziamento della lega cattolica (Maffei al Farnese, 2 ott. 1546, in Nuntiaturberichte, IX, p.270), come avvenne più tardi; e a non meglio precisati contrasti con lo Sfondrato cui allude G. B. Cervini in una lettera al cardinale M. Cervini (16 apr. 1547, in Conc. Trid., XI, p. 895). Pure, l'A., nell'aprile 1547, trasferitosi il concilio da Trento a Bologna, assicurò il cardinale Farnese che si sarebbe adoperato perché vi intervenissero numerosi prelati, e il 17 luglio si pronunciò con gli altri cardinali della deputazione perché il concilio non si trasferisse di nuovo a Trento, per timore di una scissione tra i Padri.
Morì improvvisamente a Roma il 22 agosto 1547.
Canonista, nunzio, infine cardinale, venuto dalla routine degli uffici e delle cancellerie, l'A., pur nella sua fedeltà al servizio della Chiesa, mancò di una vera vocazione alla riforma della vita religiosa e dell'organizzazione ecclesiastica come era allora sentita e patrocinata negli ambienti più sensibili e avvertiti: del momento storico in cui visse colse, certo con acume, gli aspetti politico-diplomatici, ma per i problemi religiosi solo il contenuto disciplinare e le forme istituzionali e giuridiche che cercò di alterare poco o affatto, cauto nelle sue preoccupazioni curiali e attento esecutore della politica farnesiana. Non c'è traccia di suoi rapporti con circoli riformatori (gli stessi contatti con la nascente Compagnia di Gesù sono, come si è visto, puramente estrinseci) né v'è ricordo di un suo impegno dottrinale, se si eccettua un suo tenue interesse per la teologia controversistica, nella proposta che egli formulò, e che venne discussa nella corrispondenza tra il Cervini e il Sirleto del 1546-47, di pubblicare l'epitome di Teodoreto in funzione antiluterana. Al dotto Cervini non sfuggirono però i punti più discutibili o deboli del testo che, pur stampato con dedica all'A. da C. Perusco (Θεοδωρίτου… Διάλογοι τρεῖς… Theodoriti... Dialogi tres contra quasdam haereses... Divinorum dogmatum epitome, Romae 1547), non venne diffuso secondo l'originario progetto.
Amico di letterati e umanisti sia laici sia ecclesiastici (a lui per benefici e richieste di appoggio si rivolsero B. Tasso e il Giovio, e sue lettere a vari costituiscono il settimo libro del ricordato De le lettere di tredici uomini illustri); curioso di astrologia in auge nei circoli intorno ai Farnese, stando al Mazzuchelli, che cita un suo oroscopo stampato nelle opere di L. Gaurico e di F. Giuntini, lodato dall'Aretino, ricordato ancora da B. Zucchi ne L'idea del segretario (I, Venezia 1606, pp. 197, 300), che pubblica alcune sue lettere, l'A. resta pertanto, ai margini della grande cultura letteraria o erudita contemporanea, un vivace esponente di quel mondo romano di protonotari e di segretari curiali della prima metà del '500 che cede, non senza resistenza, il passo di fronte alle nuove dimensioni e ai problemi creati dal concilio di Trento.
Fonti e Bibl.: Per i rapporti col Bembo, P. Bembo, Delle Lettere…, III, Venezia 1560, f. 44v., 45v., 75r., 166v.; col Giannotti, D. Giannotti, Lettere a Piero Vettori, a cura di R. Ridolfi e C. Roth, Firenze s.d. [ma 1932], passim; con P. Vettori, v. la Vita del Vettori premessa da A. M. Bandini alle Cl. Italorum et Germanorum Epistolae ad P. Victorium…, I, Florentiae 1758, fra le quali però non compaiono lettere dell'A.; cfr. pertanto il carteggio di P. Vettori, in British Museum, Add. Ms.,10275, ff. 44-66 (contiene 17 lettere dell'A., 22 luglio 1535-4 marzo 1547); Add. Ms.10279, ff. 23-26 (2 lettere dell'A., 23 genn. 1535 e 8 genn. 1545); una lettera di P. Vettori all'A. in Arch. di Stato di Firenze, Carte strozziane, 32, c. 59 (11 giugno 1537): cfr. F. Niccolai, Pier Vettori (1499-1585), Firenze s. d., pp. 13, 200; per i rapporti col Varchi, B. Varchi, Storia fiorentina, in Opere, I,Trieste 1858, p. 317; e Opere, II, ibid. 1859, pp. 865 s. (un sonetto del Varchi in lode dell'A.); col Caro, A. Caro, Lettere familiari, I (dic. 1531-giugno 1546), a cura di A. Greco, Firenze 1957, passim; notizie varie in G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 980-982; per i rapporti con i Farnese e la corte papale, L. Dorez, La Cour du Pape Paul III d'après les registres de la Trésorerie secrète, I, Paris 1932, pp. 34 s.,111 n. 2, 210 n. 4; sui benefici goduti dall'A., S. Salvini, Catalogo cronologico de' canonici della Chiesa Metropolit. fiorentina, Firenze 1782, p. 78; sulla carriera ecclesiastica, G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica…, Monasterii 1923, pp. 29, 198; per i rapporti con il Contarini, Epistolarum Reginaldi Poli... pars tertia, Brixiae 1748, pp. CCXXXI-CCXLIX; cfr. Regesten und Briefe des Cardinals Gasparo Contarini (1483-1542), a cura di F. Dittrich, Braunsberg 1881, pp. 188, 199; Id., Gasparo Contarini. 1483-1542. Eine Monographie, Braunsberg 1885, pp. 682 s., 697, 717, 720, 779; sulla missione in Francia, oltre il Negoziato cit., v. Bibl. Apost. Vaticana, Barb. Lat. 5758, ff. 11r-24v (lett. dell'A. al Farnese, di Melun, 1º dic. 1541); cfr. A. Pieper, Zur Entstehungsgeschichte der ständigen Nuntiaturen, Freiburgi. B. 1894, pp. 122 s.; per l'attività dell'A. giudicata dal punto di vista politico, Calendar of letters... and State Papers…, VI, 1, Henry VIII (1538-1542), London 1890, pp. 391 s., 396, 416, 421, 425, 428, 459; Calendar…, Venice, V(1534-1554), London 1873, pp. 134, 135, 138; per l'attività dell'A. nell'ambito della Curia e nei riguardi del concilio, Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, I, Diariorum pars prima, Friburgi Br. 1901, passim; IV, Actorum pars prima, ibid. 1904, passim; X, Epistularum pars prima, ibid. 1916, passim; XI, Epistularum pars secunda, ibid. 1937, passim; Nuntiaturberichte aus Deutschland, I, 1533-1559, V-VI, Legationen Farneses und Cervinis…, Berlin 1909-10, passim; VII, Berichte vom Regensburger und Speierer Reichstag 1541, 1542…, ibid. 1912, passim; VIII, Nuntiatur des Verallo,1545-1546, Gotha 1898, passim; IX, Nuntiatur des Verallo, 1546-1547, ibid. 1899, passim; X, Legation des Kardinals Sfondrato, 1547-1548, Berlin 1907, passim; in particolare per i rapporti col Sadoleto, R. M. Douglas, Iacopo Sadoleto 1477-1547, Humanist and Reformer, Cambridge (Mass.) 1959, p. 189; con l'Aleandro, Gregorii Cortesii... Omnia quae huc usque colligi potuerunt…, Patavii 1774, I, pp. 55 s. (una lettera dell'Aleandro all'A. del 6 sett. 1540); con s. Ignazio, Monumenta Hist. Soc. Iesu, Monumenta Ignatiana, s. 1, Epistolae et instructiones, I, 1524-1548, Matriti 1903, pp. 299, 321, 347, 353, 383, 417, 426, 438; per una valutazione complessiva riguardo ai problemi conciliari, H. Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, I, Freiburgi B. 1951, pp. 367, 405, 591, 599; II, ibid. 1957, passim; da integrare e da rettificare sulla base delle fonti cit. in precedenza, L. v. Pastor, Storia dei Papi, V, Roma 1924, passim; Dict. d'Hist. et de Géogr.Ecclés., III, coll. 1609-1611.