ARIOSTO, Niccolò
Figlio di Rinaldo, nacque a Ferrara intorno all'anno 1433. Rimasto orfano in tenera età, l'A., con i quattro fratelli e le cinque sorelle, passò sotto la tutela dello zio paterno Giacomo, che per l'A. nutriva particolare affezione. Nel 1462 entrò, dietro interessamento dello zio, al servizio dei Gonzaga, che da tempo trattavano gli A. con benevola familiarità. Il 20 dicembre l'A., affidata la tutela dei suoi interessi ai fratelli Ludovico e Francesco, partì per Mantova. Qui intramezzò il servizio con lunghe e frequenti permanenze a Ferrara, donde inviava lunghi rapporti al Gonzaga, per informarlo sui principali avvenimenti della corte estense. Nel gennaio del 1469 l'A., insieme col fratello Francesco, fu creato conte dall'imperatore Federico III, che si trovava a Ferrara, una delle tappe del suo viaggio in Italia.
Le corti di Mantova e di Ferrara avevano in questo periodo legami strettissimi tra di loro, e i duchi d'Este, come pure i Gonzaga, mantenevano nella corte vicina un informatore. Così l'A., quando dimorava a Mantova, inviava al duca Borso rapporti su quanto avveniva in quel ducato, e percepiva per tale servizio quaranta ducati d'oro l'anno; quando tornava a Ferrara, dove, dal 1464 al 1471 si recò numerose volte, teneva i Gonzaga al corrente degli avvenimenti ferraresi. Era questo però un incarico molto rischioso, che poteva mettere in serio pericolo la sua onorabilità e la sua posizione, il giorno in cui gli interessi delle due famiglie si fossero venuti a trovare in contrasto, come accadde nel 1471. Specie le lettere dall'A. inviate al duca di Mantova nel luglio e nell'agosto di quell'anno, periodo in cui la malattia di Borso d'Este aveva riacceso la questione della successione al ducato tra Ercole e Nicolò, figlio di LioneHo d'Este, contengono minuti particolari sulla malattia del duca di Ferrara, e lo scambio di missive era così rapido, che talvolta le risposte di Ludovico Gonzaga portavano la stessa data delle lettere dell'Ariosto. Mentre già Nicolò d'Este, con aiuti forniti da Mantova e da Milano, si apprestava ad invadere il territorio ferrarese e la Repubblica di Venezia inviava al confine forze armate per difendere la causa di Ercole, il 20 agosto Borso morì; ma Ercole d'Este, che aveva intercettate alcune lettere del Gonzaga dirette all'A., diede a costui il permesso di annunziare la morte di Borso soltanto dopo che era avvenuta la sua proclamazione come successore nel ducato. L'A. rimase a Ferrara solo pochi altri giorni; l'11 ottobre si trovava a Mantova, dove stipulò con Rengarda Manfredi l'acquisto della "magna domus" ariostea, situata a Ferrara in via S. Maria delle Bocche. L'A. era allora addetto al servizio di Ugoloto, figlio di Carlo Gonzaga e di Rengarda Manfredi. Ma nel dicembre dello stesso anno la sua carriera presso i Gonzaga fu bruscamente interrotta dal tentativo fatto dall'A. di avvelenare a Mantova, su ordine di Ercole d'Este, Nicolò, continua minaccia per la stabilità della sua posizione. Il tentativo fu stroncato in tempo e all'A., malgrado i tentativi fatti per riconquistare la fiducia dei Gonzaga, non rimase che riparare immediatamente a Ferrara. Nonostante il fallimento del complotto, Ercole I ricompensò l'A., concedendogli l'ufficio di capitano della cittadella di Reggio. L'A. prese possesso del suo nuovo, importante incarico il 21 genn. 1472. Il prestigio che gli derivava dalla sua carica e il titolo comitale conferitogli fecero si che l'A. potesse entrare in amicizia con le principali famiglie di Reggio, quali ad esempio i Malaguzzi e i Boiardo, tra cui certamente Matteo Maria; nel 1473 sposò la ventenne Daria Malaguzzi Valeri, da cui ebbe dieci figli; subito dopo il matrimonio all'A. nacque una figlia illegittima, Anna, che, non essendo ricordata nei testamenti patemi, dovette morire in tenera età.
Non con la dote della moglie, consegnatagli solo nel 1479, ma col frutto dei propri guadagni, l'A. contrattò tra il 1474 e il 1480 l'acquisto di numerosi poderi nelle vicinanze di Reggio. Tali acquisti suscitarono contro l'A. numerose accuse, tra cui quella di baratteria. Non sappiamo quanto fondamento esse avessero, certo è che sulla sua onestà rimangono molti dubbi. A causa di queste inimicizie l'A. venne trasferito al capitanato di Rovigo, dove intrecciò col duca un'attiva corrispondenza che testimonia i suoi sforzi per mettere in efficienza la fortezza e fare buona guardia, con metodi talvolta troppo energici e severi, rimproverati anche dal duca.
Scoppiato nel maggio del 1482 il conflitto tra la Repubblica di Venezia e gli Estensi, l'A., che aveva fatto presente al duca numerose volte, ma inutilmente. di avere scarse milizie ai suoi ordini, fu costretto ad arrendersi, essendo i Rodigini venuti a patti coi Veneziani; il 16 agosto l'A. si recò a Ferrara e da li a Masi nel Polesine, dove possedeva, insieme coi suoi fratelli, una fattoria. L'A. e i suoi familiari non subirono danni nella persona durante il conflitto e la resa, ma perdettero i beni rimasti nella cittadella di Rovigo.
È, accertato che l'A. non prese parte alla congiura cui parteciparono i suoi fratelli, specie Francesco, per dare in mano veneziana il dominio estense. Da Masi, aiutato dai fratew, l'A. si recò a Reggio, donde spesso tornava a Ferrara per cercare di ottenere dagli Estensi un nuovo incarico; grazie all'interessamento di Paolo Antonio Trotti ottenne l'importante ufficio di tesoriere generale delle milizie. Essendo ancora in atto nel ducato una feroce guerriglia che stremava le forze di entrambi gli stati, l'A. ritenne opportuno di far testamento prima di mettersi in viaggio. Il documento fu steso il 23 genn. 1484 a Reggio e con esso l'A. nominava Daria tutrice e curatrice dei figli ed eredi universali i figli Ludovico e Gabriele. Tornato nel gennaio 1485 a Ferrara con la famiglia, l'A., con Matteo Maria Boiardo, accompagnò il duca a Venezia, dove si recava per celebrare la conclusione della pace.
Il 28 genn. 1486 l'A. comprò la carica di giudice dei XII Savi, diventando così capo dell'anuninistrazione comunale di Ferrara e riformatore dello Studio. Ma il 3110 carattere duro e severo, alcune arbitrarietà commesse in favore di alcuni congiunti ed amici, gli suscitarono contro l'animosità dei XII Savi e di larga parte della popolazione. Tale stato d'animo si rivelò nei sonetti in rima che apparvero sulle mura di Ferrara tra il 9 e il 15 giugno 1487. L'A. si adirò per tali sonetti e ne ricercò inutilmente l'autore. Ma non essendo possibile lottare contro il malanimo dei Ferraresi, alla fine del dicembre 1488 si dimise dall'ufficio ed acquistò per due anni il capitanato di Modena. Ne prese possesso il 28 febbraio e lo tenne per tre anni, fino al febbraio 1492. A Modena l'A. fu seguito dalla famiglia, tranne che da Ludovico, iscrittosi nel 1489 all'università ferrarese. Tornato nella città natale nel, 1492, l'A. rimase senza impiego per tre anni, durante i quali si dedicò alPamministrazione dei suoi beni. Il 2 nov. 1492 fece redigere un secondo testamento, piii consono alla nuova situazione familiare. Nel 1496 ottenne il commissariato di Romagna, il più importante e remunerativo ufficio del ducato. Ma nel novembre dello stesso anno perdette tale carica per la severità dimostrata nei confronti di un lugliese che non aveva voluto confessare il nome dell'amante della moglie. Portata la questione davanti al duca, Ercole I dovette esonerare l'A. dalrimpiego ed infliggergli una multa di 500 ducati. Tornato, questa volta definitivamente, a Ferrara, l'A. indusse Ludovico ad accettare un impiego alla corte e, facendogli presente quanto scarsamente fosse retribuita la carriera delle lettere, lo incitò, ma invano, a compiere gli studi di giurisprudenza.
Fino al 1499 l'A. fu escluso dalle cariche pubbliche; verso la metà di quell'anno il duca lo restituì al suo ufficio di tesoriere. Il 9 febbr. 1500 stese il suo terzo testamento, coi quale concedeva a Daria l'usufrutto dei beni, mettendole accanto nelramministrazione, del patrimomo i figli maggiori Ludovico e Gabriele. morì alla fine del febbraio 1500 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco a Ferrara.
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