BARBADORI, Niccolò
Figlio di Donato, professore di diritto e uomo politico, condannato a morte nel 1379 Sotto accusa di alto tradimento, e di Caterina di Matteo Frescobaldi, il B. nacque a Firenze, a quanto sembra non molto tempo nrima della morte violenta del padre.
Destinato per tradizione familiare e per posizione sociale a prendere parte attiva alla vita politica della Repubblica fiorentina, compare per la prima volta investito di funzioni pubbliche nel 1404, come uno dei cinque priori delle arti per il periodo di maggio e di giugno. Un anno più tardi partecipò ad una delicata, missione diplomatica, recandosi insieme a Gino Capponì e a ser Benedetto di ser Lapo a Livorno per trattarvi con il governatore francese di Genova, Jean Le Maingre detto Boucicault, dell'acquisto di Pisa il cui signore, Gabriele Maria Visconti, incapace di mantenere la sua posizione, si era affidato alla tutela del re francese. Ottenuto, dopo lunghe e difficili trattative, il consenso del Boucicault alla cessione della città, il B. poté firmare, insieme con i suoi colleghi, il 27 luglio 1405 a Pietrasanta, il contratto definitivo d'acquisto che sottometteva irrevocabilmente Pisa alla dominazione fiorentina.
I problemi connessi con l'acquisto della città avrebbero riportato il B. ancora una volta sulla scena pisana: come uno dei dieci provveditori di Pisa, nell'ottobre del 1408 fu mandato insieme a Rinaldo, Albizzi (di cui sarebbe poi diventato uno dei più intimi amici e dei più fervidi sostenitori) al capitano genovese di Livomo, Battista di Montaldo, per comporre una controversia sorta tra lui e il capitano fiorentino di Porto Pisano, controversia che minacciava di disturbare seriamente i buoni rapporti tra Genova e Firenze.
Anche se non risulta che il B. negli anni seguenti abbia ricoperto altre cariche pubbliche di rilievo, è fuori dubbio che fu considerato uno dei più importanti esponenti della fazione oligarchica, capeggiata, dopo la morte di Maso Albizzi (1417), dal figlio Rinaldo e dal più moderato Niccolò da Uzzano. Lo testimoniano i suoi frequenti e decisivi interventi nelle consulte: così negli anni tra il 1425 e il 1427 sostenne fervidamente, insieme con l'Albizzi e gli altri capi oligarchici, l'introduzione del catasto a Firenze, provvedimento che riteneva l'unico mezzo per far fronte ai continui problemi finanziari della Repubblica e per rafforzare il prestigio del regime oligarchico, anche a costo di rimanere personalmente colpito dagli auspicati provvedimenti. Quando infatti il 27 maggio 1427 fu finalmente proclamata la legge del catasto, il B. risultò al diciottesimo posto nell'elenco dei più ricchi cittadini fiorentini con l'obbligo di pagare ben 123 fiorini di tasse.
L'introduzione del catasto non ebbe tuttavia il risultato desiderato; contribul anzi ad aumentare ancora di più il malumore deì Fiorentini nei confronti del regime oligarchico ormai in evidente declino. Infine, l'infelice andamento della guerra provocata dall'aggressìone fiorentina contro Lucca, e caldeggiata dal B. come dalla maggior parte degli oligarchici, rafforzò in modo preoccupante la posizione dei Medici, considerati per antica tradizione amici del popolo.
Fu probabilmente in questo frangente così difficile per la fazione oligarchica, negli anni tra il 1430 e il 1432 cioè (e in ogni caso prima della morte di Niccolò da Uzzano avvenuta nel 1432), che il B., per propria iniziativa o per incarico di Rinaldo Albizzi, si recò dall'Uzzano per cercare il suo consenso al progetto di esiliare Cosimo de' Medici, senza peraltro poterlo convincere. Così per lo meno riferisce il Cavalcanti (e dopo di lui il Machiavelli) che, per l'occasione, attribuisce all'Uzzano un lungo e malinconico discorso sullo stato di Firenze.
Anche se l'Albizzi nel 1433 riuscì, con mezzi poco leciti, a mandare in esilio Cosimo de' Medici, a Firenze l'opposizione contro il suo regime si andò acuendo di giorno in giorno fino al punto che, eletti nell'agosto del 1434 i nuovi signori per i mesi di settembre e di ottobre, la maggior parte di essi risultarono partigiani di Cosimo. Il B., che ancora nel 1433 appariva spesso in disaccordo con l'Albizzi, come dimostrò ì], suo atteggiamento nelle consulte, in questo frangente di estremo pericolo si schierò decisamente dalla parte del suo vecchio amico. Non riuscendo a far annullare l'elezione, l'Albizzi propose agli ultimi partigiani rimastigli fedeli di assalire il palazzo della Signoria, ma Palla Strozzi e il B., "non ostante che alla sua superbia aggiugnere non si potesse lo stimolo dell'avarizia e della viltà", come specificò il Cavalcanti, glielo sconsigliarono. Quando però il 25 settembre l'Albizzi, il B. e Rodolfo Peruzzi furono citati a comparire davanti alla Signoria, preferirono passare al contrattacco: convocando il loro seguito, si armarono e si trincerarono nella piazza di S. Apollinare.
Il tumulto fu sedato da papa Eugenio IV, residente in quel momento a Firenze: su richiesta della signoria il pontefice invitò l'Albizzi, il B. e il Peruzzi a recarsi da lui a S. Maria Novella. Dopo una prima esitazione i tre accettarono l'offerta del papa, e soltanto poche ore bastarono alla signoria per riprendere il controllo della situazione. Un parlamento, convocato in tutta fretta, decise il richiamo di Cosimo de' Medici e comminò l'esilio all'Albizzi ed ai suoi partigiani. Il B. fu preso prigioniero il 29 settembre e condannato il 1:8 novembre seguente a dieci anni di confino a Verona, al pagamento di 1.200 fiorini e alla perdita di tutti i suoi diritti civici.
È conservata la sentenza di bando contro il B., emanata dal capitano di Bafla il 18 nov. 1434(pubblicata dal Guasti nell'Appendice della sua edizione delle Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, III, pp. 657-664), sentenza che mette luce sull'attività politica del B. per il periodo che va dalla condanna allo esilio di Cosimo sino alla sconfitta definitiva della fazione ofigarchica. Anche se le dichiarazioni del B. riportate negli atti del suo processo non siano da ritenersi, trattandosi di un processo politico, sempre attendibili, se ne può tuttavia desumere che egli, insieme all'Albizzi e ad alcuni più stretti seguaci, nel marzo e nell'aprile del 1434intendesse prendere a pretesto una simulata congiura della fazione medicca per condannare a morte i partigiani più importanti di Cosimo ancora esistenti a Firenze. Nel giugno dello stesso anno, infine (v. Gutkind, p. 92 e n. 2), il B. e Rodolfo Peruzzi, nel tentativo di impedire un parlamento deciso a richiamare in patria Cosimo de' Medici, con gravi minacce avrebbero costretto il gonfaloniere Aldobrandi a favorire con il suo voto un amico dell'Albizzi anziché un partigiano di Cosimo.
Con il B. fu confinato a Verona per cinque anni suo figlio Cosimo, il quale nel 1436 fu preso a Venezia e ivi condannato a morte come ribelle, mentre Piero, figlio naturale del B., fu condannato a quattro anni di reclusione nelle Stinche. Un altro figlio, Bemardo, dopo il vano tentativo di rientrare con la forza in patria, insieme con Rinaldo Albizzi e i suoi ultimi aderenti, fu messo al bando eterno (13 luglio 1440) e dipinto impiccato sulle mura del palazzo del podestà di Firenze. Il cartello d'infamia, composto per l'occasione da Antonio Buffone, con le parole "Il padre mio Niccolò Barbadori, / Spogliatore di chiese e di ospitali, / Più ch'io Bernardo, cagion de' miei mali, / Pinger dovresti fra noi traditori" voleva senza dubbio colpire, più che il figlio, il padre, forse in quel tempo già morto: l'assoluta mancanza di notizie sulla sua attività dal momento della condanna all'esilio lo lascia almeno supporre.
Fonti e Bibl.: Piero Buoninsegni, Historia Fiorentina, Firenze 1581, p. 790; Domenico di Lionardo Boninsegni, Storie della città di Firenze dall'anno 1410 al 1460, Firenze 1637, pp. 57, 59; Commentarii di Neri di Gino Capponi di cose seguite in Italia dal 1419al 1456, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, col. 1182; Cronica, o memorie di Iacopo Salviati dell'anno 1398 al 1411, in Delizie degli eruditi toscani., XVIII,Firenze 1784, p. 239; Ricordi fatti in Firenze per Giovanni di Iacopo Moregli, ibid., XIX,Firenze 1785, p. 125: Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il comune di Firenze dal 1399 al 1433, a cura di C. Guasti, I-III, Firenze 1867-1873, ad Indicem; Cronica volgare di anonimo fiorentino dall'anno 1385 al 1409 già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, in Rer. Ital. Script.,2 ediz., XXVII, 2, p. 333; Giovanni Cavalcanti, Istorie fiorentine,a cura di G. di Pino, Milano s.d., [Ma 1944], pp. 204-207, 273, 300-304, 309 s., 318; Niccolò Machiavelli Istorie fiorentine,a cura di F. Gaeta, Milano 1962, pp. 309, 312, 3201 322 s.; Scipione Ammirato, Istorie Fiorentine,Firenze 1826, VI, p. 218; VII, pp. 222, 224, 227, 444; G. Canestrini, La scienza e l'arte di Stato, I, L'imposta sulla ricchezza mobile e immobile,Firenze 1862, pp. 100, 153; F. C. Pellegrini, Sulla repubblica fiorentina al tempo di Cosimo il Vecchio,Pisa 1880, pp. 25, 27, 83, 98 s., 103 s, V, XXXIII s., XLV, XLIX, CV, CXXXVIIICXL, CCXXVI s., CCXXX, CCXXXV, CCXXXIX s., CCXLV; A. Gelli, L'esilio di Cosimo de' Medici,in Archivio storico italiano s. 4, X (1882), pp. 71, 73, 75 8-, 88 s., 91, 93; F. T. Perrens, Histoire de Florence depuis ses origines iusqu'à la domination des Médicis, VI, Paris 1902, ad Indicem; C. S.Gutkind, Cosimo de' Medici Pater Patriae,1389-1464, Oxford 1938, ad Indicem; M. Mariani, Gino Capponi nella vita politica fiorentina, in Arch. stor. ital., CXV (1957), p. 457.