BONAFEDE, Niccolò
Di famiglia fermana, nacque nel 1464 nella terra di San Giusto da Tommaso. Studiò a Roma nel collegio Capranica e, dopo un breve soggiorno a Perugia, si addottorò a Roma in utroque iure nel 1492. Nello stesso anno entrò al servizio del nipote di Alessandro VI, Giovanni Castelar, che lo inviò di lì a poco suo vicario nell'arcivescovato di Trani. Nel breve periodo di soggiorno nella lontana diocesi pugliese il B. ebbe modo di fare la sua prima esperienza di governo, dalla quale emerse una sorprendente capacità di controllare i contrasti e le fazioni locali, cosicché Alessandro VI lo nominò suo familiare, protonotario apostolico e quindi governatore di Tivoli.
Il 10 febbr. 1496 il B. prese possesso della carica e la mantenne fino alla fine del 1497, segnalandosi per il particolare vigore con il quale partecipò alla lotta contro gli Orsini sollevatisi in quel torno di tempo contro il papa Borgia. Da Tivoli passò a Venezia, dove Alessandro VI lo mandò come suo oratore e collettore apostolico, ma vi restò poco, dall'aprile all'ottobre del 1498. Si fece richiamare adducendo a pretesto ragioni di salute, ma in realtà perché si sentiva, lui uomo d'azione, assolutamente inadatto a compiti diplomatici.
Si ritrovò a suo agio a Benevento, dove il papa lo mandò come governatore nel febbraio del 1499, in un momento particolarmente delicato nella storia di questa città pontificia, dilaniata da feroci lotte di fazioni e insidiata dalla perenne minaccia napoletana. Anche a Benevento il B. dette prova di grandi capacità, spazzando via con estrema risolutezza fazioni locali e interferenze napoletane. La campagna di Romagna intrapresa nel novembre del 1499 gli valse la nomina a commissario generale delle armi pontificie e, quindi, il governo di Forlì, conquistata nel gennaio del 1500. Lo zelo dispiegato nell'esercizio di questa carica lo mise in evidenza agli occhi di Cesare Borgia, che lo incaricò di lì a poco del governo di Perugia e poi, nel luglio del 1503, di una missione a Siena. Era a Roma per disporsi alla partenza, quando sopraggiunse il 18 ag. 1503 la morte di Alessandro VI. Nel corso della crisi politica aperta dalla morte del papa, il B. restò fedele al Valentino, ma senza tralasciare di procurarsi nuovi più fortunati protettori. Durante il conclave s'impegnò infatti a sostegno della candidatura del cardinale Francesco Piccolomini che il 22 settembre fu eletto. Dal nuovo pontefice Pio III fu nominato così governatore di Roma; la sua morte improvvisa, sopraggiunta il 18 ott. 1503, rimise però in forse la sua permanenza nella carica. In seno al collegio cardinalizio non gli mancavano i nemici, capeggiati dal cardinale Antoniotto Pallavicino, che tentarono di sostituirgli altra persona nel governo dell'Urbe. La manovra fallì per l'intervento dei cardinali Della Rovere e Carafa, che riuscirono ad ottenere la sua riconferma. Il nuovo conclave si aprì così con il B. al governo della città e non piccola fu la sua partecipazione al gioco politico che condusse all'elezione del cardinale Giuliano Della Rovere. Il 10 nov. 1503 il nuovo papa Giulio II uscì eletto dal conclave e come primo atto confermò il B. governatore di Roma. Alcuni mesi dopo, il 20 ag. 1504, lo nominò vescovo di Chiusi.
Il periodo di governo del B. restò memorabile nella storia della città di Roma per l'indomita energia con cui la legge fu imposta a nobili e popolani con rigorosa imparzialità. Numerosissimi gli episodi che documentano il suo implacabile rigore nell'esercizio dell'ufficio: le anticamere del papa erano perennemente affollate da cardinali e dignitari di ogni rango che supplicavano la grazia ora per un congiunto ora per un famiglio incorso nelle severe punizioni del governatore che non usava mostrare riguardi di sorta per le famiglie più potenti e i personaggi più altolocati. Tipico in questo senso l'episodio relativo ad Antonio Capranica, esponente di quella famiglia alla quale il B. era legato da antichi vincoli di devozione: per punire il Capranica che si era reso colpevole di un furto ai danni di una ricca cortigiana il B., dopo avere tentato inutilmente le vie pacifiche della consegna alla giustizia del giovane nobile romano, penetrò a mano armata nel palazzo Capranica e acciuffò il giovane Antonio scardinando la porta della stanza nella quale si nascondeva.
L'impegno estremo con cui volle far rispettare la legge lo ridusse presto allo stremo delle forze, al punto da cadere ammalato. Fu costretto ad abbandonare la carica per curarsi. Appena ristabilito in salute, Giulio II lo nominò governatore di Forlì, soggetta in quel momento alla minaccia dei fuorusciti guidati da Giovanni Sassatelli e sostenuti dal cardinale Francesco Alidosi. Il B. non riuscì a evitare un colpo di mano dei fuorusciti che occuparono la città e lo costrinsero a rifugiarsi precipitosamente nella rocca. Fu uno scacco durissimo al quale si dispose a replicare con la massima energia, senza averne però il tempo. Giulio II l'aveva nominato infatti, per insinuazione dell'Alidosi che ne aveva vantato le grandi capacità militari, commissario generale delle truppe pontificie per l'impresa di Bologna. Abbandonata Forlì, si prodigò nell'opera di organizzazione dell'esercito pontificio e quindi, assieme al marchese di Mantova che ne aveva il comando, mosse alla volta del Bolognese, iniziando l'attacco sistematico dei castelli del contado, che caddero l'uno dopo l'altro. Ai primi di novembre, vista l'inutilità di una seria resistenza, i Bolognesi capitolarono e l'11 nov. 1506 Giulio II fece il suo solenne ingresso nella città, accolto dal B. che ebbe anche parte importante nell'organizzarvi il dominio pontificio.
Dopo l'impresa di Bologna abbandonò il servizio papale per alcuni anni, ritirandosi prima nelle Marche e poi nel vescovato di Chiusi. Nell'estate del 1510 Giulio II fece però ricorso alla sua sperimentata abilità ancora una volta per un incarico di grande responsabilità, il governo di Modena, minacciata in quel momento dalle incursioni francesi. Insediatosi nella nuova carica, si adoperò attivamente per fortificare la città: la rifornì di viveri, assicurò al duca d'urbino, giunto al comando di un forte contingente pontificio, tutta la necessaria assistenza. In conseguenza, quando l'esercito francese si presentò sotto le mura di Modena, la trovò così ben munita da rinunciare alla lotta.
Passata di lì a poco la città sotto il controllo imperiale, il B. fu incaricato da Giulio II del governo di Bologna. Lo tenne con la consueta abilità, ma non poté evitare che il cardinale Alidosi, venuto in città a predisporre i rifornimenti per le truppe pontificie, cedesse la custodia di essa ai popolari che approfittarono per aprire le porte ai Bentivoglio. Vistosi perduto, l'Alidosi fuggì il 21 maggio 1511 lasciando il B. ammalato alle prese con i Bentivoglio e i Francesi. Non gli restò che abbandonare la partita, privo com'era di forze sufficienti per tentare di ricacciarli da Bologna. Si rifugiò in casa di un nobile e corse il rischio di cadere nelle mani dei Francesi che lo richiesero minacciosamente al Reggimento della città. I Bolognesi si rifiutarono di consegnarlo e, sgorrberata la città dal grosso delle forze francesi, ebbero l'ardire di rimetterlo al posto di governatore, senza riconoscere la signoria pontificia, ma solamente per un gesto di personale fiducia verso l'uomo che con tanta saggezza aveva saputo governare. Presto però fu costretto da Giulio II ad abbandonare la città ribelle. L'avventura bolognese aprì per il B. un nuovo periodo di riposo lontano dalla politica, tra le Marche e il vescovato di Chiusi.
Ritornò alla vita pubblica nel 1519, quando nel dicembre Leone X, succeduto a Giulio II nel 1513, lo invitò a Roma per conferirgli un importante incarico. Si trattava del governo delle Marche e del compito di scardinare la potenza dei vari signorotti locali ribelli all'autorità pontificia, che tenevano quelle terre sotto l'incubo delle loro violenze. Investito di pieni poteri e munito di truppe adeguate, il B. si mise in viaggio, toccando Tolentino, Macerata, Recarati. In quest'ultima città fece un soggiorno più lungo per liberarla dalle lotte di fazione che la dilaniavano. A Recanati lo raggiunse la notizia che Ludovico Eufreducci, signore di Fermo, raccoglieva armati per muovergli contro. Il B. così si diresse a Fermo, dove arrivò alla testa di duecento fanti e cinquanta cavalli, mentre l'Eufreducci, che disponeva di forze maggiori, scorreva il contado. Gli toccò temporeggiare, in attesa dei rinforzi richiesti subito al papa, senza potere impedire all'Eufreducci di occupare il castello di Fallerone. Seguì di lì a poco la defezione dei Fermani, che abbandonarono in massa la città per timore delle sicure rappresaglie dell'Eufreducci. In questa situazione al B. non restò che affrontarlo in campo aperto per tentare la sorte delle armi. Il 20 marzo 1520 uscì da Fermo alla testa di uno sparuto esercito e si diresse alla volta del castello di Fallerone, da dove l'Eufreducci gli mosse a sua volta incontro. La battaglia volse a favore del B., che sradicò per sempre dalle Marche la potenza del signore di Fermo. Sconfitto e ucciso l'Eufreducci, mosse verso Fallerone che prese senza colpo ferire. La campagna si concludeva con la vittoria più piena.
Per rimettere in ordine la provincia affidata alle sue cure, il B. iniziò da Osimo una visita minuziosa di città e castelli. Pensava già di passare ad Ascoli quando il capofazione Giovan Francesco d'Astolto, che vi spadroneggiava, ottenne dagli Orsini suoi alleati un breve papale che revocava il B. dalla carica di vicelegato della Marca e lo invitava a rientrare a Roma.
Leone X gli riservò la migliore accoglienza e l'offerta della nomina a nunzio presso il re cattolico che egli rifiutò. Dovette accettare però l'incarico di trattare a Firenze con il cardinale Giulio de' Medici la questione perugina, ritornata in quei giorni alla ribalta della politica pontificia. Espletato questo incarico, ritornò a San Giusto, ma non poté godere a lungo del meritato riposo: il nuovo papa Adriano VI subito dopo la sua elevazione al pontificato gli offrì l'incarico di scacciare da Rimini Pandolfo Malatesta per riportare la città sotto il dorninio pontificio. Il B. accettò ma non si sa con quale risultato, dato che le sue memorie biografiche si arrestano proprio al 1522 e non danno se non alcuni cenni dell'impresa di Rimini.
Tra il 1513 e il 1524 il B. si fece costruire a San Giusto un sontuoso palazzo che fece affrescare e decorare da Amico Aspertini. Vi si ritirò per trascorrervi in pace gli ultirni anni della sua vita che furono invece avvelenati dalle sopraffazioni degli Orsini, eredi della fazione dell'Eufreducci nella Marca. Questa vera e propria persecuzione ebbe termine solo nel 1531 per intervento del pontefice Clernente VII, che costrinse gli Orsini a desistere dalle molestie con un solenne impegno sottoscritto alla presenza di una congregazione cardinalizia appositamente istituita. Per celebrare il fatto il B. commissionò a Lorenzo Lotto la nota Crocifissione, oggi nella chiesa di S. Maria in Telusiano a Monte San Giusto, che riproduce anche il ritratto del B. genuflesso.
Il B. morì il 6 genn. 1534 a San Giusto.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la biografia del B. è costituita dalla Vita di Nicolò Bonafé de Sancto Iusto..., dovuta alla penna dello stesso B. e in parte di un suo segretario. Su di essa è condotta la biografia di M. Leopardi, Vita di N. B. vescovo di Chiusi e officiale nella corte romana dai tempi di Alessandro VI ai tempi di Clemente VII..., Pesaro 1832. Cfr. inoltre Iohannis Burckardi liber notarum, a cura di E. Celani, in Rer. Ital. Script., XXXII, 1, pp. 382 s., 413, 455; M. Sanuto, Diarii, I, Venezia 1879, col. 943; II, ibid., col. 7; G. van Gulik-G. Eubel, Hierarchia catholica..., Monasterii 1923, p. 171; La Pittura a Fermo e nel suo circondario, a cura di A. Valentini e L. Dania, Milano. 1967, pp. 6, 3739; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., IX, coll. 718 s.