BORGHESE, Niccolò
Nacque a Siena nell'aprile del 1432 dal giurista Bartolomeo di Niccolò di Cristofano. Fece i suoi studi presso lo Studio senese, dove ebbe rapporti con Bartolomeo Boninsegni e Agostino Dati, che in una lettera lo diceva "iuvenis supra aetatem eruditus ac sapiens" (Epistulae, f. CLXI).Sposatosi, s'ignora in quale anno, con Agnese Menghini dalla quale ebbe numerosi figli, alla sua morte, avvenuta prima del 1482, passò a seconde nozze con Landa, figlia di Maurizio Luti.
Un lodo arbitrale, pronunziato il 23 maggio 1450 nella Corte di mercanzia senese, che poneva termine ad una sua vertenza con il congiunto Giovanni di Niccolò Borghese, relativa allo scioglimento di una società commerciale, attesta una giovanile attività mercantile del B., ignorata dai biografi. E pure in seguito egli dovette essere largamente, impegnato in tale attività, anche se, divenuto uno dei protagonisti della vita politica senese, preferì presumibilmente servirsi di intermediari: il 9 nov. 1482 si faceva infatti mallevadore del banchiere Bonaventura di Tommaso Colombini per "tutte le operazioni di mercatura, traffici, ecc." che questo avrebbe intrapreso, e il Colombini a sua volta si impegnava ad attenersi alle condizioni che il B. avrebbe imposto alle sue iniziative (Morandi, p. 64).
Della partecipazione del B. alla vita politica senese dà una prima testimonianza il Dati, indirizzandogli nell'estate del 1476 un invito a far ritorno in Siena dalla sua residenza estiva di Monteroni, appunto per intervenire negli affari della Repubblica; ma è dal 1479 che risulta in piena evidenza il ruolo eminente ormai assunto dal B. quale esponente tra i più autorevoli del monte dei Nove. Il 20 febbraio di quell'anno infatti entrava in Siena Alfonso d'Aragona, allora impegnato nella campagna contro Lorenzo de' Medici; l'intervento del duca di Calabria, che piegava nettamente l'equilibrio politico senese a favore dei Noveschi, era il risultato di trattative nelle quali il B. ebbe certamente una gran parte, così come nell'instaurazione del dominio novesco: ne sono esplicita testimonianza la sua elezione a priore della nuova Balia e la carica di cancelliere della Repubblica subito attribuitagli, nonché la dignità cavalleresca concessagli da Alfonso il 29 dicembre di quello stesso anno. Nel 1480 il B. promosse la votazione in Senato di una mozione per il rimpatrio dei fuorusciti del 1456, un provvedimento aspramente avversato dall'ordine dei Riformatori. In seguito fu tra i protagonisti dell'irrigidimento fazioso che il 22 giugno 1480 indusse i Noveschi e i loro alleati del monte del Popolo ad estromettere dal governo i Riformatori e a colpirne molti con l'esilio. Eletto tra i membri della nuova Balia il 22 agosto seguente, ricevette la conferma di tale carica certamente sino al febbraio 1481; il 23 ottobre di quell'anno fu eletto tra i consiglieri del capitano del popolo.
Non si sa da quale anno il B. insegnasse poesia ed eloquenza - non diritto, come si scrisse seguendo il Pecci - nello Studio senese; la prima testimonianza che ne abbiamo è del 1482, quando Sigismondo Tizio, il futuro autore delle Historiae Senenses, trasferitosi da Perugia a Siena, divenne suo allievo e ospite, stringendo con lui un'amicizia profonda.
Indebolitasi la posizione dei Noveschi dopo il ritorno a Napoli di Alfonso d'Aragona, i Riformatori nel giugno del 1482 riuscirono nuovamente a imporsi, allontanando dal potere la fazione avversaria, e invano i Noveschi tentarono di riprendere in mano la situazione organizzando una rivolta nel gennaio del 1483: il B., allora gonfaloniere del terzo di S. Martino, vide la sua casa depredata dal popolo in sommossa e fu costretto a riparare a Monteroni. Di qui, affidata la sua casa e i suoi affari in Siena al Tizio, partì nel dicembre per Faenza, dove si trattenne a lungo, ospite del convento dei servi di Maria, un ordine al quale fu sempre particolarmente legato, tanto che alcuni studiosi, tra i quali il Gigli, lo ritennero affiliato a esso in qualità di terziario, una supposizione peraltro non suffragata da nessun documento. Fu in questa occasione che il B. diede inizio alla sua larga produzione agiografica, scrivendo le vite dei serviti S. Filippo Benizi e beati Giacomo Filippo Bertoni, Gioacchino Piccolomini e Francesco Patrizi. Queste occupazioni devote non lo distolsero troppo a lungo, peraltro, dai suoi risentimenti faziosi: è probabile che già a Faenza riallacciasse rapporti con i fuorusciti senesi, ai quali senz'altro si unì prima dell'agosto 1484 raggiungendoli a Roma, divenuta il loro principale centro di raccolta dopo l'elezione al soglio pontificio di un antico protettore dei Noveschi, il cardinale Francesco Cibo, Innocenzo VIII.
Dopo aver respinto un invito della Balia, caldeggiato anche dal Tizio, a far ritorno a Siena, separando la propria sorte da quella dei fuorusciti, il B., nel gennaio 1485, fu condannato al confino, potendo scegliere, grazie all'intercessione del cardinale Piccolomini, tra Milano e Bologna; ma questo provvedimento moderato veniva inasprito il 25 maggio seguente con la confisca di tutti i suoi beni, in conseguenza della sua partecipazione ad un fallito tentativo insurrezionale in Val d'Orcia e per essersi egli stesso vantato con lettere "huc et alio trasmissas" - come protestava la Balia - "se esse prefectum et generalem commissarium exulum Senensium, et venire cum magna manu repetere patriam" (Piccolomini, p. 49). In effetti toccò a lui, insieme con Neri Placidi, rappresentare i Noveschi nelle trattative per una pacificazione generale cui i Riformatori furono indotti nel novembre del 1486 dalla nuova situazione politica, dal timore cioè che l'avvicinamento tra Innocenzo VIII e Lorenzo de' Medici potesse minacciare non soltanto il potere dei Riformatori, ma la stessa autonomia della città. Così nel luglio 1487 i fuorusciti potevano rientrare in Siena ed i Noveschi riassumevano di fatto il governo della città, sebbene formalmente a questo partecipassero i rappresentanti di tutti gli ordini.
Tra i fuorusciti riammessi in città era Pandolfo Petrucci, destinato ad assumere una parte sempre più importante nella vita politica senese, e in questa occasione il B. rinsaldava con lui gli antichi rapporti familiari e politici dandogli in moglie la figlia Aurelia. Secondo il costume fazioso il successo politico si tradusse subito in cospicui vantaggi personali per i maggiori esponenti noveschi: così, mentre il Petrucci e Leonardo Bellanti ottenevano dalla Balia significative concessioni nelle terre demaniali maremmane, il B. - e come lui Lucio Bellanti - era incaricato di leggere per cinque anni nello Studio senese "opus humanitatis et moralem philosophiam" (10 sett. 1487), mentre veniva anche nominato segretario di stato con il compito di redigere "annalia et res gestas Senensium ab ipsa urbe condita", per un compenso di 300 fiorini annui a carico dello Studio e del fondo della Cancelleria: l'uno e l'altro incarico gli furono rinnovati per altri due anni nel 1492. Degli annali del B. non è peraltro rimasta traccia: forse sono da identificare con un De ortu primae aedificationis Sene che compare nell'inventario della sua biblioteca steso nell'anno 1500.
Confermano l'autorità di cui ora il B. godeva in Siena alcune missioni diplomatiche, decisive per la stessa sopravvivenza autonoma dello Stato. Così nel dicembre 1487, quando i Riformatori chiamarono in soccorso, contro lo strapotere novesco, Lorenzo de' Medici, che si spinse con forze rilevanti sino ad Arezzo, il B. fu inviato presso di lui dalla Balia per scongiurare la minaccia: con pieno successo, in effetti, poiché Lorenzo, sebbene confermasse apertamente il suo sostegno ai Riformatori, non insistette nella iniziativa militare. Nominato segretario delle Leggi per il periodo agosto-dicembre 1488, al principio del 1489 il B. fu inviato alla corte pontificia per invocare la solidarietà di Innocenzo VIII nella questione della fortezza maremmana di Montauto, strappata l'anno precedente al dominio della Repubblica da un reparto di mercenari corsi sostenuti dal conte di Pitigliano.
Il B. ottenne le più ampie assicurazioni del papa non soltanto per quanto riguardava la questione di Montauto, effettivamente recuperata nell'aprile 1489, ma anche sul perdurante favore di Innocenzo verso i Noveschi: è peraltro significativo che il B. dovesse dare da parte sua qualche assicurazione di una politica moderata verso le fazioni senesi minoritarie: "Io ho decto qua - scriveva a Siena il 27 marzo 1489 - al papa et cardinali et a ogniuno, che abbiamo rimesso grande parte de nostri fuorusciti, et alcuni reservati ad poco tempo, con la robba et con lo stato, et che anco presto reformaremo la città in meglio" (Bacci). Propositi moderati, questi, che trovarono scarsa rispondenza nella successiva attività del B., il quale negli anni seguenti fu tra i maggiori responsabili, con il suo esclusivismo fazioso, della nuova crisi dello Stato senese.
Il prolungato periodo di pace interna imposta alla città dalla supremazia novesca doveva infatti bruscamente interrompersi per i contrasti insorti nella stessa fazione dominante, nei quali il B. e il genero Pandolfo Petrucci ebbero il posto di principali antagonisti. Più che da gelosia per il rapido emergere del Petrucci nella vita politica della Repubblica, il risentimento del B. verso il genero fu chiaramente determinato da un dissenso di fondo intorno ai mezzi ed ai fini della politica novesca. La formula, sempre più consapevolmente proposta dal Petrucci, di un organico allargamento della collaborazione con le altre fazioni cittadine come condizione indispensabile per dare alla vita senese quello stabile fondamento che il predominio esclusivo dei Noveschi non poteva certo garantire, trovò infatti nel B. resistenze progressivamente tanto più forti quanto più il Petrucci venne assodando il suo tentativo con accordi ed intese personali che di fatto scavalcavano i limiti tradizionali delle consorterie faziose e quindi la stessa antica solidarietà delle famiglie novesche.
La miope difesa di un predominio politico che - come l'esperienza largamente dimostrava - eresposto a tutti i contraccolpi delle vicende internazionali, a tutti i colpi di mano, a tutti gli accordi e le iniziative individuali, trovò nel B. un esponente irriducibile. Nel febbraio 1493 egli promuoveva, insieme con Leonardo Bellanti, una riforma del Consiglio del popolo e del Senato che, allargandone smisuratamente l'accesso alle famiglie novesche e nello stesso tempo creando più forti discriminazioni a danno delle altre fazioni cittadine, tendeva da una parte ad esasperare i risentimenti faziosi e dall'altra a mettere in minoranza la clientela del Petrucci, rendendo inoperanti gli accordi da lui laboriosamente stretti. Il Petrucci riuscì tuttavia a pyevalere quando la proposta era già stata approvata dalla Balia, ottenendo che essa fosse rimessa in discussione ed infine, nel marzo 1494, sostituita da una riforma a lui assai più favorevole. Comunque l'episodio non faceva che aggravare il contrasto tra i due orientamenti politici, quello personale tra il B. ed il genero, precipitando ormai verso l'aperta rottura.
Subito dopo questa sconfitta, infatti, il B. e i suoi partigiani, riprendendo una tradizionale prassi faziosa, cercarono nuovamente di modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza ricorrendo contro Pandolfo ad un appoggio esterno: trattative in proposito furono condotte per tutto quell'anno con Piero de' Medici, col quale il B. aveva avuto un primo diretto contatto a Poggio Imperiale già il 25 apr. 1493, quando le notizie di una lega tra il papa, la Repubblica di Venezia e il duca di Milano avevano ugualmente allarmato i due governi toscani. Queste trattative furono interrotte soltanto nel novembre del 1494, quando Piero de' Medici, scacciato da Firenze, non poteva ormai offrire alcun sostegno alla politica del Borghese.
D'altra parte in questo stesso momento l'intervento italiano di Carlo VIII aveva già modificato i termini del contrasto tra il B. ed il Petrucci, imponendo ad ambedue la più pressante questione della conservazione della autonomia cittadina nei preoccupanti sviluppi dell'invasione. In effetti il B. ed il Petrucci - ai quali fu affidata soprattutto, in questo periodo, la direzione della politica senese - procedettero di comune accordo nei laboriosi tentativi per uscire indenni da quella congiuntura: d'accordo nel respingere, nel maggio 1494, la richiesta di libero transito nel territorio senese avanzata dal re, i due convennero anche nelle misure, per garantire la difesa armata della città, affidata al Petrucci, e poi nel tentativo - peraltro fallito - di chiamare in soccorso Galeazzo Sanseverino; e convennero infine sulla necessità di cedere, aprendo trattative con il sovrano francese. Designato a trattare con Carlo VIII fu il B., che nell'ottobre 1494 raggiunse il re a Pisa e lo accompagnò poi sino a Firenze, e ottenne, in cambio del libero transito e di un cospicuo tributo, l'impegno, a "conservare il presente stato e reggimento della Repubblica" (Pecci). In questa occasione Carlo VIII attribuiva al B., con lettere patenti datate a Firenze il 20 nov. 1494, il titolo di regio consigliere.
Riprendendo poi, nella prospettiva di una restaurazione, le fila della sua politica di alleanza con Piero de' Medici - e quindi, ora, di ostilità verso la Repubblica fiorentina - il B. riesce in questo periodo a imporla come politica estera ufficiale del governo senese, mentre il Petrucci rinunzia per il momento a impegnarsi su questo terreno. Secondo quanto Giacoppo Petrucci, fratello di Pandolfo, riferì all'oratore fiorentino a Siena Alessandro Bracci, nel gennaio 1495, il B. avrebbe anche sostenuto presso Carlo VIII le richieste di aiuto contro i Fiorentini avanzate al re dai Pisani; comunque alla fine del 1495 il B. - che nell'agosto era stato nuovamente eletto segretario delle Leggi confermava i suoi orientamenti diplomatici promuovendo le onoranze e l'ospitalità ufficiale dello Stato senese a Piero de' Medici.
Tutte queste manifestazioni di ostilità non rimanevano peraltro senza risposta da parte fiorentina: nella primavera del 1496 Pier Capponi si spingeva minacciosamente sino a Staggia, e qui dovevano raggiungerlo il B. ed il Petrucci, inviati dalla Balia a scongiurare uno scontro tanto più temibile in quanto erano state scoperte le intese intercorse segretamente tra il Capponi e un influente personaggio senese, Lucio Bellanti, promotore di una congiura le cui vittime designate erano sia il B. sia il Petrucci. Risoltasi la pericolosa congiuntura con un accordo col Capponi e con la repressione della congiura, l'intesa tra il B. e il Petrucci sembra proseguire nei mesi seguenti, durante le trattative con Ludovico il Moro per una alleanza contro Firenze, la cui ostilità verso Siena continuava ad essere alimentata dalle pretese di dominio su Montepulciano. Senonché, già sul finire del 1496, il Petrucci cambiava bruscamente politica, iniziando trattative personali con agenti fiorentini e cominciando poi a proclamare esplicitamente, dal principio del 1497, la necessità di una tregua con la Repubblica vicina, accantonando per un momento l'indistricabile questione di Montepulciano. L'iniziativa del Petrucci riapriva il contrasto con il B., che sembrava sopito. Costretta a prendere posizione su un problema così vitale, la Balia incaricava il B. di studiare, insieme con Andrea Piccolomini e con Gerolamo Tolomei, l'opportunità ed i termini della pace. Secondo una fonte fiorentina il B. si sarebbe opposto all'iniziativa del Petrucci "più per alterare lo stato de Pandolpho che per altro respecto" (Mondolfo, p. 39): sebbene interessata, la testimonianza sembra interpretare esattamente l'atteggiamento del B., il quale si rendeva conto che l'alleanza fiorentina sarebbe stata il maggior puntello alla preminenza personale del genero ed al definitivo successo della politica da lui promossa.
Perciò il 9 sett. 1498 il B. esponeva in Balia le sue conclusioni, rilevando che la tregua con i Fiorentini "non era altro che dare loro comodità di espedire le cose di Pisa, le quali spedite, sarebbono tanto più potenti a offendergli" (Guicciardini, p. 314); proponeva perciò, come unica soluzione accettabile, quella di una pace definitiva con la quale i Fiorentini rinunziassero ad ogni pretesa su Montepulciano: una rinunzia che il B. sapeva bene "i Fiorentini essere ostinati a non volere fare" (ibid., p. 315), e che perciò rendeva di fatto impossibile ogni accordo, mentre l'appello ai diritti senesi su Montepulciano tendeva anche a provocare il risentimento patriottico della cittadinanza contro il Petrucci. In effetti soltanto facendo appello a tutta la propria decisione e spregiudicatezza, chiamando a raccolta i "molti amici suoi del contado" (ibid.) e addirittura sollecitando l'intervento dei Fiorentini, che si spinsero in armi sino a Poggio Imperiale, Pandolfo riuscì a risolvere in proprio favore la controversia, la tregua di cinque anni con Firenze, sottoscritta dalla Balia il 14 sett. 1498, costituiva anche l'inizio della sua signoria di fatto su Siena.
L'opposizione del B. continuò tuttavia anche dopo la stipulazione della tregua, esprimendosi soprattutto in contatti personali con gli agenti pisani e veneziani e la minaccia di un intervento veneziano su Siena era troppo consistente perché il Petrucci non dovesse preoccuparsene. La soluzione del contrasto con l'assassinio politico era già chiaramente preannunziata da Pandolfo ai Fiorentini, quando nel 1499, informandoli delle iniziative diplomatiche del suocero, commentava che ben presto si sarebbe dovuto venire "al taglio" (Mondolfo, p. 43). Così quando, il maggio 1500, il B. riuscì a ottenere un parziale successo in Balia, inducendo questa a ribadire i diritti senesi su Montepulciano, contro le pressioni a favore di Firenze esercitate da Luigi XII e delle quali si faceva interprete il Petrucci, la sua sorte fu decisa. Il 17 luglio 1500 fu assalito e gravemente ferito da alcuni sicari, sebbene, consapevole del pericolo, si facesse costantemente accompagnare da una scorta armata. Morì il giorno dopo.
Poco dopo la sua morte, nel 1500, fu steso un inventario della sua biblioteca, una delle più notevoli di Siena (l'inventario è pubblicato dallo Zdekauer, LoStudio di Siena nel Rinascimento, pp. 195-199). Nei trecentocinquanta volumi circa che costituiscono la biblioteca un nucleo centrale è rappresentato da autori latini, da qualche autore greco tradotto in latino (Erodoto e Strabone), da varie opere di umanisti (le Elegantiae del Valla, Donato Acciaioli, Beroaldo, Platina, Agostino Dati). Un notevole numero di volumi, inoltre, è di carattere teologico. Tra gli scritti dello stesso B., risultanti dal catalogo, gli Erotimata, oggi scomparsi, il De Catherinae gestibus e molti excerpta da diversi autori. Del B. rimane una serie di vite di beati e santi dell'Ordine dei servi di Maria, riunite in un codice pergamenaceo che si trovava un tempo presso la SS. Annunziata di Firenze e ora presso l'Archivio generale dell'Ordine a Roma (VIII, Postulazione Santi e Beati agiografica, cod. 9). Le Vitae Philippi Florentini,Francisci Senensis,beati Peregrini Foroliviensis non sono se non la trascrizione in latino umanistico delle vitae e legendae del sec. XIV. Unica eccezione la Vita beati Iacobi Philippi Faventini, che il B. poté ricostruire attraverso testimonianze dirette, nel suo soggiorno a Faenza. Queste vite sono state ora riunite e pubblicate da P. M. Soulier, nei Monumenta Ordinis Servorum Sanctae Mariae, IV, 1-2, Bruxelles 1900-1901. La Vita di S. Caterina fu pubblicata a Venezia nel 1501 in una redazione latina, dedicata al doge Agostino Barbarigo, e in una in volgare. Il Moreni parla anche di un volgarizzamento in lombardo uscito a Venezia nello stesso anno (D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, Firenze 1805, p. 148). Una traduzione del compendio fattone da Abramo Bzovio si deve a R. Luttazi (Vita di S. Caterina da Siena di N. B..., Roma s.d. [ma 1869], pp. 33-60). Un inedito Carmen de offitio sapientis è in Arch. Segr. Vat., Chig., I. IV. 148, ff. 2728. Tra le opere attestate, ma perse, una Elegia flebilis in mortem uxoris, una Elegia solatoria pro eadem,De pronubo gloriosae Virginis anulo ad Perusinos e un De origine Ordinis Servorum. Taluni attribuiscono al B. il distico che si trova sotto all'affresco di Sano di Pietro sulla Porta Romana a Siena.
Fonti e Bibl.: A. Dati, Epistulae, Senis 1503, ff. CXXVIIv CLXI; F. Donati, Una lettera relativa all'uccisione di N. B., in Miscell. stor. senese, I (1893), pp. 129-132; O. Bacci, Una lettera di Niccolò di Bartolomeo Borghesi, Castelfiorentino 1894; Archivio di Stato di Siena,Archivio del Concistoro, Roma 1952, p. 117; Archivio di Stato di Siena,Archivio di Balia, Roma 1957, pp. 90., 417 ss.; A. Allegretti, Diari delle cose sanesi del suo tempo, in L. A. Muratori, Rerum Italic. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 803, 827, 828, 830 s., 850; C. Cantoni, Cronaca Senese, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XV, 6, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, pp. 881, 883, 889, 892 s., 932; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1929, I, pp. 314 ss.; O. Malavolti, Historia de' fatti e guerre de' Sanesi, Venetia 1599, III, pp. 85, 93, 103, 105; H. Marracci, Bibliotheca Mariana, II, Romae 1648, p. 161; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, Pistoia 1649, I, pp. 444, 628 s.; C. Cartharius, Advocatorum Sacri Consistorii syllabus, Romae 1656, p. CXXXIV; G. Gigli, Diario senese, Lucca 1723, I, pp. 164-168; II, p. 25; G. Pecci, Mem. storico-critiche della città di Siena. I, Siena 1755, pp. 41, 66, 83, 151, 161; G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1728 s.; L. G. Pélissier, Lettre de Louis XII à la Seigneurie de Sienne pour lui notifier son avénement (1498), in Bull. senese di storia patria, I (1894), pp. 113-114; L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, pp. 94, 119-124, 195-199; Id., Una biblioteca senese del Quattrocento, in Riv. delle bibl. e degli arch., IX (1898), pp. 87, 89, 90; U. G. Mondolfo, Pandolfo Petrucci signore di Siena, Siena 1899, passim; P.Piccolomini, La vita e le opere di Sigismondo Tizio (1485-1528), Siena 1903, passim; V.Spreti, Encicl. storico-nobiliare, II, Milano 1929, p. 131; D. M. Robathan, Libraries of the Italian Renaissance, in I. W. Thompson, The Medieval Library, New York-London 1965, p. 582; A. M. Serra, N. B. e i suoi scritti agiografici servitani, in Studi storici dell'Ord. dei servi di Maria, XIV (1964), pp. 72-230; U. Morandi, Le pergamene Borghesi conservate nell'arch. privato Sergardi-Biringucci, in Rass. degli Archivi di Stato, XXV (1965), pp. 60, 63-66.