BUCCELLA (de Buccellis), Niccolò
Nato a Padova, in data imprecisabile, di modesta origine borghese - suo padre era libraio e fornitore dello Studio patavino -, il B. fu l'unico della famiglia a compiere gli studi universitari. Fratelli e parenti, che praticavano la mercatura, tradivano simpatie eterodosse, tenendo contatti e indirizzando la loro attività verso centri di propaganda protestante, come Ginevra e Lione. Le fonti gli attribuiscono concordi il titolo di dottore in medicina e chirurgia, ma non risulta dove e quando lo abbia conseguito.
Guadagnato dalla propaganda degli anabattisti veneti, al punto da farsi ribattezzare, iniziò, probabilmente già in età matura, un periodo di viaggi fuori d'Italia: "ut videret num ulla tandem ullibi Religio vigeret, quae suo arrideret Genio", come scrisse più tardi il suo antagonista Simone Simoni (Scopaequibus verritur confutatio..., f. H3). Si fissò per qualche tempo tra gli anabattisti di Moravia, esercitandovi la professione di chirurgo e stringendo rapporti di amicizia col veneziano Niccolò Paruta, anabattista e antitrinitario, che possedeva case e vigne nei dintorni di Slavkov. Tornato a Venezia e a Padova, si adoperò per fare proselitismo fra il popolo minuto. Era nuovamente in viaggio per la Moravia, insieme con un gruppo di anabattisti guidati da Francesco Sega, quando tutti furono denunciati all'Inquisizione veneta e arrestati. Allora, nell'agosto 1562, egli appariva un uomo maturo, sulla quarantina.
Dagli atti del processo risultano le linee essenziali della sua concezione religiosa. Inizia la sua confessione di fede pregando ingenuamente i membri del S. Uffizio di prestare attenzione alle "ragion ch'io son per didurre", così com'egli vorrà ascoltare "quelle ragioni che mi vengano ditte e considerar se contengano verità". Il confronto dei diversi argomenti ha per il B. valore decisivo: infatti, "sempre la vera religione ha avuto alcun fondamento demonstrativo e ragion viva contra la quale non vi era risposta". Egli insiste sulla sostanza razionale della religione: proprio il suo carattere intelligibile fa in modo che tutti possano comprendere qual è la vera fede, e che siano quindi inescusabili tutti coloro che la negano per seguire false credenze.
A questo atteggiamento si riallaccia la rivendicazione della libertà di interpretazione delle Scritture contro l'autoritarismo romano: quelli della Chiesa romana preferiscono credere ai Padri che hanno interpretato le Scritture e fatto i concili, anziché a "Huomeni ignoranti... gente barbara, et vogliono interpretar le Scritture a modo suo, e chi le intende per una via e chi per un'altra". Ma la stessa posizione assumevano i farisei nei confronti di Cristo e dei suoi discepoli: "Gesù Cristo era nel cospetto loro uomo vile, credendolo figliuolo d'un fabro e li suoi discepoli piscatori uomeni vili"; ed esistevano allora varie sette tra gli Ebrei, con differenti interpretazione della parola divina. Se Cristo avesse accettato il principio che l'interpretazione della Scrittura compete ai sacerdoti, a ciò qualificati, certo non esisterebbe oggi la religione cristiana. Spetta invece ai sacerdoti, semplici mediatori, riferire la pura parola di Dio al popolo, senza aggiungere o sottrarre nulla, e senza fornire un'interpretazione. Non bisogna obbedire, quindi, a preti, frati e concili, bensì a Dio.
Parafrasando il Simbolo apostolico, il B. accennava alla Chiesa come comunità di perfetti, che posseggono lo spirito di Cristo. Sorvolava però sulla Trinità e sulla definizione del Figlio, il che dà fondamento alla supposizione che egli già allora fosse "samosateno" come il suo amico e corrispondente Paruta, rifiutasse cioè il dogma trinitario, ammettendo che il Figlio è inviato dal Padre ad annunziare il Vangelo, ma negando la eguaglianza tra le persone della Trinità.
Infine, notevole fascino dové esercitare sul B. l'aspirazione degli anabattisti a realizzare il modo di vita dei primi cristiani, sebbene all'aspetto pratico, morale, del suo anabattismo egli si limitasse ad accennare fuggevolmente.Nel marzo 1564 il B. tornava alla Chiesa, e nel dicembre dello stesso anno veniva assolto, con la sola limitazione alla sua libertà che non s'allontanasse da Padova per un triennio. La benevolenza dei giudici, che cercarono di proteggerlo, gli evitò una pena maggiore, cui non sfuggì invece il Sega, che, rifiutandosi di abiurare, venne giustiziato nel 1565.
Negli anni successivi il B. dovette dedicarsi interamente alla professione di chirurgo, giacché migliorò assai la sua posizione, giungendo a realizzare forti entrate, valutate a circa 1.000 ducati l'anno. Intorno al 1570 appare assai stimato e onorato dalla nazione germanica dell'università di Padova: "medicus et chirurgus excellentissimus, nullique in Italia doctrina chirurgica et anatomica secundus". Ma ben presto, eseguendo non autorizzato la sezione dei cadaveri di fronte a un pubblico privato di studenti della nazione germanica, ebbe nuovi scontri con le autorità ecclesiastiche: nel gennaio 1571 il vescovo, infatti, lo minacciò di scomunica, e l'anno successivo il B. manifestò senza ambagi il suo desiderio di abbandonare Padova.
Da tempo in rapporti con Giorgio Biandrata, che godeva di una solida posizione alla corte dei principi di Transilvania, venne da lui invitato a raggiungerlo. Ormai gravemente sospetto all'Inquisizione veneta, prevenne l'arresto con la fuga. A Belluno fu ospitato e protetto dai fratelli Zucconello, suoi correligionari che più tardi si stabilirono anch'essi a Cracovia. Passando per Vienna raggiunse l'amico Biandrata; e subito, nel luglio 1574, fu assunto da Stefano Báthory con uno stipendio di 600 talleri annui.
Ma le basi della sua fortuna economica furono poste in Polonia, dove si trasferì al seguito del Báthory nel '76, per restarvi fino alla morte. Si preoccupò immediatamente di tutelare i suoi interessi in patria, facendo procura ad uno dei suoi numerosi nipoti perché lo rappresentasse a Padova e a Venezia di fronte ai tribunali civili, criminali ed ecclesiastici: aveva allora cause in corso, certo per motivi d'interesse. Sfruttando la posizione acquisita, ottenne che il re stesso intervenisse in suo favore presso il doge Alvise Mocenigo. Ricevette in possesso vitalizio un'abitazione ai piedi del Wawel, la stessa che la regina Bona aveva fatto costruire per i segretari della sua cancelleria italiana. Si diede quindi a praticare il prestito a interesse, come era uso dei membri della numerosa colonia italiana di Cracovia. Strinse legami di parentela con un altro italiano esule per motivi religiosi, Giambattista Cettis, nobile proprietario d'una terra presso Cracovia, dandogli in moglie la figlia Uliana. S'imparentò con altri evangelici d'origine italiana e con Cristoforo Morsztyn, della stessa nobile famiglia cui apparteneva la moglie di Fausto Sozzini. Chiamò in Polonia numerosi parenti e affini. Nel marzo 1580 era interessato al trasporto del sale da Cracovia verso la Lituania. Tre anni dopo venne autorizzato a fondare una cartiera in Livonia, in società con Lamberto Wrader. Nel 1586 ottene la possilità di riscattare dalla vedova del castellano di Kiev una tenuta reale in Volinia, a possesso perpetuo per sé e la sua famiglia.
La sua attività professionale e quelle collaterali di banchiere e imprenditore non gli impedivano di tutelare gelosamente i suoi interessi e il suo prestigio contro gli attacchi di altri medici di corte. Lo troviamo in lite con Fabiano Nifo, e più tardi, alla morte improvvisa del Báthory, col medico e filosofo lucchese Simone Simoni.
In quest'ultima, clamorosa polemica furono trascinati altri personaggi notevoli dell'emigrazione italiana. Quando le condizioni di salute di Stefano Báthory si fecero più gravi, il B. stesso si diede a cercare un collega col quale dividere le responsabilità della carica di medico reale. Il Simoni, che a Lipsia aveva avuto attriti con i luterani ortodossi aderenti alla confessione augustana, si era guadagnato l'amicizia dei criptocalvinisti corrispondenti di A. Dudith. L'ex vescovo, in stretti rapporti con gli antitrinitari di Cracovia, aveva raccomandato al B. il Simoni, che era entrato così al servizio del re di Polonia. Ma il lucchese, ottenuta la fiducia di Stefano, contestò l'utilità della terapia fino allora seguita, e provocò l'allontanamento del Buccella. Quando il re, nel 1586, venne a morte, il Simoni ne fece ricadere la responsabilità sul rivale. Tre giorni dopo la morte del re, i senatori vollero fare l'autopsia del cadavere: diresse la operazione il B., mentre altri la eseguiva materialmente; il Simoni rifiutò sdegnosamente di assistervi, ritenendola una inutile offesa alla dignità del defunto sovrano: infatti, per lui, causa della morte era stata l'epilessia, "quae ab infernis partibus ducit originem" e pertanto non può lasciare traccia materiale nel cadavere. Naturalmente l'aspra polemica non si limitò alle argomentazioni scientifiche, ma ciascuna delle parti fece ricorso alla diffamazione e all'accusa di ateismo.
Tuttavia la polemica non danneggiò gravemente il B., se questi, nell'aprile 1589, otteneva l'indigenato a titolo di compenso per i meriti acquisiti seguendo il re Stefano alla spedizione di Polock. Probabilmente benemerenze politiche più recenti avevano fruttato all'italiano tale riconoscimento: egli, infatti, durante l'interregno, aveva reso alcuni servigi al partito antiasburgico del cancelliere Zamoyski. Sigismondo III Vasa, poco tempo dopo l'assunzione al trono, nell'aprile 1588, si era affrettato a nominarlo suo protofisico con lo stesso stipendio che gli aveva corrisposto Stefano, chiudendo a suo favore la polemica col Simoni: il B. - così si esprime il documento reale - aveva conservato in buona salute il Báthory, il quale s'era ammalato mortalmente in sua assenza, e aveva avuto motivo di rimpiangere la sua sperimentata fedeltà.
Durante tutto il periodo della sua permanenza in Polonia il B. si adoperò a favore di qualsiasi italiano vi capitasse in esilio per motivi religiosi. Nell'agosto 1582, riferisce il nunzio Bolognetti, offriva aiuto e ospitalità a due frati cappuccini di Venezia che avevano falsamente sostenuto d'essere stati inviati a Cracovia dai loro superiori, ed erano stati poi smascherati. Il B. era in buone relazioni formali col nunzio, ma evitava accuratamente di affrontare con lui problemi religiosi, e tanto meno mostrava desiderio di tornare al cattolicesimo, come facevano invece, in quegli anni, altri italiani. A giudizio del Bolognetti, egli era il più pericoloso fra gli eretici italiani a Cracovia, teneva corrispondenza con la Valtellina e Chiavenna, scriveva in materia di teologia e diffondeva i suoi scritti (anche il Simoni lo dice autore di un De vera religione).
Non nutriva ormai più simpatie anabattistiche, ma aveva sviluppato gli elementi di individualismo religioso che già apparivano nella confessione di fede degli anni giovanili. Secondo il nunzio Bolognetti, egli non era in dell'umore di quelli i quali... vogliono fabbricarsi una Chiesa in sogno a modo loro, perciocché esso più tosto tiene che ciascuno, interpretando il Testamento Vecchio e Nuovo in quel senso che gli par consonante, debba vivere secondo che gli detta la sua coscienza. E per questo dice che, doppo l'aver nostro signor Gesù Cristo mandato lo Spirito Santo, non manda più profeti, non volendo che più si creda ad altri, ma ciascuno a se medesimo et alla sua coscienza illuminata da questo lume" (Mon. Pol. Vat., VI, p. 253).
Anche il Simoni riferisce del suo distacco dagli anabattisti: "Anabaptistas deliros appellat". Non ammetteva alcun fenomeno o entità soprannaturale, all'infuori di Dio: "Angeli tibi nulli, Sancti nulli sunt". Interveniva alle cerimonie cattoliche solo quando riteneva necessario non dare scandalo a corte; ma in casa, circondato da parenti e servitori, commentava ironicamente ciò che aveva ascoltato. Dava ricetto ad uomini di opinioni differenti, purché fuori della Chiesa cattolica: all'Alciati e al Bovio, a Ludovico Fiera e a Fausto Sozzini (Scopae quibus verritur confutatio..., f. M 3r-v). Dal 1592 il Sozzini abitava nella casa del B., ed era ospite alla sua mensa.
Nel suo testamento il B. si mostra preoccupato di trasmettere il grosso dell'eredità, un capitale liquido di 6.000 fiorini, alla linea maschile dei Cettis. I beni veneti e quelli di Lituania, che egli non nomina, andavano certo ai nipoti che li amministravano. A Fausto Sozzini, "meo amicissimo", lasciava un vitalizio di 100 fiorini annui. Non trascurava umili servitori: due giovani moscoviti "quos nutrivi a pueritia", un sarto lituano ed una fanciulla moscovita, che aveva donato entrambi a Giambattista Cettis.
Desiderava che il suo corpo venisse vestito con gl'indumenti più modesti e più vecchi, chiuso "in cista lignea, rudi, more italico", e seppellito in luogo non consacrato. Il timore poi di rappresaglie cattoliche lo induceva a disporre affinché nessun parente o amico seguisse il carro funebre, e la cerimonia si svolgesse "ante solis ortum vel dum oritur".
Morì a Cracovia nel 1599.
Fonti e Bibl.: Warszawa, Archivum Główne Akt Dawnych, Metryka Koronna, 121, ff. 141v, 144v, 254v-255r (1580); 124, ff. 92rv, 108v-109r, 109r-110r, 281r (1581); 125, ff. 220r-221r, 225v-226r, 414v-415v, 380r-381v (1581); 127, ff. 10r, 68r-69v (1582); 228r-229r, 341-342r, 349v (1583); 134, ff. 312v-313r (1588); 138, ff. 215v-216r (1593); 140, ff. 251r-252v (1596); Ibid., Libri Legationum, 21, ff. 95v-96r (lettera del Báthory ad Alvise Mocenigo, 24 giugno 1577); S.Simoni, Domini Stefani primi Polonorum regis ... sanitas,vita medica,aegritudo,mors ..., Nyssae 1587, ff. E II, E III; Id., Responsum ad refutationem scripti de sanitate... D. Stefani Polonorum regis,quae sub nomine Nicolai Buccellae anno 1588 emissa est, s. l.né d., ff. A2, Aa 3, Gg; Id., Scopaequibus verritur confutatio,quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae... emiserunt…, s. l. né d., ff. H 3, M 3; Amadei Curtii Ticinensis responsum ad epistolam Georgii Chiakor..., s. l.1587, ff. C IV, D III; Fausti Socini Senensis Opera Omnia, Amstelodami 1656, I, pp. 471 (lettera del 3 marzo 1583), 426 (28 sett. 1584), 473 (9 ag. 1595), 455 e 458 (8 marzo 1597); Akty izdavaemye vilenskoio archeografičeskoio kommissieio (Atti storici della commissione archeologica di Vilna), III, Vilna 1870, pp. 297-308; Akta Metryki Koronnej… z czasów Stefana Batorego 1576-1586 (Atti della metrica reale... ai tempi di Stefano Báthory), a cura di A. Pawiński, in Zródła dziejowe (Fonti storiche), XI, Warszawa 1882, pp. 8-10; K. Estreicher, Bibliografia Polska, XIII, Kraków 1894, pp. 408-409; J. Ptaśnik, Z dziejów kultury włoskiego Krakowa (Per la storia culturale della Cracovia italiana), in Rocznik Krakowski, IX (1907), pp. 100-102, 141-143; Archivum Jana Zamoyskiego kanclerza i hetmana wielkiego koronnego (L'archivio di Jan Zamoyski, cancelliere e grande atamano della corona), a cura di J. Siemieński, II, Warszawa 1909, p. 97; III, ibid. 1913, p. 60; Atti della Nazione german. artista nello Studio di Padova, a cura di A. Favaro, I, Venezia 1911, pp. 70, 76, 85, 89, 92; Rationes Curiae Stephani Bathory Regis Poloniae historiam Hungariae et Transylvaniae illustrantes 1576-1586, a cura di A. Veress, in Fontes Rerum Hungaricarum, III, Budapest 1919, pp. 12, 87, 203, 211-212; Mon. Pol. Typographica, a cura di J. Ptaśnik, Leopoli 1922, p. 341; A. Bolognetti… epistolae et acta 1551-1555, I, a cura di E. Luntze e C. Nanke, in Mon. Pol. Vat., V, Cracoviae 1923-1933, pp. 55, 444, 496, 663-665; II, a cura di E. Kuntze, ibid., VI, ibid. 1938, pp. 251-253, 261; S. Ciampi, Viaggio in Polonianella state del 1830, Firenze 1831, pp. 115-117; Id., Bibliografia critica delle antiche reciprochecorrispondenze... dell'Italia colla Russia,colla Polonia ed altre parti settentrionali, Firenze 1834, I, pp. 24 s.; W. Bukda, Nowe szczegóły do biografji Fausta Socyna (NuoviParticolari per la biografia di Fausto Sozzini), in Reformacja w Polsce, III (1924), pp. 292-295; A. Knot, Dwór lekarskiStefana Batorego (La corte medica di Stefano Báthory), Poznań 1928, pp. 10-15, 28-31; J. Macurek, Diplomatické poslání Jana Duckera vPolsku roku 1591. Příspévek k dĕjinám snah roduhabsburského o nabytí koruny polské koncem 16.století (La missione diplomatica di Jan Ducker in Polonia nel 1591. Contributo alla storia dei tentativi asburgici per impadronirsi della corona polacca sul finire del '500), Praha 1930, pp. 58-59; K. Lepszy, Buccella Nikołai, in Poliki SłownikBiograficzny (Dizionario Biografico Polacco), III, Krakow 1937, pp. 74-75; A. Stella, Intorno almedicopadovano N. B., anabattista del '500, in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze,lett.ed arti, LXXIV (1961-1962), n. 3, pp. 333-361; Id., Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ric. storiche, Padova 1967, pp. 124-193; Id., Anabattismo e anti trinitarismo in Italianel XVI sec. Nuove ric. storiche, Padova 1969, pp. 180-191; D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia,Polonia,Transilvania (1558-1611). Studie doc., Firenze 1970, pp. 51-60, 213-214, 234-236.