CABEO, Niccolò
Nato a Ferrara il 26 febbr. 1586, entrò come novizio nella Compagnia di Gesù nel 1602. Ebbe come maestro di matematica, nel collegio gesuitico di Parma, Giuseppe Biancani; nella stessa scuola doveva rimanere per lunghi anni come insegnante di filosofia.
Nel commento alle Meteore di Aristotele il C. ci ha lasciato sia il ricordo dei suoi anni di apprendistato (si vedano gli accenni ad esperienze scientifiche compiute dal Biancani alla presenza del C.) sia ripetuti riferimenti al proprio insegnamento scolastico, incentrato sul commento alle opere aristoteliche.
Abbandonata, non prima del 1622, l'attività di insegnante, si dedicava alla predicazione in varie città d'Italia senza che venissero meno i rapporti che intratteneva già da diversi anni con i Gonzaga e con gli Estensi. A Mantova e a Modena trascorse infatti lunghi periodi al servizio delle due casate: nella lettera dedicatoria a Carlo II duca di Mantova, premessa al primo tomo del suo commento alle Meteore di Aristotele, egli ricordava la sua familiarità con Ferdinando Gonzaga, e nel corso dell'opera riferiva di esperimenti compiuti con Francesco d'Este e della realizzazione, patrocinata da quest'ultimo, di suoi progetti di armi. Il C. (che fu molto probabilmente presente alla discussione della tesi de lunarium montiumaltitudine sostenutaa Mantova nel 1611 in funzione antigalileiana) venne anche impiegato come esperto in problemi di idraulica.
È impossibile seguire con completezza le sue peregrinazioni negli anni successivi al 1620. Nel 1632 era a Genova e nella città ligure dimorava, probabilmente, per un intero anno; ivi conosceva G. B. Baliani, con cui avviava da allora un rapporto di viva stima ed amicizia. Nelle Meteore egli sosterrà la priorità dello scienziato genovese rispetto a Galileo per quanto riguardava la scoperta della legge di caduta dei gravi, ricordando che già nel 1632 l'amico gliene aveva parlato come di risultato da tempo acquisito, e Baliani, com'è noto, si varrà della sua testimonianza. A contatto con quest'ultimo maturava nel C. la persuasione, nata dal fraintendimento di una proposizione galileiana, secondo cui corpi di specie e mole diversa cadono con la stessa velocità, senza che il mezzo intervenga in alcun modo nella determinazione della caduta; nel 1641 a Pisa il Renieri operava una verifica sperimentale di tale tesi e comunicava a Galileo l'esito negativo di essa. Nel 1646 il C. ribadiva, nel commento alle Meteore, la sua posizione, che trovava una nuova, accurata smentita nei celebri esperimenti relativi alla caduta dei gravi compiuti dal Riccioli a Bologna e consegnati alle pagine dell'Almagestumnovum (Bologna 1651).
Al C., di passaggio per Genova, il Baliani, fidando nelle apprezzate capacità sperimentali dell'amico, ebbe a chiedere di determinare la lunghezza del pendolo battente il secondo; il Baliani stesso rendeva noto a Galileo (19 ag. 1639) il risultato che gli era stato comunicato da Ferrara, risultato dal quale scaturiva una discussione tra i due scienziati sul metodo impiegato dal C. in tale operazione.
Nel 1629 il C. aveva dato l'avvio, con una sua richiesta epistolare, alle importanti esperienze del Riccioli relative al pendolo; nel 1634, a Ferrara, avevano compiuto insieme esperimenti sulla caduta dei gravi. Il Riccioli, anch'egli allievo del Biancani e legato al C. da un lungo rapporto d'amicizia, darà nel corso dell'Almagestumnovum una rassegna ampia ed accurata delle opinioni del gesuita ferrarese nei campi più diversi della fisica, ed utilizzerà in senso anticopernicano alcuni degli aspetti della polemica del C. con il Gilbert.
Il C. soggiornò più volte a Roma: vi si trovava, tra l'altro, durante il soggiorno italiano del Mersenne nel 1645 (Mersenne a Torricelli, 15 sett. 1646) e in occasione dell'elezione a generale della Compagnia di Gesù, ai primi del 1646, di Vincenzo Carafa, cui dedicherà il quarto tomo delle Meteore. Recatosi a Genova per assumere la cattedra di matematica nel locale collegio dei gesuiti, moriva dopo neppure due mesi di insegnamento, in seguito a breve malattia, il 30 giugno 1650.
Nel 1629 veniva stampata a Ferrara (ma alcune copie, pur con lo stesso numero di pagine e la stessa impaginatura, portano la data di Colonia) la Philosophia magnetica, l'operaa cui il C. lavorava almeno dal 1617.
Già nella introduzione egli manifestava la sua insofferenza per un sapere puramente verbale e che non sottoponesse le sue conclusioni al controllo costante dell'esperienza, atteggiamento ribadito con maggiore ampiezza e vigore nella sua seconda opera. Il C. presenta un'ampia conoscenza della letteratura relativa all'argomento: accanto all'Epistola di Pietro Peregrino, agli scritti del Porta e del Gilbert, egli esamina ed utilizza, pur con frequenti riserve, l'opera rimasta inedita del gesuita veneziano Leonardo Garzoni, mentre nessun cenno è fatto all'attività del Sarpi. Del Gilbert vengono esaltate le eccezionali qualità di osservatore, ma numerose riserve sono avanzate nei confronti delle ipotesi esplicative dei vari fenomeni dalui offerte: non è solorifiutato il suo animismo, ma la tesi che il globo terrestre costituisca una grande calamita, e le deduzioni che il Gilbert ne traeva relative al moto della Terra. Ad esse il C. sostituisce l'asserzione di una qualità magnetica presente nella Terra e cooperante con la gravità alla stabilità e immobilità della Terra. Dal punto di vista metodologico constata l'impossibilità attuale di un trattamento rigorosamente matematico dei fenomeni studiati, procede per esperimenti compiuti con accuratezza e perizia, anche se, nella determinazione delle cause, là dove il risultato sperimentale non riesce ad intervenire in misura determinante, non sempre il C. è in grado di sottrarsi a spiegazioni di sapore scolastico.
Il contributo dato dalla sua opera appare, tuttavia, tutt'altro che irrilevante; egli è in grado di offrire esperienze nuove ed accurate, tali da correggere in più punti il sapere acquisito, e perviene, tra l'altro, a determinare il fenomeno della repulsione elettrostatica (il Caverni attribuì al C. anche la scoperta del magnetismo dei mattoni cotti, ma già il Biancani appare nei suoi scritti consapevole di tale fenomeno).
La pubblicazione dell'opera veniva annunciata a Galileo dal Marsili, che scrivendogli da Bologna nell'aprile del 1629si dimostrava scettico, sulla base di indiscrezioni, circa l'anticopernicanesimo del gesuita ferrarese; anche il cartesiano Lipstorp, forse in seguito alla polemica del Chiaramonti con il C., porrà quest'ultimo nel lungo elenco di copernicani presente nel suo Copernicus redivivus del '53, ma gli scritti del C. non lasciano ampi margini ad una conclusione di questo tipo.
La Philosophia magnetica venne accolta in modo negativo negli ambienti galileiani: si veda, tra l'altro, il giudizio del Castelli (lettera a Galileo del febbraio 1630)che si era trovato in contrasto con il C. a proposito del problema della sistemazione delle acque del Ferrarese, nel 1625.
Nel 1646 apparivano a Roma i quattro tomi del commento alle Meteore di Aristotele (In quatuor libros Meteorologicorum Aristotelis commentaria,et quaestiones quatuor tomis compraehensa...).L'opera, che conobbe una ristampa, 1686, sempre a Roma, con il titolo più aderente di Philosophia experimentalis, rispetta la forma tradizionale del commento, ma spesso le singole quaestiones sonosemplice pretesto per la discussione di temi scientifici attuali.
Il C. riprende con felicità e vigore tutti i motivi più comuni della polemica antiaristotelica: si sottolineano, tra l'altro, la deformazione operata dallo Stagirita nei confronti dell'antico sapere, e il carattere astratto della sua fisica, paga di soluzioni verbali ed introduttrice di sottigliezze metafisiche là dove devono regnare in primo luogo l'osservazione e l'esperimento. Attento a delimitare il campo della ricerca naturale, e a definirne l'autonomia, egli insiste sul valore dell'esperienza come premessa indispensabile per la formulazione di teorie, mentre più incerta appare la sua consapevolezza del ruolo della dimostrazione matematica nella scienza fisica.
Ampio rilievo riceve nell'opera la polemica antigalileiana, condotta talora con asprezza e pesantezza di toni: oltre a difendere, come si è già ricordato, le pretese di priorità del Baliani, il C. attacca la spiegazione delle maree offerta nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, ed attribuisce il fenomeno all'ebollizione, operata dalla Luna, di "spiriti sulfurei e salnitrosi" presenti sul fondo del mare.
L'interesse alchimistico, pur scevro di tinte esoteriche, è assai vivo nel C., lettore di Paracelso e di Libavio, e lo conduce alla elaborazione di una "philosophia chimica" secondo la quale i concetti di generazione e corruzione si risolvono ormai in quelli di composizione e dissoluzione dei corpi, mentre materia prima e forma aristoteliche sono identificate rispettivamente con la parte fissa, corpulenta, e la parte sottile, attiva, volatile di ciascun corpo. Insieme con l'umido, che opera la loro unione, esse costituiscono l'equivalente, nella universa natura, dello zolfo, sale e mercurio propri dei metalli. Una virtù magnetica attribuita al seme di ciascuna sostanza permette di attrarre le parti ad esso confacenti, selezionando gli spiritus presenti nell'atmosfera.
La messe, larghissima, di esperienze originali compiute nei campi più diversi e disseminate nei quattro tomi delle Meteore attende ancora un esame accurato, degno dell'interesse che merita una figura quale quella del Cabeo.
La posizione assunta dal C. a proposito della polemica del Chiaramonti contro Thycho Brahe suscitava la vivace reazione del Chiaramonti che contro di lui scriveva il De sede cometarum... libri duo. In primo continetur defensio sententiae suae ab oppugnationibus P. Nicolai Cabei Iesuitae (Forlì 1648).
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