CAMOGLI (Camulio, Camullio), Niccolò
Nato, probabilmente nel secondo o nel terzo decennio del sec. XVI, da una ricca famiglia patrizia genovese e sposatosi con una facoltosa valtellinese di Piuro, esercitò la mercatura nelle principali piazze europee (da Lione ad Anversa), entrando in contatto con gli ambienti ereticali degli italiani emigrati "religionis causa" in Svizzera.
Curatore - come i suoi amici Francesco Betti e Antonio Mario Besozzi - degli interessi finanziari di molti esuli benestanti, sovvenzionò largamente quelli meno abbienti e più disposti a riconoscersi nella tendenza che veniva costituendosi intorno alla sua persona. Nell'inverno del 1563 era stabilito a Basilea, impegnato a discutere il problema dell'uso della forza nella punizione degli eretici e immischiato in una lite pecuniaria col suo procuratore legale e mercante a Lione, il concittadino Lorenzo Anfosso, quando a Zurigo scoppiò lo "scandalo" dei dialoghi ochiniani che egli si era occupato (subito dopo la loro pubblicazione) di divulgare tra i connazionali in quel momento impegnati nel lavoro religioso nei Grigioni. Di fronte alla drastica posizione assunta dai magistrati tigurini, che avevano intimato all'autore del dialogo sulla poligamia di lasciare la città che aveva disonorato per contravvenzione alle leggi sulla stampa, il C. dapprima ospitò l'Ochino (con i suoi quattro figli) nella propria casa basileese, poi si preoccupò di garantire la sua sistemazione materiale come privato (prendendo a esempio il caso di Camillo Renato) in territorio grigionese, ancora fiducioso nella "libertà retica" e nell'indipendenza di giudizio delle autorità politiche delle Leghe. In questo disegno il C. implicò i pastori delle Chiese riformate di Piuro e Soglio - Girolamo Turriani e Michelangelo Florio - affinché trovassero appoggi in qualcuna delle potenti famiglie locali, raccomandando la massima discrezione e destrezza nel condurre in porto la faccenda e impegnandosi finanziariamente attraverso il suocero piurese.
Questo tentativo - a parte l'occasione particolare che lo aveva determinato e il suo scontato fallimento - si iscrive in un piùampio progetto, gestito dallo stesso C., di concentrare in territorio retico una vasta porzione (la più estremista dal punto di vista teologico) dell'opposizione ereticale italiana alla stabilizzazione protestante: quella che, più tardi, i pastori calvinisti Scipione Lentulo e Tobias Egli chiameranno la "schola Senensis", e cioè la tendenza radicale che faceva capo al gruppo sozziniano (Camillo, Dario, Fausto). Legato al progetto camuliano c'è il problema della successione ad Agostino Mainardi (morto il 31 luglio 1563) nella direzione della Chiesa di Chiavenna. È in questo contesto che vanno collocati i colloqui con Girolamo Zanchi, negli ultimi giorni di novembre e nei primi di dicembre, dopo che, in una lettera del 20settembre, il Turriani era stato invitato alla massima vigilanza. Siccome però il pastore designato aveva apertamente dichiarato di disapprovare la rigida posizione assunta dal Florillo (che non voleva ammettere "ad ecclesiasticas preces" lo scomunitato Camillo Renato) e di non voler assumere un comportamento intollerante nei confronti dei dissenzienti, il C. riteneva che il suo piano si sarebbe potuto in breve realizzare e andava anzi già predisponendo il suo trasferimento.
Cinque lettere scritte a pastori valtellinesi - intercettate da Giulio Della Rovere e conservateci in traduzione latina per opera del Lentulo - sono non solo importanti per ricostruire il progetto religioso del C. di concentrazione del dissenso ereticale anticalvinista nei Grigioni e per rintracciare l'ambiente nel quale egli s'inseriva (che è quello, come s'è detto, del radicalismo sozziniano e che implica tra gli altri i nomi di Sebastiano Castellione e di Celio Secondo Curione), ma anche per determinare la sua specifica posizione ideologica. Il C., nel condurre la sua vigorosa e coerente battaglia per la costruzione della "vera Chiesa" cristiana, si batte contemporaneamente contro i vecchi e i nuovi papi (carnefici, farisei), cioè i cattolici romani e i riformati ginevrini, che proponevano - secondo il suo punto di vista, che è, in questo caso, fedelmente riassuntivo della teoria della libertà religiosa e della tolleranza elaborata dagli eretici in Svizzera negli anni cinquanta - un identico tipo di struttura ecclesiastica: quella autoritaria e coercitiva (chi perseguita un uomo per causa di religione è in tutto simile all'Anticristo romano). Il filo rosso infatti che percorre tutto il suo pensiero è il rifiuto dell'establishment riformato e la coscienza della opposizione tra la tolleranza cristiana degli "eretici" e il nuovo fronte unito dell'intolleranza "sanguinaria" cattolico-protestante.
Egli stesso, nel pensare alla propria personale sistemazione e a quella di coloro i quali condividevano le sue opinioni, era alla ricerca di un luogo dove nessuno potesse essere perseguitato per la propria confessione di fede. Indeciso a lungo se incamminarsi alla volta di Anversa o di Lione ("ubi nulla est persecutio") sceglie alla fine, cioè nel corso del primo trimestre del 1564, quando ormai Ochino aveva lasciato Basilea per la Polonia ed era morto anche il Castellione, di stabilirsi a Piuro, dove verranno a raggiungerlo da Costanza i suoi amici e maggiori collaboratori: Camillo Sozzini (che resterà nella sua casa per sei anni) e Dario (che poi si trasferirà in Moravia per mantenere i collegamenti con l'Est europeo). Era infatti convinto che i suoi "signori" non sarebbero venuti meno a quella libertà che aveva permesso a tanti italiani di venire a professare le proprie credenze religiose.
A Piuro, della "exigua ecclesia", guidata dal Turriani, il C. divenne senior. Mancano notizie precise sulla sua attività ereticale durante questo periodo. Sappiamo però che con il suo "aetario locupletissimo" (il capitale era valutato 30.000 fiorini d'oro circa) finanziò il soggiorno di molti italiani compromessi dottrinalmente con la Chiesa chiavennasca: Antonio da Padova, Francesco Vacca, Filippo Valentini, Pietro Romano, Lodovico Fieri, Battista Bovio. Un vasto giro di persone che professavano certamente dottrine diverse tra di loro, ma che erano unite nella comune tendenza al radicalismo religioso e sociale (antitrinitarismo e anabattismo).
In seguito a questa opera di protezione e di sovvenzione dei connazionali che, dopo aver abbandonato il "papato" non volevano cadere in un'altra tirannide, cioè rifiutavano con il modello romano anche quello ginevrino della Chiesa, il C. aveva ingenerato molti sospetti nei pastori valtellinesi ortodossi. Ma solamente nel 1567 era stata scoperta la sua vera posizione religiosa. La denuncia era partita da Gabriele Averario, ministro di culto della Chiesa riformata di Monte presso Sondrio, che il 10 apr. 1568 aveva scritto un memoriale intorno a un colloquio avuto col C. a Morbegno, l'anno precedente, nella casa di Carlo Mosconi, presenti molte persone. Sorta una discussione sulla Chiesa ginevrina, il C. sostenne, in linea con le sue tesi, che si trattava di una istituzione la quale, subordinato a sé anche il potere politico, si era assunta la funzione esclusiva di perseguitare e di reprimere tutti coloro i quali dissentivano da Calvino, contrastando perfino, nell'introduzione della pena capitale per gli adulteri, l'insegnamento evangelico, che poggia sulla correzione e sulla penitenza: mai sulla violenza dell'uomo sull'uomo. Agli esempi contrari, che venivano cavati dal Vecchio Testamento per giustificare la prassi riformata, il C. opponeva il discrimen introdotto dal gesto esemplare di Gesù: un modello di comportamento che tutti i cristiani, per essere degni di questo nome, debbono seguire. Nel caso dell'esecuzione di Michele Serveto condannava, come già avevano fatto molti altri eretici, sia il comportamento dello Stato che quello della Chiesa ("ex aequo omnes danmabat"); e si diceva certo che quel "sanguinario" e "traditore" di Calvino - che aveva avuto perfino l'ardire di adulare il Castellione nello stesso momento in cui lo denunciava come "malsenziente" ai magistrati basileesi - era stato dannato per l'eternità: la persecuzione per causa di fede e l'esecuzione capitale sono infatti incompatibili col Nachfolge cristiano. La posizione del C., fortemente negativa nei confronti del modello ginevrino di Chiesa, si iscrive dentro una di quelle tendenza critiche - particolarmente vive tra gli italiani - emerse dopo il processo al Serveto. e assimilabile facilmente, per il suo radicalismo non violento assieme al rigido scritturalismo autodifensivo (diceva che, se avesse potuto, avrebbe abolito tutti i commentari biblici), al modello anabattista di vita cristiana.
A questa prima accusa, che ci riporta al contesto ideologico delle cinque lettere, se ne aggiunge un'altra: quella di antitrinitarismo, mossagli esplicitamente dall'Averario, che si era messo in contatto con la Chiesa di Chiavenna per avere istruzioni sul caso. Un'azione, questa, che permetterà al Lentulo di raccogliere altre due testimonianze dirette, quella di Andrea Vittorio e di Lorenzo Moretti, e di preparare di conseguenza una inquisizione. Avuto poco successo (per la difficoltà della sua applicazione integrale) il decreto federale del 1570 sulla sottoscrizione della confessione di fede retica, cui si erano facilmente piegati anche i dissenzienti piuresi, i pastori della Valtellina riuscirono a inserire il loro caso all'interno del vasto procedimento per anabattismo intentato l'anno successivo a Johann Gantner ("an liceat magistratui haereticos externos poenis compescere et in ordinem redigere et aliquot ministros arianizantes").
Nel giugno del 1571 si venne così all'incriminazione del C., assieme al Turriani e a Camillo Sozzini, davanti al sinodo di Coira. Sulla base delle tre testimonianze rese nel 1568, delle cinque lettere a suo tempo intercettate e che risalgono al 1563, della ricostruzione dei contatti avuti con molti scomunicati dalle Chiese riformate tra il 1564 e il 1570 a Piuro, il sinodo giunse alla conclusione di condannare anche il "mercator nummatissimus", che aveva organizzato "asylum haereticis profugis", alla scomunica. A nulla valse il tentativo di autodifesa che il C. organizzò principalmente intorno alla sua ignoranza in teologia, per quanto riguardava la Trinità, e la solidarietà umana tra gli esuli, per l'asilo, dato agli scomunicati. E nulla anche valsero, dopo la promulgazione della sentenza d'esclusione dalla Chiesa (3 giugno 1571) fino al sinodo successivo, sia il dolore provato dal C. ("in deliquium animi incidit"); sia la buona disposizione a sottomettersi alla disciplina ecclesiastica "omnes prompti erant subscrivere"); sia l'intervento di alcuni tra i più alti magistrati (Rodolfo von Salis e Corradino Planta) che nutrivano forti perplessità sulla opportunità di procedere così duramente contro degli esuli per causa di religione. I pastori, infatti, che conoscevano bene il significato della sottomissione formale nell'ideologia degli eretici e si aspettavano un tale comportamento ("ad negationes negare, ad affirmationes affirmare"), vollero mantenere la loro decisione per dare un pubblico esempio di potenza ("aliis timorem incutere") e ottennero l'approvazione incondizionata delle autorità religiose zurighesi, espressesi attraverso il parere di Heinrich Bullinger, cui l'Egli aveva anche fatto intendere che il C., per sospetto di sodomia, nel luglio, si era allontanato da Piuro. Però, il 20 marzo del 1572, a sua richiesta e dopo un rigoroso esame, il C. fu riammesso nella Chiesa, anche in considerazione della vasta opera di carità che continuava a svolgere. Dopo il 1572 non si hanno più notizie di lui.
Fonti e Bibl.: Berna, Burgerbibliothek, cod. A. 93. 7: Scipio Lentulus, Commentarii conventus synodalis convocati mense Iulii 1571 in oppido Chiavenna de excommunicatione Hieronymi Turriani, ecclesiae Pluriensis ministri, Nicolai Camulii et Camilli Sozzini, cc. 1r, 5r, 22v, 25v, 31r, 35rv, 39r, 43v-56v. In questa relazione, scritta il 22 giugno 1574, sono incluse, in traduzione latina, le seguenti cinque lettere spedite dal C. da Basilea a Turriani: 20 sett. 1563, cc. 48v-49v, e 1º dic. 1563, cc. 46v-47r; a Florio e Turriani, 3 dic. 1563, cc. 47r-48v; a Turriani, 28 dic. 1563, cc. 49v-50r; a Florio e Turriani, 29 dic. 1563, cc. sov-51r. Si veda inoltre Coira, Staatsarchiv-Graubünden, cod. D.IIa. 111. Varia II: Fausto Sozzini a Camillo Sozzini, Siena, 3 nov. 1563 e Roma, 28 nov. 1565; Ibid., cod. D. II C: Guarnerio Castelvetro a Camillo Sozzini, Zurigo, 14 apr. 1565; Zurigo, Staatsarchiv, E. II. 340, f. 356: Rudolf Gwalther a Heinrich Bullinger, Coira, 19 giugno 1571: cfr. Museum Helvet., Tiguri 1746-1763, XVII, p. 106; P. D. R. De Porta, Historia reform. eccles. Raeticarum, I, 2, Curiae Raetorum 1771, pp. 497, 539, 543-545, 549; F. Trechsel, Die protestantischen Antitrinitarier vor Faust Socin, II, Heidelberg 1844, p. 134 s.; F. Buisson, Sébastien Castellion, II, Paris 1892, pp. 306-307; T. Schiess, Bullingers Korrespondenz mit den Graubündnern, III, Basel 1906, pp. 252-253, 256, 258; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze 1939, pp. 290-291, 295-296, 307, 310-312, 316-319, 331, 434; R. H. Bainton, Bernardino Ochino, Firenze 1940, pp. 144, 180, 188-190; E. M. Wilbur, A history of Unitarism, Boston 19455 p. 111; G. H. Williams, Camillo Renato, in Italian Reformation Studies in Honor of Laelius Socinus, a cura di J. A. Tedeschi, Firenze 1965, p. 181; J. A. Tedeschi, Notes toward a Genealogy of the Sozzini Family, ibid., p. 302; A. Rotondò, Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento: la pratica nicodemitica, in Riv. stor. ital., LXXIX (1967), pp. 1001-1009; C. Renato, Opere, documenti e testimonianze, a cura di A. Rotondò, Firenze-Chicago, 1968, pp. 264, 326, 329; A. Rotondò, Calvinoe gli antitrinitari italiani, in Riv.stor. ital., LXXX (1968), p. 762; G. Zucchini, Contributi agli studi sulla giovinezza di Fausto Sozzini, in Bollettino della Soc. di studi valdesi, XCII (1971), 1130, p. 38.