COMES (de Comitibus, Conti), Niccolò
Nacque probabilmente nella Marca Trevisana e visse tra il sec. XIII e il XIV.
Assai difficile risulta la sua precisa identificazione, dato che diversi manoscritti della sua opera Speculum alchimiae indicano come autori nomi diversi (Arnaldo da Villanova, frate Elia o Heila, Estrop o "il Vecchio del Sud"). Appare citato come "Nicolaus de Comitibus de Marchia Trevisana" in due manoscritti del sec. XV conservati nella Biblioteca universitaria di Bologna, dove sono anche due estratti della stessa opera, e in tre manoscritti conservati a Londra e a Cambridge; mentre nel testo pubblicato dallo Zetzner e dal Manget si fa il nome di Arnaldo da Villanova. Il Thorndike, che ha studiato tali manoscritti, propende per l'attribuzione al C., dato che poco credibili cronologicamente risultano le attribuzioni ad Arnaldo, al francescano frate Elia, a Bernardo Trevisan, a Niccolò Conti di Padova.
L'opera, che nei diversi manoscritti reca lo stesso incipit ("Ut ad perfectam scientiam pervenire possimus, primo oportet scire..."), afferma che la base di tutto l'insegnamento alchemico si fonda su tre pietre filosofali e su tre sali, che corrispondono ai tre regni della natura e ai tre pianeti, Mercurio, Sole e Luna. L'alchimia non è che perfetta ispirazione divina e, appunto per smascherare i ciarlatani, l'autore ha voluto scrivere l'opera in modo da essere inteso da tutti, e poter così comunicare i risultati dei suoi lunghi studi. In effetti lo scritto è strutturato come un dialogo fra un magister e un allievo, in cui però questo ultimo ha un ruolo assai marginale; è suddiviso in sette parti o dispositiones (otto in alcuni manoscritti), corrispondenti alle sette fasi del processo alchemico (sublimazione, calcinazione, soluzione, abluzione, incerazione, coagulazione, fissazione). Nella parte introduttiva l'allievo chiede dove si possa trovare la pietra detta Adrop o "lapis altior huius mundi", e il maestro risponde che si trova sotto la cima di due montagne, ma non si tratta della comune specie di mercurio, bensì di una pietra che è spirito e materia assieme. Nella prima dispositio il maestro spiega che cos'è la sublimazione, si addentra in oscure affermazioni per concludere che tale pietra può diventare medicinale come teriaca. Nella seconda elenca le varie fasi del processo alchemico, mentre nella terza dà l'elenco dei nomi che in varie lingue sono attribuiti alla pietra. La quarta parte parla del processo per ottenere l'auripigmentum necessario, la quinta di quello per lo zolfo filosofico; la sesta tratta ancora della sublimazione e polemizza con i falsi alchimisti, mentre la settima riepiloga le affermazioni dei precedenti capitoli, affermando che il complicato processo della sublimazione comprende gli altri sei momenti del processo complessivo. Tutto in natura si muta, e la vita nasce dalla corruzione dei corpi. La lunga ricapitolazione finale ripercorre l'arcano processo della distillazione; inoltre il maestro invita l'allievo a ricordare che l'arte alchemica consiste soprattutto nella interpretazione, per cui ciò che è oscuro si fa chiaro e viceversa, e si diffonde infine sulla fusione di zolfo e mercurio, sui vari recipienti da usare, sul fuoco e l'acqua necessari, sull'elisir "citrinum". Insomma l'intento iniziale di scrivere un'opera pratica risulta rispettato, anche attraverso molteplici citazioni da Platone, Hermes, Morienes, Geber, Avicenna, ecc., ma non tutto si può dire veramente chiaro, anche perché molte affermazioni, come quelle sulla pietra filosofale, restano ambigue e generiche nel tentativo di penetrare oltre la realtà naturale. Lo Speculum Alchimiae non ci dice dunque molto sulla personalità del suo autore; se mai ci fa capire che il maestro, uomo che è detto avere larghe esperienze di astrologo, cerca volutamente di produrre uno scarto tra il significato comune delle parole che usa e il vero, occulto significato di esse. Un trattato alchemico dal diverso incipit ("Una res est in media"), di 94 fogli, attribuito al C., è conservato nell'Archivio del Seminario di Bressanone (B. 21). I codici conosciuti dello Speculum del C. sono i seguenti: Bologna, Bibl. univ., 601 (1115); Ibid., 138 (104), ff. 1-24v; Ibid., 168 (180), ff. 132r-137v; Ibid.., 303 (500), ff. 196r-200v e 270 (457), X, 2, f. 19rv (Extracta);Londra, British Library, Sloane 692, ff. 20r-46v; Ibid., Stowe 1070, ff. 1r-16r; Cambridge, Corpus Christi College Library, 99, pp. 21-35; Parigi, Bibl. nationale 7173, ff. 213-223r; Napoli, Bibl. naz., VIII.D.20, ff. 92r-108r.
Fonti e Bibl.: L. Zetzner, Theatrum chemicum, IV, Argentorati 1659, pp. 515-542; J. J. Manget, Bibliotheca chemica curiosa, I, Genevae 1702, pp. 687-698; Histoire littéraire de la France, XXVII, Paris 1881, pp. 89 s.;G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, I, Forlì 1893 p. 95; E. J. Scott, Catal. of the Stowe Manuscripts in the British Museum, I, London 1895, p. 689; Id., Index of the Sloane Manuscripts in the British Museum, London 1904, p. 118; J. Marx, Verzeichnis der Handschriften-Sammlung des Hospitals zu Cues, Trier 1905, p. 186. D. Waley Singer, Catalogue of Latin and vernacular manuscript in Great Britain and Ireland, I, Brussels 1928, n.355; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, III, New York 1934, pp. 163-75; J. Ferguson, Bibliotheca Chemica, I, London 1954, p. 43; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 37; II, p. 401.