ESTE, Niccolò d'
Secondo di questo nome, nacque in Ferrara il 17 maggio 1338 da Obizzo (III) signore di Ferrara e da Lippa di Giacomo Ariosto; figlio naturale, venne legittimato dal padre.
Soprannominato lo Zoppo, a causa di una infermità procuratagli dalla gotta, l'E. assistette il fratello maggiore Aldobrandino (III) non appena questi, nel 1352, alla morte del padre, assunse il potere; la bolla di investitura di Papa Clemente VI del 19 ottobre di quell'anno comprendeva peraltro sia Aldobrandino sia i suoi fratelli, ma fu il primo ad esercitare effettivamente la sovranità sul dominio ferrarese in virtù della primogenitura.
Il nome dell'E. compare più volte in questo periodo accanto a quello di Aldobrandino, sempre legato alle imprese di quest'ultimo: nel 1358, invece, supplì in Ferrara il fratello, recatosi temporaneamente a Bologna. Dopo la morte di Aldobrandino (2 nov. 1361), la personalità dell'E. poté esprimersi pienamente. Sollecitate e presto ottenute le bolle di vicariato da papa Innocenzo VI e l'investitura dall'imperatore Carlo IV (a nome suo e dei fratelli Ugo e Alberto), sua prima iniziativa politica fu quella di rompere la tradizionale alleanza che teneva legati gli Estensi ai Visconti.
La ricostituzione di un nuovo sistema di equilibri fu condotta magistralmente dall'E.: un incontro con Francesco (I) da Carrara a Montagnana, nel 1362, gli garantì l'amicizia padovana; gli sposalizi della sorella Costanza con Malatesta Ungaro (2 maggio '62), signore di Rimini, e della figlia di questo, sempre di nome Costanza, con suo fratello Ugo (nel 1363), avvicinarono la politica di Ferrara a quella dei Malatesta; il suo matrimonio con Verde Della Scala (19 maggio 1362), figlia di Mastino [II] e sorella di Cansignorio, attrasse anche Verona nell'orbita antimilanese. Infine l'E. si rivolse al cardinale Egidio Albornoz ottenendo, in cambio dell'appoggio ferrarese all'iniziativa antiviscontea, le terre di Nonantola, Bazzano e Ponzano anche come rimborso per le somme prestate precedentemente da Aldobrandino (III) allo stesso cardinale e alla Chiesa; tali terre vennero dall'E., con atto del 28 ag. 1362, riunite al distretto di Modena, così come era stato in un recente passato.
Concordata una lega, il 16 apr. 1362 l'Albornoz, gli Estensi, gli Scaligeri e i Carraresi - cui si unirono in seguito Feltrino Gonzaga e la regina di Napoli Giovanna - aprirono le ostilità contro i Visconti. Fu Malatesta Ungaro ad assumere la guida dei 4.000 armati, cui si aggiungevano 1.300 fanti bolognesi: dopo due anni, e dopo una serie di vittorie ottenute dai collegati, il 13 maggio del 1364 un trattato mise fine a questa prima fase del conflitto. La pace si presentò da subito instabile, e fu proprio per rinforzare il fronte antivisconteo che l'E., il 19 maggio 1366, si recò ad Avignone per tentare di convincere papa Urbano V della necessità di un suo ritorno in Italia; sulla via della Francia si fermò brevemente a Pavia, dove partecipò al battesimo di Valentina, figlia di Giangaleazzo Visconti.
Non si sa se fu proprio l'E. ad indurre il pontefice alla decisione, fatto sta che quando Urbano V ridiscese nel 1367 la penisola diretto a Roma, egli si precipitò a raggiungerlo in Viterbo con una scorta di 700 armati. Nella città laziale, il 15 agosto, fu ratificata una nuova lega antiviscontea che avrebbe riunito le armate della Chiesa a quelle estensi, carraresi, del signore di Mantova e della regina Giovanna. Il 16 ottobre successivo, in Roma, sulla scalinata di S. Pietro, Urbano V gli fece nominare dodici cavalieri e lo insignì della dignità di gonfaloniere della Chiesa.
Riprendeva frattanto lo scontro tra gli alleati e Bernabò Visconti, subito interrotto da una tregua il 25 ag. '68; l'ennesima "lega guelfa" costituita dal papa ìl 25 marzo 1370, cui l'E. prontamente aderi al pari di Firenze, Lucca, Pisa, Bologna e i Gonzaga non ebbe sostanzialmente effetti a causa della diffidenza fiorentina verso il pontefice, che di lì a poco (il 17 aprile) se ne ripartì alla volta di Avignone, dove qualche mese dopo sarebbe spirato. Il suo successore, Gregorio XI, assunse nuovamente l'iniziativa antiviscontea: la rinnovata lega, che associava l'E. ad Amedeo VI conte di Savoia, Giovanni Acuto, i Carraresi, la regina di Napoli e il re d'Ungheria, non diede però migliori risultati delle precedenti, e una nuova tregua venne conclusa a Bologna il 4 giugno 1375.
Ferrara venne impegnata duramente in questa fase del conflitto: basti ricordare la ribellione di Sassuolo, nel 1370, guidata da Manfredino da Sassuolo; la sollevazione poi domata, di Vignola - come la precedente ispirata dai Visconti - ed infine il tentativo operato dall'E., nel '71, di conquista della città di Reggio: tentativo fallito perché quel luogo, dopo qualche esitazione, passò invece al dominio visconteo.
Gli avvenimenti fiorentini complicavano intanto ulteriormente il quadro politico generale, e la guerra degli Otto santi tra il pontefice e la città toscana scompaginò il fronte guelfo. L'E. seppe trarne con abilità vantaggio, rimanendo fedele al papa e anche per ciò ricevendo in locazione dall'arcivescovo di Ravenna, incapace di conservarle, la città di Lugo e la villa di San Potito (8 apr. 1376). Poté inoltre acquistare per 40.000 fiorini d'oro da Giovanni Acuto la città di Faenza (il condottiero, domata la ribellione di quel luogo al pontefice, aveva saputo trarre utile dall'impresa): acquisto tuttavia effimero perché Faenza gli sarebbe stata sottratta poco dopo, nel luglio '77, da Astorgio Manfredi. Questi ampliamenti territoriali, cui pure occorre aggiungere l'ottenimento di Bagnacavallo e Cotignola, vendute agli Estensi ancora dall'Acuto, che le aveva però questa volta conseguite legittimamente dal legato apostolico come risarcimento per le mancate paghe ai suoi soldati, garantirono all'E. un ruolo di primo piano nell'area padana e soprattutto una posizione di forte influenza in Romagna.
Nel 1378 assunse particolare intensità lo scontro tra Genovesi e Veneziani. L'E. rimase ufficialmente neutrale tra i due contendenti, ma non impedì alla Repubblica veneta di reclutare armati nelle terre del suo dominio, ed inviò, tra l'altro, forti quantitativi di grano nella città lagunare assediata dai Genovesi e dai Padovani. La Serenissima, per compensarlo dei servigi discretamente prestati, gli donò, il 13 marzo 1382, la ca' Pesaro di S. Giacomo dell'Orio in Venezia, prescegliendo inoltre il signore di Ferrara, di concerto con i Padovani, perché arbitrasse la disputa sui confini che si era venuta a creare tra i due Stati in seguito alla guerra appena conclusa: i Carrara avevano appoggiato la Repubblica ligure durante il conflitto, ma i rapporti tra gli Estensi e quei signori si erano rafforzati con il matrimonio, nel maggio del 1377, della figlia dell'E., Taddea, con Francesco da Carrara, il Novello.
Negli ultimi anni una spedizione in aiuto dei Bolognesi, insidiati dal conte di Barbiano e suoi collegati, gli permise il 28 genn. 1385 la conquista del castello di Conselice e l'8 aprile successivo di quello di Zagonara; sempre in quell'anno gli Estensi si impegnarono nuovamente in una lega, questa volta ispirata da Giangaleazzo Visconti allo scopo di combattere le compagnie di ventura. Malgrado questi successi, anzi, proprio in conseguenza di tante iniziative e di tante acquisizioni territoriali che avevano posto la signoria Estense in posizione di assoluta evidenza tra gli Stati padani, in quello stesso 1385 l'E. si trovò a dover superare una gravissima crisi improvvisamente scoppiata in Ferrara.
Le continue guerre, le inondazioni del Po (nel 1362, '69, '85), le carestie (del 1369, '70, '74, '75), la peste del 1382 - che sterminò un terzo della popolazione ferrarese - avevano fortemente prostrato la città, già soggetta a fortissime tassazioni. Il nuovo estimo del 1385 accrebbe la pressione fiscale, ed il 3 maggio di quell'anno scoppiò la rivolta.
Obbiettivo della sollevazione era quello di eliminare il giurisperito Tommaso da Tortona, giudice dei Savi, ispiratore della politica fiscale ferrarese. La folla assediò e poi invase la Cancelleria di corte, devastandola, chiedendo la consegna di Tommaso. A nulla valsero le istanze dell'E. e di suo fratello Alberto per placarla, e, sul finire di una drammatica giornata, il marchese fu costretto a consegnare ai rivoltosi l'odiato ufficiale. L'E. aboli subito le vecchie gabelle e provvide poco dopo ad imporre un nuovo sistema fiscale sulla base di un estimo ricostituito, ma soprattutto ricercò e punì con una spietata repressione i responsabili della rivolta, accusati di un piano teso alla reintroduzione in Ferrara del governo popolare. Definitivo provvedimento fu quello che portò all'edificazione di una nuova e più sicura sede del potere. Il 30 sett. 1385 l'E. richiese e ottenne dal signore di Mantova Francesco Gonzaga un prestito di 25.000 ducati per iniziare la costruzione del castello di S. Michele - detto successivamente Castelvecchio - la cui direzione affidò all'architetto Bernardino Ploti da Novara. Con la realizzazione del palazzo fortificato si compiva un periodo della vicenda ferrarese e si ponevano i presupposti di una diversa politica del potere in conformità, peraltro, con quanto già avvenuto in altre e vicine realtà (basti pensare alla costruzione del castello scaligero sulle rive dell'Adige in Verona in seguito alla rivolta di Fregnano Della Scala del 1354). Protetti nella loro sede armata, gli Este avrebbero avuto da quel momento un rapporto ben diverso con la città e i sudditi.
Se nel corso più che ventennale della sua primazia l'E. persegui soprattutto, e con successo, l'intento di rafforzare la posizione della signoria ferrarese di fronte agli altri potentati padani, sul piano interno conseguì sostanziali risultati con una azione tesa alla riorganizzazione e al disciplinamento della feudalità del dominio facendo ciò con l'indurre molti nobili a cedergli i propri possessi e diritti per vederseli poi reinfeudare con un nuovo rapporto che stabiliva un legame di fedeltà più diretto tra i titolari di feudi e la signorìa estense.
Sotto altri aspetti, l'unianista Giovanni Conversini tracciò un ritratto fortemente positivo dell'Este. Egli aveva trasformato la città di Ferrara: da luogo paludoso e mediocre, questa era divenuta pulita e salubre, con strade lastricate, mirabili edifici in pietra, fortezze e torri, e non solo, sempre secondo il Conversini, l'Estense fu, insieme con Francesco il Vecchio da Carrara, il signore esemplare dei suo tempo. Certamente l'E., in ogni caso, non fu un principe umanista: di suoi rapporti con personalità rappresentative della cultura e delle arti poco si sa, e probabilmente non li favorì. Sicuramente ospitò nella propria corte nel 1370 Francesco Petrarca, che era comunque soprattutto vicino a suo fratello Ugo, e protesse l'umanista commentatore di Dante Benvenuto da Imola.
L'E. mori a Ferrara il 26 marzo 1388. Suoi figli furono Rinaldo, nato nel 1371, e Taddea, nata nel 1365, che sposò, come si è detto, Francesco Novello da Carrara.
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