NICCOLO da Cusa
NICCOLÒ da Cusa (Nikolaus von Kues; Nicola Cusano). – Nacque a Cusa (od. Bernkastel-Kues), nella diocesi di Treviri, nel 1401, figlio di Johann Krebs (Henne Cryfftz) e di Katharina Roemer.
Il padre aveva raggiunto una condizione agiata gestendo il traffico dei battelli sulla Mosella e commerciando vini. La data di nascita si desume da una Vita che Cusano stesso dettò quasi certamente al fratello minore Giovanni, anch’egli entrato negli ordini, in occasione di una riunione familiare a Cusa nel 1449. La sorella Margareta sposò uno scabino di Treviri e il secondo marito dell’altra sorella, Klara, anch’egli scabino, fu a più riprese borgomastro.
Fin dalla più giovane età, fu tutelato dall’influente famiglia dei signori di Manderscheid, innalzati nel 1457 al rango di conti del Sacro Romano Impero, ma sull’origine e le ragioni di questo legame non è stata rintracciata alcuna documentazione. Si ritiene che essi ne abbiano curato la prima istruzione, ma al più recente vaglio critico non regge l’ipotesi che ancora ragazzo sia stato inviato da Dietrich di Manderscheid alla scuola dei Fratelli della vita comune di Deventer, come riportato nelle biografie correnti (Meuthen, in Piaia, 1993).
Tra i primi libri entrati in suo possesso troviamo l’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura e la Teologia mistica di Jean Gerson, due testi vicini alla sensibilità della devotio moderna, ma la conoscenza di queste opere pare risalire al decisivo periodo all’Università di Colonia, nella seconda metà degli anni Venti.
Il primo documento (Acta Cusana, I.1,11) in cui ricorre il suo nome (Nycolaus Cancer de Coeße) riguarda la sua immatricolazione all’Università di Heidelberg (22 giugno 1416), dove si formò allo studio delle arti liberali per circa un anno e mezzo, prima di trasferirsi a Padova e conseguire in quell’università il grado di doctor decretorum (1423). Dell’insegnamento di Prosdocimo de’ Conti, che ebbe qui come maestro ed elogiò come «doctor egregius», «dominus meus et pater singularis», resta traccia nelle sue annotazioni alla Lectura in librum II Decretalium (Krchňák, 1962, pp. 67-84). Nell’ambiente dei giuristi padovani ebbe modo di conoscere e stringere durature relazioni con i futuri cardinali Giuliano Cesarini e Domenico Capranica. Il giovane Cesarini vi insegnò per due anni diritto canonico e Niccolò, che lo ricordò poi come «praeceptor metuendus» e «unicus» (De docta ignorantia, in Opera omnia,I.1,4 e 2,5), ne fu allievo assieme al coetaneo Capranica. A Padova i due ecclesiastici – e Cusano insieme con loro – vennero a diretto contatto con la nascente cultura umanistica, di cui divennero attivi promotori.
Agli anni padovani risale anche l’amicizia col medico e astronomo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, col quale continuò a dialogare per tutta la vita su questioni di ordine matematico e che lo assistette personalmente quando contrasse malattia a Roma nel 1461 e sul letto di morte. A Padova, Toscanelli fu allievo del matematico e astronomo Prosdocimo de’ Beldomandi, il cui insegnamento può avere offerto più di un motivo di interesse anche alla curiosità intellettuale del giovane studente di diritto canonico.
L’ambiente culturale padovano ne allargò le vedute ben oltre il campo della sua formazione disciplinare. Risale agli stessi anni la conoscenza del lullismo, che affiora fin dal primo dei sermoni successivamente curati e pubblicati, databile tra il 1428 e il 1430 e pronunciato a Coblenza al cospetto della corte episcopale di Treviri, per il Natale 1430 (Lohr, 1983).
Dopo una presenza a Roma, nel 1424, dove per sua stessa testimonianza assisté a una predica di Bernardino da Siena, ritornato in Germania, ottenne le prime prebende ecclesiastiche, a cui mirò per l’intero corso della sua vita. Gli furono assegnati uffici ad Altrich, Treviri, Oberwesel e Karden, tutti nella diocesi di Treviri, dove divenne segretario di Otto von Ziegenhain, arcivescovo e principe elettore dal 1418 al 1430. Il 26 marzo 1426 venne immatricolato all’Università di Colonia, dove insegnò nella facoltà di giurisprudenza (Meuthen, 1964). Forse per questo motivo nel 1428 gli fu offerta la cattedra di diritto canonico all’Università di Lovanio che rifiutò, come in seguito nel 1435, preferendo all’insegnamento un impegno più attivo legato alla sua attività di giurista. Ma non trascurò la sua formazione intellettuale, sotto la guida di Eimerico da Campo (Heymerich van de Velde), suo maestro e amico, protagonista a Colonia della ripresa di interesse per il pensiero di Alberto Magno e principale promotore della nuova scuola albertista, antinominalistica, che si affermò a opera sua in quell’università. Cusano ne raccolse alcune opere, non altrimenti pervenute (Bernkastel-Kues, Bibliothek, Cod. Cus. 106) e lo seguì a Parigi nel marzo 1428, dove ricercarono e trascrissero insieme opere di Raimondo Lullo. A Eimerico, che si trasferì poi a Lovanio come professore di teologia nel 1435, lo accomunava l’interesse per la tradizione mistica medievale e questi anni di stretta frequentazione furono alla base di un lungo sodalizio intellettuale, che si rafforzò ulteriormente al concilio di Basilea, a cui Eimerico prese parte dal dicembre 1432 al febbraio 1435 come rappresentante dell’Università di Colonia.
Attraverso Alberto e l’albertismo trasmessogli da Eimerico Cusano si accostò al pensiero del Liber de causis e dello pseudo-Dionigi, prima di essere introdotto direttamente al platonismo, quando venne personalmente a contatto con i dotti bizantini invitati in Italia al concilio di Ferrara e Firenze (1438-45). Dalla tradizione albertista gli derivano le prime intuizioni sulla coincidentia oppositorum (Haubst, 1952) e già Eimerico, sull’esempio di Lullo, fa uso di simboli geometrici per la rappresentazione di concetti metafisici. All’influenza di Lullo si può ancora ricondurre l’origine della riflessione sulla nozione di concordantia, che avrebbe assunto nello sviluppo del suo pensiero un ruolo di primaria importanza.
Nel frattempo fu attivamente impegnato come legale ed esperto di diritto canonico, una prerogativa che gli permise di raggiungere posizioni di rilievo nei circoli più autorevoli della Chiesa locale. È presumibilmente questa la ragione per cui Otto von Ziegenhain lo assunse come procuratore in curia, a sostegno dei suoi tentativi di riforma contrastati dal capitolo diocesano. Il parere espresso nel 1426 sui diritti doganali pretesi dall’elettore palatino Ludovico III dal parroco di Bacharach Winand von Steeg, latinista e segretario del cardinale legato Giordano Orsini, fu verosimilmente occasione della sua stretta relazione col cardinale.
Dedicatosi a importanti ricerche d’archivio sulle fonti storiche del diritto, era stato ammesso alla frequentazione della biblioteca della cattedrale di Colonia da Ulrico di Manderscheid, allora decano del capitolo e futuro pretendente alla cattedra vescovile di Treviri, e vi aveva rinvenuto codici contenenti importanti opere classiche. In visita a Roma nel 1427 come procuratore dell’arcivescovo di Treviri, ottenne per sé il decanato della collegiata di St. Florin a Coblenza ed ebbe occasione di incontrare Poggio Bracciolini, allora interessato all’acquisizione dei pregevoli codici coloniensi.
In seguito dovette ammettere di non avere scoperto, come aveva riferito Winand von Steeg (Acta Cusana I.1,34 n. 4), il De republica di Cicerone, bensì i già noti Commentarii in somnium Scipionis di Macrobio, tuttavia, tornato a Roma due anni più tardi, compensò l’errore consegnando a Orsini un codice contenente 12 commedie sconosciute di Plauto, passato poi, con tutta la raccolta del cardinale, alla Biblioteca Vaticana.
A contatto con gli umanisti italiani presenti negli anni seguenti al concilio di Basilea – tra cui Tommaso Parentucelli, futuro papa Niccolò V, Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, Francesco Pizolpasso, vescovo di Pavia e di Milano, Bartolomeo della Capra, suo predecessore, e Ambrogio Traversari, priore generale dei camaldolesi – continuò a procurare loro importanti opere di autori antichi, come il commento di Donato a Terenzio, scoperto nel 1433 a Magonza da Giovanni Aurispa.
Nel beneficiare delle sue rendite ecclesiastiche si adeguò certamente alla pratica allora in uso di ricoprire uffici ecclesiastici prima di esservi ufficialmente insediato, ma si adoperò per migliorare la vita spirituale delle istituzioni a lui affidate, introducendo nuovi statuti a St. Florin e regole di vita comune per il clero della parrocchia di Cusa, presa in carico nel 1436. Intanto i suoi studi di storia del diritto lo portarono alla scoperta di importanti fonti normative, quali i famosi Libri carolini, e a sostenere l’inautenticità della donazione di Costantino e di presunti atti papali citati nelle decretali pseudoisidoriane.
Furono le sue competenze di diritto canonico a portarlo al servizio di Ulrico di Manderscheid nella contesa apertasi per la successione all’episcopato di Treviri. La disputa, conosciuta come ‘scisma’ di Treviri, provocò aspri contrasti in seno alla Chiesa locale tra il successore eletto dal capitolo, il canonico Jakob von Sierck, il pretendente sostenuto dalla nobiltà locale, Ulrico di Manderscheid, già investito in pectore dal defunto vescovo, e il vescovo di Spira, Raban von Helmstadt, nominato suo successore da papa Martino V. Eletto dal capitolo dopo la rinuncia di Jakob von Sierk, il 15 settembre 1430 Ulrico depositò un appello, alla cui redazione Cusano, che vi figura tra i testimoni, prese indubbiamente parte come suo segretario e cancelliere.
Nel testo (Acta Cusana, I.1,80) si anticipano le argomentazioni, a difesa del ruolo del laicato nella Chiesa e delle prerogative della Chiesa nazionale tedesca, che Cusano sviluppò più tardi al concilio di Basilea nel patrocinare la causa di Ulrico, richiamandosi al principio di diritto romano quod omnes tangit, ab omnibus approbari debet.
Come difensore di Manderscheid, il 29 febbraio 1432 Cusano venne incorporato nel concilio di Basilea, già convocato da Martino V nel 1431 e a quel tempo definitivamente insediato dopo un tentativo di scioglimento del nuovo pontefice, l’agostiniano veneziano Eugenio IV, nipote di Gregorio XII. Anche se il 15 maggio 1435 il concilio dichiarò Raban von Helmstadt legittimo arcivescovo di Treviri, Cusano si guadagnò una posizione prominente in seno all’assemblea, anche grazie ai servizi resi come giurista a personalità della nobiltà tedesca, tra cui il protettore stesso del concilio, il duca Guglielmo di Baviera. Si giovò molto anche delle sue relazioni con i padri italiani, tra i quali il cardinale Cesarini, legato papale e presidente del concilio, grazie al quale entrò nell’orbita di un’influente cerchia di prelati di Curia coinvolti negli affari del concilio e dell’impero, contraddistinta come ‘tedesca’ (Meuthen, 1995-96, p. 489), anche se non composta da ecclesiastici tedeschi, come il fratello del cardinale Cesarini, Giorgio, i cardinali Niccolò Albergati e Domenico Capranica, i loro segretari Tommaso Parentucelli ed Enea Silvio Piccolomini, e più tardi il nipote di questo, Francesco Todeschini Piccolomini, futuro papa Pio III, insieme ai cardinali Juan Carvajal e Basilio Bessarione.
A Basilea, partecipò ai lavori della commissione per le questioni della fede e lavorò a una proposta di accordo con gli hussiti, componendo il trattato De communione sub utraque specie (1433). Impegnato nella sottocommissione che si occupava specificamente delle relazioni col papa, si espresse sul potere dei legati papali nel De auctoritate praesidendi in concilio generali (1434). In entrambi i casi, le sue proposte fornirono una solida base per le decisioni poi adottate dall’assemblea e gli assicurarono una posizione di rilievo come esperto negoziatore. Nel 1436 fu nominato praecognitor del concilio e conservatore dei decreti. Tra la fine del 1433 e l’inizio del 1434, presentò al concilio il De concordantia catholica, la prima delle sue opere maggiori, che lo rese immediatamente celebre.
Nel precedente De maioritate auctoritatis sacrorum conciliorum supra auctoritatem papae (1433) vengono ricostruite le basi storiche della rappresentatività del concilio. Qui, invece, Cusano va oltre e i richiami alla tradizione canonistica e alla dottrina del diritto naturale, che sta alla base del principio del consenso, rifluiscono in una più profonda visione, di ispirazione neoplatonica e dionisiana, della struttura gerarchica dell’intero universo, ordinata per azione divina, entro la quale si colloca la Chiesa, in relazione armoniosa con l’intera organizzazione della società e dello Stato. La tensione tra il naturale e il soprannaturale, tra l’uno e i molti, tra il consenso dei fedeli e l’autorità della Chiesa, trova composizione nella concordantia, la corrispondenza armonica e generale degli ordini e degli intenti. Da questo punto di vista, Cusano sviluppa la sua dottrina ecclesiologica, in cui trovano il loro principio ispiratore originario la sua tenace dedizione all’idea di ‘riforma’ e il suo impegno costante per il rinnovamento della Chiesa, in urto continuo con l’immobilismo dei comportamenti abituali e consolidati.
Papa e concilio assicuravano insieme l’unità della Chiesa e dall’autorità di entrambi si vide assegnate, nel 1435, la prepositura della collegiata di Münstermaifeld e, nel 1436, la cura della chiesa parrocchiale di Cusa. Il divergere delle posizioni conciliaristiche più estreme dal principio di concordantia può aver motivato la sua presa di distanza dalle deliberazioni del concilio. Ai suoi occhi, solo l’unanimità delle decisioni in cui entrava in gioco l’unità della Chiesa ne poteva assicurare l’infallibilità e la legittimità: autorità papale e rappresentatività del concilio dovevano necessariamente trovare un’armonica composizione. Questo non avvenne nella decisione sulla sede dell’incontro coi greci per la trattativa sull’unione tra le Chiese. Il contrasto col papa si era aperto nel 1435 sull’abolizione delle annate e si acuì sulle diverse proposte per la sede dei negoziati coi greci; ciò produsse una scissione interna al concilio, che rendeva impraticabile la via della concordantia. La scelta tra il papa e il concilio era inevitabile. Col sostegno dalla minoranza, alla quale Cusano aveva aderito, Eugenio IV trasferì il concilio a Ferrara, dove il legato papale, cardinale Albergati, aprì la prima sessione l’8 gennaio 1438. Per invitare i greci al negoziato, furono inviate a Costantinopoli dal papa e dal concilio due distinte delegazioni e Cusano fu scelto tra i tre delegati ufficiali della minoranza. I greci accolsero la proposta papale e decisero di partecipare al concilio di Ferrara.
Il viaggio a Costantinopoli non si esaurì nella sola missione diplomatica. Al ritorno si imbarcò con i metropoliti partecipanti al concilio e con i dotti bizantini portatori della cultura greca in Italia, tra cui Marco Eugenico, Bessarione, Siropulo e Gemisto Pletone. Da tempo interessato al mondo greco, durante la navigazione ricevette, per sua diretta testimonianza, come «dono superiore del padre dei lumi», l’illuminazione che lo portò alla composizione del De docta ignorantia (1438-40), la sua prima opera filosofica di ampio respiro, descritta anche come «il tentativo di comprendere, in qualche modo, razionalmente l’esperienza mistica» (Flasch, 1998, p. 93).
Nell’opera, il metodo dell’intelligere incomprehensibiliter viene applicato alla comprensione della natura trinitaria dell’intero universo, in cui si compongono armonicamente Dio, il mondo e la loro reciproca connessione, che opera massimamente in Cristo e subordinatamente nell’uomo. Al De docta ignorantia fece seguito nel giro di pochi anni il De coniecturis (1440-45), in cui Cusano ripropone il suo sistema, visto non più nella sua essenza reale e incomprensibile, ma nella forma congetturale secondo cui sono umanamente concepibili le quattro unità in cui si articola neoplatonicamente l’universo: l’unità prima divina e le tre unità subordinate dell’intelletto, dell’anima e del mondo. Alla composizione del De coniecturis si associa uno studio del neoplatonismo e del pensiero di Meister Eckhart, come testimoniano le numerose note marginali in una copia dell’Opus tripartitum che risale al 1444. All’accusa di panteismo del teologo aristotelico Johannes Wenck, seguita alla pubblicazione del De docta ignorantia, Cusano rispose con un’Apologia doctae ignorantiae (1449). L’argomento portato a difesa è lineare: è vero che tutte le cose sono in Dio, ma in Dio esse sono Dio stesso, ed è vero che Dio è in tutte le cose, ma anche nelle cose Dio non si riduce a qualcosa di particolare; Dio e le cose restano quindi distinti.
Con il successo della missione in Oriente, Cusano assunse un ruolo di prim’ordine tra i politici europei. Nel 1438 Eugenio IV lo inviò in Germania per guadagnare alla causa del papato i principi tedeschi, che alla dieta di Francoforte avevano eletto re dei Romani Alberto II d’Asburgo, ma avevano proclamato la loro neutralità nel conflitto tra il papa e il concilio. Per superare la neutralità tedesca occorsero dieci anni di lunghe trattative, alle quali Cusano prese parte attiva accanto ai cosiddetti curiali tedeschi, quali Albergati, Parentucelli, Carvajal e Piccolomini, che videro in lui, unico vero tedesco, quell’Hercules omnium Eugenianorum, che lo rese inviso a molti suoi connazionali. La trattativa si protrasse nelle regolari diete imperiali fino al 17 febbraio 1448, quando il nuovo imperatore Federico III sancì il ‘concordato di Vienna’ tra la S. Sede e la nazione germanica. In diverse diete Cusano, che solo nel 1446 assunse i pieni poteri di legato apostolico, si confrontò come nunzio e oratore papale con eminenti legati conciliari, quali il cardinale Louis Aleman, il teologo Thomas de Courcelles e il canonista Niccolò de’ Tedeschi.
In quel decennio non cessò di occuparsi della cura delle anime e della salvaguardia dei suoi benefici ecclesiastici. Continuò a impegnarsi nell’attività legale e di negoziazione, senza interrompere la costante applicazione allo studio e alla scrittura. Ricevette incarichi amministrativi e di arbitrato dal papa, da vari nobili tedeschi e dall’arcivescovo e principe elettore di Treviri Jakob von Sierck. Partecipò a una missione per conto del re di Napoli e duca di Lorena Renato d’Angiò, pretendente al titolo di re d’Ungheria. Si avvalse dell’aiuto di numerosi assistenti e collaboratori, tra i quali Wigand von Homberg, Johann von Bastogne, Peter von Erkelenz, Walther von Gouda, Johannes Stam il Vecchio e il Giovane, Heinrich Pomert e perfino il vescovo scozzese Thomas Livingston. I buoni rapporti con von Sierck gli permisero di conservare i benefici ecclesiastici avocati dal concilio e protetti da Giorgio Cesarini. Di ritorno da Costantinopoli il papa gli trasferì la prepositura di Magdeburgo, di cui non riuscì però a prendere possesso. In seguito alla cessione della prepositura di Münstermaifeld al fratello dell’arcivescovo von Sierck, ottenne nel 1445 l’arcidiaconato del Brabante nella diocesi di Liegi, il titolo più elevato di cui si fregiò per alcuni anni. Si assicurò inoltre la prepositura di Oldenzaal nei Paesi Bassi e la cura della parrocchia di St. Wendel nella Saar.
Il successo del lavoro diplomatico che condusse alla rappacificazione tra il papato e l’impero lo portò a dare maggiore risalto al ruolo dell’autorità papale nella Chiesa, come si evince dal Dialogus concludens Amedistarum errorem, composto durante la dieta di Magonza nel 1441. Pur argomentando – contro i sostenitori del duca Amedeo di Savoia, eletto papa dal concilio nel 1439 col nome di Felice V – che lo stesso concilio, nel designare il papa come capo della Chiesa e capo del concilio, gli riconosceva il ruolo principale nell’ufficio di rappresentanza di tutta la Chiesa, rimase sempre coerente con la propria concezione dell’unità della Chiesa, in cui vedeva armoniosamente composta l’autorità di entrambe le istituzioni.
La produzione letteraria di questi anni comprende opuscoli che approfondiscono i temi già affrontati nelle opere maggiori: De deo abscondito (1440-45?), dialogo sulla dotta ignoranza; De quaerendo Deum (1445), in cui viene richiamata la tradizionale metafisica della luce nel presentare l’azione illuminante di Dio, che guida la nostra ascesa a Dio dal mondo; De filiatione dei (1445), sul tema neoplatonico della divinizzazione; De dato patris luminum (1445-46), che illustra una concezione del mondo come manifestazione di Dio; De genesi (1447), sulla creazione. Le fonti a cui Cusano fa riferimento in questi lavori sono ancora lo pseudo-Dionigi, Eckhart, Scoto Eriugena e Proclo, oltre ad Agostino e Grossatesta per la metafisica della luce. Risalgono a questo periodo anche gli scritti matematici De transmutationibus geometricis e De arithmeticis complementis, entrambi del 1445.
L’impegno a favore della causa papale contro i conciliari di Basilea lo portò alla porpora cardinalizia. Eugenio IV lo aveva nominato cardinale in pectore, ma solo dopo la sua morte l’amico di lunga data Tommaso Parentucelli, salito al soglio pontificio con il nome di Niccolò V, lo proclamò cardinale del titolo di S. Pietro in Vincoli l’11 gennaio 1450. Nell’anno giubilare, che celebrava anche la ritrovata unità della Chiesa e la conclusione dello scisma, Cusano si trattenne a Roma e compose i 4 libri dell’Idiota, il suo ampio terzo lavoro filosofico.
Di nuovo i temi già sviluppati della sapienza (libri I e II, De sapientia) e della conoscenza congetturale del mondo naturale (libro IV, De staticis experimentis) sono collegati dalla trattazione delle forme del conoscere umano (libro III, De mente).
In questo periodo entrò in contatto con Lorenzo Valla, che raccomandò per un posto di segretario al pontefice e, forse per il tramite di Paolo Toscanelli se non dello stesso Niccolò V, con Leon Battista Alberti. Inoltre, come rivelano le discussioni del De mente, prese parte alla disputa tra platonici e aristotelici, sia tomisti sia averroisti, apertasi in seguito alla partecipazione dei platonici bizantini al concilio di Firenze. Poi, ottenuto l’onore di celebrare la messa all’altare papale di S. Maria Maggiore e nominato vescovo nella sede vacante di Bressanone, lasciò Roma l’ultimo giorno dell’anno, incaricato dal papa, com’era suo desiderio, della legazione apostolica per la riforma della Chiesa nella sua Germania.
Intese la sua missione soprattutto come un compito pastorale: la conclusione dello scisma non risolveva i problemi della Chiesa senza una profonda riforma morale della vita ecclesiastica. Nell’esercizio della sua autorità e attraverso i suoi sermoni si adoperò per richiamare all’interiorità della fede e all’osservanza morale e disciplinare delle norme il clero secolare e regolare; non predicò solo l’indulgenza giubilare, ma convocò sinodi nelle sedi episcopali di Salisburgo, Bamberga, Magdeburgo, Magonza e Colonia, visitò conventi e monasteri, combatté la superstizione e risolse controversie locali. Concluse il lungo viaggio di riforma tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1452 nella sua sede vescovile di Bressanone. Risale a questo periodo l’inizio della costruzione dell’ospizio per poveri di S. Niccolò a Cusa, che dopo la morte del padre (1449) eresse a fondazione nel 1458 con la ricca dotazione di famiglia.
L’anno 1451 può essere considerato il culmine dei suoi successi e il punto di svolta della sua carriera. La sua azione per la riforma incontrò molte resistenze, che il suo atteggiamento più rigido che conciliante non riuscì sempre a superare. A Salisburgo emanò un dettagliato decreto con una serie di provvedimenti che non fu capace di rendere operanti e che ripropose in ordine sparso nelle altre sedi. Molti furono i ricorsi all’autorità papale ed energica fu l’opposizione degli ordini mendicanti. Emanò decreti per colpire la superstizione e per vietare l’attività del prestito praticato dagli ebrei. In questa materia ripropose il decreto di Basilea del 1434 e si attenne più alla tradizione conciliare, risalente alle norme del quarto concilio Lateranense (1215), che alle disposizioni più recenti e tolleranti dei papi. In generale, nella sua azione di riforma si avverte spesso la tensione tra la visione della Chiesa come comunità dei credenti in Cristo, operante nella pratica sinodale e unita nella grazia, da una parte, e il difficile tentativo di riconciliare la Chiesa e la nazione tedesca col papato, dall’altra. Anche il tentativo infruttuoso di un negoziato per la pace tra Francia e Inghilterra, promosso dal duca di Borgogna Filippo il Buono per porre fine alla guerra dei cent’anni, mostra quanto nel perseguimento del suo ideale di unità incontrasse difficoltà politiche sia all’interno della Chiesa, sia nel nuovo sistema nascente delle potenze nazionali europee.
Le stesse difficoltà gli si presentarono nella conduzione della diocesi di Bressanone, dove cercò di introdurre provvedimenti di riforma e di riaffermare i diritti del principe vescovo e la libertà della Chiesa contro le pretese del duca d’Austria Sigismondo, conte del Tirolo, che aveva opposto alla nomina papale l’elezione del suo cappellano privato Leonard Wismayer, votato dal capitolo. La disputa sull’elezione si compose il 15 marzo 1451 a Salisburgo con un reciproco accordo, ma il contrasto si riaccese quando il nuovo vescovo pose mano all’amministrazione della diocesi.
Per appianare il debito della curia ottenne dal papa la disponibilità piena delle entrate della mensa vescovile per il riscatto delle locazioni di terreni e castelli ed ebbe riconosciuta dall’imperatore la proprietà delle risorse minerarie. Ciò lo pose in conflitto col duca, ma soprattutto con la nobiltà locale. Nel tentativo di ripristinare i propri diritti e di riprendere il controllo dei territori e delle fortezze sotto la sua giurisdizione, scontava le difficoltà del potere temporale, che in una lettera all’amico vescovo di Eichstätt si chiedeva egli stesso se non costituisse un problema. D’altra parte riteneva che la purezza della Chiesa non si potesse garantire senza libertà e la libertà della Chiesa gli sembrava impraticabile senza la salvaguardia della sua indipendenza materiale, minacciata concretamente dai pressanti tentativi di secolarizzazione del duca d’Austria, che era riuscito a porre sotto controllo le diocesi circonvicine di Coira e di Trento. Analoghe resistenze incontrò la sua azione per la riforma della vita ecclesiastica. Prescrisse nuove norme di comportamento per il clero secolare e regolare, e promosse sinodi diocesani e assemblee locali annuali, animato da vera cura pastorale nel rinnovamento delle pratiche religiose, ma incontrò fiere resistenze soprattutto nei monasteri, dove i religiosi appartenenti alla nobiltà locale mal tolleravano l’intrusione di chi per nascita veniva giudicato di rango inferiore.
Una ventilata proposta del cardinale di cedere il vescovato a un principe della dinastia rivale dei Wittelsbach di Baviera inasprì il contrasto con Sigismondo. Mentre si trovava nel monastero di Wilten, alla periferia di Innsbruck, dove si era recato nel giugno 1457 su invito del duca, Cusano subì una grave intimidazione da parte di quello e si sentì minacciato di morte. Si ritirò quindi nella fortezza di Andraz (Buchenstein) al confine della diocesi, che gli assicurava sicure vie di fuga verso Belluno e Venezia. Nell’aprile 1458 i contrasti portarono addirittura a uno scontro armato tra i mercenari assoldati dalla badessa di Sonnenburg Verena von Stuben e le guardie del vescovo intervenute a protezione dei valligiani di Marebbe. Nel settembre dello stesso anno l’amico Enea Silvio Piccolomini – che già lo aveva ripetutamente supplicato nel 1456 e nel 1457 di abbandonare le nevi e le oscure valli del Tirolo – da poco eletto papa come Pio II, lo richiamò a Roma per sovrintendere quale legatus urbis in temporalibus al governo degli Stati della Chiesa durante il suo trasferimento al congresso di Mantova, convocato per assicurare la partecipazione dei principi europei all’auspicata crociata contro i turchi.
Il conflitto col duca si situò in un contesto politico più ampio. Nel 1458 Sigismondo aveva assunto al proprio servizio l’anticurialista Gregor Heimburg, già tenace avversario di Cusano alle diete imperiali e ora ispiratore di un tentativo di convocazione di un nuovo concilio. A Mantova Heimburg si pronunciò, come portavoce del duca, contro la politica del papa, rivendicando i diritti della nazione germanica. Sigismondo si mostrò tuttavia più aperto alla trattativa e Cusano rientrò brevemente in Tirolo all’inizio del 1460. Ma lo scontro si acuì e di lì a poco, assediato a Brunico, dovette capitolare alle richieste del duca. Ritornato in libertà e rifugiato in Ampezzo, sconfessò immediatamente l’accordo e rimise i feudi all’imperatore, che si unì al papa nel pretendere da Sigismondo la riparazione del torto. Un appello del duca e di Heimburg al futuro papa e al futuro concilio provocò la loro scomunica e il conflitto si compose per intervento imperiale solo nel 1464.
Negli anni agitati del suo episcopato a Bressanone riuscì a non interrompere le sue attività di studio, e anzi riprese, nel riordinare l’archivio vescovile, i suoi lavori storici sui documenti legali e le fonti normative per rivendicare il ripristino dei diritti territoriali del principe vescovo. Nel 1453, sotto l’impressione suscitata dalla caduta di Costantinopoli, compose il De pace fidei, inviato all’amico e antico contraddittore conciliare Giovanni Segovia, convinto come lui che l’unico modo per salvare la cristianità dall’avanzata dei mussulmani fosse quello dell’incontro tra religioni diverse: la formula dell’una religio in rituum varietate riproponeva il tema dell’unità nella molteplicità delle maggiori opere metafisiche. Nelle altre opere di questo periodo, il De visione Dei (1453) e il De beryllo (1458), riprendeva i temi dell’esperienza mistica e della coincidenza degli opposti. Entrambe le opere furono dedicate ai monaci benedettini di Tegernsee, in cui trovò non solo consonanza intellettuale, ma anche solidarietà e aiuto concreto nel suo impegno per la riforma degli ordini. Gli altri scritti, di natura matematica, insistono sul rapporto tra matematica e teologia: così, assieme al De mathematicis complementis (1453-54), al Dialogus de circuli quadratura (1457) e al De caesarea circuli quadratura indirizzato all’imperatore Federico III (1457), compose il Complementum theologicum (1453) dedicato specificamente a questo tema.
Il ritorno a Roma nelle funzioni di vicario lo vide non solo occupato nell’appianare contese politiche e nel curare le finanze dello Stato, ma immediatamente impegnato in una riforma della curia, che suscitò le prevedibili resistenze dei cardinali alla sua proposta di Reformatio generalis (1459). Anche le vicende del congresso di Mantova riproposero lo scarto tra l’ideale visione politica ispirata all’unità e alla ‘concordia’ dei governanti e delle nazioni e gli interessi concreti dei loro particolari conflitti di potenza.
Dopo il drammatico incidente di Brunico, riprese dimora nel palazzo papale, dove continuò a coadiuvare il papa nel governo corrente della Chiesa. Date le sue relative ristrettezze economiche il papa gli assegnò la prepositura di S. Maurizio a Hildesheim (1463), di cui però non riuscì a prendere possesso, mentre ottenne le prebende dell’abbazia dei Ss. Severo e Martino nei pressi di Orvieto (1463), che gli erano state cedute in amicizia dal ricco cardinale veneziano Pietro Barbo.
A Orvieto, in luogo più salubre, aveva cominciato a trascorrere l’estate, a partire dalla grave malattia che lo aveva colpito nel 1461, e nel 1463 il papa, dopo averlo affiancato con successo al governatore per la conciliazione di dispute politiche intestine, gli affidò l’incarico di ispettore e riformatore della diocesi. La favorevole accoglienza per la riuscita opera di pacificazione fu di breve durata e ancora una volta la resistenza delle famiglie orvietane non tardò a farsi avvertire.
A Roma intrattenne proficui rapporti con umanisti e uomini di cultura come Giovanni Andrea Bussi e Gaspare Biondo, che assunse come suoi segretari, e attraverso Bussi con Francesco Filelfo e Pietro Balbi. Anche in questo periodo fu cospicua e importante la sua produzione letteraria. Oltre a scritti matematici come il De mathematica perfectione, di cui cominciò la stesura nel 1458, e l’Aurea propositio in mathematicis (1459), compose la Cribratio Alchorani (1460-61), in cui l’atteggiamento concordista nei confronti dell’Islam è temperato da un esame critico del libro rivelato di quella che pur considerava un’eresia nata da un’altra eresia, quella nestoriana. Il metodo dell’opera consiste nel passare al vaglio il Corano per mostrare quanto c’è di erroneo, dovuto al maligno, e quanto di buono, perché in accordo con l’insegnamento evangelico. Compose i due brevi opuscoli De aequalitate (1459), dedicato al Verbo concepito come aequalitas del Padre, e De principio (1459), in cui sviluppa il tema procliano dell’inconoscibilità dell’unum. Nel dialogo De possest, verosimilmente scritto nel castello di Andraz nei primi mesi del 1460, il principio della coincidenza degli opposti viene spiegato ricorrendo al linguaggio aristotelico della potenza e dell’atto, e sul medesimo argomento insiste nel De ludo globi (1463). Alle stesse conclusioni giunge anche nel De non aliud (1461), usando tuttavia un linguaggio neoplatonico mutuato dalla Teologia platonica di Proclo. Il De venatione sapientiae (1462), il Compendium (1464) e il De apice theoriae (1464) sono il frutto delle sue conclusive fatiche: il primo può essere descritto come il bilancio di tutta la sua attività di scrittore, e gli altri due, dove il termine posse ipsum viene usato come l’espressione meno inadeguata per designare Dio e la sua relazione col mondo, sono stati tradizionalmente considerati come il suo definitivo testamento filosofico.
Chiamato dal papa all’ultima fatica politica, quella di condurre ad Ancona per l’imbarco i ‘cavalieri della croce’, Niccolò contrasse per via l’ultima gravissima malattia e morì a Todi l’11 agosto 1464.
Le sue spoglie furono sepolte nella chiesa titolare di S. Pietro in Vincoli, ma per sua espressa volontà il suo cuore si conserva nella cappella, attigua alla biblioteca che raccoglie i suoi libri, dell’ospizio di S. Niccolò a Cusa.
Le opere di Niccolò da Cusa sono raccolte in Nicolai de Cusa Opera omnia, Leipzig-Hamburg 1932-2006.
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