DEGLI AGOSTINI, Niccolò
Del D. non possiamo indicare con sicurezza né luogo né data di nascita. "Nicolaus de Augustinis venetus" si sottoscrisse il D. in un sonetto encomiastico per Cristoforo Fiorentino stampato con le rime di questo a Venezia nel 1520; e "fedelissimo della vostra Sublimità... vostro bon cittadino" si dichiarò in una supplica rivolta al Senato veneziano in quello stesso anno. Egli fu dunque sicuramente suddito della Repubblica, nato forse in un territorio del dominio veneziano in Terraferma, come sembrano suggerire le ottave proemiali al quarto libro dell'Innamoramento d'Orlando; sia pur valutando l'indicazione biografica in un più ampio topos di modestia: "Salir l'eccelso Olimpo non mi vanto / essendo nato tra spelonche e dumi / in un oscuro borgo aspro e selvaggio / dove non entra pur d'Appollo un raggio".
Sola fonte sicura per la ricostruzione della biografia del D., sono, allo stato attuale delle ricerche, due documenti conservati nell'Archivio di Stato di Venezia. In data 29 marzo 1505 egli chiese al Senato veneto il diritto di stampa per dieci anni della sua prima opera impegnativa. La continuazione dell'Orlando innamorato fu pubblicata infatti a Venezia presso Giorgio de' Rusconi nel 1506 o forse un anno prima, se prestiamo fede ad una nota di Marin Sanuto, appassionato lettore e collezionista di romanzi cavallereschi. È il primo di tre libri che il D. aggiunse all'opera boiardesca e che, a partire dal 1530, vennero abitualmente stampati assieme al testo dell'Innamorato. Stabilire con sicurezza una bibliografia di tali stampe non è semplice, poiché si tratta di opere nate in margine alla letteratura d'autore, al limite della produzione canterina e popolaresca; edite anonime e senza note tipografiche, con frontespizio a parte rispetto al testo di maggior prestigio ma legate a quello in un solo volume; nello stesso anno stampate più volte in base alla richiesta del pubblico. È un genere di largo consumo nel '500 e ricercato, in tempi più vicini a noi, come oggetto di collezione. Per tutte queste ragioni la storia della produzione del D. va ricostruita senza trascurare le raccolte private ed i bollettini delle vendite all'asta, valutando il rischio di una confusione con le due altre contemporanee "continuazioni" al Boiardo, quella di Raffaele da Verona (Quinto libro e fine..., Venezia, G. Rusconi, 1514) e quella del Conte di Camerino (Ultimo libro... intitulato Rugino, Milano 1518). Indicheremo dunque l'anno di edizione del quarto libro del D. nel 1505-1506; del quinto nel 1514; del sesto nel 1524. Niccolò Zoppino pubblicò separatamente i tre libri rispettivamente nel 1525, 1526, 1527; sempre a Venezia, presso Fr. Bindoni, essi furono ristampati in blocco insieme al testo boiardesco, con frontespizio separato e colophon indicante la data del 1530.
Appare evidente, considerando queste date, la possibilità che L. Ariosto abbia conosciuto, nel primo periodo di elaborazione del Furioso, il quarto e forse il quinto libro del Degli Agostini. E questo è una dato significativo per la cultura ariostesca: come suggerisce Dionisotti quando sottolinea l'importanza di un'indagine circa i libri "moderni" letti dall'Ariosto. L'Innamoramento del D. dunque come anello di congiunzione tra i due Orlandi, l'Innamorato e il Furioso, e tappa intermedia nella formazione del genere cavalleresco nel '500. In tal senso, non per valore letterario o originalità di soluzioni narrative, il D. è stato studiato dalla critica più recente.
Alcuni elementi esterni dell'Innamoramento d'Orlando sono interessanti per la biografia intellettuale del D. e per la definizione della sua figura professionale. Per quanto scrittore ai margini del mondo letterario più prestigioso, il D. progetta un'opera non priva d'impegno culturale pur nell'esplicito fine edonistico. Possiamo seguire, dal quarto al sesto libro, l'evoluzione di questo impegno originario ed il diverso atteggiarsi dell'autore nei rapporti di un pubblico che cambia rapidamente aspetto e dimensione nei primi venti anni del secolo. Il quarto libro, dedicato a Francesco Gonzaga, marchese di Mantova e marito d'Isabella d'Este, fa propri gli stilemi e i vezzi della letteratura cortigiana del primo '500, dove il piacere puro dell'invenzione e della "bella istoria" boiardesca si mescola ad intenti moralistici e didascalici, di citazioni e presenze culturali non rielaborate: così nel canto settimo l'incontro d'amore fra Bradamante e Ruggero, recuperando la memoria letteraria dell'autore ("sí, come Dante mio cantando dice / amor ch'a nullo amato amar perdona") ed il parlato popolare con effetti d'inconsapevole grottesco ("il pesce è giunto all'esca" dice fra sé Bradamante osservando gli effetti della sua bellezza sull'eroe), si conclude in una sfilata allegorica di Amore, Castità, Morte e Tempo. Con questi mezzi il D. tenta di conquistare un ruolo culturale preciso nella corte mantovana: nell'esordio del canto settimo lo vediamo infatti impegnato in una polemica letteraria con Panfilo Sasso, già poeta affermato nello stesso ambito cortigiano. Il libro si chiude, ricalcando la celebre ottava finale dell'Innamorato, con la visione di una minaccia incombente sul poeta: di che natura - sociale, militare o letteraria - è impossibile precisare.
Diverso è il tono e l'ambiente del quinto libro: dedicato a Bartolomeo d'Alviano, capitano di ventura e condottiero dell'esercito veneziano, canta le battaglie e non più gli amori dei paladini. All'immagine di guerra che apre il quinto canto ("Le lamentevol voci, il grido, il pianto / d'Italia afflitta, sconsolata e mesta...") fa contrasto l'esordio bucolico dei canti seguenti, ambientati fra ninfe e pastori, "in un folto boschetto / presso una piaggia ch'è vicina al mare" dove il poeta si è "ridutto" in seguito alle preghiere dello "spirito valoroso" - l'Alviano appunto - perché possa seguitare a scrivere la sua storia. L'Alviano, signore di Pordenone dal 1509, aveva lì radunato una piccola accademia culturale, alla quale è possibile che il D. partecipasse. La data di composizione di questo libro va posta dunque prima della sconfitta veneziana di Agnadello dove l'Alviano fu fatto prigioniero: oppure tra la fine del 1513, quando il capitano tornò dalla prigionia francese, e la battaglia di Marignano (settembre 1515) che precedette di un mese la sua morte.
La stampa del 1521 per Niccolò Zoppino del quinto libro contiene, sotto l'impresa dello stampatore, l'annuncio del seguito della storia: "Lettori, se avete piacere di vedere l'ultimo e fine de tutti li libri de Orlando composto per il medesimo autore, novamente l'habiamo stampato". Il sesto libro dell'Innamoramento d'Orlando infatti non obbedisce più al desiderio ed al piacere di qualche illustre personaggio, ma soltanto alla volontà dello stampatore veneziano: è veramente conclusivo della "bella istoria" boiardesca perchè narra la morte in battaglia o in torneo di tutti i personaggi maschili ad eccezione di Orlando e Rinaldo; Bradamante e Marfisa, vedove, si chiudono in convento, Angelica muore di parto. Domina l'elemento fantastico con incantagioni, travestimenti, apparizioni di fantasmi e demoni. L'autore fa completamente proprie le attese del pubblico e gli interessi del tipografo, mentre l'amore per la favola boiardesca passa in secondo piano.
Il 15 maggio 1520 il D. fece richiesta al Senato veneziano di un privilegio di stampa: "... havendo cum longe vigilie et grande fatica composte in verso vulgar le fabule et historie di Ovidio maggior, et il sexto et ultimo libro de lo Innamoramento di Orlando, et di Tristano e Isotha, et de Lancillotto e Zenevra, et de tuti li Reali de Franza fin a la natività de Carlo Mano, et facto traslar il resto de tute le Vite di Plutarco dal latino in vulgar, che non sonno mai più state vedute in stampa" (Fulin, Documenti..., p. 194).
Sappiamo dunque che a quella data egli ha composto tutte le opere che di lui conosciamo, ad eccezione della cronaca in rima Li successi bellici seguiti nella Italia dal fatto d'arme di Gieredada del 1509 fin al presente 1521, composto per Nicolò di Augustini e stampata per Nicolò Zopino e Vincenzo da Venetia compagni, 1521 die 1º Augu. In gran fretta, spinto dall'attualità dell'avvenimento politico-militare, il D. colse l'occasione per enumerare i guerrieri più prestigiosi dei due eserciti ed esaltare i Veneziani, in special modo l'Alviano ed il Baldissera. Le storie dei reali di Francia cui si riferisce il privilegio sono Le horrende bataglie de' Romani in ottava rima contro Infideli ... Opera nova non mai più stampata, Venezia, per N. Zoppino e Vincentio (di Tollo) compagno, 1520 (colophon: traslata in ottava rima per Niccol di Augustini). L'unico esemplare di questa operetta è conservato nella Herzog-August Bibliothek di Wolfenbüttel. Il D., amico di Cristoforo Fiorentino, l'"altissimo poeta", ed autore del sonetto encomiastico che abbiamo menzionato, non si fece sfuggire l'occasione di trasportare da Firenze a Venezia un'opera di tanto successo.
Nessuna traduzione di Plutarco va invece sotto il nome del D.: lo Zoppino pubblicò (1525) un volgarizzamento delle Vite a opera di Giulio Bordone, Fr. Bindoni ne stampò un altro, anonimo, nel 1529. È evidente che il D. fu alla ricerca, in quel periodo della sua produzione, di una sempre maggiore popolarità; lo abbiamo già notato a proposito dell'ultimo libro dell'Innamoramento d'Orlando ed è ancora più chiaro nel Tristano e nel Lancilotto. La scelta della materia brettone, in un'epoca tanto lontana dagli ideali cortesi e dal gusto lirico erotico propri dell'epos antico fu per il D. scelta di pura evasione, senza alcun rapporto "filologico" con la Tavola rotonda né tantomeno sentimentale. Nel grande repertorio del fantastico medievale, reso popolare dai cantari e dai numerosi volgarizzamenti, egli attinse liberamente, contaminando e mescolando diversi episodi, personaggi, tradizioni. Una scrittura uniforme, monotona, che ingloba con disinvoltura i procedimenti stilistici dei cantari, fonde materiali diversi come le "fabule" ovidiane ed il romanzo di Tristano. Il primo libro dello inamoramento di messer Tristano e di madonna Isotta uscì anonimo a Venezia per Simon de Luere nel 1515, e fu ristampato dal Bindoni nel 1521; ma nel colophon de Il secondo e terzo libro de Tristano, Venezia, Bindoni, 1520 apparve, abbreviato, il nome del Degli Agostini.
Tema del primo libro è l'infanzia e la giovinezza avventurosa di Tristano; il secondo tratta l'amore di Tristano e Isotta e la loro morte. Il terzo libro è dedicato alla vendetta che gli amici di Tristano prendono su re Marco. Il romanzo rispetta le linee generali della leggenda brettone, anche se nel terzo libro il D. inserisce qualche personaggio del Boiardo nell'azione ed accentua il tono comico burlesco. Lo stile ed il linguaggio del D. nel romanzo non è mai quello di un cantimpanca; ma spesso egli sembra divertirsi ad accentuare gli elementi propri dei poeti popolari, quasi ammiccando agli usi canterini.
Lo inamoramento di messer Lancilotto e di madonna Genevra, nel quale si trattano le horribili prodezze e le strane venture de tutti li cavalieri erranti nella Tavola rotonda, Venezia, Zoppino, 1521, contiene due libri del D. per complessivi quindici canti. Il libro terzo e ultimo del inamoramento di Lancillotto de Zenevra... agiuntovi el fine de tuti li libri de Lancilotto del strenuo milite Marco Guazzo, uscì a Venezia presso lo stesso stampatore nel 1526, probabile anno della morte del D.: dopo tale data non abbiamo più notizia di lui.
È un romanzo di gran successo, ristampato nel 1839 nella collana "Parnaso italiano" dell'editore veneziano G. Antonelli. La materia arturiana è trattata con la massima libertà: il romanzo è centrato sugli amori di Lancillotto per la "polzella Gaggia", per Bellisandra, per Ersilla. Ginevra ha una parte secondaria, pronuncia qualche lamento d'amore e si uccide col veleno; Galeotto è un guerriero che combatte Artù, ed il suo tradizionale ruolo d'intermediario fra gli innamorati è ora svolto da una cameriera. Di contro è interessante il trattamento di un personaggio dell'epica canterina come la Gaggia, fanciulla-serpe amante di Lancillotto: essa per gelosia fa morire di fame Bellisandra, moglie leggittima dell'eroe, la imbalsama con gran cura e pone in mano al cadavere così sistemato un cartiglio con massime di modestia. Il personaggio di Lancillotto sfiora più volte il comico. Opera d'impegno sono Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue Allegorie in prosa, Venezia, Zoppino, 1522. Volgarizzamenti delle Metamorfosi in prosa ed in terza rima si erano già avuti per tutto il '400; le ottave del D. trasferiscono in Ovidio l'ideale convenzionale di bellezza dei romanzi cavallereschi, una comicità di stampo borghese, la tecnica narrativa dei cantari. Ma allo stesso tempo aggiungono agli episodi più significativi e conosciuti una esposizione in prosa ed un commento allegorico-morale. Ancora una volta è la richiesta del pubblico a giustificare la forma divulgativa di una storia di alta tradizione letteraria di cui vengono sottolineati gli aspetti didascalici: operazione che dal punto di vista dell'avanguardia culturale appare, in quegli anni, del tutto anacronistica. Trent'anni dopo, in un'epoca di grande baldanza per la lingua e la cultura volgare, L. Dolce stampava un volgarizzamento dei Metamorphoseos Libri dal cui frontespizio il nome di Ovidio è del tutto scomparso; sono Le trasformationi di L. Dolce..., Venezia, G. Giolito e fratelli, 1553, dedicate all'imperatore Carlo V.
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