FIESCHI, Niccolò
Appartenente al ramo ligure della potente famiglia dei conti di Lavagna, nacque, forse a Genova, verso il 1230 da Tedisio, fratello del papa Innocenzo IV, e da Simona, probabilmente appartenente alla casata dei Camilla.
È ricordato per la prima volta nel 1247 quando, ancora giovane, fu rappresentato da Giacomo, suo cugino, e da Ugo, lo zio o un altro cugino, nella cessione di una torre in Genova alla famiglia Ceba. Nello stesso anno, secondo gli Annali genovesi, attaccò e distrusse il castello di Pessina, nell'orbita del vescovo di Brugnato, che la famiglia Luxardo aveva preso, uccidendo Gerardino di Carpena, membro di una consorteria tradizionalmente alleata ai Fieschi. Morto Tedisio prima del 1248, toccò a Simona curare gli interessi del F. ancora minorenne. Anche dopo che questi, raggiunta la maggiore età, si fu scelto un castaldus per amministrare l'enorme patrimonio immobiliare ereditato in città e nel distretto orientale, la madre continuò ad affiancare il figlio come sua curatrix.
Il ruolo pubblico del F. iniziò dopo che lo scontro tra Federico II ed il papa Innocenzo IV si era risolto a favore di quest'ultimo. Nel 1251 fu chiamato a far parte della magistratura degli Otto nobili, che affiancava nell'attività di governo il podestà forestiero; in tale veste rappresentò il Comune di Genova all'atto con cui nel settembre gli uomini di Carpena, piccola località controllata da una consorteria da tempo legata ai Fieschi ma passata nell'orbita genovese, giurarono fedeltà a Genova. Forse già allora egli vantava diritti su quel castello. Sempre in quell'anno diede vita, insieme con lo zio Opizzo Fieschi e con il cugino Tedisio Fieschi, ad una societas avente come scopo quello di gestire le attività finanziarie della famiglia. Proprio lui, tra gli altri giovani nipoti, dovette apprezzare Innocenzo IV, se il papa gli affidò l'ambizioso progetto di organizzare una vasta signoria familiare nella Lunigiana, dove la loro casata era da tempo inserita, sia perché legata ab antiquo all'area appenninica orientale, sia perché attenta a sfruttare le gravi difficoltà in cui si dibattevano i potenti feudatari che controllavano la zona: i Malaspina, allora alle prese con problemi finanziari; il vescovo di Brugnato, da cui, agli inizi del Duecento, i Fieschi avevano ottenuto lo ius vicecomitatus; ilvescovo di Luni, in quel momento minacciato da varie forze locali. Grazie al prestigio raggiunto a Genova dai Fieschi, i quali erano stati l'anima della lotta contro Federico II, il progetto papale poté essere attuato senza incontrare opposizione da parte di quel Comune: le autorità municipali, infatti, ad onta delle apprensioni che la nascita di un nuovo e potente organismo autonomo nella Riviera di Levante avrebbe dovuto suscitare in loro, non fecero nulla per ostacolarlo.
Il primo tentativo di insediamento di una signoria dei Fieschi in Lunigiana, voluto probabilmente dal papa, si ebbe con la concessione al F. del borgo di Pontremoli, donatogli da Guglielmo d'Olanda (16 apr. 1251); si trattò, tuttavia, di un atto privo di efficacia pratica, perché non risulta che il F. abbia preso possesso del feudo. D'altro canto l'area lunigianese, cui guardava Innocenzo come più rispondente ai suoi obiettivi, era un'altra: quella sulla quale dominavano alcuni organismi feudali allora in piena crisi, importante dal punto di vista strategico perché, attraversata dalla "via francigena" e dalla "via regia", rappresentava il cardine delle comunicazioni stradali tra l'Italia padana occidentale e l'Italia centrale.
Il primo importante acquisto di feudi nella zona, ad ogni modo, avvenne verso il 1252, quando gli Adalberti cedettero al F. i castelli di Tivegna, Castiglione, Bracelli, il borgo di Padivarma nella diocesi lunense, e quanto Matilde di Carpena richiedeva in feudo dal vescovo di Luni in Carpena, Vezzano, Vesigna e Follo. Il vescovo di Luni, Guglielmo, si oppose energicamente, obiettando che gli Adalberti avevano avuto in feudo da lui solo un terzo delle località che essi avevano ceduto al F. e che questi non poteva pertanto pretendere il controllo di tutto il loro territorio. Innocenzo IV, tuttavia, esercitò forti pressioni a favore del nipote: il 25 genn. 1253, ad esempio, chiese al vescovo di riconoscere la vendita; l'anno seguente (28 marzo) rinnovò l'intimazione, esortando Guglielmo a derogare dall'accordo stipulato nel 1203 con quasi tutti i domini di Vezzano, accordo in base al quale il vescovo non poteva cedere ad altri ciò che era stato a lui concesso da tale consortile. Alla fine Guglielmo fu costretto a cedere: il 29 luglio 1254 incaricò l'arciprete di Marnasco di concedere in feudo al F. le località contese e il 23 ottobre, a Capua, il suo procuratore procedette all'investitura, alla presenza del potente fratello del F., Ottobono, diacono cardinale del titolo di S. Adriano e figura di spicco della Curia romana.
La presenza del card. Ottobono alla cerimonia capuana lasciava chiaramente intendere che l'influente prelato pensava di assumere nei confronti del progetto vagheggiato da Innocenzo IV e portato avanti, con l'aiuto di quest'ultimo, dal F., la medesima funzione di promozione e di sostegno sino ad allora svolta dal pontefice. La conclusione in senso favorevole ai Fieschi della vertenza consentiva, d'altro canto, di cogliere meglio gli obiettivi che gli stessi Fieschi si proponevano. Non si intendeva ottenere per la famiglia un semplice feudo montano, sia pure in delicata posizione strategica: si voleva fondare una vasta signoria che fosse dotata, attraverso La Spezia, di uno sbocco al mare e che potesse, in prospettiva, giungere a costituire un'alternativa commerciale ad altri porti tirrenici. Il progetto costituiva pertanto una potenziale minaccia per Genova, il cui governo ancora una volta non ritenne di dover interferire - o non fu in grado di farlo - perché controllato in quegli anni dai guelfi, di cui i Fieschi erano i maggiori esponenti.
Per raggiungere gli obiettivi che lui e la sua famiglia si erano proposti, il F. doveva da un lato affrancarsi dai vincoli feudali che lo legavano al vescovo di Luni e dall'altro arrivare a conquistarsi in Genova una posizione tale da controllare le scelte politiche di quel Comune e prevenire eventuali iniziative in danno dei propri interessi. Fu forse per queste ragioni che appoggiò - stando a testimonianze raccolte solo quando erano ormai passati vent'anni da quegli avvenimenti - la sommossa che agli inizi del 1257 portò al rovesciamento del regime oligarchico di indirizzo guelfo e all'instaurazione di un governo "popolare", tendenzialmente filoghibellino ed antiaristocrafico, con la nomina a capitano del Popolo, per 10 anni ed ampi poteri, di G. Boccanegra. Sempre nel corso del 1257 si occupò delle complesse trattative che portarono alla liberazione di Tommaso II di Savoia, signore del Piemonte, il quale aveva sposato in seconde nozze una sorella del F., Beatrice.
La scelta politica in favore della fazione che sosteneva il Boccanegra se segnò una divisione all'interno della famiglia, i cui diritti furono colpiti dal nuovo regime, permise al F. di condividere le simpatie ghibelline del nuovo capitano del Popolo e di schierarsi, perciò, coi Malaspina, fautori di Manfredi di Svevia; essi obbligarono il vescovo di Luni, Enrico di Fucecchio, all'esilio, liberando da un pericoloso avversario il F., che fu ad ogni modo scomunicato. Nel marzo 1259 il F. comperò dai Malaspina e dai Vezzano il pedaggio di Madrignano, assicurandosi così il controllo del transito verso Calice e l'alta Val di Magra. Nell'ottobre del 1259 il card. Ottobono acquistò dai signori di Carpena i diritti sul castello omonimo, che trasmise poi al F.: Carpena divenne in tal modo il centro amministrativo della signoria e l'abituale residenza del F. in questi anni. In seguito il F. mutò la sua linea politica assumendo una posizione di cauta neutralità nella lotta tra guelfi e ghibellini: ciò gli valse, da un lato, la revoca della scomunica e gli consentì, dall'altro, di potersi dedicare alla cura dei suoi vasti interessi economici in Genova.
Risulta infatti che il 24 dic. 1261 il legato pontificio in Tuscia, Guala, incaricò il canonico di Parma Percivalle Fieschi, un fratello del F., di liberare quest'ultimo dalla scomunica in cambio del giuramento di fedeltà e dell'impegno a non prestare aiuto a Manfredi di Svevia.
L'enorme disponibilità di capitali, di cui egli risulta godere ed alla quale dovette contribuire il fratello card. Ottobono, permise al F. di operare un brusco cambiamento nella politica da lui seguita nell'ingrandire la sua signoria. Abbandonata la finzione del "feudo oblato", egli passò all'acquisto diretto, approfittando delle gravi difficoltà finanziarie in cui le piccole consorterie rivierasche si dibattevano.
Il 14 sett. 1263 comperò per 250 libre di genovini da Grimaldino Bianco dei signori di Vezzano i diritti di capitaneus in Vezzano, Polverara, Vesigna, Beverino e Carpena; nel marzo del 1265 ottenne dal vescovo di Luni, cui aveva prestato 100 libre, un quinto di Vezzano; il 24 aprile dello stesso anno ricevette dai figli del defunto marchese Corrado Malaspina, a titolo ipotecario e contro la cospicua somma di 1968 libre, parecchie località in Lunigiana (il 4 febbr. 1266 M. Malaspina, anche a nome dei fratelli, dichiarava di aver ricevuto una parte della somma dovutagli, ribadendo la possibilità di riottenere quei luoghi, qualora la famiglia fosse riuscita in tre anni a restituire la somma con gli interessi). Il 15 marzo 1266 il F. comperò per 700 libre da Albertinuccio dei signori di Vezzano tutti i suoi possessi, da Pietra Colice a Vezzano sino al mare, possessi che erano stati ceduti l'anno prima al cardinale Ottobono (Albertinuccio, però, prestava al F. 200 libre, per cinque mesi, a garanzia delle quali riceveva in pegno le località appena vendute). Al di là dei pretesti formali, il F. era riuscito a realizzare in tal modo il suo disegno: aveva dato origine ad una "signoria prerinascimentale" (Petti Balbi), un cuneo di enorme importanza strategica comprendente un complesso territoriale compatto dai transiti appenninici fino al mare. Di esso facevano parte circa ottanta località, compresa La Spezia.Dal punto di vista giuridico la situazione di questo complesso territoriale era intricata: alcune Comunità, come quelle degli uomini di Vesigna e di La Spezia, erano legate da vincoli di dipendenza a Genova, che vi aveva esercitato anche poteri giudiziari; piccoli consortili (benché membri di essi avessero ceduto i loro diritti al F.) si erano da tempo infeudati al Comune genovese (così i signori di Vezzano, quelli di Isola e di Beverino). Il F. tentò di dare omogeneità al suo "Stato", attribuendosi la carica di potestas ed organizzandovi una Curia; facendo costruire una torre a Carpena, sua residenza abituale e centro dell'amministrazione giuffiziaria; fortificando il poggio di Vezzano; provvedendo a nominare vassalli.
Negli anni seguenti egli si preoccupò soprattutto di mantenere il controllo del suo giovane "Stato", dove continuò a risiedere, in alternativa al suo palazzo genovese in Carignano, rimanendo fedele, sul piano politico, alla scelta di neutralità.
Il F. non si fece coinvolgere, a differenza di altri esponenti della sua casata, nelle vicende connesse con il colpo di Stato che segnò, nell'ottobre del 1270, la nascita della diarchia Doria-Spinola in Genova: poté così continuare a risiedere in città e amministrare i suoi territori.
Nel settembre del 1272 ospitò nel suo palazzo in Carignano Edmondo, figlio di Enrico III d'Inghilterra. Tuttavia, non poté alla lunga mantenere la sua posizione di neutralità, anche perché la sua famiglia, schieratasi al fianco di Carlo d'Angiò, rischiava di essere spazzata via dal dinamismo del governo ghibellino genovese.
Nei primi mesi del 1273, infatti, il F. permise che attraverso le sue terre passasse con un corpo d'esercito il vicario che Carlo d'Angiò aveva lasciato in Toscana e che era entrato in campagna con l'obiettivo di attaccare la Riviera di Levante. Il consenso del F. fece comprendere ai responsabili del Comune di Genova quanto potesse essere pericolosa l'esistenza di uno "Stato" potenzialmente ostile alla loro città in una posizione strategicamente delicata. Il vicario assalì e devastò Lerici, roccaforte genovese. Il Comune di Genova reagì con prontezza; Oberto Doria attaccò per mare Manarola, uno degli approdi costieri controllati dal F., ed incendiò La Spezia. Puntando quindi con le truppe di terra verso l'interno, prese Vezzano, senza incontrare resistenza. La fragilità della signoria fliscana apparve allora evidente: ad uno ad uno i castelli del F. si arresero e furono immediatamente assorbiti nella potestacia Carpene. In cambio di varie concessioni, gli homines di questi castelli si impegnarono a non nominare mai come loro podestà un rappresentante dei Fieschi. Il F. fu dichiarato ribelle e venne travolto nella sconfitta che tutta la famiglia conobbe quando tentò di riprendere il controllo di Genova. Carlo d'Angiò preferì rinunciare alla lotta. Abbandonati al loro destino, i Fieschi, esuli, furono costretti alla resa. La mediazione di Innocenzo V portò ad un primo accordo tra questi e le autorità genovesi, il 18 giugno 1276, accordo che il card. Ottobono, divenuto papa col nome di Adriano V, ratificò il 21 luglio. Poiché il Comune genovese si guardò dall'attuare la clausola che prevedeva la restituzione dei territori che aveva strappato con le armi al F., questi preferì, realisticamente, intavolare con l'antico avversario trattative in vista della vendita del suo "Stato".
Il 24 nov. 1276 la sentenza arbitrale fu pronunciata: il F. cedette tutte le località in suo possesso nella Riviera di Levante, tranne lo iusvicedominatus di Brugnato, per l'enorme cifra di 25.000 libre di genovini, da versare in cinque rate.
Contro tale vendita ci fu solo un timido tentativo di opposizione da parte del vescovo di Luni, i cui diritti su alcune località erano stati dimenticati. Le autorità municipali versarono regolarmente, alla scadenza di ogni rata, le somme dovute, sino al saldo, che fu pagato il 25 marzo 1279.
Dissociandosi dalle scelte politiche della sua casata, che aveva ripreso la lotta contro il Comune genovese ed il gruppo di potere che lo reggeva, il F. continuò a risiedere in città, dove possedeva due palazzi, uno a S. Donato, l'altro in Carignano. Investì subito l'ingente massa monetaria, che aveva ricavato dalla vendita del suo "Stato", in operazioni commerciali e finanziarie. Da Genova poté continuare ad amministrare il suo patrimonio immobiliare, consistente in terre e case, sparso nei borghi e nelle vallate della Riviera di Levante e che era stato ulteriormente incrementato perché il card. Ottobono, col testamento del 1275, aveva lasciato a lui e a Federico, altro fratello del F., tutti i suoi beni in Genova, in Trigoso e in Roccatagliata. In più il F. provvide abilmente ad occupare altre due località alle spalle di Genova, Torriglia e Montoggio, che diventarono centri di un'altra signoria, più piccola rispetto alla precedente ma altrettanto pericolosa, dal punto di vista strategico, per la Repubblica. Intensi furono, poi, i suoi investimenti a Genova, sia attraverso il finanziamento del commercio sia attraverso l'acquisto di beni immobiliari: in quegli anni passò sotto il suo controllo anche la torre vicina alla porta di S. Andrea, un tempo appartenuta agli Embriaco. In seguito - dopo il tentativo compiuto nel 1278 dai Fieschi di occupare la Riviera di Levante, secondo il Sassi - il F. si trasferì a Roma, dove si adoperò per sollecitare l'intervento papale in favore della sua famiglia. Nel 1280 (9 luglio) ottenne da Rodolfo d'Asburgo la conferma dei privilegi e delle immunità di cui avevano goduto per il passato i Fieschi. Nello stesso anno fece ritorno a Genova. Nel corso del viaggio, passando per Parma, come vicario imperiale e conte palatino, creò cavalieri a speroni d'oro Ugolino e Guglielmo dei Rossi.
Non abbiamo notizie dettagliate sul F. per gli anni seguenti, durante i quali dovette continuare a essere in città uno dei protagonisti della vita economica, se non di quella politica.
Nel 1286 dovette appoggiare, non sappiamo se anche militarmente, il tentativo compiuto dal fratello Percivalle per farsi riconoscere dalle città toscane come vicario imperiale. Il 2luglio 1288, come titolare dello ius vicedominatus, fu invitato dal vescovo di Brugnato a difendere i suoi fedeli. Fu poi, ancora una volta, coinvolto in un nuovo tentativo compiuto dalla sua famiglia per riaffermare la sua presenza in città.
Falliti alcuni passi compiuti presso la Curia romana, perché essa difendesse i loro diritti, che il Comune genovese non riconosceva, bloccata la candidatura di Tedisio di Opizzo Fieschi ad arcivescovo di Genova, i Fieschi decisero, tra la fine di marzo e gli inizi di aprile del 1288, di compiere un'azione comune presso la S. Sede, per sollecitare un suo intervento sulle autorità municipali. Per finanziare il progetto bisognò costituire un fondo: la quota più alta tra quelle versate dai membri laici fu pagata dal Fieschi. È possibile che la somma raccolta sia servita, in realtà, ad organizzare la rivolta che esplose a Genova il 1º genn. 1289; l'insurrezione comunque fallì e le autorità municipali costrinsero all'esilio i membri della famiglia.
Il F. riuscì a rimanere in città o dovette ritornarvi poco dopo, perché risulta che nel 1292 si fece costruire un altro palazzo presso S. Lorenzo e che affidò al notaio G. Vegio la procura per amministrare i suoi beni immobiliari in città, in Valpolcevera, a Rapallo, a Chiavari, a Sestri Levante ed in altri luoghi. Mancano sue notizie per gli anni successivi, che dovettero essergli resi amari dal comportamento del figlio Ottobono, forse il suo primogenito.
Costui, infatti, sfidando la sua volontà, sottrasse gli arredi sacri alla chiesa di S. Onorato di Torriglia, motivo per cui il F., nel suo testamento, lo punì, togliendo dalla quota di eredità a lui spettante una somma per risarcire la chiesa.
Il testamento del F. fu steso nel feudo di Torriglia (26 ott. 1304),ove probabilmente si era trasferito. Viveva ancora nel 1307,come risulta da un contratto stipulato nel territorio di Montoggio, "districtus domini Nicolai de Flisco".
Ignoriamo, per il silenzio delle fonti, la data della sua morte, che deve ad ogni modo porsi prima del 1310,quando le sue spoglie furono traslate a Genova ed ivi inumate nella chiesa di S. Francesco di Castelletto, accanto alle tombe del fratello Federico e della moglie Leonora.
Nel testamento il F. aveva stabilito che il suo corpo fosse sepolto nella chiesa di S. Adriano di Trigoso, dove aveva provveduto a fondare una cappella. Come eredi aveva istituito i figli - tacendo però dell'ultimo maschio Brancaleone -; come esecutore testamentario aveva nominato uno di loro, il cardinale Luca, che assunse alla morte del padre le funzioni di capo della famiglia.
Dalla moglie Leonora, di cui ignoriamo il casato e che gli premorì, il F. aveva avuto nove figli, sei maschi - Ottobono, Carlo, Federico, Luca, Alberto (che fu arcidiacono di Reims) e Brancaleone (non ricordato nel testamento) - e tre femmine: Alagia, sposa di Moroello Malaspina, che Dante, per bocca del papa Adriano V, dice "buona da sé" (Purgatorio, XIX, vv. 142-145); Flisca, andata in moglie ad Alberto Malaspina, e Giacomina, sposata con Obizzo d'Este.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Notai antichi: Lamberto "de Sambuxeto", cart. 124, I, cc. 6r, 7r, 10v, 13r, 55r, 72v, 73v, 108r; Genova, Biblioteca civica Berio, Foliatium notariorum (ms. sec. XVIII), t. I, cc. 291r, 302v, 332r, 355, 362v, 438r, 472v, 503v, 528v, 531r-532r, 533rv; II, cc. 52v, 103r, 133v, 263r; III, cc. 33r, 34r, 42r, 70r (si citano solo i documenti usati nella biografia); Ibid., F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca (ms. sec. XVII), cc. 213, 223, 224, 236-39, 244v-245; Ibid., N. Muzio, Multeplicità di scritture ... (ms. sec. XVIII), cc. 24r, 42-48; Liber iurium Reipublicae Genuensis, a cura di E. Ricotti, in Monumenta historiae patriae, VII,Augustae Taurinorum 1854, docc. DCCCCLXVIIss. coll. 1436-1439, DCCCCLXX coll. 1445-49, DCCCCLXXXVIII coll. 1482-84; Liber iurium..., ibid., IX,ibid., 1857, doc. XXIII col. 35; Libri degli anniversari del convento di S. Francesco di Castelletto in Genova, a cura di V. Promis, in Atti della Soc. ligure di storia patria, X(1874), p. 396; Les registres de Innocent IV, a cura di E. Berger, Paris 1884-1897, ad Indicem; Les registres de Honorius IV, a cura di M. Prou, Paris 1888, ad Indicem; Codice diplom. delle relazioni tra la Liguria la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, a cura di A. Ferretto, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXI(1901-1903), ad Indicem; Les registres de Alexandre IV, a cura di C. Bourel de la Roncière e altri, Paris 1902-1953, ad Indicem; Annali stor. di Sestri Ponente, a cura di A. Ferretto, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXIV (1904), ad Indicem; Documenti sulle relazioni tra Voghera e Genova (960-1325), a cura di G. Gorrini, Pinerolo 1908, ad Indicem; Il regesto del codice Pelavicino, a cura di M. Lupo Gentile, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLIV (1912), pp. 16 ss., 95 s., 211, 493-98, 500-06; Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori,a cura di C. Roccatagliata Ceccardi - G. Monleone, V, Genova 1928, ad Indicem; VII, ibid. 1929, ad Indicem; R. Doehaerd, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont d'après les archives notariales génoises, Bruxelles-Rome 1941, ad Indicem; F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova [1646], pp. 7, 11, 55, 58; L. T. Belgrano, Tavole genealogiche a corredo della Illustrazione del registro arcivescovile di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, II(1873), tav. XI; G. Sforza, Storia di Pontremoli dalle origini al 1500, Firenze 1904, pp. 137 ss.; F. Poggi, Lerici ed il suo castello, I, Sarzana 1907, pp. 3, 179, 187, 195, 221; N. Schöpp, Papst Hadrian V, Heidelberg 1916, ad Indicem; F. Sassi, La politica di N. F. in Lunigiana, in Mem. della Acc. lunigianese di scienze "G. Capellini", VIII (1927), pp. 69-91; A. Ferretto, Il distretto di Chiavari preromano romano e medievale, Chiavari 1928, pp. 366, 404 ss.; R. S. Lopez, L'attività econ. di Genova nel marzo 1253secondo gli atti notarili del tempo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIV (1935), pp. 192, 215 ss., 220 s.; U. Formentini, Brugnato (gli abati, i vescovi, i "cives"), in Mem. della Acc. lunigianese di scienze "G. Capellini", XX (1939), pp. 20, 26-29; F. Bernini, Innocenzo IV ed il suo parentado, in Nuova Riv. stor., XXIV(1940), pp. 188, 193, 195 s.; V. Vitale, Il Comune del podestà a Genova, Milano-Napoli 1951, pp. 380, 383; R. S. Lopez, Settecento anni fa: il ritorno all'oro nell'Occidente duecentesco, in Riv. stor. ital., LXV (1953), pp. 50, 194; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, ad Indicem; R. S. Lopez, La prima crisi della banca di Genova (1250-1259), Milano 1956, ad Indicem; A. Sisto, I feudi imperiali del Tortonese, Torino 1956, ad Indicem; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, 2, Firenze 1957, p. 406; F. Guerello, La crisi bancaria del piacentino Guglielmo Leccacorvo, in Riv. stor. ital., LXXI (1959), p. 300; G. Airaldi, I notai dei conti palatini genovesi, in Studi e documenti su Genova e l'Oltremare, Genova 1974, pp. 202 s.; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XIV-XV (1974-1975), ad Indicem; A. Sisto, Genova nel Duecento. Il capitolo di S. Lorenzo, Genova 1979, ad Indicem; Id., Chiese conventi ed ospedali fondati dai Fieschi nel sec. XIII, in Atti del Convegno internaz. per l'ottavo centenario della urbanizzazione di Chiavari (8-10 nov. 1978), Chiavari 1980, pp. 322, 328, 330; G. Petti Balbi, I Fieschi ed il loro territorio nella Liguria orientale, in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, III, Genova 1983, ad Indicem; Id., I "conti" e la "contea" di Lavagna, Genova 1984, p. 36; M. Casale, La magnifica Comunità di Torriglia, Genova 1985, pp. 29 s.