FRANZESI, Niccolò
Ricordato come il più giovane tra i figli del cavaliere Guido, divenuti noti alla fine del Duecento come banchieri in Francia, il F. nacque a Figline Valdarno, Comunità del territorio fiorentino, intorno agli anni Sessanta del secolo XIII.
Socio in affari con i fratelli Giovanni Paolo (Musciatto) e Albizzo (Biccio), per lungo tempo si mantenne nella loro ombra. Infatti, per gli anni antecedenti alla morte dei due e al fallimento dell'azienda, la documentazione esistente risulta molto scarsa. Si sa solo che, mentre i fratelli già esercitavano l'attività finanziaria e commerciale in Francia, egli amministrava la succursale fiorentina della compagnia. La sua presenza in terra francese è attestata per la prima volta nel 1290. La data corrisponde al periodo in cui i Franzesi, entrati in rapporti molto stretti con Filippo il Bello, iniziarono la loro carriera di finanzieri della Corona. Pur dedito prevalentemente agli affari e meno attivo dei fratelli nel conseguimento di incarichi e riconoscimenti politici, il F. fu, al pari di loro, nominato cavaliere dal re e, nel 1297, rettore del Contado Venassino dal papa Bonifacio VIII.
Nel 1295, insieme con i fratelli, presentò richiesta di cittadinanza al Comune di Siena; pochi anni più tardi i tre acquistarono un vasto feudo, comprendente i diritti signorili, nella zona del Valdarno facente capo al castello di Colle.
I Franzesi avevano eletto Siena a principale obiettivo della loro strategia di reinserimento nell'area toscana e il F. prese in moglie un'esponente di una potente casata senese, Mea di Tingoccio dei Tolomei. L'unione, dalla quale derivò una numerosa discendenza, venne a consolidare un'alleanza familiare le cui basi erano già state gettate con il matrimonio della sorella del F., Magina, con Granello dei Tolomei. Il legame che doveva essersi creato tra i tre fratelli e il ceto dirigente di Siena rappresentò un elemento di non secondaria importanza nel determinare le sorti del F. quando, in seguito al fallimento dell'azienda, cadde in disgrazia presso la corte di Francia e il Comune fiorentino.
Nel 1302 il F. compare in Firenze al seguito di Carlo di Valois. È la fase culminante dell'affermazione economica e sociale dei Franzesi: pochi anni più tardi la loro azienda entrò in crisi e nel volgere di breve tempo precipitò verso la bancarotta. Le morti di Musciatto e Biccio, sopraggiunte a poca distanza l'una dall'altra nel 1307, lasciò inoltre il F. solo, quale erede e unico socio sopravvissuto, a fronteggiare il crollo dell'impero finanziario che i tre avevano eretto insieme.
Alla drammatica contingenza egli reagì con inaspettato vigore, per impedire che il patrimonio fondiario acquisito dalla famiglia fosse incluso nella massa fallimentare. Nel 1308 il Comune fiorentino emise contro di lui la sentenza di fallimento, decretando la confisca delle proprietà, destinate a essere vendute per risarcire quanti erano rimasti danneggiati dal tracollo dell'azienda. In un primo tempo il F. si mostrò intenzionato a collaborare con le autorità e promise di ottemperare alle proprie responsabilità verso i creditori, tra i quali figuravano alcune tra le maggiori compagnie cittadine. Questo atteggiamento gli valse la concessione, nel 1309, di una dilazione di tre anni per consentirgli di recuperare i crediti dell'azienda nei paesi d'Oltralpe ed essere così in grado, a sua volta, di estinguere almeno parzialmente i propri debiti. Egli, tuttavia, non lasciò la Toscana, confidando nell'eventualità di sfruttare a proprio vantaggio l'imminente discesa in Italia di Arrigo VII: un evento che si supponeva avrebbe alterato profondamente gli equilibri politici nella regione.
Il F. si arroccò dunque a Montedominico, cuore dei possessi della famiglia nel Valdarno superiore e qui, attendendo la venuta dell'imperatore, si apprestò a opporsi con le armi all'esproprio dei propri possedimenti, sostenuto da alcuni fedeli armati e da sbanditi fiorentini cui aveva dato ricetto. Nel 1310 i messi del Comune di Firenze, inviati a richiedere la consegna del castello, furono messi in fuga con le armi e i creditori si risolsero a presentare richiesta al Comune affinché si procedesse a un intervento armato per stroncare la sua resistenza e rendere esecutivo l'ordine di sequestro.
La lotta ingaggiata con il Comune fiorentino volse infine al termine. Compreso che il conflitto tra Arrigo VII e Firenze si sarebbe risolto a favore di quest'ultima, il F. ribaltò la propria posizione, schierandosi a fianco della città. A sua volta il governo fiorentino, trovandosi in una difficile contingenza politica, dovette ritenere conveniente per i propri interessi sedare l'attrito con un potente signore del territorio. In una lettera del 1313, infatti, ci si rivolgeva a lui con nuova deferenza e nel medesimo anno gli fu affidata la custodia del castello di Colle.
L'atteggiamento mantenuto nei confronti del F. dal Comune senese fu invece assai diverso da quello fiorentino e le magistrature di questa città offrirono scarsa collaborazione ai creditori, compreso un delegato papale, che presentarono richiesta di soddisfazione. Al F. fu quindi consentito di mantenere il castello di Trequanda - pur sotto il vincolo del divieto di alienazione senza l'autorizzazione delle autorità -, sebbene questo fosse stato destinato agli Spini. Nel corso degli anni le relazioni tra il F. e le più eminenti famiglie senesi, prima tra tutte i Tolomei, si fecero sempre più strette e, nel 1322, il Comune si rifiutò di espropriare i suoi beni per consegnarli al papa Giovanni XXII, che li pretendeva sempre a titolo di soluzione dei propri crediti, nonostante il pontefice minacciasse le pene di scomunica per gli ufficiali responsabili e di interdetto per la città.
Grazie al mutato tenore dei rapporti con Firenze e alla protezione di Siena - nel cui territorio, precisamente nel castello di Staggia appartenuto a Biccio, egli aveva definitivamente stabilito la propria residenza - il F. riuscì a conservare la maggior parte dei propri possessi in Toscana, mentre i debiti della fallita azienda familiare restarono generalmente insoluti. Nel 1329 fu nuovamente nominato capitano di Colle e nel 1341 inviò da Staggia a Firenze un manipolo di armati richiestigli dal Comune.
Le ultime testimonianze della sua esistenza in vita risalgono alla metà degli anni Quaranta del Trecento: con ogni probabilità egli morì intorno alla metà del secolo, anche se la notizia certa del suo avvenuto decesso data soltanto al 1361, quando gli eredi ne vendettero i beni al Comune fiorentino.
Fra i numerosi figli del F. - almeno otto, per quanto la documentazione consente di ricostruire -, si ricorda in particolare Totto, che compare una prima volta alla fine del XIII secolo, quando, seguendo la vocazione familiare, si trasferì in Francia, dove fu conosciuto con l'appellativo di "Estoude". Insieme con il fratello Giovanni (Vanni) appare infatti registrato in occasione del censimento fiscale di Parigi del 1298, quale residente nella parrocchia di Saint-Germain-l'Auxerrois, in prossimità dell'abitazione dei due zii paterni.
In Francia anche Totto si dedicò all'alta finanza e fu associato della compagnia dei Peruzzi, quando questa si sostituì negli affari dell'azienda paterna, entrata in crisi ai primi del Trecento e fallita nel 1308. I Peruzzi avevano ottenuto dal re la concessione dell'amministrazione delle zecche del Regno e, presumibilmente su loro mandato, Totto assunse la direzione di quelle di Parigi e di Tournai. Sempre come associato della compagnia fiorentina, gestì la riscossione delle tasse nelle Fiandre per conto della Corona francese. A tale attività egli si dedicò in un secondo tempo anche autonomamente, nel corso della seconda decade del Trecento, alla quale risalgono le ultime notizie che lo riguardino.
Fonti e Bibl.: Y. Renouard, Les rélations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à 1378, Paris 1951, pp. 93, 572 s., 582; G. Cipollaro, La famiglia dei Franzesi nei rapporti franco-fiorentini fra il XIII e il XIV secolo, tesi di laurea, Università di Firenze, relatore E. Sestan, a.a. 1966-67; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1977, III, pp. 509-519, 554 s., 712; IV, pp. 217 ss.; VI, pp. 634 s., (pp. 635-638, 640-644, per Totto); W.B. Bowsky, Un Comune italiano nel Medioevo: Siena sotto il regime dei Nove. 1287-1355, Bologna 1986, p. 255; P. Pirillo, Famiglia e mobilità sociale nella Toscana medievale. I Franzesi Della Foresta da Figline Valdarno (secoli XII-XV), Firenze 1992, pp. 39-67, 272 e passim (pp. 272 s. per Totto).