GADDI, Niccolò
Nacque a Firenze il 12 ott. 1537 (Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 81, c. 234) da Sinibaldo di Taddeo e da Lucrezia di Matteo Strozzi.
La famiglia Gaddi aveva occupato un ruolo di spicco nella vita politica fiorentina: due suoi membri, Angelo e Taddeo, erano stati per tre volte ciascuno membri della Signoria e lo stesso padre del G., Sinibaldo, fu nominato senatore nel 1545; inoltre i Gaddi avevano un posto anche nella storia della cultura, dato che fin dalla fine del Trecento erano detentori di alcuni importanti codici danteschi.
L'educazione del G. fu indirizzata al conseguimento dello status ecclesiastico; verso il 1550 studiava latino ed ebraico sotto la guida di Francesco Vagnucci, autore, tra l'altro, di una traduzione delle opere di Giuseppe Ebreo con dedica al suo allievo. Ripercorrendo le orme dello zio cardinal Niccolò, prese gli ordini minori all'età di circa quattordici anni e fu immediatamente dotato dallo zio di una rendita di 1000 scudi annui sui beni della mensa vescovile di Bologna e poi di altre rendite dei beni dell'arcivescovado di Cosenza e dell'abbazia di S. Leonardo di Siponto in Puglia. Nel 1559 ebbe una figlia illegittima, di nome Lucrezia, e circa nello stesso periodo tornò allo stato laicale, sposandosi con Emilia di Lorenzo Ridolfi; dopo la morte di quest'ultima nel 1563, passò a nuove nozze con Maria di Alfonso Strozzi. Circa nel 1552 era divenuto cavaliere dell'Ordine di S. Iacopo della Spada, un ordine militare di origini molto antiche, allora sotto la giurisdizione dell'imperatore Carlo V, in quanto re di Spagna.
Seguendo un processo di aristocratizzazione dei costumi e della mentalità molto diffuso, il G. abbandonò le attività commerciali e bancarie, cui ancora suo padre si era dedicato, trasformandosi quasi del tutto in un rentier, il cui reddito, calcolato in circa 50.000 scudi annui, proveniva per lo più dalle proprietà immobiliari e dai titoli del debito pubblico. Aveva adottato un sistema di vita sfarzoso, con dovizia di servitù e di cavalcature e aveva dotato il suo palazzo di Firenze, situato in piazza Madonna degli Aldobrandini, di una galleria ricca di oggetti rari e preziosi e di un orto botanico.
Nel 1569, quando Cosimo de' Medici ottenne dal papa il titolo granducale, il G. fu inviato a darne notizia ai signori di Ferrara e di Mantova e l'anno dopo fece parte del seguito del suo sovrano che si recava a Roma per la solenne incoronazione. Per quattro volte, tra il 1573 e il 1590, fece parte dei Buonuomini delle Stinche, la magistratura che esercitava la supervisione sull'omonimo carcere fiorentino; innumerevoli volte fece parte degli accoppiatori, il collegio che preparava le liste elettorali per gli uffici conferiti per estrazione a sorte; due volte, nel 1579 e 1585, fece parte dei Nove conservatori del Dominio. Altre magistrature collegiali di cui fece parte furono: Magistrato supremo (1581), Otto di guardia e balia (1582), Ufficiale di sanità (1587), Conservatori di leggi (1588); fu inoltre operaio di S. Maria del Fiore (1575) e riformatore degli statuti dell'arte dei mercanti (1587). Il 12 nov. 1578 fu nominato dal granduca senatore. Nel 1587 fu uno fra i deputati laici incaricati di sorvegliare sulla disciplina dei conventi femminili; nel 1588 collaborò alla riforma che trasformò l'ospizio annesso al monastero fiorentino di S. Paolo in un ospedale per convalescenti.
Ma la notorietà gli deriva dall'eccezionale interesse delle sue collezioni artistiche, dalla competenza e dalla sicurezza delle scelte che aveva acquisito nel campo dell'arte e dalla fitta trama di rapporti che aveva stabilito con i maggiori artisti del suo tempo, con antiquari e mercanti d'arte. Si dovette pertanto al G. l'acquisizione alle collezioni medicee di vere e proprie rarità anche nel campo dell'archeologia, come ad esempio, nel 1580, "una testa di marmo che è il ritratto di Homero, poeta greco" (Arch. di Stato di Firenze, Guardaroba Mediceo 91, c. 120). Il G. era poi per quell'epoca uno dei rari estimatori dei disegni e cartoni per affreschi, tanto che nella sua collezione al momento della morte ne erano presenti cospicue raccolte, tra cui, pare, anche quella appartenuta a Giorgio Vasari. Un altro campo in cui si esplicò la sua attività di amatore e collezionista fu la botanica: oltre a dotare la propria casa di un orto botanico, favorì i rapporti con la corte di Toscana del naturalista belga Giuseppe Benincasa (J. Goedenhuyze), che effettuò diversi viaggi in paesi esotici per conto dei granduchi, riportandone piante fino a quel momento poco note o sconosciute.
Dal settembre 1588 fu affidata al G. la progettazione e la regia dell'apparato dei festeggiamenti, in previsione dell'arrivo a Firenze di Cristina di Lorena, sposa del granduca Ferdinando I.
In tale occasione ideò una serie di archi di trionfo, ornati di pitture e sculture, da sistemare lungo il percorso effettuato dal corteo granducale e ne affidò la realizzazione all'architetto G.A. Dosio e ai pittori A. Allori, D. Oresti detto il Passignano, G.B. Naldini. Per le pitture il G. impose l'adozione della tecnica a olio perché potessero durare nel tempo.
Analogamente si occupò nel periodo 1586-90 della dotazione di quadri della Galleria degli Uffizi; costituiti per lo più da ritratti di personaggi della famiglia Medici, furono commissionati ai suoi pittori preferiti: Giovan Battista Paggi, lo stesso Naldini, Santi di Tito, Girolamo Macchietti.
Presumibilmente degli stessi pittori si servì per arricchire la sua quadreria personale, che nell'inventario redatto dopo la sua morte annoverava circa 200 quadri. Le sue prime collezioni comprendevano inoltre un numero rilevantissimo di statue, vasi e altre sculture, in buona parte di autentico interesse archeologico, 2700 medaglie in vari metalli, 9 orologi "da sole", 1400 tra libri e manoscritti, di cui 130 di musica, circa 40 strumenti musicali, oltre a una piccola raccolta di curiosità esotiche, minerali, coralli e conchiglie.
Redigendo il suo testamento olografo, l'11 giugno 1591, il G. volle comprendere i suoi tesori nel fedecommesso già istituito dal padre sulla maggior parte del patrimonio familiare, che in caso di estinzione della discendenza maschile sarebbe andato ai discendenti della sorella Maddalena, sposata con Jacopo Pitti.
Tuttavia per le collezioni gaddiane lo smembramento e la dispersione cominciarono pochi anni dopo la morte del G.: su di loro era stata avanzata fin dal 28 giugno 1591, a pochi giorni di distanza dalla morte del G., un'opzione di acquisto dalla stessa Eleonora de' Medici, moglie di Vincenzo Gonzaga, che tuttavia non ebbe esito. Ciò che delle raccolte ancora rimaneva nel sec. XVIII fu acquistato dal governo granducale (nel 1755 la biblioteca, nel 1774 gli oggetti artistici).
Il G. morì a Firenze il 14 giugno 1591 e fu sepolto in S. Maria Novella nella tomba di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze: Tratte, 81, c. 237; Notarile antecosimiano, 224, cc. 140, 146; 225, c. 38; 226, cc. 97, 277; 227, cc. 13, 26, 183, 251, 287; Raccolta genealogica Sebregondi, 2378; Strozziane, s. 1, 38, c. 169; 91, c. 190; Mediceo del principato, 401, c. 525; 463a, c. 885; Guardaroba Mediceo, 91, c. 120; 111, cc. 1, 6, 179; 183, ins. 3, c. 29; Depositeria generale, parte antica, 415, cc. 104, 106, 108, 118; Ospedale di S. Paolo dei convalescenti, 653, cc. 45 ss.; C.R. Gualterotti, Della descrizione del regale apparato fatto nella nobile città di Firenze per la venuta e per le nozze della serenissima madama Cristina di Lorena…, II, Firenze 1589, c. 2; A. Lapini, Diario fiorentino, a cura di G. Corazzini, Firenze 1900, p. 274; G. Ricci, Cronaca, a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 34, 252, 268, 369 s., 418, 513, 530; Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, a cura di G. Bottari - S. Ticozzi, III, Milano 1822, pp. 262-328; I. Gaddi, Elogiographus scilicet Elogia omnigena, Florentiae 1638, pp. 237 ss.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 425; G. Bencivenni, Saggio istor. della Real Galleria di Firenze, I, Firenze 1779, pp. 80, 83, 89; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, IV, Firenze 1781, p. 122; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno, III, Firenze 1846, pp. 258, 290, 420, 433 s., 449, 516 s., 584.