INTRONA, Niccolò
Nacque a Bari il 13 maggio 1868, da Nicolavito e Marianna Salvati, in una famiglia benestante, di lontane origini nobiliari. Si avvicinò giovanissimo alla Chiesa evangelica. Diplomatosi ragioniere, fu assunto ventenne dalla Banca nazionale nel Regno d'Italia, sede di Bari, come volontario, e poi applicato di 4ª classe. Sposatosi con Emilia Capponi nel 1890, ebbe cinque figli. Nel 1902 (dopo che la legge del 1893 ebbe sancito la fusione della Nazionale con altri istituti, dando vita alla Banca d'Italia) divenne direttore della filiale di Lecce, quindi, nel 1905, ispettore.
Tale nomina gli diede modo di conoscere il mondo degli affari in numerose piazze della penisola; nel 1906 fu inviato in Eritrea per indagare se la situazione economica della colonia giustificasse l'apertura di una filiale. Nel marzo 1907 gli fu affidata la liquidazione delle partite immobilizzate della Banca: impresa complessa sia per i problemi tecnici e giuridici che comportava sia per la vastità degli interessi toccati. Il 31 dicembre dello stesso anno, dopo che l'istituto ebbe soddisfatto gli obblighi impostigli dalla legge bancaria del 1893, l'I. tornò all'attività ispettiva.
Nel 1911 l'I. divenne il principale collaboratore, all'interno della Banca, del direttore generale B. Stringher nelle trattative che portarono al riassetto dell'industria siderurgica, in crisi.
Iniziava allora in Italia l'epoca della cartellizzazione; quasi tutti i grandi stabilimenti siderurgici vennero posti sotto una direzione unica, l'organizzazione di vendita fu centralizzata, le banche, coordinate dalla Banca d'Italia, acconsentirono alla ristrutturazione dei debiti. Mentre Stringher teneva i rapporti con il mondo politico e con gli industriali, l'I. era l'esperto che analizzava i bilanci e la coerenza logica delle previsioni presentate dai vari attori. Questo episodio dette conferma delle sue capacità e impulso decisivo alla sua carriera.
Nel gennaio 1912 l'I. fu nominato capo servizio dell'ispettorato; nel 1913 entrò a far parte del consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione, creato allora per rispondere alle esigenze finanziarie delle società cooperative.
L'I. partecipò attivamente alla vita di questo organismo, dal quale si dimise nel 1927 dopo aver manifestato riserve sull'espansione delle funzioni dell'Istituto (ribattezzato Banca nazionale del lavoro e della cooperazione), caldeggiata dal nuovo direttore generale A. Osio.
Nel 1918 l'I. venne nominato ispettore generale, con l'incarico di sovrintendere all'attività ispettiva interna, al riscontro delle spese, agli approvvigionamenti, alle operazioni di sconto e di anticipazione e all'Ufficio centrale per il mercato serico, costituito per decreto nel settembre 1918 al fine di stabilizzare i prezzi di una delle principali industrie nazionali.
L'I. fu poi il principale collaboratore di Stringher nella crisi industriale del dopoguerra la quale mise in gravi difficoltà le banche che avevano scommesso su una ulteriore crescita della produzione industriale e dei prezzi. In particolare fu al centro delle vicende del Banco di Roma (1922) e di altre banche minori.
Riguardo al Banco di Roma, egli vagliò la situazione e le richieste dell'istituto e partecipò alle trattative relative al salvataggio; deciso lo smobilizzo, entrò nel comitato direttivo dell'ente incaricato di acquisire le partecipazioni, la Società finanziaria per l'industria e il commercio.
Quando, nel 1926, fu affidata alla Banca d'Italia la nuova funzione della vigilanza sugli istituti di credito, egli avviò il servizio, si occupò di redigere le norme di attuazione, gestì, insieme con Stringher, i contrasti con il governo e con le altre banche.
Nel 1927, quando entrò in crisi il gruppo bancario controllato da Alvaro Marinelli, un affarista poco scrupoloso e molto abile nel crearsi relazioni politiche, l'I. subito comprese la natura fraudolenta delle speculazioni di Marinelli e ne limitò i danni. La banca centrale ebbe un ruolo più modesto nel salvataggio richiesto l'anno dopo dal gruppo delle cosiddette "banche cattoliche", ma, nella misura in cui Stringher poteva dire la sua, l'I. fu al suo fianco per indagare e provvedere.
In questi stessi anni l'I. fece anche parte dei consigli di amministrazione della Società italiana per le strade ferrate meridionali e della Società per la bonifica dei terreni ferraresi e per imprese agricole.
Il 3 luglio 1928 venne nominato vicedirettore generale della Banca, mentre V. Azzolini (proveniente dal ministero delle Finanze) ebbe il posto di direttore generale e Stringher occupò la nuova posizione di governatore. Negli anni seguenti, dopo la nomina di Azzolini al governatorato, i direttori generali della Banca furono immessi dall'esterno o selezionati fra ex subordinati dell'I.: tutti, come ben sapeva Azzolini, inferiori all'I. per capacità ed esperienza.
La ragione del "blocco" posto alla carriera dell'I. deve ricercarsi in qualche misura - come propone G. Rochat - nella sua fede e militanza valdese (fu membro e vicepresidente del Sinodo), in parte in rancori determinati dall'azione di vigilanza svolta in precedenza (il giornale L'Impero, controllato dal non sconfitto Marinelli, condusse accanite campagne contro l'I., accusandolo di "partigianeria antifascista, sadismo ispettivo e fanatismo religioso-settario"), infine nella freddezza che egli mostrava verso il regime (la sua tessera di adesione al Partito nazionale fascista, PNF, sembra risalire al 1939).
Il 31 dic. 1930 l'I. divenne membro del comitato direttivo e della giunta esecutiva dell'Istituto di liquidazioni, l'ente che aveva ereditato le attività delle banche salvate nel dopoguerra.
Anche in questa sede esortò alla prudenza: sostenne che si dovesse, "con ogni mezzo, evitare la tendenza di ingrandire la potenzialità delle aziende transitoriamente affidate alla gestione dell'Istituto", specialmente se ciò avesse comportato nuovi interventi finanziari (ricadenti in ultima analisi sulla Banca d'Italia; cfr. Comei).
L'assenza dell'I. dalle vicende riguardanti il salvataggio delle grandi banche miste nel 1931-34 induce a credere che la sua presenza non fosse politicamente gradita. Egli ebbe, invece, un posto nel consiglio di amministrazione della sezione smobilizzi dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), ma si trattava di una presenza più che altro formale, giacché la gestione di A. Beneduce non era soggetta a condivisioni di sorta.
Fu decisamente contrario al progetto di vietare alla Banca d'Italia di scontare effetti presentati da operatori non bancari (progetto comunque attuato con la legge bancaria del marzo 1936). La sua posizione, condivisa da Azzolini, era basata sull'opportunità di non perdere contatto diretto con il mondo della produzione.
Quando, subito dopo l'8 sett. 1943, i Tedeschi, padroni di Roma, chiesero minacciosamente la consegna dell'oro della Banca, l'I. ebbe l'idea di nascondere una metà dell'oro dissimulando l'operazione con false scritturazioni. Ma Azzolini prestò fede a chi gli assicurava che l'esercito tedesco aveva notizie precise sulle consistenze e, per evitare il peggio, fece riportare il metallo nel deposito, da dove fu prelevato e trasferito prima a Milano, poi in gran parte a Berlino.
Dopo la partenza di Azzolini per il Nord, avvenuta all'inizio del 1944, il vecchio I. rimase il massimo esponente della Banca a Roma. Liberata la capitale all'inizio di giugno, il 29 luglio 1944 l'I. fu nominato commissario straordinario della Banca per le zone liberate.
Nei cinque mesi in cui tenne la carica cercò di smantellare pezzi importanti della legislazione sul credito varata negli anni Trenta (Comitato dei ministri, Ispettorato per il credito e il risparmio), da lui ritenuti strumento di ingerenza politica nel mondo bancario. L'attacco ebbe un successo parziale: il Comitato e l'Ispettorato vennero soppressi, ma il primo fu sostituito, nel 1947, con un organo assai somigliante, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. L'I. si dimostrò anche assai critico nei confronti dell'IRI - definito "strumento finanziario di guerra e di potenziamento autarchico" - e ne propose il ridimensionamento ma, su questo fronte, venne totalmente sconfitto.
Durante la vicenda dell'epurazione, l'I. volle che la Banca si costituisse parte civile contro Azzolini, accusato di collaborazione con i nazisti per l'asportazione dell'oro: l'ex governatore fu dapprima condannato a trent'anni di carcere, poi assolto in Cassazione.
Il 5 genn. 1945 L. Einaudi fu nominato governatore della Banca e l'I., finalmente, direttore generale. Ma ben presto, per i contrasti fra la sua linea e quella che risultò prevalente, egli si trovò isolato: si allontanò allora dall'alta politica e si occupò principalmente di questioni organizzative. Rassegnò le dimissioni il 19 apr. del 1946, lasciando il posto al candidato del governatore, D. Menichella, proveniente dall'IRI. Fu direttore generale onorario fino al 1951.
L'I. morì a Roma il 10 maggio 1955.
Dirigente della Banca d'Italia per quasi tutta la prima metà del Novecento, l'I. fu banchiere con una spiccata vocazione, piuttosto che all'esuberanza creativa, alla solidità delle iniziative e alla necessità di far quadrare i conti; dalla sua posizione nella banca centrale, egli agì da moderatore delle tendenze avventuristiche, e quindi da solidificatore dello sviluppo italiano. L'attività bancaria dell'I. andò sempre in parallelo con quella di regolatore, che assunse grande importanza negli anni Venti. Nell'immediato dopoguerra la sua difesa appassionata della tecnicità e dell'autonomia dell'azione di vigilanza non ebbe molta eco, ma merita oggi di essere considerata con attenzione.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla carriera in Roma, Arch. stor. della Banca d'Italia, Personale, registri, libri A; Segretariato, cart. 193 (relazione dell'I. sull'Eritrea); Firenze, Carte Introna-Corradini (appunto autobiografico).
Sulla siderurgia: Acciaio per l'industrializzazione. Contributi allo studio del problema siderurgico italiano, a cura di F. Bonelli, Torino 1982, ad ind.; I. Cerioni, La Banca d'Italia e il Consorzio siderurgico. Fonti per la storia della siderurgia in età giolittiana nelle carte dell'Archivio della Banca d'Italia, in Banca d'Italia, Quaderni dell'Ufficio ricerche storiche, giugno 2001, n. 2 (i compiti dell'ispettore generale sono elencati nell'ordine di servizio n. 171 del 30 dic. 1918, in Arch. stor. della Banca d'Italia).
Sulla Banca nazionale del lavoro: Dall'Istituto nazionale di credito per la cooperazione alla nascita della Banca, 1913-1929, con un saggio di V. Castronovo, e Documenti, a cura di M.R. Ostuni, Firenze 1997, ad ind.; sull'Ufficio centrale per il mercato serico: R. Martano, La Banca d'Italia e i provvedimenti a favore dell'industria serica tra il 1918 e il 1922, in Banca d'Italia, Quaderni dell'Ufficio ricerche storiche, giugno 2001, n. 3.
Per la partecipazione dell'I. alla gestione delle crisi bancarie del primo dopoguerra: La Banca d'Italia e il sistema bancario, 1919-1936, a cura di G. Guarino - G. Toniolo, Roma-Bari 1993, in partic. pp. 62, 301, 310, 333 e, fra l'altro, Arch. stor. della Banca d'Italia, Introna ispettore, prat. 7: Banca italiana credito e valori. Per il caso Marinelli: Ibid., Direttorio Introna, cartt. 67-82 e La Banca d'Italia e il sistema…, cit., pp. 41 s.; sulle banche cattoliche: ibid., pp. 499-593. La citazione riguardante l'Istituto di liquidazioni è tratta dai verbali del comitato direttivo dell'11 ag. 1932, poi in M. Comei, La regolazione indiretta. Fascismo e interventismo economico alla fine degli anni Venti, Napoli 1998, p. 130.
Il ruolo dell'I. nell'avviare la vigilanza bancaria è documentato in La Banca d'Italia e il sistema…, cit., pp. 633, 635, 651, 708. Le lettere che mostrano come Azzolini ritenesse naturale la candidatura dell'I. al posto di direttore generale e in cui si ammette che vi furono pressioni per evitarla (datate 13 e 18 febbr. 1944) sono pubblicate in La Banca d'Italia tra l'autarchia e la guerra, 1936-1945, a cura di A. Caracciolo, Roma-Bari 1992, pp. 448-452.
L'articolo diffamatorio Dov'è il signor P. Bosio pastore valdese? si legge in L'Impero del 7 giugno 1933. Altre campagne contro l'I. furono condotte sul medesimo giornale nel 1927-28, 1931 e 1933. La data della tessera di iscrizione al PNF si desume da una lettera dell'I. al Governatorato di Roma del 24 nov. 1941 (Carte Introna-Corradini, cit.). Cenni sull'I. valdese in M. Cignoni, I valdesi a Roma, Roma 1983, ad ind.; G. Rochat, Regime fascista e Chiese evangeliche: direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Torino 1990, ad indicem. Sulla vicenda del divieto, per la Banca, di scontare a operatori non bancari, La Banca d'Italia e il sistema…, cit., pp. 915-929. Le posizioni dell'I. nel dopoguerra sono riassunte in una memoria del giugno 1944 (pubblicata in La Banca d'Italia tra l'autarchia…, cit., pp. 367-371), a lui attribuita da A. Polsi in Stato e Banca centrale in Italia. Il governo della moneta e del sistema bancario dall'Ottocento ad oggi, Roma-Bari 2001, p. 86, e da A. Gigliobianco, Banchieri centrali italiani (in corso di stampa). Sui rapporti con Azzolini, v. anche A. Roselli, Il governatore Vincenzo Azzolini, Roma-Bari 2000, ad indicem.