NICCOLÒ IV
Girolamo, questo il nome di battesimo del futuro papa, nacque probabilmente presso Lisciano (Ascoli Piceno) intorno al 1225-1230. Si ignora praticamente tutto della sua famiglia: secondo fonti non controllabili, il padre avrebbe esercitato l'attività di "scriba". La tradizione locale gli attribuisce due sorelle. Certamente priva di ogni fondamento è la sua origine nobiliare; il cognome Massi, Massei o Masci gli è stato attribuito, erroneamente, solo in età moderna. Nelle fonti contemporanee, prima della sua ascesa al pontificato, compare sempre come Girolamo d'Ascoli. Entrato nell'Ordine dei Frati Minori, che contavano già nella zona vari insediamenti, Girolamo vi acquisì una buona formazione culturale e teologica; dovrebbe aver completato gli studi di teologia e ottenuto il titolo di maestro in quanto gli sono attribuiti, oltre a postille, cioè commenti, a diversi libri della Bibbia anche il commento ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo, opera che rientra quasi obbligatoriamente nella produzione dei "magistri" di teologia operanti negli "Studia" dell'Ordine o negli "Studia generalia", cioè in quei centri di alta formazione che definiamo con termine moderno università. Sono inoltre conservati i sermoni da lui composti (Roma, Biblioteca Casanatense, Casanat. lat. 1184) sia "de tempore" che "de sanctis", destinati perciò ad essere pronunciati in occasione di entrambe le tipologie di festività contemplate dal calendario liturgico. Nell'Ordine dovrebbe aver ricoperto diverse cariche; la prima certamente documentata è quella di ministro provinciale della "Sclavonia" (1272-1274), regione non ben definita che comprendeva l'attuale Dalmazia e alcune altre regioni della penisola balcanica quali, ad esempio, parti della Bosnia. Ebbe così modo di conoscere la realtà dei Balcani, cui rivolgerà un'attenzione particolare nel corso del suo pontificato, quando stabilirà contatti con i principi serbi e il sovrano bulgaro. In veste di provinciale di "Sclavonia" gli venne affidata la guida della delicata missione incaricata di trattare con l'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, a nome di papa Gregorio X, l'unione fra la Chiesa greca e quella latina. L'imperatore bizantino cercava in tal modo di allontanare il pericolo di un'invasione di quanto restava del suo Impero da parte di Carlo d'Angiò, re di Sicilia, e di ottenere un aiuto occidentale contro la sempre più minacciosa avanzata turca. La missione, accuratamente preparata, si scontrò, all'inizio, contro l'ostilità del patriarca di Costantinopoli e di gran parte del clero greco. Le pressioni esercitate da Michele VIII e le concessioni da parte occidentale raggiunsero comunque lo scopo: la vigilia di Natale del 1273 venne sottoscritto a Costantinopoli dall'assemblea del clero greco l'impegno a rientrare nell'obbedienza romana. L'imperatore chiese comunque che la Chiesa greca potesse mantenere i suoi usi liturgici e che non fosse tenuta ad includere nella recita del simbolo niceno - il Credo - la formula del Filioque, secondo cui lo Spirito Santo procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio. L'ambasceria guidata da Girolamo si poté così preparare al ritorno: i particolari della missione sono ben noti grazie alle relazioni inviate a Roma (cfr. B. Roberg, pp. 227-29, 229-31). I legati greci e quelli inviati da Roma giunsero a Lione, dove nel frattempo si erano aperti i lavori del concilio, il 24 giugno 1274. Il 6 luglio vennero letti pubblicamente i decreti di unione, con cui la Chiesa greca accettava l'obbedienza romana e dichiarava di condividerne le verità della fede. Nel frattempo Girolamo, ancora impegnato nella missione, era stato eletto ministro generale dei Frati Minori, nel corso di un Capitolo generale in cui il precedente superiore, Bonaventura da Bagnoregio, ormai cardinal vescovo di Albano, aveva rassegnato le sue dimissioni. Data la presenza di Bonaventura al Capitolo, si può ritenere che l'elezione del nuovo generale sia stata da lui favorita. Il successo della missione in Oriente e la buona preparazione culturale di Girolamo debbono aver concorso nel far cadere su di lui la scelta. Non molte sono le testimonianze relative all'attività del nuovo ministro generale, che continuò ad essere chiamato a svolgere un'intensa attività diplomatica per conto della Santa Sede. Egli sembra comunque aver seguito la linea inaugurata da Bonaventura. Girolamo cercò infatti di mantenere la buona intesa con l'Ordine dei Predicatori, necessaria in anni in cui i Mendicanti erano sottoposti a duri attacchi da parte del clero secolare, e di limitare i conflitti con quest'ultimo. Richiese ai confratelli un impegno maggiore nella cura spirituale del ramo femminile dell'Ordine e cercò di favorire un'interpretazione della povertà francescana che evitasse troppo gravi conflitti. Sono documentati inoltre suoi interventi volti a favorire l'inserimento di alcuni nuovi miracoli di s. Francesco, giudicati particolarmente significativi, nella Legenda Maior, la biografia del santo di Assisi ad opera di s. Bonaventura. Girolamo richiese anche a tutti i confratelli di impegnarsi nella raccolta di testimonianze sulle virtù e miracoli di quelli fra di loro che godevano di fama di santità in ogni provincia dell'Ordine. Quale ministro generale - secondo una tarda ed isolata testimonianza di Angelo Clareno (Chronicon seu Historia septem tribulationum Ordinis fratrum Minorum, a cura di A. Ghinato, Romae 1959, pp. 131-33) - Girolamo avrebbe imposto a Pietro di Giovanni Olivi, uno dei più influenti pensatori francescani ed esponente di quella parte dell'Ordine che si richiamava ad un'interpretazione rigorista della povertà minoritica, di bruciare un suo scritto sulla Vergine, il cui possibile contenuto ci è del tutto ignoto. L'episodio non deve comunque essere considerato come una condanna o sconfessione del pensiero dell'Olivi, con cui Girolamo pare aver intrattenuto ottimi rapporti quando, nella primavera del 1279, entrambi furono chiamati da Niccolò III a collaborare alla stesura della bolla Exiit qui seminat, con cui papa Orsini definì lo "status" dei Minori, visti come fedeli interpreti del vangelo, e le loro prerogative all'interno della Chiesa. Come si è già detto, Girolamo continuò anche come ministro generale ad essere impegnato in attività diplomatiche. Una seconda ambasceria a Costantinopoli, per perfezionare la parte politica degli accordi con Michele VIII ed arrivare a concludere la pace tra l'imperatore bizantino e Carlo d'Angiò, non raggiunse mai Bisanzio a causa dell'improvvisa morte di Innocenzo V che l'aveva voluta. Particolarmente impegnativa fu invece la legazione in Francia, tra il 1276 e il 1279, per cercare di concludere la pace tra Francia e Castiglia, impegnate in un conflitto dinastico. Durante questa complessa missione, che non riuscì, in questa fase, a raggiungere i suoi obiettivi, Girolamo ricevette la notizia che il nuovo pontefice, Niccolò III, lo aveva chiamato a far parte del Collegio cardinalizio (il 12 marzo 1278). Papa Orsini, che era stato cardinale protettore dell'Ordine minoritico, aveva certo avuto modo in precedenza di apprezzare le qualità di Girolamo, cui chiese di non interrompere la sua attività diplomatica per raggiungere Roma. Qui fece ritorno - come si è già detto - solo nel 1279 per dare il suo contributo alla redazione dell'Exiit qui seminat. Nel maggio di quell'anno Girolamo diede le dimissioni dalla sua carica di ministro generale; gli successe Bonagrazia di S. Giovanni in Persiceto, che gli era stato compagno nella sua attività di legato. Anche dopo l'improvvisa morte di Niccolò III (agosto 1280), Girolamo continuò a godere del favore pontificio. Il nuovo papa, Martino IV, era a sua volta molto legato agli Ordini mendicanti, cui concesse nuovi e amplissimi privilegi (Ad fructus uberes, 13 dicembre 1281); ben si comprende che egli abbia promosso l'ex generale francescano alla sede vescovile di Palestrina. Sono questi gli anni in cui Girolamo entrò probabilmente in contatto con i Colonna, la potente famiglia baronale che a Palestrina aveva la residenza principale. Anche Giacomo Colonna era entrato a far parte del Sacro Collegio nel marzo 1278, in quanto parente di papa Orsini. Insieme, Girolamo d'Ascoli e Giacomo Colonna furono impegnati in una legazione in Romagna (1283), per cercare di giungere ad una pacificazione tra guelfi e ghibellini. Quale vescovo di Palestrina, nel 1285, Girolamo fu incaricato da papa Onorio IV di esaminare la fermezza e serietà del proposito religioso di una comunità femminile, fondata da Margherita (morta nel 1280), sorella del cardinale Giacomo e del senatore Giovanni Colonna, che a Castel S. Pietro, una proprietà colonnese nei pressi di Palestrina, aveva avuto la sua prima residenza. Si trattava di una delle comunità femminili "informali", tanto numerose nell'Italia centrale del XIII secolo, che vivevano una vita penitente al servizio di poveri e malati, spesso senza seguire una regola precisa. Per questo, il cardinale vescovo fu incaricato - qualora il suo esame avesse avuto un esito positivo - di dare alle pie donne una Regola, che fu quella delle Clarisse. Grazie a questo decisivo intervento di Girolamo, papa Onorio IV poté ordinare il trasferimento della comunità, ormai canonicamente in regola, nella prestigiosa sede romana di S. Silvestro "in Capite", uno dei più antichi e meglio dotati di beni fra i monasteri romani. Quando, nel 1287, Onorio IV morì, i cardinali non riuscirono, a lungo, a trovare un accordo sul successore: la sede vacante si protrasse per ben dieci mesi, durante i quali morì circa un terzo degli elettori. Finalmente, all'inizio del 1288, la scelta cadde su Girolamo d'Ascoli, che assunse il nome di Niccolò IV. Sia la scelta del nome, che si richiamava esplicitamente a papa Orsini, che quella della data dell'incoronazione (22 febbraio 1288, festa della cattedra di s. Pietro) sono estremamente significative. In tal modo N., pur francescano e non romano, si riallacciava alla tradizione, inaugurata da Innocenzo III, che vedeva nel pontefice da una parte il vicario di Cristo e dall'altra il signore di quello che era ormai un vero e proprio Stato, lo Stato pontificio, sia pur con tutti i limiti di questa istituzione nel XIII secolo. Quale signore di Roma, N., rifacendosi alla tradizione inaugurata da Niccolò III, che aveva cercato di escludere definitivamente gli stranieri dal governo dell'Urbe, riservandolo in pratica agli esponenti delle grandi famiglie romane, chiamò a ricoprire le cariche di senatore i membri di queste stesse grandi famiglie (Orsini, Colonna, Savelli, Conti, Annibaldi), cercando comunque di mantenere sempre un equilibrio tra di loro, in modo da non creare eccessive tensioni. Meno equilibrata fu la sua politica come signore dello Stato pontificio. Soprattutto nei primi anni del pontificato fra i rettori delle province furono numerosi i Colonna: Stefano II di Palestrina è, nel 1289, rettore in Romagna, mentre Giovanni Colonna veniva nominato rettore della Marca d'Ancona, carica in cui gli successe, come vicario, il figlio Agapito. Immediatamente dopo la sua ascesa al pontificato, N. aveva nominato un altro Colonna, ma del ramo di Gennazzano, podestà della città di Ascoli, cui il papa fu sempre molto legato. Non sempre le scelte si rivelarono felici: Stefano suscitò ad esempio una così violenta ribellione in Romagna da essere addirittura preso prigioniero da una fazione ribelle. Il papa dovette intervenire personalmente, non senza aver chiesto l'aiuto militare dell'altro Colonna, allora rettore della Marca d'Ancona. Alla fine del suo pontificato N. sembra aver rinunciato ad appoggiarsi in modo tanto esplicito ed univoco alla grande famiglia romana; alle rettorie sono chiamati piuttosto membri dell'episcopato di sua fiducia. Sono comunque le nomine colonnesi quelle che hanno guadagnato a N. la fama di papa nepotista, anche in questo caso in linea con la politica di papa Orsini, che sulla sua famiglia si era appoggiato e che la sua famiglia aveva favorito tanto da meritare la celebre condanna dantesca. Si tratta, nel caso di N., di un nepotismo "sui generis" visto che nessun rapporto di parentela lo legava ai Colonna. Negli ultimi anni il tema del nepotismo è stato oggetto di studi approfonditi (S. Carocci, Il nepotismo nel Medioevo. Papi, cardinali e famiglie nobili, Roma 1999), che hanno contribuito a liberare il fenomeno dalle connotazioni morali negative per cercare di coglierne le radici strutturali. Si trattava, per i pontefici, unici sovrani elettivi dell'Europa del tempo, di poter contare su un gruppo armato e su una potenza familiare che ne potesse sostenere la politica, in mancanza di organi dello Stato sufficientemente sviluppati. Le fonti coeve - italiane e no - furono spesso molto severe nel giudicare questo aspetto dell'azione di N. e i loro giudizi hanno influenzato, fino ad anni recenti, gran parte della storiografia moderna, che in N. ha spesso visto una creatura dei Colonna (cfr. R. Neumann, Die Colonna und ihre Politik von der Zeit Nikolaus IV. bis zum Abzuge Ludwigs des Bayers aus Rom (1288-1328), Langensalza 1916, pp. 18-9, che elenca tutte le fonti che evidenziano il legame di N. con i Colonna). N., come i suoi predecessori, dovette dedicare buona parte delle sue energie al tentativo di risolvere il conflitto tra Angioini ed Aragonesi per il possesso della Sicilia. In genere, la sua politica viene definita filoangioina e a Carlo II N. fece effettivamente molte concessioni e molto risalto viene dato alla sua decisione di incoronare solennemente Carlo II d'Angiò e sua moglie Maria a Rieti il giorno di Pentecoste (29 maggio 1289). In realtà in quella fase gli Angioini erano in una posizione di grande debolezza: il nuovo re era stato per parecchi anni prigioniero degli Aragonesi e i suoi figli erano ancora ostaggi in mano al nemico. Carlo si mostrava perciò disposto a trattare anche senza l'accordo di Roma. N., rafforzando il sovrano angioino, mirava essenzialmente a tutelare gli interessi della Santa Sede, che non poteva accettare si mettessero in discussione i diritti del pontefice quale signore eminente del Regno di Sicilia. La pacificazione tra i Regni cristiani, così come il favore con cui vennero accolte le aperture del khan persiano Argun - che propose al papa e ai sovrani europei un'alleanza in funzione antimusulmana - erano, per N., funzionali alla realizzazione della crociata, per cui N. si impegnò sin dall'inizio del pontificato. Le difficoltà erano enormi: i sovrani europei si mostravano riluttanti a partire, la raccolta dei fondi necessari incontrava sempre nuovi ostacoli, Genova e Venezia sembravano più interessate a commerciare con i musulmani che ad armare flotte contro di loro. Il tentativo di mandare rinforzi si rivelò un mezzo disastro: sulle navi, che finalmente salparono per la Terrasanta, si imbarcarono più pellegrini che combattenti e le armi acquistate si rivelarono di pessima qualità. Nel 1291 N. credette comunque di poter realizzare il suo sogno: Edoardo I di Inghilterra si dichiarò pronto ad assumere la guida della spedizione, che avrebbe dovuto partire il 24 giugno 1293. Ma, proprio in quel torno di tempo (il 18 maggio 1291), Acri, ultima piazzaforte cristiana, cadde in mano musulmana. Dopo circa due secoli dalla conquista di Gerusalemme si concludeva così l'esperienza degli Stati crociati. L'impressione in Occidente fu grande, così come l'amarezza del papa. Ma né lui né i suoi successori riuscirono più a coalizzare le forze cristiane contro il dominio islamico in Terrasanta. Maggior fortuna ebbe l'attività missionaria promossa da N.: Giovanni da Montecorvino fu inviato in Cina nel 1289 presso il khan mongolo, riprendendo una tradizione inaugurata da Innocenzo IV. Anche grazie all'atteggiamento aperto e tollerante della corte mongola, Giovanni poté diventare nel 1307 il primo vescovo di Pechino. La cultura del pontefice, la sua esperienza di insegnamento, lo resero particolarmente sensibile al problema dell'organizzazione degli "Studia": nei pochi anni del suo pontificato le Università di Montpellier, Bologna e Parigi si videro riconoscere il privilegio che i titoli da loro concessi sarebbero stati validi in tutta la cristianità ("licentia ubique docendi"). Con queste disposizioni il pontefice riaffermava il ruolo centrale di Roma nella formazione delle élites culturali europee. Di grande rilievo fu anche la riorganizzazione e regolarizzazione del movimento dei Penitenti, sviluppatosi spontaneamente in diverse parti di Europa a partire dalla fine del XII secolo, e che continuava a mancare di una regolamentazione unitaria ed era sotto l'influsso di diverse famiglie religiose. N. volle dare una Regola unica e comuni finalità (in primo luogo difesa dell'ortodossia ed obbedienza a Roma) a tutti quei Penitenti che si richiamavano a s. Francesco, che venne da allora indicato come fondatore del Terz'ordine. Se la bolla Supra montem realizzò, da questo punto di vista, il suo scopo, essa non mancò di suscitare il malcontento dei Penitenti legati ad altre famiglie religiose, in primo luogo i Domenicani, che si videro in un qualche modo relegati in una situazione di subalternità. Ma questo papa francescano, e votato alla povertà, fu sensibile anche ai problemi di natura finanziaria. Il suo tentativo di porre ordine nelle finanze pontificie, sottoponendo a verifiche e controlli il Liber censuum, ormai vecchio di un secolo, cancellando enti non più esistenti, introducendo nuove fondazioni, gli valse probabilmente il poco lusinghiero giudizio di un anonimo autore che lo accusa di aver "molestato" ed "aggravato" molte Chiese della cristianità con le sue "exationes" (Oxford, Bodleian Library, Lat. misc. C 75, già Philipps 3119). I censi che affluivano a Roma furono poi - per sua decisione - divisi in due parti: l'una destinata al pontefice e l'altra al Collegio cardinalizio ("mensa collegii"). In questo modo l'importanza del Sacro Collegio, che era andata crescendo nel Duecento ed aveva trovato anche un'espressione teologica nella teoria secondo cui i cardinali erano membra di quel corpo mistico di cui il papa era la testa, trovava una sua materializzazione. Per finire non si può tacere dell'attività di mecenate di N.: oltre ai molti oggetti liturgici commissionati dal pontefice e destinati a diverse chiese della cristianità, vanno ricordati soprattutto i restauri e le decorazioni di almeno due importanti chiese romane. A S. Giovanni in Laterano N. completò l'opera di restauro intrapresa già dai suoi predecessori e consegnò il ricordo dei lavori eseguiti ad un'epigrafe musiva. Nel testo, recentemente edito in una convincente ricostruzione, veniva ricordato il sogno di Innocenzo III che avrebbe visto s. Francesco sorreggere la basilica sul punto di crollare. Ancor più importanti furono gli interventi a S. Maria Maggiore, chiesa prediletta dal papa, e presso cui risiedeva durante i soggiorni romani. Il catino absidale venne ornato con lo splendido mosaico di Iacopo Torriti rappresenta l'incoronazione della Vergine, tema iconografico da tempo in circolazione ma che ben rispondeva alla profonda pietà mariana di N., che con la sua politica indulgenziale promosse in tutta Europa la devozione a Maria. I lavori vennero certamente ultimati dopo la morte di N. (4 aprile 1292) - che in S. Maria Maggiore volle essere sepolto - dal cardinale Giacomo Colonna, che si fece per questo raffigurare nel mosaico di fronte al pontefice. Fonti e Bibl.: Les Registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, Paris 1886-1993; A. Mercati, Frammento di un registro di Nicolò IV, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano", 46, 1931, pp. 109-28; E. 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Kiesewetter, Die Anfänge der Regierung könig Karls II. von Anjou (1278-1295) [...], Husum 1999, ad indicem; Niccolò IV: un pontificato tra Oriente ed Occidente, a cura di E. Menestò, Spoleto 1991; C. Cenci, Le "postillae dominicales" di Fr. Girolamo d'Ascoli, "Antonianum", 68, 1993, pp. 485-525; J.H. Durton, Towards a New Edition of the Taxatio Ecclesiastica Angliae et Walliae auctoritate P. Nicholai IV circa A.D. 1291, "Bulletin of the J. Rylands University Library of Manchester", 79, 1997, pp. 67-80. Dictionnaire de théologie catholique, XI, 1, Paris 1931, s.v., coll. 536-41; Storia dei papi, Cinisello Balsamo 1994, pp. 307-08; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, Milano 1996, s.v., pp. 998-99.