JOMMELLI, Niccolò
Musicista, nato ad Aversa (Napoli) il 10 settembre 1714, morto a Napoli il 25 agosto 1774. Dal canonico Muzzillo, maestro del coro della cattedrale di Aversa, apprese i primi elementi della musica, il canto e il clavicembalo. Nella stessa cattedrale ebbe i primi contatti con la musica sacra, che in seguito approfondì a Napoli e a Roma, e che molto giovò, nobilitandola, alla sua produzione melodrammatica. A 16 anni entrò nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, di Napoli, ove insegnava F. Durante, e da esso passò poco dopo in quello della Pietà dei Turchini, ove ebbe a maestri G. Prota, F. Mancini, F. Feo e N. Fago. Dal celebre Leonardo Leo ebbe consigli sullo stile sacro e su quello drammatico. Nella primavera del 1737, sotto il falso nome di Valentini, fece rappresentare al Teatro Nuovo di Napoli la sua prima opera, L'Errore amoroso; dopo il buon successo della quale una seconda opera, Odoardo, fu data col suo nome, nel 1738, al Teatro dei Fiorentini.
Passato a Roma, vi ebbe la protezione del cardinale duca di York, e vi fece rappresentare, al Teatro Argentina, il Ricimero (1740) e l'Astianatte (1741). Nello stesso anno scrisse per Bologna un Ezio, poi rifatto e rappresentato a Napoli nel 1748. A Bologna conobbe padre G.B. Martini, dai cui insegnamenti molto fu rafforzata la sua tecnica musicale. Il 26 dicembre 1741 fece rappresentare a Venezia la Merope, il cui buon esito gli procurò, due anni dopo, la nomina a direttore del Conservatorio degl'Incurabili, che lasciò nel 1747 e per il quale scrisse le prime sue pagine sacre, tra cui un ammirevole Laudate Pueri a 8 voci in due cori e gli oratorî Gioas e La Betulia liberata; nel 1742 fece rappresentare l'Eumene a Bologna e la Semiramide a Venezia; nel 1743 il Demofoonte a Padova e il Tito Manlio a Torino; nel 1744 il Ciro riconosciuto a Bologna; nel 1746 la Sofonisba a Venezia e la Didone e il Cajo Mario a Roma; nel 1748, a Napoli, oltre al già citato Ezio, L'amore in maschera. Nel 1749, protetto dal cardinale Albani, fu nominato maestro coadiutore e poi effettivo della cappella musicale di S. Pietro a Roma, posto che tenne fino al novembre 1753; ivi scrisse molta altra musica sacra (tra cui l'oratorio La Passione una delle sue più belle composizioni), le opere Artaserse (1749), Don Trastullo (la sua migliore opera buffa), Ifigenia in Aulide (1751), Talestri e Attilio Regolo (1752 e gl'intermezzi comici L'Uccellatrice e Il Paretajo. Nell'autunno del 1749 si recò a Vienna, ove, durante un anno, compose cinque opere, tra cui l'Achille in Sciro e un felice rifacimento della Didone, su libretto di Metastasio, il quale compose quelli di molti altri suoi melodrammi, e dalla cui conversazione lo J. affermava di aver appreso più che da tutti i suoi maestri di musica. Nel 1754 scrisse per Milano uno dei suoi capolavori, il Lucio Vero. Nell'autunno del 1753 aveva avuto la nomina a maestro di cappella del duca di Württemberg a Stoccarda.
A contatto con l'arte tedesca J. modificò il suo stile, afforzò e variò lo strumentale, curò l'armonizzazione, rese più libero e ardito il giro delle modulazioni; ma perdette in parte la scintillante ispirazione e la spigliatezza proprie dell'opera napoletana. Durante la sua permanenza in Germania scrisse 17 opere serie, 3 opere buffe e molta musica sacra. Tra le opere sono da rammentare: Pelope (1755), Fetonte, Nitteti (1759), Alessandro nelle Indie (1760) e Olimpiade (1761). Tra la musica sacra, un Requiem per la duchessa di Württemberg. Portò la cappella ducale a lui affidata al più grande splendore, ma gelosie e intrighi di malevoli lo persuasero a tornare in Italia verso la fine del 1769. Una corsa in Italia aveva già fatto nel 1757, per mettere in scena le opere: Creso, a Roma, e Temistocle, a Napoli.
Passò gli ultimi anni nella sua Aversa. Nel 1770 scrisse per il S. Carlo di Napoli l'Armida abbandonata, una delle più belle e la più compiuta delle sue opere. Un rifacimento del Demofoonte, già composto per Stoccarda (1764), e un'Ifigenia in Tauride, appositamente scritta per Napoli (1771), non incontrarono il favore del pubblico. Colpito da paralisi al lato destro, si riebbe alquanto e poté ancora scrivere una Messa e un'opera, il Trionfo di Clelia, su testo del Metastasio, per il re di Portogallo, dal quale ebbe una pensione, e la cantata Cerere placata (1772, 14 settembre) per il battesimo della figlia primogenita del re di Napoli Ferdinando IV. Ultima sua composizione fu il celebre Miserere, capolavoro di nobile, ispirata espressione, composto per 2 voci femminili e orchestra d'archi, su una non bella parafrasi del Salmo L, dovuta a S. Mattei, in casa del quale ebbe luogo la prima esecuzione (30 marzo 1774).
J. si distingue, tra i maestri dell'opera napoletana suoi contemporanei, per nobiltà di stile e purezza d'ispirazione melodica, quasi sempre improntata a una tenera malinconia. Riuscì pertanto meno bene nell'opera buffa che nella seria, e benissimo nella musica sacra. Intuì fra i primi le possibilità drammatiche del recitativo; abbandonò l'uso, ormai retorico, dell'aria col da capo; superò i contemporanei italiani nella cura della strumentazione, tentando le più varie combinazioni sonore. Fu ammirato e imitato da Mozart.
Bibl.: S. Mattei, Elogio del J., Colle 1785; P. Alfieri, Not. biogr. di N. J., Roma 1845; F. Florimo, Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, II, Napoli 1882, p. 230; H. Albert, N. J. als Opernkomponist, Halle 1908.