LIBURNIO, Niccolò
Nacque in Friuli negli anni Settanta del XV secolo, se si considera come punto di riferimento il 1502, anno della sua prima opera a stampa (Opere gentile et amorose…, Venetiis, Per Picinum de Brixia), in cui il L. attesta di essere al venticinquesimo anno di età, informazione riferibile verosimilmente all'epoca di composizione dell'opera, piuttosto che a quella della sua pubblicazione. Fu di umili origini, come egli stesso non mancò di precisare in più luoghi delle sue opere letterarie. Come rileva Dionisotti (p. 34), L. è senz'altro nome umanistico.
Il L. studiò a Venezia, dove ebbe come maestro Giovanni Negro, e seguì a Milano le lezioni di Iacopo Antiquari. Fu inoltre allievo di altri due famosi umanisti, Giovanni Battista Cipelli detto Battista Egnazio e Marco Musuro. Abbracciò presto la condizione sacerdotale: secondo Marin Sanuto, il L. era "capelan" del condottiero Giovanni Moro già nell'ottobre 1510. A Mantova fu membro dell'Accademia di S. Pietro, presso la quale ebbe probabilmente occasione di entrare in contatto con Paolo Giovio, Matteo Bandello, Francesco Dovizi da Bibbiena e Antonio Tebaldeo.
Trascorse circa tre anni a Roma, nei primi tempi del pontificato di Leone X, e frequentò la casa di Giano Lascaris (interlocutore, con Alberto Pio e Marco Musuro, della tredicesima delle Occorrenze humane del L., Vinegia, Eredi Aldo Manuzio, 1546) e il circolo di Giano Parrasio (Giovan Paolo Parisio). Nella dedica delle Tre fontane… in tre libri divise, sopra la grammatica, et eloquenza di Dante, Petrarcha et Boccaccio… (ibid., G. De Gregori, 1526; poi ibid., M. Sessa, 1534) il L. fa menzione del servizio prestato presso Marino Grimani, patriarca di Aquileia. Nel brano di dedica delle Occorrenze humane rammenta inoltre quello svolto presso don Miguel de Silva, vescovo di Viseu e futuro cardinale di Portogallo (il dedicatario del Cortegiano di B. Castiglione) ed elenca i suoi numerosi viaggi, in Francia, Inghilterra, Fiandre, Siria e a Bruges, dove ebbe modo di incontrare per la seconda volta Erasmo da Rotterdam, conosciuto a Venezia nel 1508, quando il L. era correttore di greco e latino per Aldo Manuzio; nelle stesse pagine informa il lettore di essere stato al servizio di vari patrizi veneziani: Girolamo Donà, Girolamo Pesaro e infine Giovanni Pisani per otto anni in qualità di precettore del figlio Luigi, di sei anni e futuro vescovo di Padova. Negli ultimi anni di vita fu piovano di S. Fosca a Venezia e canonico della basilica di S. Marco.
Il L. morì a Venezia il 22 sett. 1557.
Ampia e varia è la sua produzione a stampa, che abbraccia un periodo di oltre mezzo secolo, e comprende raccolte poetiche, trattati grammaticali, epitalami, traduzioni, florilegi di motti e sentenze. La prima opera pubblicata del L. è la citata raccolta di rime Opere gentile et amorose… Soneti CXXXX, Dialogi II, Epistole III, Insomnio amoroso I, Capitolo I, Laude alla Madonna I, Epistole Heroide de Ovidio converse in volgar con tercia rima II, che si propone fin dal titolo, come nella scelta dei metri (sonetti e ternari) e dei motivi, quale tipico prodotto della poesia cortigiana di quegli anni. Alla poesia il L. sarebbe tornato nel 1524 con quella che si configura come una rielaborazione parziale della prima raccolta, Lo verde antico delle cose volgari (Vinegia, F. Bindoni: contiene 197 sonetti, 7 madrigali, 1 barzelletta e 8 stanze in lode della Madonna), in cui circa una quarantina di sonetti delle Opere gentile vengono recuperati in rifacimenti che rimuovono le tracce di più palese sapore cortigiano in favore di criteri suggeriti da una nuova ricerca di tipo bembesco. Documentano una fase di riflessione intermedia tra le due raccolte citate Le selvette (ibid., G. Penzio, 1513), in prosa con intermezzi poetici, dedicate a Isabella d'Este, in cui uno dei motivi più urgenti è quello della vecchia e nuova letteratura volgare, di fronte alla quale il L. si pone affiancando all'incontestabilità del magistero degli antichi (Dante, Petrarca e Boccaccio) una decisa affermazione di autorità dei moderni (Antonio Tebaldeo, Iacopo Sannazzaro, Pietro Bembo). Parallela all'attività poetica in volgare fu quella in latino, testimoniata dalla presenza di un epigramma latino del L. nell'antologia Coryciana (a cura di Blasio Palladio, Roma, Ludoviso Vicentino e Lentizio Perugino 1524; riedita a cura di J. Ijsewijn, Roma 1997) e soprattutto dalla raccolta di carmi latini del codice Barb. lat., 2138, cc. 1-8, consistente in 19 epigrammi, 4 elegie e un carme esametrico.
Le vulgari elegantie (Venezia, Eredi Aldo Manuzio - A. Torresano, 1521), in tre libri che affrontano questioni di retorica, ortografia e morfologia, costituiscono il primo di una serie di testi dedicati dal L. a trattazioni grammaticali. Nell'opera la materia retorica resta preponderante su quella grammaticale, quest'ultima svolta senza alcun ordine e sistematicità. Richiamandosi alla perfezione esemplare di Dante, Petrarca e Boccaccio, il L. suggerisce un modello toscano che è sì ispirato ai classici del Trecento, ma aggiornato alla luce dell'indiscutibile uso, invalso in tutta l'Italia, del volgare, da cui scaturiva l'esigenza, avvertita in quegli anni, di stabilire norme ben definite dello scrivere correttamente ed elegantemente in volgare. Il modello di riferimento linguistico proposto dal L. considera le differenze tra toscano trecentesco e moderno e si mostra tollerante nei confronti delle diverse varietà toscane e dell'affioramento di tratti non fiorentini negli scrittori. Ma poste le questioni, interessanti a quella data, dei modelli da imitare, delle differenze fonetiche e morfologiche tra dialetti toscani, della differenza tra lingua della poesia e lingua della prosa, in assenza di ogni tentativo di classificazione dei fenomeni, la trattazione si risolve in serie indefinite di formulari (per l'epistola amorosa, gli affari e le relazioni di corte, di epiteti poetici e di comparazioni). Pur nell'asistematicità dei risultati, va riconosciuto al L. il primato nell'intuizione di svariate problematiche che altri avrebbero dopo di lui sviluppato con mezzi diversi: il L. è per esempio il primo a stilare un elenco nutrito di voci dalle quali si ricava la difformità dell'uso prosastico di Boccaccio da quello poetico di Dante e Petrarca (Trovato, p. 268).
Le tre fontane (Vinegia, G. De Gregori, 1526), concluse dal Dialogo sopra le lettere del Trissino nuovamente imaginate nelle cose della lingua italiana, sono invece il più remoto manuale di concordanze delle parti del discorso adoperate dai grandi trecentisti: si tratta di un'opera lessicografica, spesso approssimativa e sommaria, in lunghe serie di registri alfabetici delle "voci più polite et limate" dei tre autori. Nella sezione conclusiva del libro primo, intitolata Defensione di Dante, il L. oppone al Bembo la difesa del poeta della Commedia, oggetto in seguito di un'opera autonoma, La spada di Dante Alighieri poeta per messer N. Liburnio in tal modo raccolta, opera utile a fuggir il vitio et seguitar virtù (ibid., G.A. Nicolini da Sabbio, 1534). In un analogo orizzonte di interesse grammaticale si inserisce il rimario dantesco-petrarchesco, contenuto nel ms. VII.E.16 della Biblioteca nazionale di Palermo, da assegnare presumibilmente al periodo precedente il 1536, se non addirittura il 1529 (Presa - Uboldi, p. 43). Vi sono riportati rimario e fraseologia di Dante e Petrarca secondo le desinenze e, nella sezione relativa alle desinenze sdrucciole (cc. 47-54), non riferite ai due poeti trecenteschi, emergono elementi innovativi nel superamento di un rigoroso esclusivismo dantesco e petrarchesco.
Il L. precorre i tempi anche per i criteri da lui adottati nella traduzione con La preclara narratione di F. Cortese della Nuova Ispagna del mare Oceano… al splendore della lingua volgare… (Venezia, B. Viani, a istanza di G.B. Pederzano, 1524), versione toscana della Carta segunda di Hernán Cortés (Siviglia 1522) condotta sulla traduzione latina di Pietro Savorgnan (Praeclara de Nova maris Oceani Hyspania narratio, Norimbergae 1524). Redatta in un toscano incostante in cui convive una grande molteplicità di forme, essa costituisce la prima versione in volgare di un resoconto di conquista (Binotti, 1996, p. 134). Tra le altre attività di traduzione che impegnarono il L. nel corso degli anni sono le versioni di due Heroides ovidiane (poste a conclusione delle giovanili Opere gentile et amorose), l'Opera dell'uomo dotto e famoso Giovan Boccaccio da Certaldo… (traduzione del De montibus, uscì a Venezia senza note tipografiche, forse per G. De Gregori; è successiva al 1526, come si ricava da un riferimento autoelogiativo alle Tre fontane) e Lo libro quarto dell'Eneida vergiliana con verso heroico volgar… (ibid., G.A. Nicolini da Sabbio, 1534).
Altro settore in cui il L. fece sentire in maniera cospicua la sua presenza è quello, che andava diffondendosi nella cultura del tempo, delle compilazioni di motti e sentenze. Spiccano in particolare le Elegantissime sentenzie et aurei detti de diversi eccellentissimi antiqui savi così greci, come latini, raccolti da m. N. L.; aggiuntovi molti ornati et arguti motti de più boni authori, in volgar tradotti da m. Marco Cadamosto da Lodi (ibid., G. Giolito, 1543), che contengono elementi di novità destinati a essere ripresi successivamente, sia nell'organizzazione tematica dei detti sia nell'utilizzo delle fonti, tra le quali cospicua è la presenza di Giovanni Stobeo (soprattutto della sezione Sententiae del suo Anthologion), con cui il patrimonio dei detti antichi in volgare, derivati soprattutto da Diogene Laerzio e Valerio Massimo, risultava notevolmente arricchito.
Alla produzione più schiettamente encomiastica e d'occasione sono da riportare tra l'altro: Vita inclita et mors Aloysii Pisani, D. Marci procuratoris et Rep. Ven. legati (ibid. 1529); In nuptias Francisci Bernardi viri sapientissimi equitis magnanimi ac Laureate Foscarae epithalamium (ibid., Eredi A. Manuzio, 1548); Epithalamium in nuptiis fratrum clarissimae familiae Quirinae (ibid. 1554).
Edizioni moderne: Le vulgari elegantie. Facsimile dell'edizione aldina del 1521, introduzione di G. Presa, Milano 1965; Le occorrenze umane, a cura di L. Peirone, Milano 1970; Dizionario geografico. De montibus, silvis, fontibus…, a cura di G.F. Pasini, Torino 1978; L. Munzi, Carmi latini inediti di N. L., in Studi umanistici piceni, III (1983), pp. 231-245; Dialogo sopra le lettere del Trissino, in Trattati sull'ortografia del volgare 1524-26, a cura di B. Richardson, Exeter 1984, pp. 131-146.
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